Il nero che ruba il lavoro e che compie crimini a casa nostra, è il nuovo nemico immaginario, esattamente come lo era il “terrone” venti anni fa. Continue Reading
Sud Italia
Calabria prima in Europa per disoccupazione
Sei giovani calabresi su dieci non lavorano. Un disastro. Maglia nera d’Europa. Una realtà che non lascia intravedere prospettive rosee per il prossimo futuro.
Secondo i dati diffusi da Eurostat tre regioni italiane, la Calabria col 65,1%, la Sardegna col 56,4% e la Sicilia col 55,9%, figurano tra i dieci territori Ue col tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) più elevato nel 2015. Continue Reading
Un Paese sempre più diviso, diseguale e povero
L’Italia ormai è questa: un italiano su quattro è povero e il Sud è a rischio desertificazione umana e industriale, e si continua a emigrare (116mila lo scorso anno). È la fotografia emersa dall’ultimo “Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno”. Un Paese sempre più in difficoltà.
Sono due le grandi emergenze nel nostro Paese: quella sociale con il crollo occupazionale, e quella produttiva con il rischio di desertificazione industriale, che caratterizzano ormai per il sesto anno consecutivo il Mezzogiorno. Nel caso del Mezzogiorno la peggior crisi economica del dopoguerra rischia di essere sempre più paragonabile alla Grande Depressione del 1929. Gli effetti della crisi si sono fatti sentire anche al Centro-Nord, e non certo per colpa del Sud; ma anche l’area più forte del Paese rischia di non uscire dalla crisi finché non si risolve il problema del Mezzogiorno, in quanto una domanda meridionale così depressa ha inevitabili effetti negativi sull’economia delle regioni centrali e settentrionali. Si sta disegnando una geografia del lavoro nel nostro Paese che rischia di escludere strutturalmente il Mezzogiorno, e con il Mezzogiorno soprattutto i giovani e le donne.
L’andamento dell’economia italiana è stato nel 2013 tra i peggiori in Europa: solo la Grecia e Cipro sono calati in misura maggiore. La forbice della crescita con l’economia europea, che in termini cumulati, dall’inizio della crisi, ha superato i sette punti percentuali (-8,5% di PIL in Italia contro il -0,9% dell’UE a 27).
Dal 2008 al 2013, la recessione del Sud non ha conosciuto tregua, a differenza di un Centro-Nord che nel 2010-2011 aveva partecipato ad una “ripresina”. In base alle previsioni, la stessa dinamica si protrarrà nel biennio 2014-2015, con un Sud che continua la sua spirale recessiva mentre il resto del Paese si avvia verso una lenta, e forse troppo debole, ripresa. Esiste incertezza sulle prospettive future della domanda, e, in presenza di ampi margini di capacità inutilizzata, le imprese sono ancora restie a produrre e a investire, il numero dei disoccupati è in aumento, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto per il quinto anno consecutivo con una flessione dell’1,1%, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti del 4,7% con un calo complessivo dal 2007 al 2013 del 26,7%.
Il Mezzogiorno si colloca ormai in un equilibrio implosivo che si caratterizza per una crescente perdita di produttività, minore occupazione, fuga dei giovani e di quanti sono più professionalizzati, minore benessere. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud in termini di prodotto pro capite ha ripreso ad allargarsi pur in presenza di una riduzione della popolazione meridionale; nel 2013 è tornato ai livelli del 2003, con un differenziale negativo di oltre 43 punti percentuali. Il Mezzogiorno ha subito tra il 2008 e il 2013 una caduta dell’occupazione del 9%, quattro volte superiore a quella del Centro-Nord (-2,4%).
Dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio, ben 583 mila sono nel Sud. L’impatto della caduta di occupazione è stato così forte da provocare un crollo dei consumi delle famiglie meridionali di quasi 13 punti percentuali (-12,7%), di oltre due volte maggiore di quello registrato nel resto del Paese (-5,7%). In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6% del valore del Centro Nord, tornando ai livelli del 2003, con un Pil pro capite pari a 16.888 euro.
Guardando agli anni della crisi, dal 2007 al 2013, profonde difficoltà restano soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16%, accanto alla Puglia (-14,3%), la Sicilia (-14,6%) e la Calabria (-13,3%). Negli anni di crisi ha perso oltre il 13% di prodotto anche la Sardegna. Cali superiori al 12% in Campania, Marche e Umbria. Tra le regioni del Mezzogiorno è l’Abruzzo a registrare nel periodo in questione un calo del prodotto relativamente più contenuto (oltre il -8%), in linea con l’Emilia Romagna, dato comunque significativamente più positivo delle performances del Veneto e del Piemonte, che accusano una perdita superiore ai 10 punti percentuali.
