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La salute in un microchip controllato dal Pentagono

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Che fine ingloriosa per gli italidioti che spesso applaudono i carnefici: servi, schiavi, cavie. In una frase: schedati da un sistema militare e bancario di Washington, grazie a Ciampi, Berlusconi e Prodi, nonché a tutti quelli che li hanno seguiti al quirinale e a palazzo Chigi, fino ad oggi senza mai fiatare. Allora, che c’azzeccano tre codifiche degli Stati Uniti d’America con i dati sanitari sensibili della popolazione italiana? Disarmante: il controllo totale di cittadine e cittadini fin dalla nascita da parte del governo USA. Ecco come hanno fatto all’insaputa di tutti noi. Provate a indovinare dove sono immagazzinati tutti questi dati personali. E non dimenticate Eurogendfor. Quasi dimenticavo: in base alla legge numero 91 dell’anno 1999 (grazie a Scalfaro e D’Alema), non siamo neanche padroni del nostro corpo, che invece appartiene allo Stato.

Il paradigma politico dell’Occidente non è più la società, ma il campo di concentramento; non Atene ma Auschwitz. Accade in Italia e nessuno si ribella. Iata-Aba e barcode 39 sono standard di schedatura mondiale. Il codice a barre è un  mero paravento commerciale. Infatti, nel decreto interministeriale 11 marzo 2004, tra l’altro è scritto: «Il codice fiscale in modalità “BAR CODE” è riportato sul retro della tessera secondo lo standard di codifica 39 che risponde alle norme MIL-STD-1189 e ANSI MH10.8M1983». In altri termini: il controllo totale sugli esseri umani spetta al Pentagono. Nell’Europa dove spadroneggiano le multinazionali che ormai hanno annichilito gli Stati-nazione, in palese violazione del diritto nazionale e internazionale, siamo sotto le grinfie dirette di Eurogendfor (che ha potere di vita e di morte sui popoli del vecchio continente), a sua volta telecomandata dalla Nato. Ma con quale diritto? I grandi segreti, comunque, albergano sotto gli occhi di chiunque.

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=EUROGENDFOR

documento

Basta dare un’occhiata al decreto interministeriale dell’11 marzo 2004 (ministero economia e finanze, ministero salute, presidenza consiglio dei ministri) per rendersi conto della violazione costituzionale
«Sulla traccia 1 della banda magnetica sono registrate le seguenti informazioni, secondo la codifica IATA (International Air Transport Association)». 
E ancora: «Sulla traccia 2 della banda magnetica è registrato con codifica ABA (American Bankers Association) lo stesso codice fiscale registrato in traccia 1, convertito in forma numerica». 

Infine, decisamente inquitante: «Il codice fiscale in modalità “BAR CODE” è riportato sul retro della tessera secondo lo standard di codifica 39 che risponde alle norme MIL-STD-1189 e ANSI MH10.8M1983». 

Ma procediamo per ordine. La  IATA è un’organizzazione internazionale di compagnie aeree con sede a Montréal, nella provincia del Quebec, Canada. L’unione regola anche il trasporto di materiale pericoloso e pubblica lo IATA Dangerous Goods Regulations manual. La IATA è stata costituita al termine della Seconda guerra mondiale. I principali obbiettivi erano quelli di assistere le compagnie aeree a «Promuovere trasporti aerei sicuri, regolari ed economici a beneficio dell’umanità, favorire il commercio aereo e studiare i problemi connessi». 
L’American Bankers Association non necessita di chiarimenti, mentre le norme MIL-STD 1189 rispondono a un codice militare elaborato  dal  ministero della difesa nordamericano.     
riferimenti: 
http://ec.europa.eu/competition/antitrust/others/1617bis/discussion.html 

Sovranità italiana definitivamente azzerata e privacy inesistente. Tutta la propria storia sanitaria in una card codificata dal ministero della Difesa degli Stati Uniti d’America. Un cartoncino plastificato di sette centimetri per quattro. Un microchip che consente l’accesso ai dati della nostra anagrafe sanitaria e a tutte le informazioni su ricoveri, esami, vaccinazioni, farmaci assunti, patologie, allergie, esenzioni.

