Da dove vengono i prodotti falsificati? Chi li produce? Da dove transitano nel loro tragitto fino al destinatario finale? A queste domande ha risposto uno studio elaborato dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e dall’Ufficio per la proprietà intellettuale dell’Ue (EUIPO).
Secondo le conclusioni dello studio, scrive Javier Salvatierra in un articolo pubblicato sul quotidiano El Pais, la Cina è il principale Paese produttore di prodotti falsificati e piratati, che si vendono in tutto il mondo, mentre Hong Kong, Emirati Arabi Uniti e Singapore sono per eccellenza i Paesi dove questi prodotti fanno scalo prima di arrivare al consumatore. Lo studio richiama l’attenzione sulla crescente importanza degli invii postali e del commercio elettronico nella filiera di mercato delle falsificazioni.
L’“industria” della contraffazione, ovviamente, non pubblica i propri bilanci, ma la stessa Ocse aveva quantificato appena un anno fa che contraffazione e pirateria insieme hanno un giro d’affari che sfiora i 500 miliardi di dollari l’anno e l’Italia è il secondo Paese più colpito al mondo, dopo gli Usa e davanti alla Francia. I beni contraffatti corrispondono, infatti, al 2,5% dei beni totali importati a livello globale. Ma nella sola Unione europea la quota sull’import totale sale sino al 5%. Cina e Hong Kong sono stati identificati come Paesi di origine dell’80% dei prodotti intercettati dalle autorità.
Nello studio attuale, i due organismi selezionano una gamma di prodotti più falsificati e piratati, distribuendoli in 10 categorie, che rappresentano il 63% del valore totale delle falsificazioni: prodotti alimentari, farmaceutici, profumeria e cosmetici, pelletteria e borse, indumenti e tessuti, calzature, gioielleria, apparecchiature elettriche ed elettroniche, dispositivi ottici, fotografici, medici e giocattoli.
Nel contempo, è stato sviluppato il concetto di “Paese di provenienza”, che prima non distingueva i Paesi produttori da quelli di transito. Ammette quindi “limitazioni” pur se è molto difficile conoscere realmente dove si producono i prodotti falsificati (i criminali non hanno l’abitudine di fornire dati delle loro attività), e differenzia Paesi produttori e di transito, incrociando i dati dei “Paesi di provenienza” dello studio del 2016 coi dati sulla capacità industriale, se si è capaci di produrre legittimamente, si può fare altrettanto coi falsi, e sulle sue riesportazioni, se è punto di transito di Paesi legittimi, può esserlo anche di quelli falsificati.
E se la Cina è il produttore maggiore dei beni delle 10 categorie, ad eccezione di quelli farmaceutici, dove il primo posto è dell’India, la Turchia compare nelle prime posizioni ed è classificato come un “produttore relativamente significativo” soprattutto per quanto riguarda la pelletteria i prodotti alimentari e cosmetici, che vengono distribuiti nell’UE. Nello studio si evidenzia che i prodotti farmaceutici hanno come destinazione principale i Paesi dell’Africa subsahariana, mentre i Paesi sviluppati sono la destinazione principale dei prodotti elettronici.
Per quanto riguarda i punti di transito, si è potuto verificare che ciò che viene prodotto viaggia verso l’Occidente con fermate nei porti di Hong Kong, Macao, Singapore, Ucraina, Albania, Marocco, Egitto e negli Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Arabia Saudita e Yemen. Panama si distingue come scalo del traffico verso gli Usa. Alcuni di questi Paesi hanno “governi deboli e con forte presenza del crimine organizzato”.
Questi punti di transito sono essenziali per nascondere l’origine illegale dei prodotti perchè in essi, oltre ad essere autentici centri di distribuzione illegale, sono anche i luoghi in cui avvengono falsificazioni di documenti, cambi di etichette, riconfezionamento o ridistribuzione in contenitori con le caratteristiche legali. Lo studio segnala che le organizzazioni criminali svolgono un ruolo molto importante nel traffico delle falsificazioni “identificando rapidamente i punti deboli” per prendersi gioco della autorità.
Tra i metodi che utilizzano le mafie per ingannare i servizi doganali, lo studio segnala la crescita degli invii postali per distribuire i prodotti falsificati. Tra tutte le intercettazioni dei prodotti falsificati tra il 2001 e il 2013, il 62% sono stati inviati per posta. Hong Kong, Singapore ed Emirati Arabi Uniti sono segnalati come punti di transito dove i prodotti falsificati sono riconfezionati da grandi contenitori in piccoli per l’invio postale. Per gli autori dello studio, questi invii per posta riflettono “i sempre più ridotti costi degli invii postali e la crescente importanza di Internet nel commercio elettronico e nel commercio internazionale”, anche per i beni falsificati.
Queste zone franche, in Paesi di transito, finiscono per trasformarsi in paradisi fiscali fuori dai controlli delle autorità doganali, paradisi usati dai trafficanti per “occultare l’origine dei loro carichi”, maneggiare “impunemente” (rietichettare, reimpacchettare o redistribuire) i beni falsificati e far sì che alcune imprese abbiano un aspetto legale, necessario per “appoggiare le loro operazioni illegali”.