“Terroristi in arrivo con i barconi” sono gli allarmi più volte lanciati dagli esponenti leghisti, in primis il segretario Matteo Salvini. Ma sarà vero? Perché rischiare la vita in un modo così pericoloso? Continue Reading
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I 45 super ricercati d’Europa
Le forze di polizia europee hanno inaugurato su internet un nuovo sito web con la lista dei ricercati più pericolosi d’Europa. Nella galleria fotografica attualmente ci sono 45 ritratti. Europol spiega che tutti i cittadini potranno contribuire alla caccia inviando segnalazioni, magari anonime. Europol fornisce per ogni delinquente o terrorista una foto segnaletica e la descrizione degli addebiti, completate dal numero di telefono per mettersi in contatto con gli inquirenti. Il sito realizzato in collaborazione con enFast-1 (rete continentale di specialisti investigativi) è disponibile in diciassette lingue tranne l’italiano.
La maggior parte degli altri criminali sono accusati di omicidio. Su alcune persone c’è una taglia. L’unica donna è una finlandese di 30 anni, Marina Cecilia Kettunen, sospettata di una grossa truffa. Tra i “most wanted” figura il romeno Gregorian Bivolaru, fondatore e guru del “Movimento yoga per l’integrazione dello spirito nell’assoluto”, arrestato più volte per vari capi d’imputazione, tra cui quello di pornografia e stupro. Tra gli italiani, oltre al malavitoso Messina Denaro, condannato all’ergastolo per le stragi del 1993, anche Ernesto Fazzalari, killer della ‘ndrangheta. I terroristi sono solo due. Uno è Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto della cellula di dieci terroristi che hanno disseminato sangue e terrore a Parigi il 13 novembre. L’altro terrorista si chiama Mohamed Abrini, ha 31 anni e anche lui è un belga coinvolto nella strage di Parigi, alla guida della Clio usata per gli attacchi.
Così l’Italia paga il riscatto
L’Italia avrebbe pagato svariati milioni di dollari per la liberazione di vari ostaggi: più di 525mila dollari per liberare lo skipper Bruno Pellizzari e la sua compagna Debbie Calitz nel 2012; quattro milioni di dollari per il giornalista Domenico Quirico e il suo collega belga Pierre Piccinin da Prata nel 2013; undici milioni di dollari per Greta Ramelli e Vanessa Marzullo nel 2015.
È quanto rivela un’indagine di sei mesi condotta dal “Nucleo Investigativo di Al Jazeera”, che la rete televisiva del Qatar trasmetterà nella sua versione integrale il 12 ottobre, intitolato The hostage business. Il governo italiano non ha risposto alle domande dei giornalisti di Al Jazeera, dichiarando solo che la propria politica per i cittadini che vengono sequestrati all’estero è di non pagare riscatti.
Come prova Al Jazeera mostra le foto del pagamento: un tavolo ricoperto di mazzette di dollari in pacchetti incellofanati. Il denaro sarebbe stato dato dall’Italia ad al-Nusra, il gruppo armato siriano vicino ad al Qaeda. Sempre secondo Al Jazeera, sarebbe servito per la liberazione delle operatrici umanitarie rapite.
Nel documentario, due testimoni raccontano la consegna del denaro usato l’8 settembre 2013 per liberare Domenico Quirico e Pierre Piccinin da Prata, rapiti cinque mesi prima. L’intermediario dello scambio Mu’taz Shaklab dice: “I rapitori hanno chiesto dieci milioni di dollari, ma penso ne abbiano ottenuti quattro”. La somma equivale a più di 3,5 milioni di euro.
Al Jazeera parla anche delle trattative tra l’Italia e i pirati somali con i quali l’accordo si concretizzò nel pagamento di 525mila dollari (più di 460mila euro) per il rilascio dello skipper Bruno Pelizzari e della compagna Deborah Calitz avvenuto nel giugno del 2012. Sul rilascio i governi italiano e sudafricano avrebbero fornito una versione falsa sostenendo che il rilascio era stato l’esito di un raid delle forze somale sostenute dall’Occidente.
Da Quirico alle cooperanti Greta e Vanessa, l’Italia si è trasformata nel bancomat dei terroristi.
La tirannia dell’unico, Noi siamo loro
I terroristi in fondo sono solo persone che hanno dimenticato di essere stati bambini un giorno e che hanno perso il senso dell’umorismo…
“La satira non è un insulto, è un modo di relativizzare le certezze, le opinioni, le ortodossie. Che cosa sarebbe stata la Russia degli Zar senza Gogol, l’Italia senza Pasolini, la Francia senza Rabelais? Non si tratta solo di difendere la libertà d’espressione, ma il diritto alla differenza, all’immaginazione, al sogno, alla metamorfosi, alla diversità. Quello che noi continuiamo a chiamare censura è soprattutto la tirannia dell’unico. Il tutto attraversato da una grande depressione che percorre il paese, inquinato dagli appelli irresponsabili alla vendetta, alla designazione di un nemico, alla tentazione di strumentalizzare l’emozione collettiva.
