0

Allarme Unioncamere, le PMI italiane esportano sempre meno

Quasi 50mila aziende potrebbero esportare ma non lo fanno, trascinando in basso i dati relativi alle vendite dall’Italia verso l’estero: è questo l’allarme lanciato da Unioncamere, che stima un calo del 3,3% del numero di imprese esportatrici tra il 2016 e il 2019. Il dato più preoccupante riguarda soprattutto le PMI, che rappresentano peraltro la maggiore quota del tessuto economico nazionale, amplificando dunque le difficoltà già riscontrate dalle piccole e medie realtà in questi ultimi anni.

Continue Reading
Condividi:
0

I primi 10 Paesi esportatori mondiali di merci nel 2016

Paesi esportatori merci

La graduatoria dei principali paesi esportatori mondiali di merci, secondo l’ultimo Rapporto dell’agenzia ICE, non ha mostrato significativi mutamenti nelle prime posizioni, ancora dominate dalla Cina che resta il primo esportatore mondiale. Gli Stati Uniti, secondo esportatore, hanno mantenuto immutata la propria quota rispetto al 2015. La Corea del Sud dopo decenni di forte dinamismo perde due posizioni, scendendo dal sesto all’ottavo posto. La forza dell’export Made in Italy, è stata confermata anche nel 2016.

L’Italia, infatti, è il nono Stato esportatore al mondo, guadagnando una posizione rispetto al 2015, con vendite all’estero per 462 miliardi di dollari, poco più del 30% del PIL. L’Italia con una quota di mercato del 2,9%, si conferma fra i Paesi avanzati quelli che nella globalizzazione hanno conservato maggiori quote di mercato a livello internazionale. E il trend positivo per l’export di Made in Italy non sembra essersi esaurito: dal Rapporto emerge infatti che, nei primi quattro mesi di quest’anno, le esportazioni italiane sono cresciute del 6,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un risultato che, se confermato nei successivi quadrimestri, porterebbe il dato dell’intero 2017 a superare le stime, che ipotizzavano un aumento del 3-4%.

Per l’Italia due note dolenti. La prima è rappresentata dal numero di aziende esportatrici (circa 215.000) che è incrementato troppo lievemente rispetto alle previsioni: nel 2016 sono state infatti solo 10mila (+0,3%) le nuove aziende esportatrici italiane. La seconda proviene dai tre settori in cui l’Italia mantiene le quote di mercato più elevate nel mondo: articoli in pelle (10,1%), macchinari ed apparecchiature (6,4%), abbigliamento (4,9%). Settori in cui non bisogna assolutamente arretrare. Per farlo è necessario aggredire il mercato ecommerce, che oggi vale 1900 miliardi di euro e di cui il Belpaese rappresenta appena l’1% perché al momento l’Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi europei: solo il 10% delle imprese italiane accetta ordini online, contro il 18% della Spagna, il 21% della Francia ed il 27,2% della Germania.

Condividi:

Embargo a Russia è costato al Made in Italy 3,6 miliardi

Sanzioni Russia

A seguito della crisi politico-militare con l’Ucraina, le sanzioni economiche introdotte nel 2014 dall’Unione europea nei confronti della Russia e le reazioni di Mosca sono costate al nostro made in Italy 3,6 miliardi di euro. L’export italiano verso la federazione russa, infatti, è passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34%).

Lombardia (-1,18 miliardi), Emilia Romagna (-771 milioni) e Veneto (-688,2 milioni) sono le regioni che con l’introduzione del blocco alle vendite hanno subito gli effetti negativi più pesanti: oltre il 72% del totale del calo dell’export verso la Russia ha interessato questi tre territori. Continue Reading

Condividi:
0

Agricoltura un anno di crisi. Regge l’export e il made in Italy

agricoltura

Il 2012 per l’agricoltura italiana può essere considerata una delle annate più difficili degli ultimi 20 anni, brusco calo produttivo e crisi della domanda interna, complice la crisi del Paese. Ma l’export e il made in Italy continuano a crescere. Questa è la fotografia che emerge dall’Annuario dell’agricoltura italiana 2012, pubblicato dall’INEA.

