“Sommando ai disoccupati le forze di lavoro potenziali, ammontano a 6,5 milioni le persone che vorrebbero lavorare“. Così l’Istat nell’Annuario statistico, che riepiloga la situazione sul mercato del lavoro nel 2015, spiegando che le forze di lavoro potenziali sono rappresentate da persone che non cercano un impegno ma sarebbero pronte ad accettarlo o che lo cercano ma non sono subito disponibili. Sono tutti quindi accomunati dal “sogno” di avere un lavoro. Un vero e proprio incubo ad occhi aperti.
Nel 2015, i disoccupati sono stati 3,033 milioni mentre nel complesso le forze lavoro potenziali 15-64 anni sono ammontati a 3,554 mln. Nel 2015 in Italia sono 1,582 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta; l’incidenza a livello familiare è rimasta sostanzialmente stabile attorno al 6% negli ultimi due anni (2014-2015), mentre sono 4,598 milioni gli individui poveri, cioè il 7,6% dell’intera popolazione residente nel 2015, in crescita rispetto al 6,8% del 2014 e al 7,3% del 2013. Di questi poveri, oltre 2 milioni risiedono nel Mezzogiorno (il 10%) e 2,277 mln sono donne (7,3% delle donne in Italia).
La mancanza di lavoro e di conseguenza la povertà sono il vero dramma del nostro tempo. Dopo quasi dieci anni di crisi, la povertà in Italia è raddoppiata. Quasi il 20% delle famiglie in povertà assoluta, ad esempio, ha la persona che solitamente provvedeva al sostegno economico, disoccupato e in cerca di occupazione. E i nuovi poveri sono i giovani, i bambini. Scrive Costas Douzinas, Direttore del Birkbeck Institute for the Humanities a Birkbeck (Università di Londra) in Lotte, riconoscimento, diritti:
“La povertà conduce alla mancanza di riconoscimento da parte degli altri e priva chi è povero del rispetto. Ma il danno inflittogli è anche peggiore: chi è povero riconosce se stesso come essere libero, ma la sua esistenza materiale gli nega in maniera assoluta una qualsiasi forma di rispetto di se stesso. Il risultato è che quest’individuo si sente scisso tra l’universalità del suo stato di persona libera e la contingenza della sua esperienza fatta di esclusione. Il quotidiano sopravvivere diventa la questione all’ordine del giorno, mentre svaniscono tutte le altre aspirazioni di miglioramento sociale e di espressione culturale. Chi è oppresso non riesce a godere di (e neanche quindi ad aspirare a) ciò che Aristotele definiva eu zein, il bene e la vita compiuta che permettono alle persone di far prosperare i lati della propria personalità e di essere riconosciute nella propria complessa interezza”.