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C’era una volta il made in Italy

C'era una volta il Made in Italy

C’era una volta il made in Italy. Quell’insieme di prodotti che all’estero ci invidiavano, dal settore alimentare a quello manifatturiero e tecnologico. E l’uso del tempo passato, badate bene, non e’ casuale. Perché negli ultimi anni il nostro Paese ha perduto buona parte dei suoi pezzi pregiati. Basti pensare che nel solo 2011 il valore delle operazioni che hanno coinvolto l’acquisizione di aziende italiane e’ cresciuto dell’80 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti, toccando quota 18 miliardi di euro. Ecco perché il passaggio del 51 per cento della Ar Industrie Alimentari nelle mani di Princes Ltd (gruppo Mitsubishi) non e’ che una goccia nel mare.

Alimentare. A livello gastronomico, già da anni, colossi come Buitoni, Perugina, Motta e Sanpellegrino non sventolano più la bandiera tricolore, ma quella della Svizzera (Nestlè). Quella francese ha invece rivestito altri giganti come Locatelli, Galbani e Invernizzi, ora in possesso della multinazionale francese Lactalis, che dal luglio 2011 controlla anche l’83,30 per cento della Parmalat. Un’altra impresa nota in tutto il mondo, la anglo-olandese Unilever, ha invece messo le mani su riso Flora, Santa Rosa, Algida e Bertolli, poi “girata” agli spagnoli della Deoleo S.A., che possiede anche la Carapelli. La Star e’ diventata di proprietà di Agrolimen (Spagna). Infine, notizia di pochi giorni fa, Stock 84, storico marchio italiano dei liquori da quasi vent’anni nelle mani del fondo americano Oak Tree, ha deciso di chiudere lo stabilimento di Trieste per delocalizzare in Repubblica Ceca.

Abbigliamento. Non va meglio se ci spostiamo nel settore dell’abbigliamento e dell’alta moda. Fiorucci, Ferrè, Coin, Fendi, Gucci, Valentino e Bulgari: tutti marchi storici, che da tempo sono un po’ meno italiani. Il primo, fondato a Milano nel 1967 da Elio Fiorucci, e’ stato rilevato nel 1990 dai giapponesi della Edwin International, che hanno lasciato nel capoluogo lombardo solo il centro design delocalizzando il resto. La Paris Group di Dubai ha acquisito, nel marzo 2011, il marchio Gianfranco Ferrè, mettendo nero su bianco un piano di rilancio del brand che prevede l’apertura di sedi proprio a Dubai ed Abu Dhabi. Dal 2007 Valentino Fashion Group e’ nelle mani di Permira, finanziaria britannica specializzata nei settori di private equity ed hedge funds. Fendi e’ di proprietà della Lymh (Louis Vuitton Moët Hennessy) così come Bulgari – 360 negozi in tutto il mondo -, il cui 98 per cento e’ stato ceduto ad inizio 2011. Nel 1999 Gucci e’ passata ai francesi della PPR, Pinault-Printemps-Redoute, mentre Coin, catena fondata nel 1916 da Vittorio Coin, appartiene alla Pai Partners.

Gli altri. Nel 1934 vedeva la luce, in Italia, la Società azionaria fabbrica italiana lavoratori occhiali, meglio conosciuta come Safilo, fondata da Guglielmo Tabacchi. L’azienda, che vende i propri prodotti in 130 paesi e produce occhiali per gruppi prestigiosi come Armani e Dior, e’ stata ceduta agli olandesi della Hal Holding. Nel campo della telefonia, invece, Omnitel e’ passata nelle mani di Vodafone (2001), mentre sette anni fa Enel ha ceduto la quota di maggioranza di Wind Telecomunicazioni S.p.a. all’imprenditore egiziano Naguib Sawiris – che i tifosi della Roma ricordano bene, visto il fatto che il magnate era vicino all’acquisto della società prima dell’arrivo della cordata di Thomas DiBenedetto -, che nel 2010 l’ha passata a VimpelCom (Russia). Ai cinesi del gruppo QianJiang e’ invece finita, nel 2005, la Benelli, storica casa automobilistica di proprietà della Merloni; Edison, la più antica società europea dell’energia, nata a Milano nel lontano 1884, e’ controllata dal 2005 da Transalpina di Energia, società di proprietà di Edf e Delmi.

(Fonte IlPunto)

 

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