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Il continente di plastica e l’economia circolare



“Charles Moore, lo scopritore del continente di plastica nell’Oceano Pacifico è un uomo che ama raccontare quello che i suoi occhi hanno visto lì dove nessuno si era mai spinto ad andare, in quell’angolo del globo, laggiù; prima svolta a destra e poi a sinistra, lì in fondo. Capitan Moore, pioniere nella ricerca degli effetti della contaminazione delle microplastiche nel mare, ha creato a Long Beach in California nel 1999 l’ “Algalita Marine Research and Education“, dove con un team di esperti porta avanti le sue ricerche.

Ho incontrato Charles Moore a Parma durante il tour di conferenze dello “Zero Waste Dream Team” organizzato da Zero Waste Italy, il Centro di Ricerca Rifiuti Zero del Comune di Capannori e l’associazione ‘Ambiente e Futuro’.

Capitan Moore, che mi aveva già impressionata nel suo racconto nel film documentario “Trashed”, sin dal primo momento in cui l’ho incontrato mi ha trasmesso uno stato d’animo che conosco molto bene, tipico degli ambientalisti; quella frizzante voglia di informare, di far sapere a tutti ciò che si è visto. L’ho ascoltato un giorno intero con molta attenzione durante la conferenza tenuta a Parma agli studenti, alla presentazione del suo libro “L’oceano di plastica” e la sera durante il convegno.

Ho scambiato anche qualche parola con lui a pranzo e negli spostamenti in auto; così ho appreso che Charlie, come lo chiamano affettuosamente gli altri componenti dello Zero Waste Dream Team, era già stato in Italia, proprio a pochi passi da casa mia, nel 2006 invitato da Antonio Zichichi, al Centro Scientifico Ettore Majorana di Erice. Non ne sapevo nulla.

Moore ha raccontato, con immagini raccapriccianti, della sua spedizione nella pattumiera del pianeta.

Ieri ascoltandolo, ho immaginato per un istante come potevano essere i grandi navigatori del passato al ritorno dalle loro spedizioni, con gli occhi carichi di luce, a testimoniare di terre e mari lontani. Capitan Moore non ci ha illustrato immagini di pietre preziose e tesori trovati in nuove terre, ma plastiche, frammenti dei nostri stili di vita, cadaveri galleggianti del nostro consumismo in un mare diventato di plastica. Moore ha parlato agli studenti con una collana al collo fatta di resti di rifiuti presi dal continente di plastica, quali tappi di penne biro e di bottiglie, palline colorate, resti di oggetti rosicchiati da pesci e plasmati dal mare.

La plastica non si dissolve, resta nell’acqua, si rompe, si spezza, ma non è biodegradabile, ci ha sottolineato Moore. Gli organismi si nutrono di questi pezzettini di plastica e analizzandoli si possono trovare questi frammenti nel loro corpo. Tutti gli organismi che consumano queste particelle di veleno plastico traggono da questo nutrimento, che Moore definisce ingannevole, sostanze tossiche.

Sapevo dei pesci al mercurio della baia di fronte ad Augusta, in Sicilia; pesci con la lisca deformata da sostanze tossiche. Ma sono rimasta sconvolta nel vedere le immagini che Capitan Moore ci ha mostrato; la plastica diventa parte integrante degli esseri viventi.

Il racconto di Moore sulla sua spedizione al largo dell’isola di Midway nell’Oceano Pacifico, mi ha turbata perché è sconvolgente vedere come noi umani così come possiamo dare la vita possiamo anche determinare la morte subdola, possiamo distruggere, alterare l’ambiente e gli organismi viventi con un’inaccettabile indifferenza.

Alla fine del suo intervento Moore ci ha mostrato l’ultima isola di plastica scoperta lo scorso anno, fatta da grandi boe usate per la coltivazione di molluschi provenienti dal Giappone, che dopo lo tsunami si sono staccate dalle coste e sono giunte lì. A questo isolotto si sono ancorati oggi altri detriti rigorosamente in plastica. Un vero disastro per l’habitat marino.