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2014/07/italiani-schedati-dal-pentagono-con-la.html

Un esempio apparentemente illuminato nella regione di Renzi: sono oltre un milione, pari al 37 per cento  della popolazione regionale, i toscani che ad oggi hanno attivato la Carta sanitaria elettronica, arrivata nel 2010 a casa di tutti i residenti della regione. La media più alta di attivazioni si registra alla Asl di Grosseto, dove il 47% dei cittadini, quasi uno su due, si è recato allo sportello per attivare il suo fascicolo sanitario elettronico. Seguono le Asl di Prato (45%) e Livorno (44%). Firenze, col 37% delle tessere attivate, si allinea alla media regionale. I meno interessati alla tessera sanitaria elettronica sembrano essere i cittadini afferenti alle Asl di Pistoia (29% di attivazioni) e Massa Carrara (26%).

La tessera sanitaria elettronica è una smart card che ha al proprio interno un microchip il quale, grazie a un apposito lettore, consente l’accesso a tutti i dati inseriti nel fascicolo sanitario elettronico. L’attivazione della carta non è obbligatoria. Una volta attivata, però, svolge più funzioni contemporaneamente: chiave privata di accesso al fascicolo sanitario elettronico, tessera sanitaria nazionale, tessera europea di assicurazione malattia (Team) e tesserino del codice fiscale. Deve essere esibita per tutte le operazioni richieste al Servizio sanitario regionale – in farmacia, dal medico curante, agli sportelli Asl – o nel caso ci si debba recare all’estero.

La tessera sanitaria contiene dati sensibili in un ambito così delicato come quello della salute, che riguarda la sofferenza personale fisica e psicologica. Informazioni strettamente personali che dovrebbero essere trattate in modo tale che soltanto il paziente ed i medici da lui autorizzati possano accedervi, a garanzia della riservatezza. Invece, sono controllate da tre ministeri: Salute, Interno, Economia e Finanze. Ma non è tutto: queste informazioni rilevanti sulla popolazione italiana sono a completa disposizione di Eurogendfor (la gendarmeria militare europea). Una cessione di sovranità nazionale e di dati individuali firmati dai politicanti tricolore con il trattato di Velsen e di Lisbona, senza informare il “popolo sovrano” sulla carta ormai straccia.

L’introduzione della tessera sanitaria è stato un mero pretesto. In Parlamento giace dal 12 dicembre 2004 senza risposta governativa, proprio l’interrogazione a risposta scritta numero 4/07806.
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(Fonte Gianni Lannes)

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A che gioco giochiamo?

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Le attuali leggi sul gioco d’azzardo risalgono ai primi decenni del secolo scorso. Di gioco d’azzardo tratta il Codice Penale (del 1930), agli articoli 718 e seguenti, il Codice Civile (del 1942) agli articoli 1933 e seguenti, e il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) del 1931 nell’articolo 110.

Tutte queste leggi definiscono i limiti del gioco d’azzardo e ruotano intorno a due caratteristiche: il denaro e l’aleatorietà del gioco; in pratica quando il risultato del gioco dipende totalmente o in modo prevalente dalla fortuna rispetto all’abilità, e quando su questo risultato si investono soldi per vincere altri soldi: vi è gioco d’azzardo. I legislatori ritennero che questi tipi di giochi dovessero essere vietati dalla legge; salvo eventuali deroghe concesse dallo Stato… ciò che comunemente viene definito “divieto con riserva di permesso”. E in questi anni i governi che si sono succeduti hanno scelto di derogare con molta facilità.

Dagli anni ’90 il divieto di gioco d’azzardo in Italia si trasformò gradualmente, e la Corte di Cassazione (n. 36038 del 2004) e il Consiglio di Stato (n. 334 del 2007), sintetizzarono in questo modo il fondamentale cambiamento avvenuto: «la legislazione italiana, si propone non già di contenere la domanda e l’offerta di giuoco, ma di canalizzarla in circuiti controllabili al fine di prevenire la possibile degenerazione criminale».

