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Il Medio Oriente in guerra con armi Made in Italy

Italia-armi-Israele

I dittatori, i regimi autoritari e i paesi in conflitto sono da sempre i nostri maggiori acquirenti di armi. Nel nord Africa e in Medio Oriente (Striscia di Gaza, Libia, Iraq, Siria ecc.) si continua a sparare con armi made in Italy.

Nel 2013, abbiamo spedito in giro per il mondo armamenti per 2.725.556.508 euro (ma il valore esatto è di quasi 3 miliardi di euro) con un calo del 7,7% rispetto al record ventennale del 2012. C’è invece una netta diminuzione (-48,5%) nei permessi rilasciati nel 2013, cioè per ordini di armi che verranno consegnate negli anni successivi. E dove esportiamo?

  • Israele (€ 472.910.250),
  • Stati Uniti (€ 419.158.202),
  • Algeria (€ 262.857.947),
  • Arabia Saudita (€ 244.925.280),
  • Turkmenistan (€ 215.821.893),
  • Emirati Arabi Uniti (€ 149.490.989),
  • Belgio (€123.658.464), India (€ 108.789.957),
  • Ciad (€ 87.937.870) e
  • Regno Unito (€ 74.407.416).

Come si può notare tra i primi dieci destinatari delle autorizzazioni all’esportazione solo tre (USA, Belgio e UK) fanno parte delle tradizionali alleanze dell’Italia (Nato e Ue) mentre per la maggior parte si tratta di paesi extra europei, di nazioni in guerra, rette da regimi dispotici o autoritari e da governi responsabili di reiterate violazioni dei diritti umani.

Il maggiore acquirente è Israele soprattutto per l’ordinativo alla Alenia Aermacchi di 30 velivoli addestratori M-346 e altro materiale per un valore complessivo di quasi 473 milioni di euro. Ed è incredibile visto che la Spagna ha già deciso di sospendere in via cautelare l’invio di armi e il Regno Unito, dopo aver reso nota una revisione delle proprie esportazioni militari per le forze armate israeliane, ha dichiarato un possibile blocco di una dozzina di licenze di esportazione di materiali militari impiegati da Israele nel conflitto a Gaza. L’Italia, invece, che è il maggior fornitore nell’Ue di sistemi militari a Israele, non solo non ha annunciato alcuna restrizione, ma il Ministero degli Esteri ha eluso la questione dichiarando in Parlamento che “l’Italia non fornisce ad Israele sistemi d’arma di natura offensiva”.

In Algeria vendiamo elicotteri Agusta Westland AW139 comprensivi di apparecchiature per la visione all’infrarosso, 28 caschi militari e altre amenità per un valore complessivo di € 258.241.013. Prosegue anche la fornitura all’Arabia Saudita dei caccia Eurofighter (denominati El Salaam). Tra le armi esportate all’Arabia Saudita figurano però anche 600 bombe 2000LB Blu 109 attiva per un valore di € 15.600.000 ed inoltre 1000 bombe 500LB MK82 inerte e 300 bombe 2000LB MK84 inerte per complessivi € 8.500.000 tutte prodotte dalla RWM Italia di Ghedi (Rheinmetall Group). E 100mila granate cal. 40/46 MM TP Low Velocity esportate a Riyad da Simmel Difesa per € 6.291.000.

Nei magazzini dell’Esercito Italiano, oltre a decine di migliaia di kalashinkov e Rpg anticarro bottino di sequestri durante la guerra balcanica che dovrebbero esser ora distribuiti ai curdi, si stima siano ammassati 1100 carri armati e 3000 veicoli corazzati. Tra gli altri, ne hanno usufruito il Pakistan, il Libano, i cui soldati nel 2006 fronteggiavano gli israeliani con gli stessi elmetti usati a El Alamein dagli italiani, l’Albania, Panama (grazie agli uffici dell’“ambasciatore” berlusconiano Valter Lavitola) e la Libia pre e post Gheddafi.

Quindi ricapitolando, le forniture di sistemi militari italiani sono sempre più indirizzate verso le zone di forte tensione del Medio Oriente e del nord Africa, invece di inviare un contingente di “peace enforcement” sostenuto dall’Unione europea che si attenga strettamente alle regole del diritto internazionale e non alimenti il conflitto, noi continuiamo ad armarli.