Ma quello che mi ha sconvolto di più è sapere che è impossibile ripulire veramente gli oceani e non è economicamente immaginabile. Moore ha citato il progetto del giovane olandese, che si è inventato una tecnologia per ripulire gli oceani, ma mi è sembrato un po’ scettico.

Una sola speranza. Una sola strada. Zero Waste Strategy. Moore ha infatti affermato con convinzione che l’unica strada da percorrere è quella dell’economia circolare, produrre beni di consumo che siano riutilizzabili e riciclabili.

Come non sentirsi impotenti. Come non pensare alla quantità di rifiuti che recupero ogni estate sulla spiaggia vicino casa. Penso subito al Mar Mediterraneo, alle isole di plastica che potrebbero esserci, da qualche parte, in un mare che sta diventando anche cimitero.  Sono triste. Non resta che svoltarsi le maniche, unirsi per creare un flusso di potenza motrice che spingendo dal basso possa favorire il vero cambio di rotta. Rifiuti Zero, qui e ora”.  Patrizia Lo Sciuto, vicepresidente e coordinatrice di Zero Waste Italy
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Verso Rifiuti Zero con la filosofia delle “R”

piramide-rifiuti

Risolvere il problema della gestioni dei rifiuti? È così difficile iniziare a pensare ad una riduzione drastica per legge della produzione dei rifiuti a partire dagli imballaggi che rappresentano circa il 50% di tutti i rifiuti prodotti? Si può fare domani mattina, se si vuole. Caro Matteo Renzi prova a fare “tue” e a proporre in Europa la politica delle cosiddette “R”:

  • Riduzione della produzione dei rifiuti,
  • Raccolta differenziata “porta a porta”,
  • Riciclo,
  • Riuso,
  • Riparazione,
  • Responsabilizzazione dei cittadini e delle istituzioni.

R come Renzi ed R come Rifiuto, eccoti servito lo slogan.

La produzione globale annua di rifiuti si attesta sui 12 bilioni di tonnellate. Di queste metà è prodotta dai Paesi G8 ed 1/3 da quelli OECD. Ciò significa che annualmente circa 1/5 del materiale estratto finisce in rifiuti, mentre il resto è emesso in atmosfera (attraverso la combustione di combustibili fossili) o si aggiunge allo stock di materiali sotto forma di infrastrutture, investimenti e beni di consumo. L’andamento dei rifiuti nell’ultimo decennio varia da Stato a Stato: in Germania e Gran Bretagna si è registrata una riduzione del 10% -20%, in Giappone la produzione è stata costante, in Italia è aumentata del 30%. Ormai la gran parte dei rifiuti viene trattata in discariche ed inceneritori per essere riciclata. Per alcuni materiali i risultati ottenuti sono estremamente soddisfacenti (vetro, carta ed acciaio) ed il riciclaggio raggiunge quasi quota 50%. Alcuni Paesi rappresentano la punta di diamante del riciclaggio: ad es. Belgio e Paesi Bassi arrivano a riciclare il 95% dei rifiuti, la Svizzera si attesta al 90%.  Per i metalli, invece, il discorso è più complesso. Quelli ferrosi e non ferrosi sono facilmente riciclati, diversamente da quelli preziosi e di uso specifico. L’UNEP ha calcolato che su 60 metalli esaminati solo 18 sono riciclati al 50% e altri 36 appena al 10%; questo significa che i margini di un miglioramento sono elevati e c’è ancora molto da fare in questo ambito. In sostanza il tasso di riciclo, continua a crescere per i materiali di grandi dimensioni, mentre resta piuttosto basso per i materiali di grande valore.

L’Unione Europea, nel richiamare gli Stati membri ad una corretta gestione dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU), ammette il conferimento in discarica e l’incenerimento dei RSU solo in assenza di valide alternative e come ultima opzione, poiché ritiene queste due metodiche di “smaltimento” antieconomiche e fortemente dannose per la salute e per l’ambiente. L’Associazione Medici per l’Ambiente (Isde) auspica e sostiene la politica delle cosiddette “R”: Riduzione della produzione dei rifiuti, Raccolta differenziata “porta a porta”, Riciclo, Riuso, Riparazione e Responsabilizzazione dei cittadini e delle istituzioni, così da evitare l’incenerimento dei materiali post-utilizzo e da ridurre progressivamente il loro conferimento in discarica dei rifiuti.