All’interno del sistema economico nazionale l’agricoltura ha risentito più di altri settori del complessivo andamento recessivo che ha colpito il Paese nel corso del 2012. La variazione negativa del valore aggiunto è stata netta (-4,4%), segnando una caduta che segue due anni di già scarsa vivacità. Il cattivo risultato, peraltro, è stato attenuato dall’incremento dei prezzi dei beni prodotti dal settore primario (+5,2%), che è venuto meno al suo tradizionale ruolo di contenimento inflattivo, consentendo però il mantenimento del peso dell’intera branca agricoltura, silvicoltura e pesca (Asp) sul Pil nazionale stabile al 2%. 

Il valore della produzione dell’attività agricola in senso stretto si è collocato appena al di sotto dei 50,5 miliardi di euro correnti, ma in termini reali si è registrata una riduzione dei livelli produttivi (-3,2%) che, congiuntamente al contenimento dell’impiego di fattori intermedi (-1,9%), confermano la pesante battuta d’arresto del settore primario. Sul risultato finale hanno influito in misura drastica, da un lato, i ridotti investimenti settoriali, fortemente condizionati dalle sempre più critiche condizioni di accesso al credito, dall’altro, le difficili condizioni di contesto. Tra queste ultime, un ruolo particolare ha avuto l’andamento climatico, che in più fasi ha funestato l’attività produttiva, a cui si sono associati i danni derivanti dalla diffusione di alcune specifiche fitopatie (aflatossine, micotossine, cinipide) che hanno colpito molte produzioni e penalizzato il livello qualitativo di importanti comparti, oltre agli effetti catastrofici connessi al sisma che ha colpito l’area padana nella primavera del 2012.

A farne le spese sono state in prevalenza le coltivazioni agricole, a vantaggio del comparto zootecnico e delle attività di supporto all’agricoltura; queste ultime, in particolare, vantano la migliore dinamica settoriale del 2012, poiché registrano l’unica significativa variazione positiva, sia in termini correnti (+5,6%), che in termini reali (+1,3%), che trova conferma in tutti i singoli contesti regionali, inserendosi in un consolidato processo di rafforzamento ben evidenziato dai dati di medio periodo. Di segno opposto, invece, è risultato l’andamento delle attività secondarie, che mostrano un calo significativo soprattutto in termini reali (-2,6%).

Le negative dinamiche settoriali, a prima vista, sembrerebbero non aver inciso sul lavoro, poiché il numero degli occupati è rimasto nel complesso pressoché immutato e di poco inferiore a 850.000 persone, di cui il 29% rappresentato da donne.

L’Italia continua a mantenere la fetta più consistente del registro dei prodotti Dop e Igp dell’ue (pari a 1.167, comprese anche le Stg), segnando un ulteriore incremento delle registrazioni, giunte a quota 252. La maggior parte delle nostre specialità si concentra nei prodotti dell’ortofrutta e dei cereali, nei formaggi, negli oli extravergine d’oliva e nei salumi. Nel periodo 2004-2012 si è registrato un consistente aumento delle aziende agricole (+38,7%), degli allevamenti (+50%), della superficie impiegata (+40,7%) e dei trasformatori (+22%).

L’Italia si colloca al primo posto anche per quanto riguarda i vini a indicazione geografica, con 521 registrazioni tra Docg, Doc e Igt. Le superfici investite a tali vini sono stimate in circa 355.000 ettari, ovvero oltre la metà del totale delle superfici vitate. La loro produzione, attestatasi nella vendemmia 2012 a circa 29 milioni di ettolitri, rappresenta una quota sempre più rilevante del vino complessivamente prodotto in Italia (70%).

Per quanto riguarda la sicurezza alimentare, nel 2012, sono pervenute al sistema europeo per i controlli alimentari 3.516 notifiche, circa l’8% in meno rispetto al 2011, relative a prodotti alimentari (82,1% del totale), mangimi (9,4%) e materiali a contatto con gli alimenti (8,5%). L’Italia, con 517 notifiche (15% del totale), è al primo posto per numero di segnalazioni, distinguendosi per l’efficacia dei propri sistemi di controllo.