“Nel corso degli ultimi anni“, si legge nell’Introduzione e sintesi del Rapporto, “si è privilegiato un approccio di politica economica attento solo al risanamento dei conti pubblici. Ma le condizioni e le sfida per la ripartenza del Paese possono trovare risposta solo nel campo dello sviluppo, presupposto di qualsiasi ipotesi di crescita. Ciò che serve, dopo diversi decenni, è tornare a riproporre con forza una “logica di sistema” sia dal punto di vista dei soggetti che dei territori, che richiede investimenti strategici anche a redditività differita e una progettazione a lungo termine. Un primo passo in questa direzione sarebbe l’effettivo, rapido sblocco dei 300 miliardi promessi dal nuovo Presidente della Commissione europea, che siano davvero aggiuntivi rispetto all’attuale esiguo budget Ue a favore di grandi investimenti pubblici. In ambito europeo l’Italia e il Sud, stanno subendo uno svantaggio concorrenziale, conseguenza delle “asimmetrie sistematiche” derivanti dalla non ottimalità dell’area euro, acuitesi con l’ingresso nell’Ue nel 2004 dei Paesi dell’Est, che godono di regimi fiscali molto più vantaggiosi. Lo sviluppo del Sud non può essere interamente delegato alle politiche di coesione, che peraltro necessitano di un maggiore sforzo strategico. E le risorse ordinarie devono smettere di essere un vero e proprio “buco nero” nello sviluppo del Mezzogiorno. È cruciale dare un’impronta meridionalistica alle politiche generali nazionali, con interventi che vanno dal funzionamento della PA a servizi essenziali come la scuola, la sanità e la giustizia, fino ad arrivare a una nuova politica attiva del lavoro e politiche di welfare non solo redistributive“.
Il Sud Italia, sempre più povero
L’Italia continua a essere spaccata in due, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento. Nel 2013 il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di dieci anni fa, negli anni di crisi 2008-2013 i consumi delle famiglie sono crollati quasi del 13%, gli investimenti nell’industria addirittura del 53%, i tassi di iscrizione all’Università tornano ai primi anni Duemila e per la prima volta il numero di occupati ha sfondato al ribasso la soglia psicologica dei 6 milioni, il livello più basso dal 1977. Questo è il Sud visto dal rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno.
Una terra a rischio desertificazione industriale e umana, dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione e 14mila nuclei. Per il sesto anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno registra segno negativo, a testimonianza della criticità dell’area. Il peggior andamento del Pil meridionale nel 2013 è dovuto soprattutto ad una più sfavorevole dinamica della domanda interna, sia per i consumi che per gli investimenti. Anche gli andamenti di lungo periodo confermano un Paese spaccato e diseguale: negli anni di crisi 2008-2013 il Sud ha perso -13,3% contro il 7% del Centro-Nord. Il divario di Pil pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2013 è sceso al 56,6%, tornando ai livelli di dieci anni fa. Il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2013 pari a 18.453 euro: in altri termini, un valdostano ha prodotto nel 2013 oltre 18mila euro in più di un calabrese.
Se confermati questi dati porterebbero al Sud nel 2014 rispetto al 2007 a quasi 800mila posti di lavoro in meno (pari a una flessione del 12%). I consumi delle famiglie meridionali sono scesi ancora del 2,4% nel 2013 (a fronte del 2% di quelle settentrionali). Dal 2008 al 2013 la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Mezzogiorno il 13%, più del doppio del calo registrato nel resto del Paese. Preoccupanti anche i tagli agli investimenti in infrastrutture. Se nel Centro-Nord si mantengono i livelli di spesa per opere pubbliche di 40 anni fa, al Sud oggi si spende 1/5 di quanto si faceva negli anni ’70.
Nel 2013 sono andati persi 478mila posti di lavoro in Italia, di cui 282mila al Sud, posti di lavoro persi soprattutto tra i lavoratori giovani under 34 e al Sud (-12% contro il -6,9% del Centro-Nord). La nuova flessione riporta il numero degli occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni. Tornare indietro ai livelli di quasi quarant’anni fa testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall’altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro. In più, rispetto alla media europea a 27 del 75,3%, i giovani diplomati e laureati italiani presentano un tasso di occupazione di circa 27 punti più basso, pari al 48,3%. Si inizia a credere che studiare non paghi più, alimentando così una spirale di impoverimento del capitale umano, determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di disoccupazione e scoraggiamento a investire nella formazione avanzata. Non a caso, dei 3 milioni 593mila giovani Neet (Not in education, employment or training) nel 2013, aumentati di oltre il 25% rispetto al 2008, il 47% è diplomato e l’11% laureato.
Un quadro devastante, il Sud ormai è sempre più povero ed abbandonato a se stesso. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, ma nel meridione la povertà assoluta è aumentata rispetto all’anno scorso del 2,8% contro lo 0,5% del Centro-Nord. Nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione 14mila, il 40% in più solo nell’ultimo anno.
“Per uscire dalla recessione e tornare a crescere” suggerisce Riccardo Padovani, Direttore della SVIMEZ è necessario “oltre alle politiche di welfare, che pure hanno effetti non solo sociali ma anche di sostegno anticiclico dell’economia, attivare un’azione, un piano di primo intervento, che, pur in un’ottica di emergenza, sia coerente con una complessiva strategia di rilancio dello sviluppo. Un disegno di cui lo Stato divenga responsabile e parte attiva, come regista, e non come pura entità di spesa o di sola regolamentazione dei mercati”. La Svimez continua a insistere su come e perché il Mezzogiorno resti la grande opportunità per avviare un percorso durevole di ripresa e di trasformazione dell’economia italiana.
