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La Serie A è fallita

calcio italiano

Quasi nessuna squadra di Serie A avrebbe rispettato i parametri economici e finanziari necessari per iscriversi alla stagione 2014/15. Basti pensare che oggi, sui tre criteri presi in esame per i requisiti d’iscrizione, solo sette squadre (Cagliari, Fiorentina, Napoli, Palermo, Sassuolo, Udinese e Verona) ne riescono a rispettare due. Altre quattro (Juventus, Lazio, Parma e Torino) ne rispettano uno, mentre ben otto squadre (Atalanta, Cesena, Chievo, Genoa, Inter, Milan, Roma, Sampdoria) nessuno. In pratica è possibile iscriversi al campionato di Serie A se le società pagano i giocatori e i loro contributi, se invece non vengono pagati giardinieri, magazzinieri e così via, non c’è problema. L’analisi di Diego Tarì, Chief Financial Officer di diverse aziende e fondatore del sito di analisi economico-finanziaria del calcio “tifoso bilanciato”

L’attuale situazione in cui versa il Parma FC non è che l’ultimo di una serie di accadimenti che devono far riflettere sul nostro calcio. Il caso dei Ducali è ovviamente sotto i riflettori, ma quante altre squadre anche di serie minori si sono trovate (e si trovano) in situazioni simili?

Le squadre iscritte al campionato di Serie A 2014/15 hanno ottenuto dalla FIGC la cosiddetta “Licenza Nazionale”. La normativa contiene prescrizioni di livello organizzativo, tecnico, infrastrutturale ed economico-finanziario.

Ci siamo soffermati sull’analisi di quest’ultimo punto, cercando di ricostruire i numeri a disposizione della CoViSoC la scorsa estate, scoprendo che nessuna delle squadre di Serie A che stanno partecipando all’attuale campionato rispettava tutti i tre parametri di bilancio richiesti.

Come si può vedere dalla tabella che abbiamo ricostruito, basata sull’analisi dei bilanci al 30 giugno 2013 (o, per alcune delle squadre, al 31 dicembre 2013), ci sono sette squadre (Cagliari, Fiorentina, Napoli, Palermo, Sassuolo, Udinese e Verona) che riescono a rispettare due dei tre parametri, altre quattro (Juventus, Lazio, Parma e Torino) solo uno, mentre altre otto squadre nessuno. Manca all’appello l’Empoli (ce ne scusiamo) perché non avevamo a disposizione i bilanci.

Analisi Covisoc Licenza 2014_15 - 0 Riepilogo

Vediamo però più nel dettaglio che cosa viene richiesto alla squadre, partendo da quegli adempimenti di natura retributiva e fiscale che, invece, sono certamente stati rispettati (diversamente avremmo avuto un automatico deferimento da parte della Procura Federale e l’assegnazione di punti di penalizzazione).

Adempimenti fiscali e retributivi

Le squadre devono dimostrare di essere in regola con i propri oneri fiscali e retributivi: entro il 30 maggio devono fornire alla Covisoc evidenza di aver effettuato il pagamento del debito IVA relativo all’anno precedente (o di accordi di rateizzazione siglati con l’Agenzia delle Entrate) ed entro il 25 giugno una dichiarazione che attesti l’avvenuto pagamento degli stipendi “fino al mese di aprile compreso, ai tesserati, ai dipendenti ed ai collaboratori addetti al settore sportivo con contratti ratificati dalla competente Lega o l’esistenza di contenziosi allegando la documentazione comprovante la pendenza della lite non temeraria”.

Abbiamo qui una prima anomalia: la tutela della FIGC si limita al personale tesserato e ai dipendenti/collaboratori del settore sportivo, che sono intesi essere quelli definiti nel Titolo 3, che disciplina l’organigramma standard delle squadre. Cosa vuol dire? Molto semplicemente che se le squadre non pagano lo stipendio al Direttore Sportivo sono penalizzate, se invece non pagano il magazziniere o un altro impiegato/collaboratore non accade nulla!

Ma c’è di più: questa anomalia si ripercuote anche sulla parte contributiva, perché negli adempimenti successivi, quando viene richiesto alle squadre di dare evidenza entro il 30 giugno di aver pagato le ritenute IRPEF e i contributi INPS relativi agli emolumenti fino al mese di aprile, si continua a parlare di quelli riferiti “ai tesserati, ai dipendenti ed ai collaboratori addetti al settore sportivo”.  Del nostro magazziniere, alla fine, continua a non importare nulla a nessuno.

Richiesta di iscrizione al campionato

Entro il 30 giugno le squadre devono presentare domanda di iscrizione al campionato, contenente la richiesta di concessione della Licenza Nazionale. La documentazione di corredo prevista è la seguente:

  • il Bilancio dell’esercizio precedente (per la stagione 2014/15 si parla del bilancio al 30.06.2013, oppure di quello al 31.12.2013 per le squadre che chiudono l’esercizio in dicembre);
  • la Semestrale al 31.12.2013, approvata dal Consiglio di amministrazione, con allegata relazione della società di revisione incaricata;
  • Il Budget della stagione per la quale si chiede l’iscrizione (economico, patrimoniale, finanziario), approvato dal Consiglio di amministrazione contenente “note esplicative comprensive di presupposti, rischi e confronti tra i budget ed i valori effettivi riscontrati nell’ultimo bilancio” e, laddove necessario, di spiegazioni in merito alle “modalità di copertura degli eventuali fabbisogni di cassa”.

Vi sono poi una serie di ulteriori adempimenti documentali relativi alla regolarità fiscale (evidenza dei pagamenti dei tributi e, laddove esistano contenziosi in essere o definiti, aggiornamenti sulla situazione e evidenza del rispetto dell’eventuale piano di rateizzazione concordato), alla composizione azionaria nonché eventuali dichiarazioni specifiche per casi particolari.

La Lega Calcio di Serie A, da parte sua, deve entro il 30 giugno certificare alla Covisoc che per ogni Società tutti i debiti in scadenza e/o scaduti entro il 25 giugno nei confronti della FIGC, delle Leghe, delle società affiliale alla FIGC e del Fondo Fine Carriera (sempre e solo per ““ai tesserati, ai dipendenti ed ai collaboratori addetti al settore sportivo”) sono stati assolti.

Questi controlli sulla regolarità retributiva (emolumenti e contributi) sono poi ripetuti su base trimestrale equalunque violazione viene assimilata ad un “illecito sportivo” e prevede l’automatico deferimento alla Procura Federale che – a seconda dei casi – prevede punti di penalizzazione e/o multe.

In ogni caso, anche considerando le prerogative concesse alla Covisoc dall’art. 85 NOIF (che vedremo successivamente) la quantità e qualità delle informazioni che le squadre sono tenute a fornire entro il 30 giugno di ogni anno, unita ai controlli trimestrali, è tale da consentire il formarsi di un quadro sufficientemente chiaro della situazione economica e finanziaria di ogni Club di Serie A.

I controlli della Covisoc

Tutti gli adempimenti precedentemente descritti, sono in realtà contenuti all’interno delle NOIF (acronimo di Norme Organizzative Interne Figc), in particolare negli articoli dal 77 al 90. Ma esattamente, quali sono i parametri che vengono utilizzati per “misurare” i bilanci delle squadre di Serie A?