La legge italiana, ricorda la Rete Italiana per il Disarmo, “vieta l’esportazione di sistemi militari verso i Paesi in stato di conflitto armato e ribadisce che eventuali diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri sono da adottare solo dopo aver consultato le Camere”.

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Sono 192 i bambini uccisi a Gaza in 18 giorni di guerra

Gaza-scuola bombardata


Con l’attacco alla scuola elementare di Beit Hanoun, la terza ad essere colpita in una settimana, nella Striscia di Gaza, salgono a 192 i bambini uccisi a Gaza nei primi 18 giorni di conflitto. Questi palestinesi, molti dei quali donne e bambini, si erano rifugiati nella scuola credendo che potesse essere un luogo di protezione, un luogo dove stare al sicuro dopo che avevano dovuto abbandonare le loro case a causa degli scontri. Questa supposizione era basata sul vincolo, sancito dal diritto internazionale, dell’impegno della comunità internazionale e dell’obbligo delle parti in conflitto di rispettare l’inviolabilità delle strutture delle Nazioni Unite; e sui tanti anni durante i quali l’UNRWA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione) ha sempre rappresentato un sinonimo di protezione per questi rifugiati. È la quarta volta negli ultimi quattro giorni che una scuola dell’UNRWA viene colpita.

“Questi bambini” ha dichiarato il Commissario Generale di UNRWA Pierre Krähenbühl, “sono stati uccisi durante il sonno: un affronto per tutti noi, una vergogna di proporzioni universali. La prima ricognizione prova che sia stata l’artiglieria israeliana a colpire la nostra scuola, dove 3.300 persone avevano trovato rifugio. Crediamo che l’area sia stata colpita almeno tre volte. Tutte queste persone avevano seguito l’avviso delle forze armate israeliane di lasciare le proprie case. Le coordinate precise della Scuola Elementare per Bambine di Jabalia, insieme al fatto che stesse ospitando migliaia di sfollati, erano stati comunicati alle forze armate israeliane in 17 diverse occasioni, proprio per assicurarne la protezione. Siamo oramai oltre il regno del puro intervento umanitario, siamo entrati nel regno delle responsabilità”.

La tragica situazione dei bambini di Gaza, nel racconto di Anne, una giovane cooperante americana: “I bambini nei loro racconti, spesso fanno riferimento alla guerra. Dopo che abbiamo fatto il gioco delle sagome, abbiamo notato che i bambini riconoscono i loro occhi e le loro orecchie come punti di debolezza nel loro corpo, spiegando che con gli occhi vedono le distruzioni e con le orecchie sentono il bombardamento. Invece per quanto riguarda i punti di forza, i bambini rispondono, le gambe perché ci aiutano a fuggire e le mani perché ci aiutano a nascondere la faccia. Non conoscono pace, i bambini di Gaza.

Il numero dei morti e il livello di distruzione crescono di ora in ora. L’UNICEF chiede alle parti in conflitto di rispettare l’inviolabilità delle vite dei bambini e delle scuole.

“Nessun bambino palestinese e israeliano dovrebbe soffrire l’impatto terrificante delle violenze delle ultime settimane. Con l’aggravarsi della crisi a Gaza la situazione è sempre più drammatica e disperata: 192 bambini e adolescenti sono morti (il 33% di tutti i civili uccisi) nella Striscia e molti altri sono rimasti feriti. Più di 100.000 persone (il 50% bambini) si sono rifugiate in 62 scuole dell’UNRWA e in 12 scuole pubbliche. Oltre 72.000 bambini hanno bisogno di sostegno psicologico. 85 scuole sono state danneggiate. 1,2 milioni di persone non hanno accesso sicuro all’acqua potabile”, ha detto il Presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera. “L’UNICEF sta fornendo medicine salvavita, kit di pronto soccorso e acqua, supporta squadre di emergenza per il sostegno psicosociale dei bambini vittime della crisi e sta potenziando gli aiuti per la riparazione della rete idrica e fognaria. “I bambini di Gaza hanno bisogno di tutto. Per questo lanciamo un appello di raccolta fondi per fare fronte ai bisogni umanitari stimati in 14,2 milioni di dollari”, ha concluso il Presidente Guerrera.

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