Il dramma di Charlie Hebdo è sul punto di favorire l’emergenza di un racconto d’esclusione: il “loro e noi” una spirale suicida, in un mondo globalizzato. Ma noi siamo loro. E loro sono noi.
Il grande racconto neo-conservatore post 11 settembre, il “siamo in guerra” contro l’Islam, che trova negli avvenimenti di questi ultimi giorni il terrore simbolico di cui ha bisogno; ci sono le immagini di guerra nelle strade di Parigi, il rumore degli elicotteri, il crepitio delle armi automatiche, il sangue che cola.. La retorica della guerra al terrorismo alla quale la Francia aveva in parte resistito dopo la guerra in Iraq è sul punto di invadere gli spiriti. È veicolata dai media e dalla classe dirigente che trova così un surrogato di racconto collettivo che fa crudelmente difetto; soddisfa la fame del pubblico per gli intrighi e mette in opera una mobilitazione delle emozioni in favore di un’unità nazionale immaginaria e che non è mai stata così fragile.
Questo racconto di guerra maschera l’orizzonte e occulta le gravi questioni e le responsabilità che hanno causato l’avvenimento: irresponsabilità politica mascherata da discorsi bellici, fallimento dell’intelligence, sistema penitenziario che funziona come una scuola di jihadismo, quartieri lasciati in abbandono, sistema scolastico che riproduce l’esclusione sociale, media dell’odio, intellettuali neo conservatori… La storia di questi giovani terroristi disegna il percorso disseminato d’ostacoli del sistema sociale. Quando la famiglia, il quartiere, l’ambiente, i media, la prigione, e in ultima analisi il sistema di sicurezza vanno in avaria si produce l’imprevedibile: ed è quel che è successo.
Abbiamo bisogno più che mai di comunità. Che però non va confusa con l’unità nazionale. Dobbiamo inventare delle nuove comunità, dei paesi di frontiera, delle regioni ancora immaginarie, delle sovranità condivise. È sia l’occasione, che il prezzo di questo mondo mondializzato. Il manuale di sofismi politici di Jeremy Bentham del 1824 potrebbe servire da breviario a tutti i democratici preoccupati dalle derive sicuritarie e dalle banalizzazioni mediatiche. Ha diagnosticato un sofisma riducibile a questo: “Quando il soggetto è il pericolo nelle sue diverse forme e quando l’oggetto è reprimere ogni discussione, deve scattare l’allarme”. Christian Salmon, scrittore, autore di saggi su censura e storytelling, l’arte di raccontare storie, tecnica utilizzata dal marketing alla politica
L’Isis è il gruppo terroristico più ricco del Mondo
Lo Stato Islamico (Isis) ovvero il Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi, secondo la classifica stilata dal magazine Forbes, edizione israeliana, è il gruppo terrorista più ricco del mondo. In meno di 24 mesi ha creato una “formidabile macchina raccogli denaro” con un fatturato di circa due miliardi di dollari all’anno grazie alle donazioni private del Golfo, all’imposizione di dazi sulle merci in transito nei territori conquistati ed alla vendita del greggio, ha spiegato Aymenn Jawad Al-Tamimi, arabista dell’Università di Oxford. “Le attività di raccolta di denaro assomigliano a quelli di un’organizzazione mafiosa”, ha detto un funzionario dell’intelligence statunitense, “Sono ben organizzati, sistematici e ottengono attraverso l’intimidazione e la violenza”.
Lo Stato Islamico significa petrolio: controlla sette campi petroliferi e due raffinerie nel nord dell’Iraq e sei dei dieci campi petroliferi presenti nella Siria orientale. Vende il greggio a un prezzo compreso tra i 25 e i 60 dollari al barile. Grazie al petrolio, quindi, gli estremisti riescono portare avanti la guerra e a mantenere le istituzioni. Non è da sottovalutare anche la rendita che proviene dai rapimenti: solo nel 2014, i terroristi islamici avrebbero incassato almeno 20 milioni di dollari dalla cattura in modo particolare di giornalisti e ostaggi europei.
Hamas con un miliardo di dollari di entrata all’anno è secondo grazie alla gestione dei tunnel sotterranei e ai finanziamenti dai Paesi arabi. I colombiani delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), con 600 milioni di dollari frutto di rapine, estorsioni, sequestri di persona e traffico di droga sono al terzo posto. Al quarto posto viene il libanese Hezbollah, con 500 milioni all’anno. Quinti sono i Taleban, con 400 milioni. Solo sesti in classifica Al Qaeda (150 milioni di dollari) che, senza Bin Laden ha difficoltà a raccogliere donazioni private dal Golfo ed ha visto precipitare le entrate da imposte. Settimo il gruppo pakistano Lashkar e-Taiba, con 100 milioni, ottavi i somali al-Shabaab, con 70 milioni all’anno, nona la nord-irlandese Real Ira, con 50 milioni all’anno e ultima l’organizzazione terroristica jihadista diffusa nel nord della Nigeria, i Boko Haram con 25 milioni.
Non c’è che dire il terrorismo, con le loro attività criminali senza pietà, è un affare miliardario. Un’economia nera parallela.