Nel 2012 l’industria alimentare italiana ha rafforzato la sua posizione segnando una delle poche variazioni positive del valore aggiunto (+3,4% a prezzi correnti; +0,5% a valori concatenati) all’interno del manifatturiero, sostenuta da una crescita del fatturato (+2,3%) in linea con quanto registrato negli ultimi anni. Tale crescita è attribuibile prevalentemente alla componente del mercato estero (+5,6% dell’indice di fatturato di riferimento), che ha rappresentato la principale opportunità per l’espansione del settore agro-alimentare nazionale. I risultati sono stati positivi anche grazie ai buoni risultati conseguiti dalle esportazioni di gran parte dei prodotti associati alla reputazione del nostro Paese: il cosiddetto made in Italy. Tra questi, spiccano in particolare gli ottimi risultati conseguiti dai vini – soprattutto gli spumanti (+15,8%) –, dai prodotti dolciari (+15,2%), dai salumi e dai formaggi. Oltretutto, sembrano presenti ancora importanti margini di crescita per le esportazioni del settore, basti pensare alle opportunità connesse alla riappropriazione di quote di mercato oggi occupate dal cosiddetto Italian sounding.

Sul fronte strutturale, i primi dati del censimento dell’industria e dei servizi (2011) dell’Istat mostrano una contrazione del numero delle imprese operanti nell’industria alimentare (-14% nel decennio), che ammontano così a 54.931, cui si sommano 2.874 imprese operanti nel comparto delle bevande (-4,3%), per un totale di 57.805 imprese nell’intero aggregato. Il numero complessivo di addetti è di 420.312, pari a poco meno dell’11% del totale manifatturiero. Nonostante le dinamiche osservate, permane la forte incidenza di micro imprese di carattere artigianale, soprattutto per la presenza di quelle specializzate nella produzione di prodotti da forno e farinacei (64,5% dell’intero settore), cui si associa spesso la forma di conduzione come impresa individuale, che rappresenta quasi la metà del totale.

Segnali incoraggianti derivano anche dagli ultimi dati disponibili sul mondo della cooperazione agro-alimentare, che confermano il ruolo di assoluto rilievo delle forme organizzate in Italia. Infatti, anche nel 2012 le quattro centrali di rappresentanza (Fedagri-Confcooperative, Legacoop Agroalimentare, Agci- Agrital e Ascat-Unci) evidenziano, pur nella differenza di risultati, andamenti in prevalenza positivi, soprattutto in relazione al fatturato. A livello internazionale, un riconoscimento dell’importante ruolo svolto dal sistema cooperativo è giunto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha proclamato il 2012 come “Anno internazionale delle cooperative”, al fine di mettere in risalto il contributo che queste danno allo sviluppo socio-economico, riconoscendo il loro impatto sulla riduzione della povertà, sull’occupazione e sull’integrazione sociale. Gli obiettivi principali alla base di questa iniziativa sono quelli di promuovere la formazione e l’espansione delle cooperative e incoraggiare i governi ad adottare politiche che ne favoriscano la formazione, la crescita e la stabilità. Una delle componenti che ha inciso in misura più negativa sulle dinamiche del settore agro-alimentare nel 2012 è rappresentata dalla ridotta capacità di spesa dei consumatori, connessa alla caduta della disponibilità di reddito e alla conseguente perdita di potere d’acquisto delle famiglie (-4,8%). Le difficoltà si sono tradotte principalmente nella riduzione generale dei consumi, sia sul fronte della qualità, che della quantità, coinvolgendo spese impensabili fino a solo qualche anno fa, tra le quali proprio quelle per generi alimentari. Nel complesso, i consumi per alimenti e bevande non alcoliche, in termini correnti, hanno fatto registrare una contrazione della spesa (-0,4%), attestatasi a 138,8 miliardi di euro, mentre la contrazione a valori concatenati è risultata molto maggiore (-2,9%), per effetto della crescita dei prezzi dei generi alimentari (+2,5%).

La dimensione della crisi ha impresso un rapido mutamento nelle dinamiche di acquisto, già profondamente rimodulate da cambiamenti a carattere strutturale (composizione delle famiglie), teso a evitare gli sprechi, ridurre il budget di spesa media, contenere i pasti extra-domestici. All’interno di questi processi, tuttavia, i consumatori hanno mostrato propensione all’acquisto di prodotti molto diversi – low cost e promozioni, accanto a prodotti di qualità, passando per il biologico, il salutista e i prodotti pronti per l’uso – selezionando canali di vendita molto differenziati. In questo quadro emergono anche fenomeni di grande preoccupazione; infatti risultano in aumento le condizioni di grave disagio nutrizionale, con il 15,8% della popolazione totale che vive in una situazione di povertà relativa, non riuscendo ad assicurarsi un apporto calorico adeguato (Istat). Al contempo, cresce anche il numero di italiani in sovrappeso o obesi, proprio all’interno delle fasce più deboli della popolazione, dove è più frequente il consumo di alimenti ricchi di zuccheri e addizionati con grassi di scadente qualità.