Il “non contenere la domanda e l’offerta di gioco” è facilmente dimostrabile guardando i nuovi giochi d’azzardo introdotti dai governi in questi anni: nel 1997 il governo Prodi introdusse la doppia giocata di Lotto e Superenalotto e le Sale scommesse, nel 1999 il governo D’Alema fece nascere le sale Bingo, nel 2003 col governo Berlusconi arrivarono le Slot machine, nel 2005 sempre con Berlusconi vennero introdotte la terza giocata del Lotto e le scommesse Big Match, nel 2006 il governo Berlusconi introdusse i nuovi corner e punti gioco per le scommesse, tra il 2007 e il 2008 col ritorno del governo Prodi vennero promossi i giochi che “raggiungono l’utente” (sms, telefonici, digitale terrestre) e venne reso legale il gioco d’azzardo on-line (seppure solo in forma di torneo). L’ennesimo governo Berlusconi nel 2009 (decreto n.39 del 28/04/09) introdusse nuove lotterie ad estrazione istantanea (gratta e vinci), nuovi giochi numerici a totalizzazione nazionale (come il Win for Life), e sancì la nascita delle VideoLottey (dette VLT, apparecchi simili alle slot machine ma con premi molto più alti e soprattutto con la possibilità di spendere molto più denaro); sempre il governo Berlusconi nel 2011 istituì il gioco del Bingo a distanza, l’apertura di ben 1.000 sale da gioco per tornei di poker dal vivo, l’aumento del numero delle VideoLottery fino al 14%, l’apertura di 7.000 nuovi punti vendita di scommesse ippiche e sportive, ampliò l’offerta di giochi numerici, introdusse un nuovo gioco promosso in ambito europeo, poi un concorso aggiuntivo mensile del SuperEnalotto, e infine sancì le modalità di funzionamento dei “giochi di sorte legati al consumo”, una specie di azzardo pensato per coloro che vanno a fare la spesa, a cui verrebbe proposto di non ritirare il resto ma di giocarselo… Il governo Monti, nel 2012, mise in “stand by” quest’ultimo gioco e di fatto impedì la nascita dell’ennesima proposta d’azzardo nel nostro Paese.

L’introduzione di tutti questi nuovi giochi e la costante campagna promozionale che li hanno accompagnati, hanno portato gli italiani a investire sempre più denaro in gioco d’azzardo.

Di fatto, a fronte di un’evidente contrazione dei consumi familiari negli ultimi anni, la spesa in Italia per il gioco d’azzardo è passata dai 14,3 miliardi di euro incassati nel 2000, ai 18 del 2002, ai 24,8 raccolti nel 2004, ai 28 del 2005, ai 35,2 miliardi di euro nel 2006, ai 42 del 2007, ai 47,5 miliardi del 2008, ai 54,4 del 2009, ai 61,4 del 2010, ai 79,9 miliardi di euro del 2011, a un’ulteriore crescita per il 2012 che ad oggi si stima essere intorno agli 85 miliardi di euro. Per correttezza d’informazione è bene sapere che una buona parte dei soldi spesi in gioco, viene restituito in vincite, o meglio: per pochi fortunati sono vincite, per la maggior parte degli italiani sono diminuzione delle perdite.

Di fatto sui 79,9 miliardi di euro giocati nel 2011: 61,5 sono tornati in qualche modo ai giocatori, mentre i restanti 18,4 miliardi sono quelli che tutti gli italiani hanno definitivamente perso al gioco d’azzardo; un po’ meno della metà di questa somma è andata allo Stato, la restante parte alla filiera dell’industria del gioco d’azzardo. Con 18,4 miliardi di euro persi al gioco nel solo 2011, l’Italia detiene il 4,4% del mercato mondiale di perdite, pur avendo solo l’1% della popolazione mondiale.