La migliore gestione dei materiali minimizzerà l’impatto ambientale riducendo il rilascio di sostanze tossiche nell’ambiente e limitando l’esposizione degli uomini alle stesse. Un altro vantaggio sarà rappresentato dalla diminuzione della quantità di materiali da estrarre per la produzione. A questi benefici si aggiungeranno quelli delle politiche coerenti con questa strategia. Per esempio si potranno incoraggiare i consumatori ad acquistare confezioni più grandi sia di cibo che di altri prodotti, così da evitare le singole confezioni. Ma questa soluzione presenta un insito pericolo: se si acquistano confezioni più grandi di cibo è più facile che i prodotti si deteriori provocando un danno ambientale forse peggiore di quello che si vorrebbe evitare. Semmai è più utile utilizzare la “filosofia delle R” per ridurre la dipendenza dalle materie prime importate. E’ quanto ha fatto il Giappone che ha investito molto nel riciclaggio dei materiali tanto da raggiungere una produttività delle risorse superiore al 37% della media del 2005.

Una società sostenibile richiede un incremento delle filiere brevi del ciclo dei materiali post utilizzo, in modo che possano essere attuati maggiori controlli e che l’intero ciclo possa essere gestito in relazione alle peculiarità sociali ed economiche di micro-aree territoriali. Con la piena attuazione di questo tipo di gestione il quantitativo di materiali che necessitino di un trattamento finale si riduce in maniera drastica e la parte residua può essere trattata senza alcuna combustione, con tecniche meccaniche di estrusione per attrito: tali sistemi sono già operativi con successo anche in Italia, e non determinano danno alla salute e all’ambiente come accade invece nel caso di “chiusura del ciclo dei rifiuti” con inceneritori e conferimento in discarica. In Italia il fenomeno delle discariche abusive e dello smaltimento illegale dei rifiuti, operato spesso da gruppi criminali, ha creato situazioni di grave e documentato danno ambientale e danno alla salute delle popolazioni,come nella nota area della Campania definita “terra dei fuochi”, si chiede quindi una particolare attenzione da parte del Parlamento Europeo su tutte le procedure e i fondi destinati alle opere di bonifica di queste aree.

Relativamente ai Rifiuti industriali, per la loro estrema e peculiare pericolosità per ambiente e salute, devono attuarsi politiche comunitarie tali da determinare una netta e rapida riduzione della loro produzione e per un loro idoneo smaltimento e riciclo con necessarie e puntuali verifiche soggette alle stesse normative in ogni singolo Stato membro. L’Isde propone anche la formazione di un nucleo investigativo europeo dedicato alla prevenzione e repressione dei crimini ambientali in tema di stoccaggio e illecito smaltimento di rifiuti urbani e industriali e posto in piena attività di collaborazione con le istituzioni e le forze a questo preposte in ogni Stato membro.

L’obiettivo e il sogno è arrivare ad ottenere una raccolta differenziata attorno all’80%, in un arco di tempo di due anni. Si può fare, con i 10 punti proposti da Paul Connett. I dieci passi verso Rifiuti Zero:

  1. Separazione alla fonte.
  2. La raccolta porta a porta (viene effettuata con tre contenitori a San Francisco, quattro in Spagna, sei a Capannori).
  3. Compostaggio. Il compost di qualità ha alti rendimenti in agricoltura. Le radici trattengono anidride carbonica, che nell’atmosfera provoca il riscaldamento del Pianeta.
  4. Il riciclo.
  5. Riuso, riparazione e decostruzione (di vecchi edifici).
  6. Riduzione.
  7. Incentivi economici (paghi solo per mi rifiuti indifferenziati che produci).
  8. Separazione del residuo e Centro di ricerca Rifiuti Zero (esperienze in Nuova Scozia e a Capannori).
  9. Coinvolgere industria e università per la ricerca.
  10. La discarica transitoria.
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Il 50% dei rifiuti in Italia è ancora smaltito in discarica

rifiuti in Italia ancora smaltiti in discarica

Quasi il 50% dei rifiuti urbani prodotti in Italia viene conferito in discarica, a fronte di Paesi del Nord Europa che in alcuni casi hanno di fatto raggiunto l’obiettivo di azzerare del tutto l’interramento dei rifiuti (Germania, Paesi Bassi e Svezia), accompagnando al minore ricorso alla discarica valori di recupero e incenerimento significativamente più alti di quelli italiani.