Gli effetti sui consumi alimentari si sono riverberati su un ripensamento strategico del settore della distribuzione di generi alimentari in Italia, che ha mostrato un incremento del valore delle vendite presso la grande distribuzione (+1,4%), a fronte di una diminuzione significativa nelle piccole superfici del dettaglio tradizionale (-2,7%). Le maggiori insegne della distribuzione hanno mostrato un forte orientamento al prezzo, rafforzando le linee di prodotto di primo prezzo, le vendite promozionali e la pressione pubblicitaria. Accanto a questa strategia è proseguita anche la tendenza alla caratterizzazione dei prodotti: l’italianità, la tipicità, la sostenibilità ambientale e sociale.

Prosegue, infine, la propensione ad acquistare direttamente dal produttore agricolo, sia direttamente in campagna che dai mercati contadini o tramite i gruppi di acquisto solidale (Gas). Un altro fenomeno che si sta sviluppando sempre di più è quello degli degli hobby farmer, ovvero le persone che coltivano e curano un fondo agricolo per il consumo domestico. Cresce infine anche il numero di attività commerciali definite no store, cioè realizzate al di fuori della rete di vendita in sede fissa, tra le quali in particolare i distributori automatici di latte crudo e di acqua.

Condividi:
1

Made in Italy: 1000 eccellenze che valgono 183 miliardi di dollari

Made in Italy

Mentre la lunga e forte crisi che stiamo attraversando si ripercuote con forza sulla nostra economia interna e impone di fare di più per ridare reddito alle famiglie che si sono impoverite e per restituire speranza e motivazione alle tante energie depresse del Paese, dal nostro export arrivano segnali incoraggianti. Negli ultimi anni, malgrado la crisi economica mondiale, il made in Italy ha raggiunto straordinarie posizioni di preminenza sui mercati esteri. Nonostante la cessione di marchi storici nazionali a gruppi stranieri, vantiamo quasi 1000 prodotti in cui siamo tra i primi tre posti al mondo per saldo commerciale attivo con l’estero. Vuol dire che se pensiamo al mercato globale come a un’olimpiade, ai prodotti come discipline sportive in cui vince chi ha un export di gran lunga superiore all’import, l’Italia arriva a medaglia quasi mille volte. Fanno meglio di noi solo Cina, Germania e Stati Uniti. Il risultato di questo ricco medagliere è un saldo positivo di 183 miliardi di dollari al 2011. Una tendenza che si conferma anche nel 2012, quando siamo stati il secondo paese europeo, dopo la Germania, per attivo manifatturiero con i Paesi extra-UE. Se adottiamo come metro della competitività la bilancia commerciale dei singoli prodotti, emergono in tutta evidenza la creatività e la duttilità del made in Italy, la capacità del nostro sistema produttivo di reagire di fronte al mutare degli scenari internazioni e di fronte alla crisi. Insieme a Cina, Germania, Giappone e Corea, infatti, l’Italia è uno dei soli 5 Paesi del G-20 ad avere un surplus strutturale con l’estero nei prodotti manufatti non alimentari. In altri termini, escludendo l’energia e le materie prime agricole e minerarie, l’Italia è uno dei paesi più competitivi a livello mondiale. È questo il Paese che emerge dal rapporto I.T.A.L.I.A. – Geografie del nuovo made in Italy realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison e presentato oggi a Treia (Mc), in occasione dell’apertura dell’XI Seminario estivo di Symbola.