Ma tale aumento costante del gioco d’azzardo in Italia non dovrebbe sorprenderci più di tanto, visto che diversi politici autorevoli si sono espressi a favore di questo fenomeno…

Evidentemente l’incremento del gioco d’azzardo e il conseguente aumento degli italiani che giocano non sono ritenuti un problema, del resto l’On. Gianfranco Miccichè, ex Vice Ministro per l’Economia nel governo Berlusconi, nel luglio 2002 a Sisal Tv sostenne che: «Il gioco non è pericoloso se è legale».

Anche un altro ex Vice Ministro dell’Economia, Vincenzo Visco dell’Ulivo, nelle linee guida 2007- 2009 della politica fiscale parlò chiaramente di “sviluppare e consolidare l’industria del gioco” attraverso alcune modalità fra cui: “ampliare le reti distributive per l’accesso al gioco remoto».

E persino l’allora Premier Silvio Berlusconi, il 30 marzo 2011, a Lampedusa disse: “io condivido l’idea che Lampedusa possa essere anche sede di un casinò”.

Visti i legami politici con il presidente Berlusconi non sorprende che anche Gianni Alemanno, allora in AN, nel maggio 2008 durante la sua candidatura a sindaco di Roma sostenne l’apertura di un casinò dicendo: «non capisco perché Roma non dovrebbe averne uno». In effetti di giochi d’azzardo Alemanno se ne intendeva… Non tanto perché sua sorella, Gabriella Alemanno, era direttrice dei Monopoli di Stato; non solo perché da Ministro delle Politiche Agricole e Forestali Alemanno, concesse un mutuo da 150 milioni di euro all’UNIRE, l’ente che gestiva il business dell’ippica in Italia… Ma anche perché nel 2008 ricevette una donazione da 60mila euro dalla SNAI per il sostegno al suo comitato elettorale a sindaco di Roma.

Ma la SNAI non fu generosa solo con lui.. Continue Reading

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Vent’anni di governi: Valutazione della performance economica

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In occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche, il cui prossimo turno ha luogo in Italia il 24-25 febbraio 2013, potrebbe essere utile per i cittadini considerare le precedenti performance che i partiti hanno espresso in passate esperienze di governo.

Questa valutazione può essere importante in particolare nel caso in cui i leader in campo hanno già partecipato ai governi passati. Questo è proprio il caso italiano, dove 2 dei 3 principali leader sono stati primo ministro (Berlusconi e Monti), oppure ministro di più governi (Bersani).

La valutazione che si intende effettuare verte esclusivamente all’ambito economico, ed in particolare su due temi, che costituiscono il principale terreno di confronto tra le forze politiche: la finanza pubblica (con i conseguenti aspetti della spesa pubblica e del fisco), e la crescita economica.

È bene precisare (per i lettori meno esperti delle questioni economiche) che il Governo ha un elevato controllo sulla finanza pubblica, potendo decidere il livello delle entrate e delle spese, mentre ha un potere molto limitato di influenzare l’andamento del Pil, dipendendo questo dalla capacità del sistema produttivo nazionale di vendere i beni e servizi realizzati, ai clienti nazionali ed esteri. Per evidenziare quest’ultimo concetto, si ricorda, a titolo di esempio, che se i cittadini italiani continuano a comprare auto estere, e se i consumatori di altri paesi preferiscono vini non italiani, il Governo potrà fare ben poco per far incrementare il Pil italiano.

Eppure, buona parte dei messaggi politici verte proprio sulle maggiori opportunità di crescita economica, oppure di occupazione (che, come è noto, dipende dall’andamento dell’economia), che si avrebbero votando il partito di appartenenza del politico.

In uno studio condotto da chi scrive, e scaricabile in formato Pdf (le tabelle sono in fondo a questo articolo), si è esaminata la performance dei 13 governi che si sono succeduti nei 20 anni compresi tra il 1992 ed il 2012, sulla base dei dati raccolti nei siti di Banca d’Italia, Istat, ed Eurostat, relativi a 5 parametri:

1) l’incremento del debito pubblico nominale (Tabella I);

2) l’incremento del debito pubblico reale (Tabella II);

3) l’andamento del rapporto debito/Pil annuale (Tabella III);

4) l’andamento del rapporto deficit/Pil annuale (Tabella IV);

5) l’andamento del tasso di crescita reale del Pil (Tabella V).