Intanto dalla lettura delle NOIF, in particolare dell’art. 85, apprendiamo che la Covisoc riceve ulteriori informazioni periodiche dalle squadre, che dovrebbero consentire di avere un quadro aggiornato in tempo reale sulla situazione delle stesse:

  • entro sessanta giorni dalla chiusura di ciascun semestre, devono depositare presso la Co.Vi.So.C. il report consuntivo (conto economico e rendiconto finanziario) indicando le cause degli scostamenti rispetto al budget depositato e gli interventi correttivi adottati o da adottare ai fini del rispetto degli obiettivi iniziali del budget”.
  • entro sessanta giorni dalla fine di ciascun trimestre dell’esercizio, devono depositare presso la Co.Vi.So.C. il Prospetto VP/DF con indicazione del rapporto Valore della Produzione/Debiti Finanziari, calcolato sulla base delle risultanze contabili e riferito a ciascuna delle dette scadenze”.

L’articolo è stato oggetto di una revisione da parte del Consiglio Federale nel mese di Luglio 2014. Il testo del nuovo articolo è contenuto nel Comunicato Ufficiale n. 25/A della FIGC.

Prima di andare a vedere nel dettaglio i tre parametri di bilancio che sono analizzati dalla CoViSoC, dobbiamo fare alcune precisazioni sulle modalità di calcolo dei dati. Questo anche e soprattutto perché la modalità attraverso la quale la stampa propone queste analisi non è sempre aderente alla normativa della FIGC e porta a delle distorsioni anche importanti.

Bilanci consolidati

Ci sono tre squadre per le quali l’analisi non può essere condotta a livello di bilancio civilistico, ma deve essere basata sul bilancio consolidato: il Milan, la Roma e la Sampdoria. Questo perché controllano (o sono controllate, come nel caso della Sampdoria) società che svolgono attività complementari a quelle della squadra, ad esempio il merchandising, oppure hanno ottenuto in passato dei finanziamenti  poi girati alla squadra che rappresentano un debito che deve essere tenuto in considerazione. Tra l’altro  i Patrimoni Netti Consolidati di queste tre squadre sono negativi, proprio per effetto dell’attività di  consolidamento, mentre invece non lo sono quelli dei bilanci civilistici.

La riclassifica dei leasing

Abbiamo riclassificato i leasing per far emergere il debito finanziario della squadra. In realtà questa operazione ha un impatto effettivo solo sulla Sampdoria, che al 31 dicembre 2013 aveva (in capo alla controllante) un debito residuo per il leasing del marchio di 24,4 milioni di euro, che deve essere considerato a tutti gli effetti un’esposizione finanziaria. Altre squadre, su tutte la Juventus, lo espongono già fra i debiti finanziari e non è stato quindi necessario modificare i dati.

Il Prospetto VP/DF (Valore della Produzione/Debiti Finanziari)

Il Prospetto VP/DF è costruito per mettere in rapporto il Valore della Produzione (che è composto dai ricavi operativi ma anche da altre voci, ad esempio le capitalizzazioni dei costi del vivaio) con i Debiti Finanziari netti: serve quindi a capire, quanti mesi (o anni) di ricavi sono necessari al Club per ripagare completamente i propri debiti verso le banche, i factor e i soci per i finanziamenti ricevuti.

Analisi su Covisoc Licenza 2014_15 -  1 VP_DF

Solo per precisione: il dato inerente i debiti finanziari, per convenzione, viene esposto con il segno contrario al reale. Per fare un esempio concreto, quello del Napoli, la cifra di -27,2 vuol dire che il club non solamente non ha debiti finanziari, ma addirittura aveva denaro disponibile per quella cifra.

Il rapporto minimo da rispettare non è contenuto nelle NOIF ma viene deciso su base annuale “dal Consiglio Federale su proposta della Co.Vi.So.C.”. Con il Comunicato Ufficiale 165/A del 07.05.2013 il valore minimo da rispettare è stato alzato da 3,5 a 4 unità.

Analisi su Covisoc Licenza 2014_15 -  2 VP_DF graph

Solo otto squadre sono a norma: Lazio, Cagliari, Fiorentina, Verona, Napoli, Palermo, Sassuolo e Torino. Tutte le altre sono ben distanti, come si può vedere anche dal grafico, che non riporta i valori di Torino (il cui indicatore è 144) e del Napoli che addirittura non avendo debiti finanziari ma crediti andrebbe in negativo.

Il Prospetto P/A (Patrimonio Netto Contabile/Attivo Patrimoniale)

Questo secondo indicatore serve a mettere in evidenza l’apporto effettivo dell’azionista a sostegno del Club, perché costruisce il numeratore sommando il Patrimonio Netto (quindi capitale sociale e riserve) e gli eventuali finanziamenti soci infruttiferi o postergati. Questo valore, che rappresenta ciò che il proprietario ha complessivamente versato (o lasciato, in caso di dividendi non distribuiti) a supporto della squadra, viene messo in relazione con tutto l’attivo della società, che per le squadre di calcio è normalmente rappresentato in gran parte dal parco calciatori e da crediti.

Analisi su Covisoc Licenza 2014_15 -  3 P_A

Il rapporto minimo da rispettare non è contenuto nelle NOIF ma viene deciso su base annuale “dal Consiglio Federale su proposta della Co.Vi.So.C.”. Non abbiamo trovato traccia di Comunicati Ufficiali recenti (strano, no?) e quindi considereremo ancora valida la soglia minima di 0,10 usata in passato.

Analisi su Covisoc Licenza 2014_15 -  4 P_A Graph

Sono nove le squadre che rispettano il valore richiesto (Fiorentina, Napoli, Cagliari, Udinese, Sassuolo, Palermo, Verona, Parma e Juventus), mentre anche in questo caso tutte le altre sono ben distanti e quattro di loro (Inter,Sampdoria, Milan e Roma) addirittura presentano un Patrimonio Netto negativo.

Il Prospetto R/I (Ricavi/Indebitamento Netto)

Due volte all’anno, entro sessanta giorni dalla fine del primo e del terzo trimestre (31 marzo ed il 30 settembre) le Società devono depositare il Prospetto R/I che esprime il rapporto fra i Ricavi e l’Indebitamento netto. Questo indicatore serve per capire quanti mesi (o anni) di ricavi sono necessari al Club per pagare tutti i propri debiti netti a breve termine. In questo caso il valore non è demandato al Consiglio Federale, ma è fissato: il rapporto non può essere inferiore a 3.

Attenzione: il concetto di indebitamento netto non si limita all’esposizione verso le banche (quella è il denominatore del rapporto VF/DF), ma invece tiene conto di tutti i debiti entro i 12 mesi,  consentendo però alle squadre di sottrarre da tale valore l’intero credito derivante dal calciomercato, anche se questo ha scadenza pluriennale.

Non avendo a disposizione i bilanci trimestrali abbiamo effettuato le valutazioni su quelli al 30 giugno. In realtà ciò significa che non teniamo conto degli effetti (positivi o negativi) del calciomercato estivo, che come abbiamo visto in molti casi erano proprio tesi a migliorare il nostro denominatore (per il dettaglio degli impatti del calciomercato sulle singole squadre, vi rimandiamo a questo post).

Analisi su Covisoc Licenza 2014_15 -  5 - R_I

Questo indicatore è l’unico che prevede una sanzione di natura “operativa”. Mentre per tutte le altre richieste, si parla di multe, deferimenti ed eventualmente sospensione dei contributi federali, l’art. 90 disciplina espressamente che se non viene rispettato il rapporto R/I:

la Co.Vi.So.C. dispone che la società non possa essere ammessa ad operazioni di acquisizione del diritto alle prestazioni dei calciatori, salvo che le acquisizioni trovino integrale copertura:

  1. in contratti di cessione calciatori con altre società affiliate alla F.I.G.C., precedentemente o contestualmente depositati;
  2. b) mediante incremento di mezzi propri da effettuarsi: 1) con versamenti in conto futuro aumento di capitale;  b.2) nella forma dell’aumento di capitale;  b.3) con finanziamenti postergati ed infruttiferi dei soci.