Le eccellenze competitive italiane nel commercio con l’estero.  Con un totale di 946 prodotti classificatisi primi, secondi o terzi nel saldo commerciale mondiale, l’Italia è seconda solo alla Germania nella teorica classifica della competitività delineata dal nuovo indicatore e precede economie generalmente considerate più forti, come la Corea del Sud e la Francia. Più nel dettaglio, il nostro Paese vanta 235 prodotti medaglia d’oro a livello mondiale per saldo commerciale. Nell’insieme queste 235 eccellenze fanno guadagnare all’Italia 63 miliardi di dollari. I nostri prodotti che si classificano al secondo posto nel mondo per saldo commerciale sono invece 390 e fruttano 74 miliardi di dollari. Le medaglie di bronzo dell’export italiano sono invece 321 prodotti che valgono un saldo commerciale complessivo di 45 miliardi. E poi ci sono altri 492 prodotti in cui l’Italia si è classificata quarta o quinta per saldo commerciale mondiale e che hanno  aggiunto alla nostra bilancia commerciale altri 38,4 miliardi di dollari.

Industria, i settori competitivi e la forza dei distretti. Oltre ai numeri, sono significativi anche i settori che generano questo surplus. La maggior parte delle nostre eccellenze manifatturiere non proviene solo da settori tradizionali, quali potrebbero essere il tessile o le calzature, ma arrivano dalla meccanica e dai mezzi di trasporto, dalle tecnologie del caldo e del freddo, dalle macchine per lavorare legno e pietre ornamentali, dai fili isolati di rame e dagli strumenti per la navigazione aerea e spaziale.  Ai quali si affianca il presidio di quei settori in cui il made in Italy è forte per tradizione, come il design o il lusso. Nell’insieme, insomma, si tratta di oggetti che disegnano la geografia di un nuovo made in Italy e che dimostrano quanto le nostre imprese siano state in grado di risintonizzarsi con successo sulle nuove frequenze del mercato globale senza perdere la capacità di creare bellezza.

Andando ad analizzare i nostri 235 prodotti medaglia d’oro, emerge infatti che 31,6 dei 63 miliardi di surplus generati dalle nostre eccellenze provengono da beni del settore dell’automazione meccanica, della gomma e della plastica; altri 18,1 miliardi si devono ai beni dell’abbigliamento e della moda, 6,4 miliardi da beni alimentari e vini; 2,9 dai beni per la persona e la casa; mentre 4,3 miliardi da altri prodotti, tra cui quelli dell’industria della carta, del vetro e della chimica. Nella top ten dei nostri prodotti medaglia d’oro troviamo nell’ordine: le calzature con suola in cuoio naturale (2,7 miliardi), macchine e apparecchi per imballaggio (2,5 miliardi), piastrelle di ceramica verniciate o smaltate (2,5 miliardi), borse in pelle e cuoio (2,1 mld) occhiali da sole (1,9 mld), pasta (1,8 mld), cuoio a pieno fiore conciato (1,8 mld), barche e yacht da diporto (1,6 mld), conduttori elettrici (1,4 mld) e parti di macchine per impacchettare e altre macchine e apparecchi (1,4 mld). Ma non mancano anche primati più sfiziosi e curiosi, come quelli nel saldo commerciale delle giostre o dei bottoni.

Tra i prodotti secondi posti per saldo commerciale hanno particolare rilevanza i vini e gli spumanti, che portano al Paese un bottino di 4,7 miliardi di euro, rubinetti e valvole ( compresi quelli senza tracce di piombo), i mobili in legno , le parti di turbine a gas,t rattori agricoli, macchine per riempire e imbottigliare ed etichettare, navi da crociera, lavori in alluminio, caffè torrefatto, lampadari, mobili in legno per cucine, pomodori lavorati, lastre e fogli in polimeri di etilene, granito lucidato e lavorato. Per quanto riguarda i nostri prodotti medaglia di bronzo per saldo commerciale mondiale vanno citati le parti e gli accessori per trattori  e autoveicoli, gli oggetti da gioielleria, ingranaggi e ruote di frizione per macchine, i prodotti di materie plastiche, divani e poltrone, parti di macchine a apparecchi meccanici, ponti con differenziali oer autoveicoli, costruzioni in ghisa, ferro e acciaio, mobili  in metallo e maglioni.

Da notare, inoltre, che la maggior parte dei prodotti italiani che competono nel mondo nasce da produzioni altamente specializzate e concentrate in distretti industriali, è ad esempio il caso delle calzature, delle pelli, delle piastrelle, o ancora delle giostre e delle imprese della packaging valley bolognese-emiliana.