Risultati della valutazione della performance economica dei Governi italiani del periodo 1992-2012

Rinviando per gli aspetti metodologici allo studio completo, in questa sede ci si propone semplicemente di richiamare i principali risultati che derivano dall’osservazione dei dati contenuti nelle 5 tabelle dello studio, che si invita caldamente di guardare nel Pdf allegato.

Un primo risultato che emerge è che i governi di centrosinistra hanno contribuito in misura minore alla crescita del debito pubblico italiano, e questo non solo in termini assoluti, ma anche considerando il tasso di crescita media mensile del debito.

Se si considerano i dati del debito pubblico espressi in termini reali, ossia rivalutati al valore dell’euro di fine 2012 (Tabella II), i risultati sono infatti i seguenti:

a) governi tecnici: 6 mld euro/mese, pari a 301 mld di euro in 50,5 mesi, che rappresenta il 43,7% del debito reale accumulato tra fine 1991 e fine 2012 (percentuale maggiore di quella relativa alla durata degli esecutivi rispetto al periodo considerato, pari a 20,7%);

b) governi di centrosinistra: 0,9 mld euro/mese, pari a 77 mld di euro in 84,5 mesi, ossia l’11,2% di tale debito (pur avendo governato per il 34,6% del periodo considerato);

c) governi di centrodestra: 2,8 mld euro/mese, pari a 310 mld di euro in 109 mesi, ovvero il 45,1% (percentuale analoga a quella relativa alla durata: 44,7%).

Se poteva essere scontata la migliore performance dei governi di centrosinistra rispetto a quelli del centrodestra (sebbene la differenza sia pari ad un rapporto di 1 a 3), risultano invece sorprendenti i cattivi risultati dei governi tecnici (Amato I, Ciampi, Dini, Monti), che nel complesso non sembrano essere risultati particolarmente vantaggiosi per quanto concerne la limitazione della crescita del debito pubblico. È però giusto evidenziare che per questi 4 governi vi sono state le seguenti importanti limitazioni:

a) la breve durata dei governi tecnici (in media poco più di un anno);

b) l’intervento in periodi di grave crisi di finanza pubblica, già conclamata, con la conseguente impossibilità di invertire drasticamente i trend in breve tempo.

Va poi considerato il fatto che i dati di finanza pubblica dell’anno x sono determinati in buona misura dalle decisioni prese nell’anno x-1, in occasione dell’approvazione della legge di stabilità (un tempo legge finanziaria) e del bilancio, sebbene l’esperienza abbia dimostrato che sono possibili anche manovre correttive in corso d’anno, con effetti immediati sul fabbisogno e sulle entrate, iniziativa che costituisce una possibile scelta di politica economica.

Passando ora alla valutazione delle performance dei governi in funzione dei cosiddetti parametri di Maastricht, utilizzati anche come riferimento delle procedure comunitarie di sorveglianza delle posizioni di bilancio (Patto di Stabilità e Fiscal compact), l’esame dei dati della tabella IV porta a rilevare che la media del rapporto deficit/pil è stata per i 3 gruppi di governi la seguente:

a) governi tecnici: 7,9% (media nell’arco di 4 anni), tenendo però presente che il valore del rapporto deficit/pil per il 2012 è ancora una stima;

b) governi di centrosinistra: 2,9% (media nell’arco di 7 anni);

c) governi di centrodestra: 4,3% (media nell’arco di 10 anni).

Questi risultati vanno però letti alla luce anche delle seguenti circostanze:

1) negli anni 1996-2000, governati dal centrosinistra, tutti i paesi europei hanno sperimentato un analogo trend di miglioramento, che in alcuni paesi (Germania, Gran Bretagna) è stato tale da portare il bilancio in attivo;

2) negli anni 2008-2011, governati dal centrodestra, il peggioramento del rapporto deficit/pil italiano è stato inferiore rispetto a quello degli altri paesi europei (con l’eccezione della Germania);

3) 3 dei 4 governi tecnici (Amato I, Ciampi, Monti) hanno gestito le finanze pubbliche nel corso di un periodo particolarmente critico.

