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Il populismo moderno


La vera crisi europea non è economico-finanziaria: è una crisi politico- culturale generata, paradossalmente, dal successo stesso del progetto di integrazione guidato dalle élite europeiste che non ha però mai avuto alla base un demos o un’idea di società comune e condivisa. Politica e società si stanno divaricando pericolosamente. Oggi che le liberaldemocrazie sono esposte ai venti del nuovo populismo e al malcontento di maggioranze che si sentono minacciate, l’unico modo per salvare il progetto europeo è reinventarlo. 

I dati evidenziati dai sondaggi non sono semplicemente il frutto di una nevrosi collettiva nazionale. In tutta l’Europa occidentale, comunità storiche un tempo integrate hanno sperimentato una progressiva perdita di controllo sulla loro vita quotidiana, man mano che le decisioni venivano prese sempre più da Bruxelles, dalla Banca centrale europea o dai quartieri generali delle grandi aziende sparse per il mondo. Nello stesso tempo, i loro antichi equilibri sono stati destabilizzati da un grande afflusso di immigrati, così numerosi e con culture così diverse da far apparire impossibile la loro assimilazione. Oggi, in tutta l’Europa occidentale, maggioranze che si sentono minacciate stanno reagendo come minoranze calpestate ed esasperate. Attribuiscono la perdita, reale o immaginaria, di controllo sulla loro vita a un complotto fra élite cosmopolite e immigrati dalla mentalità tribale, che rifiutano di accettare una vera integrazione sociale basata sulle norme della maggioranza. In modi diversi e per diverse ragioni, sia le élite che gli immigrati rappresentano una spinta verso quel “mondo senza frontiere” che la gente comune ha finito per temere e odiare sempre di più.

Paradossalmente le istituzioni democratiche europee, sebbene non siano mai state 34 trasparenti come oggi, vengono viste con profonda diffidenza. Anche le élite democratiche sono meritocratiche più che mai in passato, eppure suscitano tanti risentimenti; così come le nostre società sono aperte e democratiche – ma anche meno efficienti – più che mai nella storia. L’Unione Europea – che non può funzionare come progetto guidato da un’élite ma nemmeno può sopravvivere come progetto democratico – dipende oggi dall’emergere di un demos europeo oppure dalla sopravvivenza di sistemi democratici controllati da élite ristrette. Una democrazia senza un demos ha ancora meno probabilità di sopravvivere di una moneta comune senza un Tesoro comune.

Il processo di integrazione è riuscito a delegittimare lo Stato-nazione europeo senza riuscire a creare un spazio pubblico comune e una comune identità politica del continente. Il rigetto populista dell’ue rappresenta dunque una riaffermazione di identità più provinciali, ma anche culturalmente più profonde all’interno di ciascun paese europeo. Tutto questo sta generando un concetto di comunità politica meno inclusivo e verosimilmente meno liberale.

Nella maggior parte dei paesi europei si diffonde il timore dell’invecchiamento e dello spopolamento. I cittadini hanno paura che gli immigrati – o comunque le minoranze etniche – prendano il sopravvento e minaccino il loro sistema di vita. Temono che la prosperità non possa più essere garantita e che l’influenza dell’Europa sulla politica internazionale vada declinando. Contrariamente alle aspettative di molti osservatori politici, la crisi economica non ha indebolito, bensì rafforzato i sentimenti identitari e a trarne beneficio è soprattutto la destra xenofoba, non la sinistra egualitaria. Anche se su questo punto occorre una certa cautela: la netta demarcazione fra destra e sinistra, che ha strutturato la politica europea a partire dalla rivoluzione francese, si sta gradualmente stemperando.

Con l’ascesa di un populismo di destra che nel continente non si vedeva dagli anni Venti e Trenta, oggi è più facile che i proletari subiscano il fascino di leader decisamente antiliberali. Le maggioranze che si sentono minacciate – ovvero quelli che hanno tutto e quindi hanno paura di tutto – sono diventate la forza determinante nella politica europea. E questo consenso illiberale emergente non si esprime solo nell’estremismo di destra, ma si estende anche all’opinione maggioritaria. A minacciare realmente l’Europa non è ciò che dicono gli estremisti; il vero pericolo è ciò che non dicono i leader delle maggioranze: per esempio, che la diversità è una cosa buona per l’Europa.