Turismo. Una menzione a sé merita anche il turismo: non avremo mai un ritratto fedele delle performance del settore fino a quando verrà usato come indicatore il numero di arrivi. Al contrario, guardando ai pernottamenti, a fronte della sofferenza del mercato domestico, si evidenzia il primato italiano in Europa per pernottamenti di turisti extra UE. Come dire che nel Vecchio Continente siamo la meta preferita di americani, giapponesi, cinesi, australiani, canadesi, brasiliani, sudcoreani, turchi, ucraini e sudafricani. E nel 2011, con 387 milioni di notti all’attivo, l’Italia si è classificata terza in Europa per numero complessivo di pernottamenti di turisti stranieri e residenti, preceduta solo da Francia (a quota 400) e Spagna.

Agroalimentare, un settore vocato alla qualità. Il nostro agroalimentare è un comparto in cui la vocazione alla qualità è evidentissima. Non a caso il nostro paese ha una capacità di creare valore aggiunto pari a quasi duemila euro per ettaro: il doppio di quando mediamente registrato in Francia, Germania e Spagna, addirittura il triplo se confrontato con la Gran Bretagna. Non a caso con 252 prodotti registrati tra Dop, Igp e Stg, 521 tra vini a denominazione di origine controllata e garantita o a indicazione geografica tipica e 4.671 specialità tradizionali regionali,  vantiamo il primato prodotti registrati e e siamo il primo paese dell’UE per numero di operatori biologici (oltre 48 mila). Quanto alle esportazioni siamo undicesimi al mondo per valore esportato, ma in 13 produzioni delle 70 monitorate abbiamo la leadership globale. Dal solo dall’export della pasta, nel 2011, abbiamo ricaviamo 1,3 miliardi di euro.

Localismo e sussidiarietà: il Terzo Settore. Nella produzione ed erogazione di servizi il nostro Paese non raggiungerebbe mai l’attuale grado di welfare se non potesse contare sul contributo della variegata galassia del terzo settore, che contribuisce direttamente al 4,3% del nostro Pil, equivalente a 67 miliardi di euro. Una ricchezza che andrebbe affiancata anche con il risparmio e il benessere sociale derivante dalle ore di lavoro messe gratuitamente a disposizione da oltre 4 milioni di volontari.

Innovazione e ambiente. Il 23,6% delle imprese italiane negli ultimi tre anni hanno scommesso sulla qualità ambientale e sulla green economy. Perché investire in tecnologie e prodotti ‘verdi’ non vuol dire ‘solo’ diventare più sostenibili, contribuire a costruire un futuro migliore per il pianeta, per noi e i nostri figli. Significa anche fare innovazione: il 37,9% delle aziende che fa investimenti green introduce innovazioni di prodotto o di servizio, contro il 18,3% delle imprese che non investono nell’ambiente. E significa export: il 37,4% delle imprese green vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22,2% delle altre.

Arte e cultura, un settore strategico e trainante. Mentre il Paese, nel 2012, perde lo 0,3% delle imprese, quelle del sistema produttivo culturale (tra industrie culturali propriamente dette, industrie creative – attività produttive ad alto valore creativo ma ulteriori rispetto alla creazione culturale in quanto tale – patrimonio storico artistico, performing arts e arti visive) crescono del 3,3%, arrivando ad essere quasi 460 mila, il 7,5% del totale delle attività economiche nazionali. Danno lavoro a quasi 1,4 milioni di persone, il 5,7% del totale degli occupati. Creano, direttamente, 75,5 miliardi di euro di valore aggiunto. E ne attivano nel resto dell’economia altri 133. In tutto fa 214,2 miliardi: il 15,3% circa del totale.

“Di fronte a una crisi durissima e a un mondo che cambia – commenta Ermete Realacci, Presidente della Fondazione Symbola -, c’è un’Italia che nonostante le sirene del declino si ostina a fare l’Italia e per questo trova il suo spazio nel mondo. C’è un’Italia che sa innovare senza perdere la propria anima, che ha capito che nel mondo del XXI secolo, se uno spazio c’è per il nostro Paese è quello della qualità. E’ l’Italia che scommette sulla qualità, sulle competenze radicate nei territori e mantenute salde con la coesione sociale e la cura del capitale umano. Che presidia la nuova frontiera della qualità ambientale. Che sa dare valore alla propria bellezza, intercettando la grande, e crescente, domanda di Italia che viene da ogni angolo del pianeta. Raccontare questa Italia è l’ambizione di questo rapporto”.

Condividi: