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Le 50 verità di Putin sulla Crimea

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Il 18 Marzo 2014, dal Cremlino, il presidente Vladimir Putin ha pronunciato un discorso storico, a seguito del referendum tenutosi in Crimea. I media occidentali hanno scelto di ignorare il punto di vista russo sulla crisi ucraina. 

  1. La Crimea è parte della storia russa e questa realtà è radicata nei cuori e nella mente dei suoi abitanti. Lì fu battezzato il Gran Principe Vladimir I. Sempre in questo territorio si trovano molte tombe dei soldati russi che permisero l’integrazione della Crimea all’Impero russo.
  2. Sebastopoli è la culla della Flotta russa del Mar Nero.
  3. Dopo la Rivoluzione del 1917 i bolscevichi aggregarono arbitrariamente una gran parte del sud storico della Russia all’Ucraina. Questo venne fatto senza tener conto della composizione etnica della popolazione, e oggi queste zone formano il sud-est dell’Ucraina.
  4. Nell’aprile del 1954 la Crimea venne ceduta all’Ucraina così come Sebastopoli, anche se era una città federale. Fu un’iniziativa personale dell’allora capo del Partito Comunista Nikita Krusciov.
  5. Quella decisione venne presa violando totalmente le norme vigenti in quell’epoca, senza chiedere  l’opinione degli abitanti della Crimea e di Sebastopoli. Se ne resero conto a giochi fatti.
  6. In quell’epoca Ucraina e Russia erano parte di un unico Stato, l’URSS, neanche si poteva immaginare che un giorno si sarebbero separati.
  7. A seguito del crollo dell’Urss la gente delle vecchie repubbliche sovietiche sperava che la nuova Comunità di Stati Indipendenti diventasse la nuova forma dello Stato. I dirigenti poi promisero una moneta unica, uno spazio economico unico e una forza armata congiunta. Ma così non fu.
  8. Poi saccheggiarono la Crimea alla Russia.
  9. Col crollo dell’Unione Sovietica milioni di persone “si addormentarono in un paese e si svegliarono in un altro, diventando da un giorno all’altro minoranze etniche nelle ex Repubbliche dell’URSS, mentre la Russia è diventato uno dei più grandi, forse il più grande, gruppo etnico al mondo diviso dalle frontiere”.
  10. Nel 1991 i residenti di Crimea e Sebastopoli furono abbandonati al loro destino. E’ il sentimento generale condiviso dagli abitanti di questa regione.
  11. Per il quieto vivere e per un buon vicinato la Russia non ha rivendicato la Crimea e Sebastopoli che gli sarebbero, tra l’altro, appartenuti di diritto.
  12. Nel 2000, dopo una trattativa col Presidente ucraino Leonid Kuchma, la Russia ha riconosciuto che la Crimea era de facto e de jure territorio ucraino.
  13. La Russia sperava che l’Ucraina mantenesse un’amicizia reciproca e che i cittadini russi, e i russofoni, in particolare nel sud-est della Turchia e in Crimea, venissero protetti e potessero godere dei loro diritti.
  14. Tuttavia russi e russofoni negli anni sono stati sottoposti a sempre maggiori tentativi di assimilazione forzata e di “privazione” della loro memoria storica.
  15. Le attuali aspettative del popolo ucraino per un miglioramento della vita sono legittime.
  16. La Russia era “vicina” ai manifestanti di piazza Maidan che rifiutavano la corruzione, il mal governare dello Stato e la povertà. Erano tutte rivendicazioni legittime secondo Mosca.
  17. Nel 2013 tre milioni di ucraini sono emigrati in Russia per lavoro, le loro entrate furono di 20 milioni di dollari, circa il 12% del PIL dell’Ucraina.
  18. Tuttavia il 21 febbraio del 2014 i cospiratori hanno rovesciato un governo legittimo, preso illegalmente il potere ricorrendo al terrore, agli omicidi e ai saccheggi. Alcuni nazionalisti, neonazisti nemici dei russi e antisemiti hanno eseguito questo golpe e ora sono al comando.
  19. Gli Stati Uniti e l’Europa occidentale sono complici in questo colpo di stato e riconoscono ufficialmente le nuove autorità.
  20. Il nuovo Governo de facto ha immediatamente presentato una proposta di legge di revisione della politica linguistica, una diretta violazione dei diritti delle minoranze etniche, con l’obiettivo, tra l’altro, di proibire la lingua russa.
  21. Oggi non vi è nessuna autorità esecutiva legittima in Ucraina.
  22. I sostenitori dell’autorità legittima sono stati repressi, a partire dalla Crimea.
  23. Di fronte a questi avvenimenti gli abitanti di Crimea e Sebastopoli si sono rivolti alla Russia per essere aiutati a difendere i loro diritti e le loro vite e per prevenire la diffusione degli eventi di Kiev, Donetsk, Kharkov e di altre città ucraine.
  24. La Russia aveva il dovere di rispondere alla chiamata degli abitanti di Crimea che si sentivano in pericolo.
  25. In nessun momento la Russia ha violato i diritti internazionali. Le forze armate russe non sono mai entrate in Crimea poiché si trovavano già li.