Il provvedimento è revocato, su istanza della società, quando viene ristabilito il rapporto Ricavi/Indebitamento nella misura minima

Analisi su Covisoc Licenza 2014_15 -  6 R_I Graph

Nonostante questo, solo l’Udinese lo rispetta: tutte le altre si posizionavano a giugno 2014 al di sotto della soglia minima richiesta. Secondo i nostri calcoli la situazione non è cambiata neanche dopo aver calcolato crediti e debiti derivanti dal calciomercato estivo, ma ci sono molte variabili in gioco e, quindi, non siamo in grado di prendere una posizione certa in merito.

Il Report Consuntivo sul Capitale Circolante Netto

Entro trenta giorni dalla fine di ogni trimestre i Club devono altresì depositare una relazione sull’andamento del proprio Capitale Circolante Netto. Questo parametro è probabilmente il più importante per sondare la “salute finanziaria” di una società, ma è anche il più complesso da capire.

Chiedendo scusa ai puristi dell’analisi finanziaria, cerchiamo di semplificare il concetto. Durante l’arco dell’anno una società emette delle fatture (i ricavi) e ne riceve (costi), così come è tenuta a pagare gli stipendi e le tasse: tutti questi valori vanno a comporre il Conto Economico. Se alla fine dell’anno i ricavi sono stati sufficienti a pagare tutti i costi, avremo un utile di esercizio, diversamente una perdita.

Esiste però un disallineamento temporale fra il momento in cui io emetto una fattura (o la ricevo) e quello in cui ricevo l’incasso della stessa (o lo pago). E così, normalmente, ogni azienda ha dei costi ricorrenti su base mensile (ad esempio gli stipendi, i contributi, le tasse), dei costi che vengono pagati su base bimestrale o trimestrale (le utenze, gli affitti, ecc.) ed altri che hanno condizioni concordate con i fornitori. Analogamente, se pensate ad una squadra di calcio, ci sono ricavi che sono concentrati in un periodo specifico (ad esempio l’incasso della campagna abbonamenti, che avviene ad inizio estate in maniera anticipata), altri regolari (la biglietteria normale), altri legati alle condizioni pattuite con i clienti (i diritti televisivi, gli incassi per il calciomercato, ecc.). Quindi se anche fatturo 1.000 euro e ho costi per 800 (generando un utile di 200), ciò non vuol dire che automaticamente alla fine dell’anno avrà 200 euro in banca a disposizione. Potrei averne 1.000 (se avessi incassato tutto e non pagato nessuno, come -800 se al contrario avessi pagato tutti e non ancora incassato nulla).

Il concetto del Capitale Circolante Netto aiuta a misurare l’effetto di questo disallineamento sulla cassa a disposizione della società, mettendo in relazione non i dati economici (ricavi e costi), quanto la loro traduzione in movimenti patrimoniali (crediti e debiti) e verificando la variazione da un periodo all’altro.

Il Capitale Circolante Netto sarà quindi negativo se nell’arco di un periodo (nel nostro caso l’anno 2013 rispetto all’anno 2012) avrò “assorbito cassa” (cioè mi sono entrati meno soldi di quelli che sono usciti). Sarà viceversa positivo se si è verificato il fenomeno opposto, cioè se al termine del periodo in esame la società ha maggiori disponibilità finanziarie (che vuol dire soldi sul conto o minori debiti finanziari).

Analisi Covisoc Licenza 2014_15 - 7 CCN

L’analisi di queste variazioni ci consente di identificare una serie di elementi utili per capire meglio lo stato “finanziario” di un Club.

Se prendiamo il caso del Parma, ad esempio, possiamo notare che il suo CCN è “migliorato” di 9,8 mln di euro e cioè che la Società dovrebbe aver avuto un apparente beneficio. Ma andando a vedere le variazioni effettive del CCN, non può non cadere l’occhio sul fatto che questo differenziale è sorto perché la Società fra il 2012 ed il 2013 ha visto crescere in maniera importate i propri crediti (da 46 a 89 milioni, per un totale di 43 mln) ma contemporaneamente ha visto un incremento dei debiti da 122 a 175 mln (+53 mln). Ha quindi “scaricato” sul debito la propria necessità di cassa.

Oltretutto l’incremento dei crediti è stato dovuto all’operazione di creazione della NewCo Parma FC Brand, quindi è un valore intercompany: questo vuol dire che mentre i debiti erano prevalentemente verso soggetti terzi che prima o poi vanno pagati (quelli verso la controllante erano pari a 38,7 milioni, ma sono cresciuti di soli 12,5 mln fra il 2012 ed il 2013), i crediti sono verso una società del gruppo che, in caso di difficoltà finanziarie complessive, potrebbe non essere in condizione di pagare.

Quando la Covisoc ha acquisito i dati, a giugno 2014, avrebbe dovuto aver nel frattempo ricevuto la semestrale al 31 dicembre 2013 ed il budget per il 2014/15: ebbene da questi dati, ipotizzando di usare il Bilancio del Parma al 31 dicembre 2014 come elemento di analisi, il problema sarebbe dovuto emergere in tutta la sua gravità: i crediti verso clienti erano sostanzialmente stazionari, mentre i debiti verso terzi – fornitori in particolare – erano ulteriormente cresciuti di circa 10 mln di euro.

Questo grafico consente di capire meglio come sono intervenute le variazioni.

Analisi su Covisoc Licenza 2014_15 - 8 CCN Graph

Le NOIF dispongono che in caso di mancata copertura del Capitale Circolante Netto da parte dei Club, “la Lega Italiana Calcio Professionistico, su comunicazione della Co.Vi.So.C, disporrà che le risorse da erogarsi alla società interessata siano vincolate al pagamento degli emolumenti dovuti ai tesserati, lavoratori dipendenti e collaboratori addetti al settore sportivo con contratti ratificati dalla medesima Lega”.

Conclusioni

L’analisi che abbiamo cercato di fare è basata solo su una parte degli elementi che i Club devono mettere a disposizione della Covisoc. E, tra l’altro, quest’ultima ha la possibilità di richiedere chiarimenti, precisazioni e integrazioni di documenti per avere un quadro completo della situazione. Come sempre, prendetela con tutti i limiti derivanti dal doversi basare solo sui documenti ufficiali disponibili.

Da nessuna parte è scritto che il mancato rispetto degli indicatori porti al diniego della Licenza Nazionale. Quindi il fatto che nessuna squadra di Serie A fosse in una posizione di perfetto rispetto delle richieste non porta alcun tipo di responsabilità formale in capo alla Covisoc e alla FIGC.

Ma se non si vuole perdere il senso della misura, sarà il caso non tanto di rispettare le regole, quanto di concordare una serie di sanzioni e/o provvedimenti per far si che quello che è scritto non sia solo un esercizio teorico, ma diventi realtà. Se le norme non hanno senso, cambiamole in favore di nuove e anche più semplici. Ma poi facciamole rispettare e prendiamo provvedimenti se non accade.

Ci sono in questo momento aziende a Parma (ma non solo) che probabilmente sono poco interessate ai risultati sportivi della squadra e alla diatriba sulla conclusione o meno del campionato, perché indipendentemente da quello che accadrà in Tribunale il 19 marzo sanno di aver perso per sempre una parte importante dei loro crediti (e parliamo di 48 mln di euro). E speriamo che questi fornitori siano abbastanza “robusti” da non fallire a loro volta a seguito di questa situazione, perché sarebbero altre persone che si trovano senza lavoro da un giorno all’altro.

E in questi casi non si ha mai traccia della “carità interessata” della Lega e dei “richiami etici” di Sky. Spariscono tutti alla velocità della luce, perché non è più un “loro” problema.

