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L’evoluzione della guerra al terrorismo

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Mentre diversi settori di produzione soffrono da un’astinenza causata della recessione, altri settori non possono permettersi di andare in vacanza, perché la domanda persiste, la produzione continua in modo incessante ed i profitti si moltiplicano.

Tra questi settori fanno sicuramente parte quelli che sono in qualche modo legati al mondo agli armamenti. Sebbene tutti convergono che la guerra sia indecorosa, sembrerebbe prevalere l’idea che la pace sia una diretta conseguenza della guerra, che la guerra sia “padre, madre e regina di tutte le cose”, oppure necessaria “come il vento”, perché “preserva il mare dalla putrefazione nella quale lo ridurrebbe una quiete durevole”. Ciò che pare scontato, è che “non si possa fare ricorso alla guerra se non come estrema possibilità”, come asseriva Papa Giovanni Paolo II. Giustificazione del mezzo alquanto discutibile, visto il ruolo di chi l’ha espressa, eppure, esiste anche chi ha detto peggio di ciò. Secondo Obama, Nobel per la pace, “ci saranno momenti in cui le nazioni troveranno l’uso della forza non solo necessario, ma moralmente giustificato”, perché “affermare che la forza sia a volte necessaria, non è un invito al cinismo”, ma bensì “un riconoscimento della storia, dell’imperfezione umana e dei limiti della ragione”.

Il giorno dopo la demolizione delle Torri Gemelle, fu purtroppo accertato che la forza non fosse solo necessaria, ma moralmente giustificata. Un’obiettiva persecuzione fu intrapresa, facendo pensare che sarebbe terminata quel 2 maggio del 2011, quando si ebbe notizia della morte di Osama Bin Laden, eppure così non fu, sebbene la battuta di caccia sembrava avere una missione mirata ed un obiettivo definito, e definitivo. Il barbuto longilineo, vestito con un lenzuolo bianco, ornato dal turbante, col sandalo ai piedi, doveva essere il bersaglio. Colui che armato di AK-47, si aggira furtivamente per le colline ed attraverso le grotte della steppa, che si prostra diverse volte al giorno a pregare. Il pecoraio costantemente imbottito di esplosivo, che  freme, pregustando il momento in cui sarebbe morto, per il suo credo. Dal 2001, dieci infiniti anni di guerra contro una definita religione, una definita appartenenza territoriale ed a una definita civiltà. Dall’Afghanistan, addentrandosi per il Pakistan e l’India, prima di dirigersi verso il Medio Oriente, per poi fare una visita di cortesia alla Primavera Araba, prima di proseguire la crociera verso l’Africa. Il tutto, con la complicità di Nazioni che hanno concesso i loro spazi aerei, terrestri e marittimi, non a beneficio della libertà di parola, come  auspicabile per Snowden, ma a beneficio di personaggi intenti a cacciare barbuti e turbanti, intenti ad attuare ambigui processi di democratizzazione.

Ognuno ha fatto la sua parte in Mali. La missione SERVAL è stata avviata il 10 gennaio 2013, composta da 3’200 soldati francesi, ed è stata attivamente sostenuta dai paesi dell’Africa occidentale, con un contribuito di 6’237 soldati. Gli Stati dell’Ue invece, oltre sostenere l’offensiva franco-africana con personale, aerei cargo, logistica ed armamenti, hanno avviato una missione di addestramento delle forze armate del Mali, la cosiddetta EUTM. Con 550 formatori, l’Ue ha voluto sostenere, attraverso una Riforma del Sistema di Sicurezza in Mali, ed in questo modo, gli Stati Uniti, forti della dottrina promossa da Obama, colui che “riconosce l’imperfezione umana e i limiti della ragione”, hanno trovato il modo di “pensare” ed attuare una nuova “nozione di guerra giusta e l’imperativo di una pace giusta”. Vegliare l’iniziativa colonialista del Vecchio continente, aspettare che il lavoro sporco venga svolto, in attesa del successivo intervento delle Nazioni Unite. Anche se non massicciamente presenti ed effettivamente visibili, come d’abitudine, gli Stati Uniti sono sempre stati lì, come ovunque, d’altronde. Ogni giorno, dalla base di Niamey nel vicino Niger, si alternano due droni americani con destinazione Mali, per compiere la loro abituale routine, le ormai famose missioni di sorveglianza e di pattugliamento, che così bene padroneggiano.