  26. Gli accordi militari prevedono una presenza di 25.000 soldati russi in Crimea e mai si è superato questo limite.
  27. Il Consiglio Supremo della Crimea, prevedendo che le nuove autorità golpiste non avrebbero garantito i diritti della regione, ha preso come riferimento la Carta delle Nazioni Unite e più precisamente il diritto dei popoli all’autodeterminazione per dichiarare la sua indipendenza e organizzare un referendum.
  28. Il 16 marzo 2014 l’82% degli elettori ha partecipato alla consultazione e il 96% dei votanti si è pronunciato a favore della riunificazione con la Russia.
  29. L’Ucraina nel ’91 adottò lo stesso procedimento quando decise di separarsi dall’URSS. L’Ucraina ha approfittato di questo diritto e ora lo nega agli abitanti della Crimea. Perché?
  30. La popolazione della Crimea è di 2,2 milioni di persone tra cui 1,5 milioni di russi, 350mila ucraini madrelingua russa e 300mila tartari.
  31. Le autorità della Crimea hanno usato esattamente lo stesso procedimento del Kosovo quando decise di separarsi dalla Serbia, con l’appoggio dei paesi occidentali, senza chiedere autorizzazioni alle autorità centrali.
  32. Sulla base dell’Art.2 del Capitolo 1 della Carta delle Nazioni Unite, la Corte Internazionale dell’ONU ha approvato tale decisione. “Nessun divieto generale può essere dedotto dai precedenti del Consiglio di Sicurezza per quanto riguarda le dichiarazioni d’indipendenza. Il diritto generale internazionale non prevede alcun divieto contro le dichiarazioni d’indipendenza”.
  33. Il 17 aprile del 2009, per quanto riguarda il Kosovo, gli Stati Uniti hanno sottoposto alla Corte Internazionale delle Nazioni Unite il seguente testo: “Le dichiarazioni d’indipendenza possono, ed è questo il caso, violare le leggi nazionali. Tuttavia ciò non costituisce una violazione del diritto internazionale”.
  34. I principi validi per il Kosovo devono esserlo anche per la Crimea.
  35. L’esercito russo non ha sparato nemmeno una volta e non ha causato alcuna vittima.
  36. La situazione Ucraina riflette il mondo di oggi. I paesi occidentali, guidati dagli Stati Uniti, preferiscono la forza delle armi a quella dei diritti e pensano di poter decidere autonomamente il destino del mondo. Usano la forza con gli stati sovrani, creano coalizioni basandosi sul seguente principio: “Se non siete con noi siete contro di noi”.
  37. “Per dare un’apparenza di legittimità alle sue aggressioni obbligano le organizzazioni internazionali ad adottare le necessarie contromisure, e se per un qualsiasi motivo non funziona ignorano semplicemente il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e le Nazioni Unite intere”.
  38. Un esempio è la Yugoslavia nel 1999 quando Belgrado fu bombardata per settimane senza alcuna risoluzione dell’ONU. Stessa cosa per Afghanistan e Iraq. In quanto alla Libia si è violata la risoluzione del Consiglio di Sicurezza perché invece di imporre una no fly-zone hanno cominciato a bombardarla.
  39. Il colpo di Stato in Ucraina, organizzato dai paesi occidentali, ha l’obiettivo di impedire l’integrazione eurasiatica.
  40. L’espansione della NATO verso Est e il dispiegamento di strutture militari, come i sistemi di difesa antimissile, alle porte della Russia, sono le prove lampanti di questo.
  41. In Ucraina le nazioni occidentali hanno passato la “linea rossa”.
  42. Milioni di russi vivono in Ucraina e in Crimea, bisogna mancare d’istinto politico per non prevedere le conseguenze di tali atti.
  43. “La Russia si è trovata in una posizione dalla quale non poteva ritirarsi. Se si comprime al massimo una molla un giorno questa libererà una gran forza. Si dovrebbe sapere questo”.
  44. La Russia è un partecipante indipendente e attivo negli affari internazionali, come altri paesi ha i propri interessi nazionali da prendere in considerazione e rispettare. Soprattutto con la prospettiva che l’Ucraina si integri alla NATO.
  45. Il popolo russo aspira a ristabilire l’unità del suo territorio, del quale fa parte la Crimea.
  46. Il rispetto per i diritti dei russi e degli abitanti di lingua russa in Ucraina sono “la garanzia di stabilità dello stato ucraino e della sua integrità territoriale”.
  47. La Russia vuole mantenere relazioni amichevoli con l’Ucraina.
  48. Secondo indagini condotte in Russia, il 92% dei cittadini è a favore della riunificazione della Crimea con la Russia.
  49. La Crimea in futuro avrà tre lingue nazionali tutte sullo stesso piano d’importanza: russo, ucraino e tartaro.
  50. La crisi ucraina si deve risolvere attraverso la politica e la diplomazia secondo la costituzione del paese. Il linguaggio della forza, coercizione o minaccia non avrà nessun effetto sulla Russia.

(Fonte traduzione articolo rebelion)

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Cosa sappiamo (o non sappiamo) della crisi in Ucraina?

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Non sono un esperto d’Ucraina, non l’ho neppur visitata. Come milioni di altri cittadini, mi affido ai report dei media per capire almeno qualcosa di quel che pare avere implicazioni potenzialmente molto gravi. Perché mi sento così frustrato per ciò che ottengo? Perché ho tante domande dopo settimane di trattazione mediatica? E quanto ne capiranno concittadini con solo qualche minuto al giorno per familiarizzarsi con tematiche come questa (eccetto che Putin è un cattivo)?

È un conflitto, no? Vorrei sapere quali sono le dimensioni ucraine interne, gli aspetti regionali est-ovest-europei e UE/NATO e che cosa tutto questo abbia a che fare con le dinamiche globali, per esempio la politica estera USA, l’espansione NATO sin dalla fine della guerra fredda, gli interessi strategici della Russia e i rapporti Russia-NATO. E dove stanno Cina e altri paesi BRICS in tutto ciò? Internamente, vorrei essere informato sulla composizione etnica e la geografia, sul ruolo dei russi senza trascurare gli ebrei, e i rapporti storici fra Russia e Ucraina. In prospettiva più ravvicinata, quando cominciò l’Occidente a considerare l’Ucraina un paese interessante? Perché George Bush Sr. e James Baker promisero a Mikhail Gorbachev che l’Occidente non si sarebbe mai espanso fino ai confini della Russia – e tuttavia la NATO cominciò a essere un tema in Ucraina nel 1995? Sarebbe davvero bello imparare dai media come anche qui, come ovunque altrove, la mala gestione e la crisi economica ubiqua abbiano causato neo-nazismo, anti-semitismo rampante e insoddisfazione generalizzata? E perché l’anti-semitismo sia trattato così poco ovunque nella stampa occidentale. Come mai aspetti importanti di retroscena come questi si traducano così facilmente in atteggiamenti semplificati anti- o pro-russi?