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Se il calcio italiano fosse una cosa seria

Lotito

Il presidente della Lazio Lotito, afferma nella telefonata a Pino Iodice, dirigente dell’Ischia: di aver detto ad Abodi, presidente della Lega di Serie B, di non far andare in Serie A club come Carpi o Frosinone che rovinerebbero la vendita dei diritti televisivi; che Maurizio Beretta, presidente della Lega di Serie A eletto e rieletto proprio dal cartello Lotito-Galliani, conta zero e non decide nulla. Se il calcio italiano fosse una cosa seria, Lotito andrebbe radiato per illecito e Abodi squalificato per omessa denuncia.

Se il calcio italiano, come scrive egregiamente oggi Paolo Ziliani su Il Fatto, fosse una cosa seria la Federazione sarebbe commissariata ormai da tempo e non dovremmo andare in giro per il mondo con un presidente (Tavecchio) squalificato per razzismo e inibito a prender parte a commissioni e congressi di sorta fino al 7 aprile; non dovremmo esibire un ct (Conte) che alla vigilia degli Europei 2016 sarà costretto a spiegare, in un’aula di tribunale, perché diceva ai suoi giocatori di pareggiare le partite, sempre che i suoi ragazzi non si fossero già accordati con gli avversari per perderle (“era dispiaciuto ma ci disse che comunque lui era con noi”, parola di Lanzafame, Gillet e Kutuzov) e perché tra Siena e Bari ha avuto qualcosa come 40 giocatori squalificati per una montagna di partite vendute; non dovremmo avere a che fare con un garante della giustizia (Palazzi) capace di trasformare ogni Belzebù in un cherubino del Giardino dell’Eden.

Se il calcio italiano fosse una cosa seria, non avrebbe permesso a un personaggio come Lotito di prendere piede, convinto di muoversi nella più totale impunità. Ora che ogni limite (di buon gusto, di buon comportamento, di buona educazione) è stato superato, sarebbe l’ora di porre fine a questa strazio di agonia intervenendo in tackle e commissariando il calcio. Tavecchio? Beretta? Lotito? Palazzi? E tutti i vari Kapò del calcio italiano? Basta!

Come disse Zamparini a Radio 24: “La Lega è un gruppo di 20 deficienti e Beretta ne è il degno capo: non sa niente, è inefficiente e immobile”.  In Italia calcio, politica, economia, tutto marcio e corrotto… forse forse, concedetemi l’amara battuta, se viene l’ISIS stiamo meglio…. loro riuscirebbero a dare “un taglio” al passato e a far tornare la serietà nel calcio italiano.

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C’era una volta la Serie A: 2° Tempo

Seconda puntata sulla crisi del calcio. Dopo aver affrontato i problemi che affliggono il nostro campionato, leggi qui, vediamo come gli altri campionati hanno saputo aggiornarsi e superarci con politiche di modernizzazione e cura dei vivai. E l’idea Superlega alle porte…

La profonda crisi del calcio italiano è espressa come meglio non si potrebbe dai continui scivoloni della serie A nella classifica del Ranking Uefa (“Ranking Uefa, l’indecoroso declino del calcio italiano”). La deriva del sistema è legata soprattutto alla carenza di scelte in campo organizzativo, che vede implicate la Figc di Giancarlo Abete e la conduzione delle Leghe professionistiche.

Altro che modello italiano

Nel calcio esiste un modello inglese che, forse, non tutti invidiano. Alcuni, anzi, proprio non vogliono sentirne parlare. Eppure la struttura messa in piedi Oltre Manica per dare ordine alle quattro categorie professionistiche (dalla prima alla quarta divisione nazionale) si è dimostrata nel tempo vincente rispetto alla nostra. A livello di gestione, è forse meglio avere a che fare con la pletora di club che affligge il nostro sistema (spalmata tra serie A, serie B, Prima e Seconda Divisione di Lega Pro) o non piuttosto interagire con un sistema agile e malleabile costruito su 92 squadre suddivise in quattro categorie? Senza contare che gli stadi inglesi, quasi tutti di proprietà spesso anche nella Football League 1 (la nostra Prima Divisione), sono confortevoli e anche per questo sempre pieni di tifosi. Nonostante i biglietti siano molto più cari che da noi e la crisi economica tutt’altro che tenera da sopportare a quelle latitudini.

C’è anche un modello tedesco, altrettanto sobrio da un punto di vista organizzativo. In Germania, come in Inghilterra, gli stadi sono sempre colmi ai limiti della capienza. I biglietti d’ingresso alle partite sono i meno cari d’Europa. Se ci sono riusciti loro, perché non dobbiamo riuscirci anche noi? Va detto che la Bundesliga sta dando lezioni a tutto il calcio europeo. La Germania infatti, oltre a vantare i migliori bilanci societari del vecchio continente, ha visto più che triplicare i suoi ricavi negli ultimi dieci anni (passati da 577 a 1.715 milioni di euro). Quali le ragioni di un successo che rischia di diventare travolgente e si prepara a far mangiare la polvere a nazioni di grande tradizione sportiva come la nostra?

1. Bilanciamento delle entrate. Il presidente di Lega Reinhard Rauball ha spiegato in modo chiaro il segreto per uscire indenni dalla crisi economica globale. In Bundesliga la tv-dipendenza non esiste. Sponsor, merchandising e ticketing coprono quote elevate dei ricavi. I proventi da diritti tv sono di poco superiori al 30% (in Italia sono mediamente al 64%).

2. Stadi moderni e indici di occupazione ai limiti della capienza. Il confronto su questo terreno è improponibile. Rispetto alla povera Italia del terzo millennio, che deve fare i conti con impianti obsoleti e con un calo crescente del pubblico pagante. Quest’anno il trend degli spettatori in Germania sarà in ulteriore crescita.

3. Biglietti di ingresso a basso costo. Il costo dei tagliandi per assistere alle partite di Bundesliga è il più basso d’Europa. I biglietti sono alla portata di tutte le tasche. Nel pieno rispetto di quello spirito nazional-popolare di uno sport come il calcio che, da lungo tempo, è ormai evaporato nel Belpaese.

4. Equa distribuzione delle risorse. Non ci sono in Germania figli dell’oca bianca e dell’oca nera, come di norma avviene in Italia con vantaggi a carico delle solite privilegiate che finiscono per ammazzare il campionato di serie A e impedire ogni sorta di ricambio. Una voce importante, che porta a campionati sempre combattuti. Da venti anni il vincitore non viene fuori prima delle due ultime giornate e negli ultimi cinque anni si sono aggiudicati lo scudetto tre club diversi.

5. Cura dei vivai. In Bundesliga ogni anno sono investiti cento milioni di euro nelle accademie che alimentano i vivai. Il massimo campionato tedesco è una palestra per nuovi talenti e i club privilegiano i giovani che provengono dai rispettivi settori giovanili. Gli allenatori tedeschi, meno soggetti alla logica del risultato che imprigiona gli omologhi italiani, non hanno remore a lanciare in prima squadra i giovani che hanno qualità. Tra il 2008 e il 2009 la Germania ha fatto incetta di titoli nel settore giovanile, conquistando i titoli europei Under 17, Under 19 e Under 21 (divenuti i veri serbatoi della Nazionale maggiore). Senza contare che, nell’ultima stagione di Bundesliga, gli Under 23 scesi in campo hanno raggiunto la rispettabile percentuale del 15%. Un dato sul quale il presidente della Figc Abete, l’allenatore degli Azzurrri Prandelli e la sua triade di supporto tecnico (Baggio, Rivera e Sacchi) dovrebbero attentamente meditare.