Le “maggioranze minacciate” esprimono oggi un profondo timore di perdere la sfida della globalizzazione, che ha contribuito alla crescita delle classi medie al di fuori dei paesi più avanzati ma sta corrodendo le basi economiche e politiche delle società borghesi dell’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale. In questo senso, il nuovo populismo non rappresenta i perdenti di oggi, ma quelli potenziali di domani.

Questo nuovo populismo si differenzia notevolmente da quello tradizionale dei movimenti del xix e del xx secolo per il suo linguaggio, i suoi obiettivi politici e le sue fonti ideologiche. Non rappresenta le aspirazioni degli oppressi, bensì le frustrazioni di chi teme di perdere le posizioni conquistate. Non è un sentimento del “popolo” affascinato dalle fantasie romantiche dei nazionalisti, come accadeva cento o più anni fa, ma è l’espressione di un concreto malcontento delle maggioranze, puntualmente registrato in praticamente tutti i sondaggi di opinione pubblicati a scadenza quasi quotidiana. È insomma un tipo di populismo al quale la storia e le esperienze precedenti non ci hanno preparato.

I media parlano di banche e di default e delle divergenze franco-tedesche circa la politica fiscale. Parlano di tecnocrati benigni e di giovani arrabbiati. Alcuni commentatori sono anche disposti ad ammettere che una moneta unica in circolazione fra quasi venti paesi – ciascuno dei quali mantiene il proprio ministero del Tesoro – era destinata a fallire in partenza. Quelli che credono davvero nel progetto europeo amano ricordarci che nel corso degli anni l’Europa è stata un po’ come un uomo che cerca disperatamente di guadare un fiume in piena aggrappandosi a una roccia dopo l’altra, e che ogni crisi si è risolta in modo da avvicinare progressivamente la riva opposta. Dovremmo preoccuparci, certo, ma le nostre ansie sono il carburante che ci porterà a raggiungere il prossimo traguardo. Purtroppo, però, non ci sono più rocce cui aggrapparsi e non c’è via da seguire per guadagnare la sponda. Questa volta l’elemento disfunzionale di fondo del progetto europeo – ovvero il fatto che il demos deve in realtà precedere, non seguire, la costruzione di una struttura statuale e dell’integrazione economica – ha finito col travolgerci. Diciamolo chiaramente: lo sviluppo delle democrazie liberali a guida elitaria in Europa occidentale, all’indomani della seconda guerra mondiale, ha reso possibile il processo di integrazione; e se oggi l’Europa è nei guai, ciò è dovuto alla trasformazione di questi regimi sotto la spinta di un nuovo populismo. La vera ragione della sua crisi economica deriva dal fatto che l’Europa non ha mai avuto nulla di neanche lontanamente simile a una base sociale che sorreggesse l’edificio politico ed economico che le sue élite hanno cercato di costruire.

Al fondo, è il successo della democrazia in Europa che oggi consente ai popoli europei di manifestare la loro avversione, se non al progetto stesso, almeno a una serie di disagi che esso ha comportato. Questa è la vera crisi dell’Europa, ed è una crisi di cultura politica. Tutto il resto è secondario. L’unico modo per salvare il progetto europeo è dunque quello di reinventarlo.

(I limiti dell’eurocrazia –  Ivan Krastev e’ direttore del Centre for Liberal Strategies, e dell’edizione bulgara della rivistaForeing Policy. È membro dell’European Council on Foreign Relations e collabora regolarmente con Wall Street Journal,Frankfurter Allgemeine Zeitung, Le Mondee Financial Times. Nel 2007 ha pubblicato, insieme ad Alan MacPherson, The Anti-American).


Siamo in guerra. Per una nuova politica. Cos’è veramente quella che molti si ostinano a chiamare l’antipolitica? Casaleggio e Grillo raccontano la loro esperienza e la rivoluzione che sta coinvolgendo sulla rete milioni di persone. Il mondo sta cambiando.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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