Sicurezza – che cos’è legittimo? Penserei che in un mondo mediatico dominato dagli USA che mostra ogni comprensione per i bisogni di sicurezza USA, le sue basi militari e il suo interventismo a livello mondiale in nome della sicurezza nazionale, un tal mondo avesse qualche modesta comprensione dell’importanza – davvero essenziale – dell’Ucraina per la Russia in termini non solo strategici, ma anche storici e culturali, e che c’è un limite, un confine, sul quale bisognerebbe rinunciare agli interessi occidentali. Dopo tutto, Ucraina significa ‘confine’ ben per qualche ragione. Non capisco perché il segretario di stato USA Kerry parli di quanto gli americani stiano intensamente dietro l’opposizione ucraina (che, ahimè, comprende pugili, teppisti, nazionalisti russofobi, neo-nazisti e anti-semiti) e parli anche minacciosamente alla Russia sul non-intervento militare in stati sovrani – come se gli USA non l’avessero mai fatto essi stessi, in particolare in aree molto distanti da sé. Stranamente, i giornalisti non gli domandano che cosa intende?

Fottere Putin: cambio di regime? Una narrativa è assente in tutti i servizi mediatici mainstream occidentali: quella del cambio di regime finanziato da Washington. Per tutta quanta Internet si possono trovare report su un’azione clandestina, una diplomazia informale e massicci finanziamenti d’istituti USA miranti appunto a ottenere quanto è appena successo. Ecco un ex-ministro USA (con Reagan), Paul Craig Roberts, affermare in proposito che gli USA hanno speso 5 miliardi di $ in interferenze e destabilizzazioni del governo dell’Ucraina. Altrove vedo come il vice-presidente USA Joe Biden sia stato eccezionalmente influente e sappiamo come la sottosegretaria di stato Victoria Nuland – neo-conservatrice – interagisse al telefono con Geoffrey Pyatt, l’ambasciatore USA a Kiev – il famoso nastro “Fotti l’UE” (trascrizione). Quel che è ovvio da questa trascrizione è che gli USA sono coinvolti al massimo livello fin dall’inizio nell’agevolare un cambio di regime. Ed è davvero difficile che lo facciano se non nel proprio interesse. Allora la conversazione è molto più importante come bandolo per un’operazione di cambio di regime che per quella parola sboccata. Mi sembra che qualcuno a Washington possa pensare da 2-3 mesi Fotti Putin.…

Crimea. Sarebbe certo d’aiuto che i media con un po’ d’ambizione a contribuire all’istruzione pubblica si fossero focalizzati sulla Crimea, la sua storia, il suo statuto speciale e la sua importanza militare – [almeno] adesso che la sede del suo parlamento e gli aeroporti sono stati occupati. La Crimea è colma di strati di storia e ha lo statuto di un’importante repubblica parlamentare autonoma nell’ambito dell’Ucraina, governata dalla costituzione ucraina e però sede della flotta russa del mar Nero. Wow, complicato, o sbaglio? Chi ci spiegherà che cosa significhi? Nessuno, pare. Un tale sguardo richiederebbe ricerca e talento pedagogico; è molto più facile far notare invece come quel cattivone di Putin stia “flettendo i muscoli della Russia” (formulazione ripetuta in migliaia di titoli se si fruga in Google). Il che non richiede alcuna conoscenza di alcunché e nessuna empatia – voglio dire: che farebbe Kerry se qualcosa minacciasse la zona confinaria USA o una sua base navale estremamente importante?

Soluzioni? Dopo di che, credo che mi sarebbe piaciuto vedere qualcuno che svolgesse un compito essenziale, secondo me, nella trattazione mediatica: cercare eventuali soluzioni espresse dai contendenti del conflitto. L’ipotesi soggiacente sembra essere che l’Ucraina deve o appartenere alla sfera d’influenza russa o esserne strappata via per appartenere al mondo UE/USA/NATO. Ma non ci vuole molta creatività per vedere che i due potrebbero essere combinati pacificamente e che il tema non è che cosa vogliano o esigano forze esterne ma quel che 45 milioni di persone in Ucraina possano volere per il proprio futuro. Non dovrebbe essere così difficile che i giornalisti distolgano lo sguardo dai comunicati occidentali e vaghino un po’ in Internet, facendo qualche ricerca e controllando le fonti. Effettivamente quelli sono compiti più facili che mai prima.

Gli ucraini sono entusiasti della NATO e dell’UE? Wikipedia – per quel che vale – è una fonte usata da molti e dice che ci sono stati vari sondaggi d’opinione nel corso del tempo ma sembra che gli ucraini contrari all’associazione alla NATO siano raddoppiati negli ultimi 10 anni e siano ora al 70% circa. In quanto all’entusiasmo per l’associazione all’UE, Wikipedia c’informa che è al massimo sul 50% rispetto a un terzo contrari all’integrazione nell’UE. In quanto a me, non vedo tradursi [l’attuale fermento] in un gran entusiasmo fra gli ucraini per una profonda integrazione nell’Occidente tagliando i legami con la Russia. I media implicitamente trasmettono l’impressione che all’opposizione e alla gran parte di altri piaccia ben poco la Russia. Semplicemente non è così. Durante i 5 anni scorsi gli atteggiamenti positivi in Ucraina verso la Russia variavano fra 70% e 96%. Invece gli atteggiamenti positivi verso l’Ucraina fra i russi variavano fra 34% e 68%. Allora se questi sondaggi valgono qualcosa e se rispettiamo la democrazia, perché l’Occidente – USA/NATO/UE – stanno tentando di sospingere l’Ucraina verso di “noi” invece? Siamo davvero in grado di assumere ancora un altro paese enormemente problematico in una UE già in preda alla crisi, e qualcuno pensa di poter ancora convincere la Russia che tutto ciò che fa la NATO è nel massimo interesse della Russia – questo compreso? Anche la Difesa con Missili Balistici? la dissoluzione della Jugoslavia?

Uniamo i puntini! Sapete una cosa: credo sia ora di unire i puntini. Se i puntini sono brevi lampi d’informazione, voglio più conoscenza e istruzione nei media – la connessione dei puntini in immagini [compiute]. E ho una sensazione che mi rosica: è tutto tanto più complicato di quanto ci viene detto e non è così in bianco e nero! Le pressioni dal 1989 causano contropressioni, giusto? L’espansione della dominazione occidentale e della NATO dalle repubbliche baltiche fin giù alla Georgia, mantenendo viva la NATO e giù la Russia era forse, col senno di poi, un’idea molto miope? Non ci sono due parti nel conflitto ucraino – non solo un governo e i suoi oppositori, c’è un mosaico di complessità che può essere slegato e stabilizzato solo con dialoghi e tentativi di capire e – beh, smettere i giochi di potere che comprendono la destabilizzazione di governi democraticamente eletti.

Voi e io meritiamo di meglio. OK, ammetto di non saperne molto. Qui parlo da cittadino, non da esperto. Non riesco proprio a togliermi di mente che le semplificazioni e la propaganda prevalgono sulle trattazioni mediatiche basate su ricerche, pluraliste. Anche nel caso dell’ Ucraina. La democrazia merita di meglio. I media liberi non devono significare libertà di non fare altro che ripetere comunicati d’agenzia occidentali e lasciar perdere la ricerca o smettere di porre domande critiche! Il popolo dell’Ucraina in qualche modo merita di meglio pure esso. Allora quando pensate di adottare un nuovo modo di fare le cose buttandovi finalmente la guerra fredda dietro le spalle, cari redattori?

(Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis da Ukraine – What Would YOU Like to Know about It?)

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L’omofobia non riguarda solo la Russia



Non c’è niente di male nel dare solidarietà agli omosessuali e ai transessuali russi. Ma gli altri paesi non meritano una medaglia solo perché sono meno omofobi dei russi.