Infine esiste un modello spagnolo. Pur se afflitto da una crisi che sta investendo pesantemente molte società della Liga, il calcio iberico inanella un successo dopo l’altro a livello internazionale. Gli stadi sono sempre affollati e costruiti a misura degli spettatori. Da quelle parti è un vero piacere assistere alle partite. Insomma tutt’altra cosa rispetto a quanto ci tocca vedere nel nostro disastrato panorama.

Il fatto è che, in Italia, il ricordo di un “modello” tricolore si è via via scolorito con il passare del tempo. Si naviga a vista. Il calcio, plasmato a misura della pay tv, sta debilitando le ultime resistenze di una tifoseria che nel passato aveva pochi raffronti in Europa. Manca una linea politica comune, condivisa e sostenibile. Ognuno continua a zappare il suo orticello, dimentico dell’interesse generale. Latita la lungimiranza, che pure dovrebbe contrassegnare l’agire degli umani. Gli stadi sono decrepiti e fatiscenti. L’acquisto dei biglietti è stato trasformato in una corsa a ostacoli. Durante le partite, salvo rare e meritorie eccezioni, prevale un senso di opaco grigiore. Se ancora esiste un modello italiano, si è ormai auto-confinato nella scelta indiscriminata di mettere più barriere possibili alle trasferte e di rallentare in tutti i modi consentiti l’accesso del pubblico negli stadi. Ciò avviene con misure preventive che sono anche e soprattutto punitive nei confronti della parte sana dei tifosi che ancora hanno voglia di assistere dal vivo alle partite. Ecco dunque gli stadi vuoti, la deriva tecnica del nostro calcio, l’arretramento progressivo nelle classifiche internazionali, il disincanto degli appassionati. Dov’è finito il campionato più bello del mondo? E’ davvero questo il modello con cui pensavamo di confrontarci nel terzo millennio?

L’ormai prossima introduzione del fair play finanziario rischia dunque di dare la spallata finale al traballante sistema pallonaro italiano.

Fair Play Finanziario

Il sistema di controllo dei bilanci introdotto dalla Uefa di monsieur Platini si basa su un assioma semplicissimo: un euro speso per ogni euro incassato. Nonostante questo molti club continuano a fare il gioco sporco, alla faccia della lealtà sportiva e dei criteri di pari opportunità. I club dovrebbero sopravvivere con le proprie forze, diversificando sempre più i ricavi. Le entrate andrebbero equamente suddivise tra diritti tv, incassi da stadio (ticketing), sponsorizzazioni e marketing, plusvalenze tra acquisti e cessioni, merchandising. In questa prospettiva il calcio italiano arriva al nastro di partenza in forte ritardo. Lo dimostra un recente studio di Deloitte – società di analisi, consulenza e revisione – che ha elaborato un rapporto sulla situazione complessiva della serie A mettendo a confronto i dati della stagione 2009-2010 con quelli della stagione precedente. I ricavi sono aumentati del 3,6%, toccando quota 1miliardo 736milioni di euro, ma il 52% è rappresentato dai proventi della vendita alle pay tv dei diritti televisivi. Il costo del lavoro è in crescita esponenziale. Gli stipendi (calciatori, tecnici, dirigenti e quant’altro) si mangiano l’80% del fatturato (contro il 74% della stagione precedente). Da registrare un calo delle plusvalenze (-11%) che indica una diminuzione del valore dei cartellini al momento delle cessioni. L’autosufficienza economica verso la quale spinge il ffp è dunque di là da venire per i club della serie A italiana. L’apporto di capitale da parte dei proprietari delle società riveste ancora un ruolo fondamentale nella sostenibilità economico-finanziaria. Nonostante un fatturato in crescita l’apporto di capitali dei proprietari risulta ancora determinante. Pesa fortemente il ritardo accumulato nella costruzione di nuovi stadi allineati ai parametri del calcio europeo. La nota positiva è rappresentata dalla tenuta complessiva del settore rispetto ad altri comparti economici che in Italia sono in forte sofferenza. I ricavi record registrati dalle leghe calcistiche in tutta Europa dimostrano la buona capacità del settore di resistere alle turbolenze economiche.

Questa tendenza trova conferma anche in una ricerca di Stage Up sulle sponsorizzazione sportive. Il loro valore in serie A è diminuito solo dell’1,1%, a fronte di un calo del 9.6% in tutti i settori economici. I 20 club della massima serie, secondo questa analisi, incassano dalle aziende 220,9 milioni di euro. In particolare Fiorentina, Inter, Juventus, Lazio, Milan, Napoli e Roma raccolgono il 75% del totale, vale a dire 165,4 milioni.(Fonte calciopress)

Idea Superlega calcistica europea

Il modello della Superlega è noto: un torneo riservato ai top club dei 5 più importanti campionati europei (Premier League, Liga, Serie A, Bundesliga e Ligue 1), senza retrocessioni e senza nuovi innesti (almeno nella fase iniziale). Una specie di Nba in salsa europea, anche se il nuovo torneo andrebbe “mixato” con i campionati nazionali che certo non potrebbero scomparire anche se obbligatoriamente vedrebbero ridotto il numero delle formazioni partecipanti.

Un campionato ricchissimo – secondo solo all’Nfl, la lega di football americano statunitense – capace di generare 6,3 miliardi di euro. A tanto, secondo StageUp, ammonterebbe il fatturato di una Superlega calcistica europea, espressione dei principali mercati continentali. A giudizio della società bolognese, il nuovo campionato continentale si posizionerebbe giusto alle spalle dell’Nfl – che fattura 7,4 miliardi di euro – superando la Major League di baseball statunitense, il cui giro d’affari è pari a 5,9 miliardi di euro e al campionato di basket della Nba, capace di 3,4 miliardi. Facendo il paragone con l’attuale Champions League, Superlega incasserebbe sei volte tanto e quadruplicherebbe i ricavi medi per singolo club della Serie A, oggi pari a 78 milioni di euro contro i 231 milioni di una squadra Nfl e i 113 milioni di una franchigia Nba. In base ai numeri messi in fila da StageUp, per quanto riguarda i ricavi per singola gara giocata, una squadra Nfl oggi incassa, in media, da diritti tv, commerciale e biglietteria sette volte di più di un club di Serie A: 14,4 milioni contro poco più di 2 milioni di euro. Una franchigia Nba, considerato l’elevato numero di partite giocate in stagione, incassa “appena” 1,4 milioni per gara.

“L’analisi sul potenziale di una eventuale Superlega – spiega in una nota Giovanni Palazzi, presidente di StageUp – dimostra come l’appeal globale del calcio possa generare straordinari ricavi. Va solo definito un modello di business vincente. Quello della Nfl, ad esempio, è particolarmente accentrato sugli aspetti commerciali e di finanziamento per la costruzione degli stadi nonchè sull’equità competitiva garantita, in larga parte, dall’applicazione di un tetto salariale rigido. Una eventuale Superlega, calata sulle problematiche europee di uniformità fiscale e giuslavoristica – chiosa – non potrà fare a meno di confrontarsi su questi aspetti”.

Fuori gioco. Calcio e potere. Da Della Valle a Berlusconi, da Preziosi a Moratti. La vera storia dei presidenti di Serie A. I presidenti sgomitano, attaccano, fanno gol o li subiscono, tra affari, cordate e lobby, patti di sindacato, banche e giornali, operazioni immobiliari e finanziarie, rapporti con la politica, in tribuna e fuori dallo stadio. La trama del potere vista attraverso il calcio passa dalla Prima alla Seconda Repubblica, da Andreotti a Berlusconi, da Geronzi a Profumo.