Terremoti: ora ci vogliono i fatti, basta parole!
Video del 27 Maggio a pochi giorni dal ripetersi del terremoto in Emilia. Il terremoto in Val Padana ha sorpreso la popolazione ma non i sismologi.
I terremoti di questi giorni in pianura Padana erano previsti e prevedibili come ho già scritto in questo post. In un intervista rilasciata a meteo web, Alessandro Martelli, direttore dell’Enea di Bologna,precisa ulteriormente che alcuni stumenti di previsione realizzati da diversi Paesi, e in Italia dall’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) e dall’Università di Trieste, avevano indicato la possibilità di una scossa sul territorio del nord Italia di magnitudo superiore a 5.4 Richter, e che a marzo gli studiosi avevano lanciato l’allarme alle autorità competenti, tra cui la Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile.
Martelli ha spiegato nel dettaglio come funziona questo sistema di allerta, che è un metodo sismologico “di cui io sono solo un utilizzatore dei risultati, perchè non siamo noi ingegneri a svilupparli. Sono metodi attualmente sviluppati in Italia dall’Istituto di Fisica Teorica di Trieste e dall’Università di Trieste, e da altri centri del mondo. In questi studi si analizzano i risultati del monitoraggio del territorio suddiviso in zone sismiche. L’Italia è divisa in tre zone sismiche: il nord, il centro e il sud“.
“Ogni inizio anno, continua Martelli, a gennaio, in base all’esame di tutti i terremoti più piccoli delle varie zone, si possono notare delle anomalie che vengono analizzate e poi verificate; da lì si capisce se sta accadendo qualcosa al di fuori dalla norma. Quel qualcosa al di fuori dalla norma è la possibilità di avere un evento significativo nel breve/medio periodo che significa qualche mese o un anno, al massimo due anni. Allora ogni anno in Italia si fa per ciascuna di queste tre aree una verifica del genere“.
“Quest’anno, entra nello specifico Martelli, dal 1° gennaio avevamo allertato l’Italia meridionale, poi ogni due mesi facciamo delle verifiche per capire se la situazione è inalterata oppure è cambiata, e capiamo se c’è la necessità di allertare anche un’altra Regione in base agli algoritmi utilizzati per definire questi allarmi, oppure se va tolto l’allarme per la zona in cui era stato lanciato. A marzo di quest’anno è successo che, oltre a mantenere l’allarme per le Regioni meridionali, abbiamo allarmato anche il nord mentre il centro è rimasto non allarmato. L’allarme per il nord vedeva una soglia precisa, cioè la concreta possibilità del fatto che si potesse verificare nel breve/medio termine una scossa di magnitudo superiore a 5.4 Richter. Sapevamo, insomma, che era di molto aumentata la probabilità che in quella macro-area si verificasse un terremoto forte. Ovviamente non abbiamo tenuto la notizia per noi, ma l’abbiamo comunicata alle autorità competenti pur non divulgandola a livello mediatico perchè notizie del genere possono scatenare panico o paure infondate che non portano a nulla. Attualmente queste previsioni sono il massimo che i sismologi possono riuscire a fare, in base alle attuali conoscenze scientifiche e tecnologiche. Più che di vere e proprie previsioni, è giusto parlare di “esperimenti di previsione“.
A rischio anche il Sud Italia. Spiega Martinelli: “L’allarme per il sud è molto più grave perchè c’è da più tempo ed è il risultato di studi incrociati che dicono tutti la stessa cosa. L’algoritmo Italiano individua il rischio nell’area del sud, che va dalla Campania in giù, ma alcuni prestigiosi centri di calcolo di altri Paesi concentrano il rischio tra Calabria e Sicilia, quindi all’estremo sud“.
Questi allarmi continuano ad essere ignorati, il modo per evitare e prevedere questi terremoti c’è e deve essere preso in considerazione. Giampaolo Giuliani, sismologo e ricercatore dei precursori sismici, in un intervista sul blog di Beppe Grillo dice che “anche questo terremoto, come quello in Abruzzo, era prevedibile, bastava leggere bene i sismografi per vedere che lo sciame sismico si stava intensificando e l’epicentro si stava spostando verso Mirandola”, prosegue Giuliani, “Ma questo… mi domando e dico, ma questi scienziati che cazzo di scienziati sono che oggi ancora noi non riusciamo… abbiamo ancora morti per terremoto, siamo nel 2012! Che cazzo studiano?! L’ho dato il consiglio alle persone che li hanno chiamato l’altro ieri, ieri, gli ho detto: state fuori, mettetevi in sicurezza, perché c’è ancora pericolo! Non dico che loro devono andare a studiare il Radon che è quello che studio io e che mi dà la possibilità 6-24 ore prima di un forte terremoto di sapere se avverrà o meno, ma studiate i sismografi visto che sapete utilizzare soltanto quelli!”.
Perché si continua a fare nulla, cazzo!!!!
Qui la video intervista a Giampaolo Giuliani Non si può morire di terremoto!