Prendersi gioco degli omofobi è diventato uno sport nazionale che posso anche condividere. Da quando sono cominciate le Olimpiadi invernali 2014, a Soci in Russia, i mezzi d’informazione di tutti i paesi hanno sfornato una marea di articoli per manifestare la loro solidarietà agli omosessuali russi perseguitati. Il numero di questi articoli ha sfiorato il ridicolo: in soli due giorni ho contato almeno dieci inviati di vari giornali del mondo nello stesso bar gay di Soci, il Mayak. In un bar gay perfino un solo giornalista deve fare un bello sforzo per non dare nell’occhio, perciò i poveri russi che sono andati lì venerdì 7 e sabato 8 febbraio per bere un bicchiere in pace e flirtare un po’ devono essersi sentiti come animali allo zoo.

Ma anche se hanno condannato all’unanimità l’ omofobia di stato russa, i giornalisti dei paesi occidentali si sono guardati bene dal raccontare quello che succede più vicino a noi. L’Istituto canadese per la diversità e l’inclusione ha postato su YouTube un breve video sfacciatamente erotico che ha come protagonisti due uomini e si conclude con la frase “Le Olimpiadi sono sempre state un po’ gay”. La polizia di frontiera canadese, però, non si è dimostrata altrettanto tollerante. La settimana scorsa l’attrice inglese transgender Avery Edison, che era andata a Toronto a trovare la sua compagna, è stata fermata all’aeroporto perché aveva superato il periodo di soggiorno previsto dal visto di studio che le era stato rilasciato in precedenza. E dopo ore di domande ossessive è stata spedita in un carcere maschile. In un tweet spedito dall’aeroporto mentre stavano per portarla via, Edison ha scritto di essere stata trattata in modo “deplorevole”. Viaggiare senza i documenti in ordine non è un reato. E lei non aveva nessuna intenzione di emigrare in Canada. Ma se l’avessero lasciata passare tranquillamente ci sarebbe stato il rischio di vedere da qualche parte due lesbiche che si baciavano.

Non c’è assolutamente niente di male nel manifestare la propria solidarietà alle transessuali e agli omosessuali russi, che sono discriminati in modo grottesco. Ma gli altri paesi non meritano certo una medaglia per il semplice fatto di essere meno omofobi dei russi. Per questo tipo di falsa simpatia per i gay, gli attivisti lgbt usano la parola pinkwashing, costruita sul modello di greenwashing, l’ambientalismo di facciata di stati e aziende che vogliono dare di sé un’immagine positiva.

Al Regno Unito piace pensare di essere un paese tollerante, ma la Uk border agency, l’agenzia addetta al controllo delle frontiere, è stata accusata dall’organizzazione per la difesa dei diritti degli omosessuali Stonewall di “omofobia sistematica”. Da alcuni documenti del ministero dell’interno emerge chiaramente che le persone bisessuali che presentano domanda di asilo sono sottoposte per ore a interrogatori degradanti da parte di funzionari che fanno domande del tipo: “Cosa ci trova di tanto attraente nel sedere di un uomo?”.

Un portavoce del ministero ha dichiarato al nostro giornale: “Non espelliamo nessuno che rischia di essere perseguitato per le sue inclinazioni sessuali”. Questa affermazione lascerebbe molto perplessa Jacqueline Nantumbwe, una lesbica che ha fatto richiesta di asilo e che quello stesso ministero vuole rimandare in Uganda, dove per il reato di omosessualità è previsto il carcere a vita. Ho parlato con la sua compagna, anche lei ugandese, secondo la quale se tornassero in patria sarebbero “linciate dalla folla”. Il Regno Unito è indubbiamente meno omofobo dell’Uganda, ma questo non significa che può permettersi di trattare i richiedenti asilo omosessuali come criminali.

Personalmente, non ho niente contro i mezzi d’informazione, le aziende e i singoli individui che prendono in giro gli omofobi o sventolano la bandiera arcobaleno. È una manifestazione di solidarietà divertente e non costa nulla. Ma il problema è proprio che non costa nulla. Appena c’è qualcosa da pagare, si tirano subito indietro. La bandiera arcobaleno dovrebbe essere un simbolo di protezione. Se un locale la espone, vuol dire che è un rifugio sicuro. Per i paesi occidentali è un’ipocrisia appropriarsene per poi umiliare e arrestare gli omosessuali alle loro frontiere.