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C’era una volta la Serie A

Ormai ci siamo questo weekend parte il campionato di serie A. Serie A Tim che compie 82 anni. E li sente tutti come un anziano malato. Match truccati, scommesse, indagini della magistratura, campioni in fuga, pochi abbonati, stadi vecchi e guerra per i diritti tv sul satellite. Ormai il campionato più bello del Mondo e’ solo un ricordo. Mondo alla Rovescia analizza in 3 puntate le ragioni di questo declino. Si comincia con l’interessante articolo di questa settimana pubblicato sull’Espresso. Una dura analisi di Gianfrancesco Turano e le proposte dell’economista Tito Boeri per cercare di salvare lo sport più popolare ed amato del nostro paese.

Partite truccate. Processi sportivi e penali. Campioni in fuga. Stadi vecchi semivuoti. Abbonamenti a rilento.

C’era una volta, ormai tanti anni fa, il campionato più bello del mondo.

La serie A che parte sabato 25 agosto è un sistema in piena recessione, con uno spread di credibilità rispetto ai maggiori tornei d’Europa a 1.200, per dirla con il premier Mario Monti. Le convergenze parallele dell’Italia e del suo culto nazionale maggioritario dicono che la nottata è ancora lunga e che la crisi aumenta scendendo dal vertice verso la base. In Lega Pro, la vecchia serie C, negli ultimi cinque anni la crisi finanziaria ha ridotto i club da 127 a 69. Non è più un calcio per piccoli se anche i grandi faticano. A tenere in piedi la baracca è sempre più la televisione. Ma le due piattaforme pay (Sky e Mediaset Premium) si fanno una tale concorrenza sui prezzi che per mettersi in fila ai tornelli di uno stadio ormai serve il coaching motivazionale. L’inizio della stagione è stato il peggiore possibile con una Supercoppa italiana giocata tra Juventus e Napoli a Pechino. L’idea della Lega calcio, la litigiosa confindustria del pallone, era di aprire un varco nei mercati asiatici ricchi di tifosi-consumatori e poveri di squadre ad alto livello. È finita in bagarre per l’arbitraggio, con il Napoli sconfitto che si è rifiutato di presentarsi alla premiazione. Più facile piazzare un Btp a dieci anni che un teatrino del genere. E del resto, con la stessa ottica evolutiva, dieci anni fa la Supercoppa si è giocata a Tripoli (Juventus-Parma) in omaggio alla famiglia Gheddafi.
Allora come oggi, gli alti dirigenti del calcio nazionale hanno spiegato che bisogna mettersi al passo con la modernità. Deve essere che la modernità si è allenata meglio perché non ci fa vedere palla.

La Procura attacca a Pieno organico

Le nuove abitudini del campionato 2012-2013 includono, tra un match e l’altro, il notiziario delle Procure penali che indagano sul sistema delle partite truccate. Le inchieste di Cremona, Bari, Napoli, con la probabile aggiunta di Genova, proseguiranno a lungo. Nel frattempo i processi sportivi stanno definendo un elenco già lungo di penalizzazioni tra serie A e serie B. Le sentenze di primo grado emesse dalla Disciplinare hanno mostrato i limiti dell’autonomia giudiziaria del calcio: pentiti credibili a corrente alternata, patteggiamenti anche troppo comodi, multe alla portata di tutte le tasche e una buona fetta di assoluzioni. Il risultato più clamoroso rimane la squalifica di dieci mesi per l’allenatore della Juventus campione d’Italia, Antonio Conte, condannato per due omesse denunce risalenti alla sua esperienza sulla panchina del Siena. Inizialmente, il club della famiglia Agnelli ha sciorinato una strategia processuale all’insegna dello scontro frontale. Per quanto giovane, il presidente Andrea Agnelli fatica a liberarsi di un revanscismo nato con i due scudetti tolti ai bianconeri per Calciopoli e proseguito con una richiesta di danni alla Figc per 400 milioni di euro, una somma pari ai trasferimenti di un anno dallo Stato alle 45 federazioni sportive nazionali. Quando qualcuno ha convinto Agnelli a fare meno il tifoso e a non trasformare il calcioscommesse in un processo alla Juve, la Vecchia Signora ha cambiato linea difensiva. Sono arrivate così le assoluzioni di Simone Pepe e, soprattutto, del titolare della Nazionale di Prandelli, Leonardo Bonucci, un capitale tecnico ed economico molto consistente. Conte, che era stato costretto a patteggiare dalla società, passa al giudizio di secondo grado in Corte Federale con scarse speranze di assoluzione e concrete aspettative di sconto. Se tornasse sulla panchina bianconera all’inizio del 2013 non ci sarebbe da stupirsi.

In 60 mila allo stadio, per costruirlo

La legge bipartisan sugli stadi forse ce la fa a passare(leggi qui). A settembre va in terza lettura al Senato, dopo un blocco di tre anni alla Camera dovuto in larga parte ai tentativi di emendamento del presidente laziale e latinista Claudio Lotito. Emendamenti pro domo sua, absit iniuria verbis. «La legge sugli impianti sportivi», dice il senatore Pdl Butti, che dà il nome al provvedimento insieme al deputato Pd Giovanni Lolli, «sarà approvata entro l’anno. Non è una legge per speculatori, non è un ladrocinio legalizzato di denaro pubblico come Italia ’90 e non sono previste deroghe ai vincoli urbanistici. Se questo fa arrabbiare qualche presidente, pazienza. A regime, la legge creerà 60 mila posti di lavoro». Il nuovo stadio della Lazio avrà dunque vita dura visto che la zona prescelta è in Val Tiberina, sui terreni a rischio idrogeologico di Cristina Mezzaroma in Lotito e del fratello Marco Mezzaroma in Mara Carfagna, coinvolti nella gestione della Salernitana del multiproprietario Lotito.  L’Udinese sarà il primo club ad affiancare la Juventus nello sviluppo di un nuovo impianto. All’inizio di agosto Gianpaolo Pozzo ha firmato l’accordo con la giunta comunale per la ristrutturazione del “Friuli” entro il 2014. Un accordo simile sembra in dirittura di arrivo tra Aurelio De Laurentiis e il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, alla guida di una giunta che perde pezzi come il San Paolo. A settembre la Roma annuncerà il fortunato estratto fra gli oltre 80 lotti di terreno offerti dai palazzinari della Capitale impantanati nella crisi del real estate. Il gruppo dei possibili vincenti si è già ridotto a meno di una decina di aree dopo una prima selezione dell’advisor immobiliare Cushman & Wakefield. All’ultimo minuto, l’Eni ha proposto l’ex Gazometro che ha il merito di essere centrale e in una zona (Ostiense-Testaccio-Garbatella) dove i laziali sono rari come i panda. Il problema sta nei lavori di bonifica, stimati in una cifra astronomica (200 milioni di euro). Inoltre i lavori in piena città paralizzerebbero il sud di Roma per quattro anni. Il sindaco Gianni Alemanno preferisce Tor di Valle (proprietà del costruttore Parnasi), già collegata dalla linea ferroviaria Roma-Lido. La scelta finale sarà frutto di una mediazione tra il Campidoglio e il futuro presidente romanista Jim Pallotta. Per ora, il nuovo stadio ha fatto il miracolo di distendere i rapporti Roma- Juventus magari anche perché Cushman & Wakefield appartiene al gruppo Exor, la holding che è principale azionista della Fiat e della Vecchia Signora. Al clima da intesa cordiale resiste mister Zdenek Zeman, mangiatore di bambini juventini e critico sul fatto che Conte continui ad allenare la Juve anche se non siede in panchina. Nuovo stadio in vista anche per il Cagliari a Quartu Sant’Elena, dove sarà ristrutturato il vecchio impianto di Is Arenas, e per la Sampdoria neopromossa dei Garrone. L’usato, per lo più, prevale sul nuovo. Tra le eccezioni c’è l’Inter in formato Repubblica popolare cinese del presidente Massimo Moratti e del figlio vicepresidente Angelomario detto, con lungimiranza, Mao. La China Railway Construction dovrebbe costruire l’impianto dei nerazzurri, mentre altri investitori cinesi ancora da individuare entreranno nel capitale del club più in rosso d’Italia (quasi 1,5 miliardi di euro di perdite sotto la gestione Moratti) con una quota tra il 15 e il 30 per cento.