In Italia si producono annualmente circa 170 milioni di tonnellate di rifiuti, tra urbani, speciali e pericolosi, pari a una media di 3 tonnellate di rifiuti pro capite annui. Gran parte di questi è prodotta dalle attività di costruzione e demolizione (35% del totale), un quarto circa è composto da rifiuti speciali non pericolosi, il 19% da rifiuti urbani, il 15% dal trattamento dei rifiuti e infine il 6% da rifiuti speciali pericolosi. La produzione annua di rifiuti in Europa è stimata pari a circa 2,5 miliardi di tonnellate, equivalenti a 5 tonnellate di rifiuti pro capite, con una distribuzione per tipologia di rifiuto molto differente da quella italiana: i rifiuti urbani in Europa rappresentano appena l’8,7% del totale, mentre la gran parte dei rifiuti è prodotta dal settore industriale (i rifiuti speciali non pericolosi sono il 48% del totale). Rappresentando valori medi riferiti a tutti gli Stati membri, questi dati nascondono in realtà importanti differenze, in particolare tra gli Stati originari e i nuovi Stati membri, più indietro nel perseguimento della strategia europea per i rifiuti. La produzione di rifiuti urbani in Europa, come in Italia, è il risultato di un mix di fattori, i più rilevanti dei quali sono l’andamento del PIL, la crescita demografica e le politiche messe in atto per la gestione del ciclo dei rifiuti.