Mentre sventolano la simbolica bandiera arcobaleno in faccia ai russi, quando le lesbiche, i gay, i bisessuali e le transessuali in carne e ossa arrivano alle loro frontiere e chiedono di essere accolti e protetti, i paesi occidentali li maltrattano e li insultano. Difendere i loro diritti in tutto il mondo è encomiabile ma, se nasce da una convinzione profonda, dovrebbe essere accompagnato da comportamenti coerenti anche in patria.

Mentre stava per essere portata in un carcere maschile dell’Ontario, dopo l’umiliante interrogatorio all’aeroporto, Avery Edison ha scritto su Twitter: “Questo rovinerà la mia immagine di ragazza allegra e spensierata”. E i governi occidentali che alle loro frontiere continuano a trattare gli omosessuali come se non fossero esseri umani potrebbero dire la stessa cosa.

(Fonte: Laurie Penny – Internazionale del 21 febbraio 2014)

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Le guerre si sa come iniziano ma non si sa come finiscono


“Questo non è un appello. Non è una petizione. Non raccogliamo firme, né cerchiamo consensi. Vogliamo solo offrire qualche spunto di riflessione per il dibattito che si sta sviluppando al seguito dei “venti di guerra” che provengono dallo scenario internazionale che oggi ci consegna una sponda del Mediterraneo in fiamme, dalla Siria alla Libia, dall’Egitto al Libano (oltre naturalmente alla Palestina). Sull’altra sponda del Mediterraneo si affacciano i paesi occidentali, compresa l’Italia, impotenti sul piano politico, ma molto attivi sul piano del commercio delle armi, che vanno ad alimentare i massacri. In fondo al Mediterraneo ci sono migliaia di profughi in fuga dalle guerre. Noi possiamo fare poco o niente sul piano immediatamente efficace per impedire il massacro. Nessuna sacrosanta richiesta ai potenti di fermare la guerra ha restituito la pace ai popoli. Non è accaduto a Belgrado, né a Bagdad, né a Kabul e nemmeno a Tripoli. Non accadrà a Damasco. Nè è nostro compito scegliere le parti per le quali parteggiare – tra dittatori di lungo corso, militari golpisti e fondamentalisti jihadisti – laddove la verità è sempre la prima vittima delle guerre e le responsabilità tra oppressori e oppressi non sono separabili con l’accetta. Quel che possiamo e dobbiamo fare nell’immediato è stare dalla parte delle vittime, accogliere e portare soccorso, alleviare le sofferenze, salvare singole vite. E’ già molto, ma non basta. Come non basta condannare l’intervento armato e i suoi mandanti. E’ necessario, ma non basta. La Siria è piombata in una guerra “civile” (si fa per dire) a causa di una ventennale dittatura (accettata, tollerata, sostenuta dalle grandi potenze) che non ha acconsentito ad alcuna riforma, ma ha fatto precipitare il paese in una escalation di violenza. A sua volta, l’opposizione pacifica al regime è stata presto messa ai margini da una preponderante contrapposta violenza armata, anche di matrice fondamentalista jihadista (accettata, tollerata, sostenuta da altre potenze). Gli Stati Uniti con l’Arabia da una parte, la Russia con l’Iran dall’altra, l’Europa, la cosiddetta “comunità internazionale”, sono stati a guardare la mattanza, con efferatezze da entrambe le parti, che ha prodotto finora quasi 100mila morti, sopratutto – come in tutte le guerre – tra i civili inermi: nessun tentativo di mediazione internazionale tra le parti, nessun intervento massiccio di intermediazione civile, nessuna presenza di osservatori internazionali, nessuna richiesta di cessate il fuoco da parte degli alleati di una parte e dell’altra, nessuna interruzione del flusso di armi ad entrambe le parti in guerra. A questo punto un intervento armato esterno, con i bombardamenti dall’alto dei cieli, non solo è completamente privo di senso rispetto alla situazione specifica, non solo – come tutte le guerre – aggiunge crimine a crimine nei