Cinesi, americani e fabbrica di debiti

Con conti economici e stati patrimoniali da retrocessione, i club di serie A sperano nei cavalieri bianchi, o di qualunque colore eventuale, in arrivo dall’estero con container di denaro al seguito. I sogni sono duri a morire. Finora l’unico zio d’America, Tom Di Benedetto della Roma, è arrivato per tagliare stipendi (da 101 a 80 milioni di euro). L’unico mezzo oligarca russo, Yuri Korablin, bivacca a Venezia, dove la squadra è appena riuscita a salire dalla serie D alla Seconda divisione di Lega Pro, l’ex C2. Non proprio il Chelsea di Roman Abramovich. La quota libica nella Juve è svanita dopo il crollo della famiglia Gheddafi. I cinesi, anche quelli interisti, sono businessmen poco inclini allo sperpero. Gli arabi che dovevano entrare nel Palermo di Maurizio Zamparini sono diventati una gag da Ficarra&Picone e anche gli emiri interessati a una fetta di Milan non hanno ancora trovato un motivo valido per comprare una quota di minoranza in una società in perdita dove non conterebbero nulla e dove, presidente o non presidente, trapiantato o calvo, da 26 anni comanda sempre lo stesso. I capitali esteri non salveranno la serie A. Del resto non hanno salvato, anzi, hanno devastato la Premier League che ha tolto alla serie A il titolo di campionato più bello a costo di un indebitamento mostruoso. L’ultima Review of Football Finance curata da Deloitte lo stima in 2,4 miliardi di sterline (oltre 3 miliardi di euro) contro i 2,6 miliardi della serie A. Quanto alla Liga, è tecnicamente fallita. I finanziamenti del consorzio Bankia presi dalla Bce e girati ai top club spagnoli rappresentano uno dei maggiori scandali finanziari del 2012. I trionfi mondiali ed europei della nazionale di don Vicente Del Bosque passano attraverso un indebitamento che supera i 3,5 miliardi di euro. Di questi, oltre 2 miliardi derivano dalle follie di mercato dei top club come Real Madrid (589 milioni di debiti), Barcellona (578 milioni), Atlético Madrid (514 milioni) e Valencia (382 milioni). Tuttavia, il tifoso se ne frega della finanza. Il calciomane italiano è scontento solo perché, sul piano tecnico, le squadre inglesi, il Barça, il Real che ha suonato il Milan in amichevole estiva, sono fuori dalla portata delle nostre squadre, salvo difendere in undici sulla linea di porta. Detto che i nuovi stadi comporteranno un aumento consistente dell’indebitamento lordo, è anche vero che la nuova autarchia potrebbe essere un’opportunità per lavorare al rilancio, se il fair-play finanziario promosso da Michel Platini aiuta il sistema del calcio continentale a ritrovare un minimo di equilibrio tra poveri ma intenditori e scialacquatori incompetenti. Intanto, prosegue il valzer degli addii.

Uscenti ed emergenti

Quest’anno la rubrica “ci hanno lasciato” è ricca di nomi. Zlatan Ibrahimovic, Thiago Silva, Ezequiel Lavezzi, Fabio Borini sono gli scappati eccellenti. Da qui alla chiusura del mercato a fine agosto potrebbero essercene altri. La novità è che persino la Francia è diventata un concorrente, grazie al Psg dei principi del Qatar, la famiglia al Thani (145 milioni spesi soltanto per Thiago, Ibra e il brasiliano Lucas). Per tenere buoni i tifosi, i presidenti nostrani fanno la faccia triste e allargano le braccia. In realtà, non vedevano l’ora che qualcuno li liberasse dal ricatto finanziario delle star superpagate. Silvio Berlusconi ha dato la scossa più forte con un taglio degli ingaggi da 190 a 130 milioni di euro. La figlia Barbara, erede designata agli affari rossoneri, ha unito l’utile al dilettevole sgombrando Milanello dai rivali del fidanzato Pato. L’Inter è talmente giovanilista da avere confermato in panchina l’ex allenatore della Primavera romanista Andrea Stramaccioni. La serie A ha quindi accettato il ruolo di mercato secondario e si è buttata sui giovani, non necessariamente italiani. Nel giro di poche settimane lo slogan si è diffuso nell’intera Lega calcio. Il mantra di tutti è diventato Moneyball, un film dell’anno scorso con Brad Pitt e Philip Seymour Hoffman. La trama, ispirata a una storia vera, racconta di una squadra di baseball che ingaggia per un pugno di dollari un gruppo di giocatori incompresi e li valorizza. Messa così, sembra facile. Molti incompresi sono tali a buon diritto e non sempre i giovani mantengono le promesse. Le maggiori aspettative sono su Mattia Destro. L’attaccante comprato dalla Roma è stato l’uomo-mercato. Occhio anche a Ciro Immobile (Genoa), di scuola zemaniana, e a Luis Muriel, l’ennesimo acquisto che procurerà plusvalenze multimilionarie all’Udinese. Ma il vero colpo l’ha fatto il Napoli prendendo dal Pescara Lorenzo Insigne, seconda punta alta 163 centimetri, 21 anni, made in Naples. Sul Golfo i profeti in patria sono rari (Totonno Iuliano, i fratelli Cannavaro, Ciro Ferrara) ma su Insigne si può scommettere anche senza il trucco. Un italiano così forte a 21 anni non si vedeva da parecchio. Il problema sarà tenere lui e gli altri a giocare in serie A per più di un paio di stagioni. (gianfrancesco turano)

Dr. Pulvirenti e Mr WindJet

Tra i miracoli del calcio c’è quello di Antonino Pulvirenti. In veste di presidente del Catania calcio, fino alla fine di luglio l’imprenditore di Belpasso ha tenuto conferenze stampa e incontri col sindaco Raffaele Stancanelli sul nuovo stadio dei rosazzurri. L’impianto costerà 90 milioni di euro e sarà realizzato al quartiere del Librino, in zona aeroporto. Quello stesso aeroporto dove, dal 12 agosto, hanno smesso di atterrare i voli della Wind Jet di Pulvirenti con 300 mila persone bloccate a terra e 500 dipendenti della compagnia aerea a rischio disoccupazione. La storia ha dell’incredibile solo per chi ignora il potere salvifico e il privilegio di immunità che si accompagna alla presidenza di una squadra, meglio se di serie A. Così sui quotidiani tengono banco le polemiche tra il management Wind Jet, l’Alitalia che chissà perché dovrebbe salvare la compagnia siciliana, l’altrettanto siciliano Vito Riggio, numero uno dell’ente dell’aviazione civile (Enac), e le associazioni dei consumatori che sottolineano l’ennesimo caso di crisi del low cost alla vigilia delle vacanze estive. Ma basta andare alla pagina dello sport e ci si può informare sul vivace calciomercato del Catania, con otto acquisti a fronte di quattro cessioni. E mancano ancora un rinforzo difensivo e un centrocampista. Eppure Wind Jet e Catania sono controllate dalla stessa holding, la Finaria, a sua volta posseduta al 90 per cento da Pulvirenti. Per Finaria, che ha 348 milioni di ricavi consolidati nell’ultimo esercizio disponibile (2010) con un utile netto di 3 milioni, la compagnia aerea rappresenta circa due terzi dell’attività di gruppo con una perdita di 3 milioni. Altri 100 milioni di euro vengono dai supermercati della Meridi e 55 dal Catania che ha chiuso la stagione 2010-2011 con risultati in crescita e un utile di 6,5 milioni ottenuto grazie a una politica di mercato concentrata su giocatori argentini da lanciare. Lanciati anche l’allenatore Vincenzo Montella, passato alla Fiorentina dei Della Valle, e il direttore sportivo Pietro Lo Monaco, che si è messo in proprio acquistando il Messina in serie D. I passeggeri Wind Jet si sono invece lanciati a loro spese ricomprando il biglietto a caro prezzo (g.t.)