Il 1° luglio, mentre le elezioni presidenziali in Mali si avvicinano, è stato dispiegato in totale sordina la missione MINUSMA delle Nazioni Unite composta da 12’600 soldati e 1’440 agenti di polizia, per il –mantenimento della pace–. Il mandato, il ripristino della democrazia e dello Stato di diritto in Mali, attraverso eque, libere e trasparenti elezioni, fornendo un’assistenza logistica, tecnica, adeguata ed efficace. E per consentire il libero e costante svolgimento delle sue mansioni, le truppe francesi sono autorizzate ad utilizzare tutti i mezzi necessari per intervenire a sostegno dell’unità MINUSMA, qualora fosse sotto minaccia.

E mentre i quesiti sulle reali motivazioni di questo rapido e massiccio dispiegamento si susseguono, l’Ue si dimostra capace di verità, asserendo che “è fondamentale l’importanza che il continente africano riveste per la sicurezza dell’Unione”, per “l’approvvigionamento energetico, creando un mercato dell’energia unificato, attuando meccanismi anti-crisi per fronteggiare eventuali interruzioni, avendo una maggiore diversificazione dei combustibili, delle fonti e delle rotte di transito”. E mentre un’intellettuale locale, Aminata Traoré, denuncia gli altri motivi della ri-colonizzazione, ovvero proteggere le multinazionali come AREVA e monopolizzare il traffico di droga e quello di armi nella regione, è ormai di dominio pubblico che una certa società Corvus Resources Management Ltd ha avuto la concessione per l’esplorazione, lo sfruttamento, il trasporto ed il raffinamento di idrocarburi gassosi e liquidi nel bacino di Taoudeni per i prossimi 4 anni. Anche se il governo conosce con chi ha concluso questo affare, pare che la società sia stranamente attiva soltanto dal 2012, che la sua sede legale sia stranamente presso le isole Cayman e che stranamente, il suo sito internet non sia consultabile. Sembrerebbe che lo scopo dell’invasione sia col tempo mutato. La guerra ad Al-Qaeda incominciata quel 12 settembre 2001, divenuta poi guerra al terrorismo globale, è giunta in Mali con un ulteriore evoluzione. Secondo la risoluzione adottata per il dispiegamento delle Nazioni Unite in Mali, ora “il terrorismo non può e non deve essere” più “associato ad alcuna religione, nazionalità o civiltà”. Perché ora non si combattono soltanto i pecorai barbuti in sandalo, quelli con l’AK-47 come orecchino. Non soltanto loro, anche loro, qualora se ne incontrino. Ora i terroristi potranno anche avere occhi azzurri, essere negri o magari bianchi, anche con passaporto americano, proprio come Snowden. Necessario tutto ciò, cosicché il 14 luglio Hollande, in occasione della tradizionale parata per la festa nazionale francese, ha potuto usufruire di ulteriori lattine, che saltelleranno dietro al perfido padrone, come fossero i titoli di coda dopo un sontuoso matrimonio di vintage. Potrà esibire vecchi e nuovi trofei di guerra, senza provare alcun ribrezzo nel rivelarsi un tiranno, semplicemente perché gli manca un copricapo di pelle di leopardo, in stile Sese Mobutu.

Ma le future generazioni che, come effetto della guerra, cresceranno orfani, che con i loro innocenti sguardi hanno veduto abominevoli nefandezze, degne del miglior Valhalla Rising, come esprimeranno il loro profondo riconoscimento verso l’impossibilità di possedere e vivere appieno le grandi gioie della vita? Indossando il sandalo ed ornandosi del turbante, perché nulla di più possono permettersi, a parte la barba. Perché la barba non si compra. E non ha prezzo.

Chris Richmond N’zi

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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