Rispetto ai percorsi indicati dall’Unione Europea per una gestione del ciclo integrato finalizzata a raggiungere l’obiettivo di conferire in discarica il minor quantitativo possibile di rifiuti, l’Italia si trova in condizioni piuttosto critiche. I rifiuti vengono interrati nel 49,2% dei casi, rispetto a una media europea del 37,2% e a valori prossimi allo zero per i Paesi più virtuosi (Germania, Paesi Bassi e Svezia). Parliamo tuttavia di un dato medio, poco rappresentativo di situazioni regionali che presentano macroscopiche differenze: accanto a Regioni che mandano in discarica al massimo il 10% dei rifiuti (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto), altre Regioni interrano quasi interamente la loro produzione di rifiuti (Sicilia, Calabria, Molise). Differenze che si riscontrano anche in altri aspetti rappresentativi di una gestione più o meno virtuosa del ciclo integrato: la raccolta differenziata raggiunge percentuali superiori al 50% in tutte le Regioni del Nord Italia (fanno eccezione solamente la Liguria e la Valle d’Aosta), mentre in alcune realtà stenta a raggiungere il 20% (Sicilia, Calabria, Puglia, Molise); in Lombardia e in Emilia Romagna si inceneriscono più di 200 kg di rifiuti pro capite l’anno, rispetto ai 2 kg pro capite delle Marche, agli 8 del Piemonte, ai 18 kg pro capite pugliesi. Questi differenti risultati sono del resto il frutto di condizioni di contesto profondamente diverse. Innanzitutto la dotazione impiantistica che, se risulta insufficiente a livello nazionale, a livello territoriale sembra del tutto disomogenea: accanto a Regioni che hanno una dotazione impiantistica, al netto della discarica, superiore ai 4 impianti per 1.000 kmq (Lombardia), altre Regioni (Basilicata, Sicilia, Sardegna) registrano una densità impiantistica ogni 1.000 kmq che non raggiunge neanche l’unità. Anche la struttura imprenditoriale risulta tutt’altro che omogenea. Le Regioni nord orientali si contraddistinguono per la significativa presenza di multiutility: in Emilia Romagna il 16,9% delle imprese di igiene ambientale è una multiservizio, così come circa l’11% delle imprese venete e toscane e più del 10% delle imprese lombarde e alto atesine. In compenso in Sicilia e in Piemonte non si registra la presenza di alcuna multiservizio, e non stanno molto meglio altre Regioni in cui le multiutility rappresentano meno del 4% del tessuto imprenditoriale (Lazio, Campania, Liguria). Alla struttura imprenditoriale è legata soprattutto una diversa capacità di investimento che non fa che acuire la già profonda differenza impiantistica; le imprese multiservizio sono infatti anche quelle che in virtù della possibilità di diversificare le fonti di ricavo, ma soprattutto della grande dimensione, riescono a programmare meglio le politiche di investimento, garantendo migliori risultati. L’analisi degli investimenti realizzati ha infatti dimostrato come nel Mezzogiorno d’Italia la più alta presenza di gestioni in economia, unita alla piccola dimensione media delle imprese, abbia di fatto determinato una scarsa capacità di investimento, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Gli investimenti che hanno reso di più sono stati infatti quelli realizzati dal sistema imprenditoriale, piuttosto che dagli Enti locali e, tra i primi, quelli delle realtà aziendali più grandi. Anche il costo del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti presenta forti differenziazioni territoriali; ancora una volta le situazioni più competitive, in grado di gestire il settore a costi più contenuti, si trovano nel Nord del Paese, mentre è nel Mezzogiorno che, pur in presenza di livelli di raccolta differenziata contenuti e con uno smaltimento ancora prevalentemente concentrato in discarica, si registrano i costi più alti. In generale si osserva che in alcune Regioni l’aver mantenuto elevati i costi medi di smaltimento in discarica, anche con il sistema dell’ecotassa, ha ben funzionato come disincentivo, concorrendo a favorire lo sviluppo di soluzioni alternative, mentre in altre aver lasciato la discarica a costi molto competitivi rispetto ad altre forme di recupero e smaltimento ha di fatto rafforzato la tendenza del sistema a ricorrere prevalentemente all’interramento dei rifiuti. Infine si osservano alcune situazioni paradossali per cui, nonostante l’alto costo della discarica, questa continua a essere la soluzione più praticata, presumibilmente per un’arretratezza generale nella gestione del ciclo che fatica a essere risolta (è il caso per esempio della Sicilia). Aver ottenuto risultati, anche molto virtuosi, in alcune realtà territoriali italiane mostra il tema del risanamento del comparto sotto una luce leggermente differente; l’obiettivo di ridurre al minimo il conferimento dei rifiuti in discarica è infatti evidentemente perseguibile e raggiungibile anche nel nostro Paese. Si tratta quindi di individuare un percorso realizzabile, che crei in tutte le diverse realtà territoriali le condizioni di mercato per cui al sistema risulti più conveniente prevenire, recuperare, riciclare, incenerire, piuttosto che portare in discarica. Peraltro, oltre a essere un obiettivo che ci impone l’Unione Europea, la riduzione del conferimento in discarica e la scelta di strategie alternative rappresentano comunque un’esigenza imprescindibile: già nel 2009 si stimava