L’esame dell’ultima tabella, la V, relativa ai tassi di crescita del Pil reale, porta a constatare per i 3 gruppi di governo queste performance:

a) governi tecnici: tasso di crescita media del Pil reale pari allo 0,1% l’anno (media nell’arco di 4 anni);

b) governi di centrosinistra: 1,9% (media nell’arco di 7 anni);

c) governi di centrodestra: 0,3% (media nell’arco di 10 anni);

Riconosciuto che i governi hanno una limitata capacità di influenzare l’andamento del Pil, non si può però tralasciare la circostanza che la propaganda di alcune forze politiche sono state centrate sulla promessa di sviluppo economico, ed in alcuni casi addirittura di un “nuovo miracolo italiano”.

È dunque corretto esaminare anche questo parametro di crescita del Pil reale, se non altro per verificare il livello di “fortuna” che i vari governi hanno avuto nel raggiungere questo obiettivo, visto che è difficile ritenere che la crescita sia un merito dell’esecutivo (e viceversa, la crisi economica una colpa del governo).

Conclusioni

I dati contenuti nelle 5 tabelle allegate consentono di affermare che i governi di centrosinistra che si sono succeduti negli ultimi 20 anni in Italia hanno registrato nel complesso performance migliori rispetto ai risultati sia dei governi di centrodestra, sia dei governi tecnici. Tale affermazione trova riscontro in tutti i dati di finanza pubblica e di crescita del Pil reale considerati. Detto questo, altro discorso è la valutazione del merito dell’attività di governo. Si è ricordato che nel caso dei governi tecnici vi sono stati degli importanti fattori che hanno sicuramente inciso sulla capacità di esprimere buone performance (breve durata media degli esecutivi, e intervento in situazioni di crisi già conclamata). Allo stesso modo i governi di centrodestra hanno avuto la sfortuna di iniziare spesso la loro azione in corrispondenza dell’avvio di periodi di crisi internazionale, come è stato il caso del 2001 (II governo Berlusconi), con gli attacchi terroristici, e del 2008 (IV governo Berlusconi), dove la crisi finanziaria si è rapidamente estesa all’economia reale a livello globale. Va però detto che se la sfortuna non è un demerito (anche se Napoleone la pensava diversamente in relazione ai propri generali), diventa un demerito promettere scenari che non sono nel controllo di chi governa, come l’evoluzione del nostro paese degli ultimi 20 anni dimostra.

Una seconda conclusione che si può trarre dallo studio è il livello modesto di risultati economici ottenuti dai nostri governi negli ultimi 20 anni. In effetti un rapporto debito/pil non lontano dal 130%, che costituisce un record storico, un valore assoluto del debito superiore a 2.000 mld di euro (circa 4 milioni di miliardi delle vecchie lire), e una crescita economica media negli ultimi 21 anni dello 0,8% (16,7 punti percentuali di crescita reale in 21 anni), difficilmente potrebbero configurarsi come risultati positivi. Relativamente alla crescita economica è il caso di segnalare che tutti gli altri principali paesi europei sono cresciuti più dei 16,7 punti percentuali registrati dall’Italia: 48,1 la Gran Bretagna, 47,8 punti la Spagna, 33,8 punti la Francia, 28,4 la Germania. In altre parole, negli ultimi 20 anni la Spagna e la Gran Bretagna hanno avuto una crescita tripla (300%) rispetto alla nostra, la Francia una crescita doppia (200%), e la Germania una crescita superiore del 50%. Ma l’elemento di maggiore preoccupazione è probabilmente offerto dalla circostanza che nei media, e nei dibattiti politici sono quasi sempre assenti valutazioni parametrate a dati oggettivi, quali quelli richiamati in questa nota.

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(Fonte sbilanciamoci.info – Massimiliano Di Pace)

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