confronti della martoriata popolazione civile, non solo è senza alcuna legittimità internazionale, ma è anche – nonostante il dispiegamento di potenti e terrificanti armamenti – un grave di segno di impotenza della comunità internazionale. Del resto, tutti gli interventi militari internazionali in zone di conflitto (spesso avviate con pretesti risultati, a posteriori, costruiti a tavolino) non hanno portato ad alcuna stabilizzazione democratica e pacifica in nessuno scenario – dall’Iraq al Kosovo, dalla Somalia alla Libia, all’Afghanistan – ma hanno ulteriormente disastrato popolazioni e territori, aprendo ulteriori focolai di guerra, odio e terrorismo. Chi è responsabile di una guerra assassina in Afghanistan, con stragi di civili, non può farsi paladino dei diritti umani, nascondersi dietro il paravento di un intervento umanitario per punire l’uso di gas contro altri civili. L’opzione militare in Siria sarebbe destabilizzante per l’intera area, anche se l’obiettivo dichiarato è di un intervento limitato e mirato. Le guerre si sa come iniziano ma non si sa come finiscono. L’unica vera stabilizzazione al rialzo è sempre quella per i profitti delle multinazionali delle armi, unici soggetti che da tutte le guerra ne escono comunque trionfanti e pronti a ricominciare. Non a caso, esattamente un anno fa, il 31 agosto 2012, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, dichiarava che la spesa militare globale annua, mai così alta nella storia dell’umanità, divisa per i giorni dell’anno, è “di 4,6 miliardi di dollari al giorno, somma che, da sola, è quasi il doppio del bilancio delle Nazioni Unite per un anno intero”. Il meccanismo è, dunque, sempre lo stesso: si impedisce alle Nazioni Unite di agire per la pace con tutti i mezzi diplomatici e operativi possibili e necessari, privandole di quelle risorse che, invece, vanno a gonfiare le spese globali per gli armamenti. Per cui la guerra continua planetaria, che si sposta da uno scenario conflittuale all’altro, è sempre di più una profezia che si autoavvera. Registriamo positivamente che in quest’ultima occasione il governo italiano abbia voluto finalmente prendere una posizione autonoma, diversa dagli alleati della Nato, rivendicando il ruolo delle Nazioni Unite e riconoscendo al Parlamento la sovranità delle scelte di politica estera. Ci vuole anche altro, come l’immediata sospensione della produzione e commercio di armi con i paesi belligeranti (comprese le cosiddette armi leggere), ma sappiamo riconoscere i segnali in controtendenza. A questo punto torna la domanda: ma noi cosa possiamo fare? Oltre ad esprimere la nostra irremovibile contrarietà a questa nuova escalation internazionale della guerra siriana, foriera di imprevedibili effetti a catena su tutto lo scenario mediorientale, non ci dobbiamo stancare di operare e di chiamare tutti alla necessaria opera per la pace e la nonviolenza. Il nostro compito è operare bene e con convinzione, là dove siamo e possiamo, per il disarmo e la riduzione delle spese militari globali e nazionali, per il sostegno alle campagne contro il commercio italiano delle armi usate in tutte le guerre vicine e lontane, per la promozione dei Corpi civili di pace come forze di intervento preventivo nei conflitti, per la difesa civile non armata e nonviolenta attraverso la formazione di giovani volontari civili, per sviluppare politiche culturali ed educative fondate sulla nonviolenza, per incalzare i nostri governi ad operarsi per la riforma e il rilancio delle Nazioni Unite che possano operare davvero con una legale e democratica polizia internazionale, come superamento degli eserciti, per il rispetto del diritto e la difesa degli aggrediti. Contro la guerra e per la pace c’è sempre qualcosa da fare. Con la nonviolenza, tutti i giorni.” Movimento Nonviolento

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