L’analisi di Boeri

A giudicare dal debito astronomico delle squadre di serie A e B, dal calo delle presenze negli stadi e dal sempre minor numero di star internazionali che giocano nel nostro campionato, il calcio è oggi in una crisi ancora più profonda di quella che da tempo affligge l’economia italiana. Necessiterebbe forse di un esecutivo tecnico che faccia quelle cose che gli organi di governo del calcio non sono riuscite a fare in tutti questi anni: ridurre il numero di squadre professionistiche, imporre davvero il risanamento dei loro bilanci come condizione per l’iscrizione ai tornei e reprimere duramente l’illecito sportivo, tuttora dilagante. Sono tutte misure fondamentali per ridare credibilità al calcio ed evitarne il fallimento. Ma c’è già stata una breve stagione di commissariamento del nostro sport più popolare, dopo lo scandalo di Calciopoli. E a parte per il fatto di essere stata quella in cui l’Italia ha vinto i mondiali di Germania, questa stagione difficilmente verrà ricordata come un momento di svolta. Tutto è rimasto come prima. Inoltre c’è sempre il problema che si incontra ogniqualvolta si ricorre a soluzioni di governance transitorie, giustificate dall’emergenza: cosa accadrà dopo? È, dopotutto, lo stesso interrogativo che ostacola gli sforzi del governo Monti di ridare credibilità al nostro Paese. Per il calcio allora è bene pensare, più che a esecutivi tecnici, a cambiamenti permanenti nelle strutture di governo, aprendole maggiormente a ciò che oggi rappresenta forse l’elemento più vitale della nostra industria del calcio: il fortissimo interesse che continua a raccogliere tra gli italiani e la realtà vitale del calcio dilettantistico. Tre italiani su quattro si dichiarano interessati o molto interessati al calcio, 32 milioni di nostri connazionali seguono la nazionale, 28 milioni la serie A, 26 milioni la Champions League, mentre si giocano nella penisola la bellezza di 600 mila partite regolamentari ogni anno, più che nel Regno Unito, la culla del football moderno. Oggi ai vertici del calcio italiano c’è una struttura duale. Da una parte, c’è la Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc) che rappresenta, almeno in linea di principio, gli interessi più generali e che, almeno sulla carta, dovrebbe regolamentare lo sport e vigilare sul rispetto delle regole. Dall’altra parte, c’è la Lega Nazionale Professionisti nelle sue varie articolazioni, che dovrebbe sulla carta occuparsi di migliorare il clima competitivo e creare maggiore interesse attorno al nostro Campionato. La Lega, in realtà, è una struttura di autogoverno la cui funzione principale è divenuta quella di gestire, per conto delle squadre iscritte al Campionato, le aste per la cessione dei diritti tv. Di fronte al calo vistoso delle risorse pubbliche per le attività sportive e alla crescente importanza dei diritti tv nelle entrate delle squadre, la Lega è diventata oggi l’organo di governo più importante per il calcio professionistico. Questo è un problema perchè la Lega rappresenta solo una componente del calcio e certo non tiene conto degli interessi generali e delle ricadute che il pallone ha sulla società e l’economia italiana. La Lega, ad esempio, è stata sempre molto timida nel condannare gli illeciti sportivi di cui si sono rese protagoniste diverse squadre, a partire dai loro vertici. Inoltre la Lega ha dimostrato in tutti questi anni di non essere in grado di prendere decisioni, a partire dal rinnovo delle sue cariche direttive. Il suo presidente è ancora Maurizio Beretta nonostante sia da tempo dirigente Unicredit. Bisogna dunque superare questa struttura duale rendendo la Figc l’unica autorità di regolamentazione del calcio. Bene in questa riforma, prevedere come in altri paesi il coinvolgimento nella governance del calcio anche di quegli stakeholder che sin qui sono stati tenuti rigorosamente fuori dagli organi decisionali, vale a dire gli appassionati di calcio, premiando coloro che vanno allo stadio, pur non facendo parte di alcun gruppo di tifoseria organizzata. Questi sostenitori non organizzati dovrebbero essere dotati di una tessera del «bravo tifoso». Non mi riferisco alla tessera del tifoso introdotta dall’ex-ministro Maroni, che si è presto rivelata una sorta di card dei gruppi organizzati; ma di una tessera per i singoli tifosi che vanno pacificamente allo stadio, come la fidelity card proposta dal ministro Cancellieri. La tessera dovrebbe attribuire il diritto di eleggere dei propri rappresentanti ai vertici della Figc. Perché è vero che gli individui possono sempre votare con i piedi, in questo caso cessando di andare allo stadio, ma nella realtà attuale del calcio in Italia, si tratterebbe di un’arma spuntata. Dopo Calciopoli le presenze allo stadio delle squadre coinvolte sono fortemente diminuite, ma la delusione degli spettatori che cessano di andare allo stadio rischia di passare inosservata, perché i redditi da stadio occupano una piccola fetta nei fatturati delle squadre italiane. Se imponessimo alle società di calcio di avere dei bilanci più trasparenti, spingendole ad aumentare i ricavi da stadio, anche le reazioni degli spettatori alla corruzione servirebbero come «disciplining device», imponendo alle società comportamenti diversi. Un altro modo di coinvolgere gli appassionati di calcio consiste nell’aprire la struttura proprietaria ai sostenitori, come nella Bundesliga dove il 50,1 per cento della proprietà deve essere nelle mani di un’associazione sportiva fortemente radicata sul territorio, il cui voto è fondamentale per la nomina degli organi sociali. In Italia solo la Fiorentina ha aperto in modo permanente le riunioni dei propri organi sociali alle istituzioni locali. Un altro modello da cui si potrebbe trarre spunto è quello di alcune squadre della Liga spagnola (tra cui Real e Barcellona) che permettono ai tifosi di diventare soci e di votare. Quale che sia il modello adottato, è fondamentale che nelle scelte delle società pesino di più le esigenze degli appassionati, troppo spesso del tutto ignorati nelle scelte sui calendari e presi in giro nelle campagna di abbonamento con promesse mai realizzate. Dare più peso agli appassionati non organizzati significa anche isolare le tifoserie organizzate che sono oggi l’unico referente delle società e che troppo spesso hanno tenuto sotto scacco i presidenti delle squadre minacciandoli di organizzare disordini allo stadio, inevitabilmente sanzionati con multe a carico delle società.

Fuori gioco. Calcio e potere. Da Della Valle a Berlusconi, da Preziosi a Moratti. La vera storia dei presidenti di Serie A. I presidenti sgomitano, attaccano, fanno gol o li subiscono, tra affari, cordate e lobby, patti di sindacato, banche e giornali, operazioni immobiliari e finanziarie, rapporti con la politica, in tribuna e fuori dallo stadio. La trama del potere vista attraverso il calcio passa dalla Prima alla Seconda Repubblica, da Andreotti a Berlusconi, da Geronzi a Profumo.

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