un’autonomia del sistema di smaltimento nazionale di poco superiore ai due anni. A questa emergenza non si è di fatto data alcuna risposta, se non quella di puntellare le situazioni emergenziali che sono andate via via diffondendosi nel Paese. Se a ciò si aggiunge che i tempi medi per le autorizzazioni a realizzare nuovi impianti sono pari a circa 7-8 anni, appare piuttosto chiaro come il Paese si trovi già in notevole ritardo rispetto alla programmazione di soluzioni alternative o di potenziamento delle attuali capacità di smaltimento. La differente performance territoriale è in buona parte attribuibile all’assetto istituzionale del settore, che lascia di fatto alla programmazione regionale la definizione della strategia di gestione e sviluppo del ciclo integrato dei rifiuti. Alla luce di quanto emerso dalle analisi sulle performance regionali, si potrebbe dunque immaginare per lo Stato centrale un ruolo di coordinamento e indirizzo strategico, eventualmente anche attraverso l’elaborazione di un Piano nazionale programmatico, che metta a sistema e razionalizzi le diverse previsioni presenti nei documenti attualmente vigenti ancora troppo generali e generiche nei contenuti (Rete nazionale integrata di impianti di incenerimento rifiuti, Piano nazionale di prevenzione) e che possa essere vincolante per le Regioni. In realtà nel Codice dell’ambiente già si prevedeva un sistema multi-livello delle competenze che dava alle Regioni la responsabilità di realizzare i piani regionali di gestione dei rifiuti, pur individuando per lo Stato un compito di indirizzo, rappresentato essenzialmente dalla adozione di criteri generali per la redazione dei piani regionali, dal compito di individuare gli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale e di determinare le linee guida per la definizione delle gare d’appalto. Tale sistema è stato però nella realtà ampiamente disatteso e ha portato solamente a una produzione di piani ipertrofica a livello di Regioni, Province e Ambiti territoriali ottimali, contribuendo a rendere ancor più confuso e frammentato il quadro normativo di riferimento. Una programmazione che superi il livello regionale consentirebbe di affrontare anche il tema dell’adeguamento infrastrutturale del settore e della riorganizzazione dell’offerta impiantistica esistente, mantenendo ovviamente una particolare attenzione agli assetti territoriali. Il rapporto con il territorio è di rilevanza primaria al fine sia di ottimizzare la logistica dei trasporti dei rifiuti, sia di garantire un adeguato dimensionamento degli impianti di trattamento e smaltimento, sia di efficientare i rapporti con i segmenti a monte della filiera, molto frammentati, e i rapporti con i mercati di sbocco dei materiali recuperati. Una programmazione dunque che, coniugando esigenze nazionali e territoriali, consenta di intervenire sul sistema impiantistico assicurando che la raccolta abbia adeguati impianti ai quali rivolgersi, che gli stessi non rimangano sottoutilizzati, che la discarica rappresenti effettivamente la scelta residuale. A tale scopo appare cruciale reperire i finanziamenti necessari alla realizzazione di quanto programmato. Stiamo parlando di cifre non irrisorie, visto che una stima riferita ai soli impianti di incenerimento e di compostaggio parla di un fabbisogno finanziario di circa 18-19 miliardi di euro, ai quali si dovrebbero aggiungere gli investimenti necessari per ammodernare l’impiantistica esistente e incrementare la dotazione del segmento del riciclo. Non esistono al momento quantificazioni specifiche di questo ulteriore fabbisogno, rispetto al quale tuttavia si deve evidenziare la assoluta necessità di realizzazione, in virtù dell’obsolescenza di molti impianti e della carente dotazione infrastrutturale, quantitativa e qualitativa, del comparto del riciclo, rispetto al quale anche gli investitori privati avrebbero convenienza e interesse a intervenire. Il settore del riciclo rappresenta infatti un elemento di spicco del ciclo integrato dei rifiuti italiani, rispetto al quale si osservano tuttavia alcune criticità legate non solo alla già sottolineata scarsa dotazione impiantistica, ma anche all’inefficienza del sistema dei consorzi che, se da un lato ha contribuito in maniera determinante alla nascita del settore, creando le condizioni per un suo sviluppo, dall’altro rischia oggi di ingessare eccessivamente un mercato pronto per una maggiore esposizione concorrenziale. Nell’ottica di un rafforzamento del comparto del riciclo occorre una seria politica industriale, anche attraverso l’introduzione di incentivi alle imprese del settore e il sostegno allo sviluppo del Green Public Procurement (acquisti “verdi” da parte della Pubblica Amministrazione), come si prevede nel collegato ambientale. Sempre con riferimento al sistema dei consorzi si deve in aggiunta evidenziare che un sistema più efficiente e un maggior contributo da parte dei soggetti, ai quali si applica il principio della responsabilità estesa del produttore, avrebbe un impatto significativo anche in termini di possibile riduzione dei costi del servizio per l’utente. Il tema della tariffa è un altro aspetto cruciale del sistema dei rifiuti italiano, rispetto al quale è assolutamente necessario intervenire in maniera chiara. L’attuale sistema tariffario è infatti piuttosto confuso e rimesso alla discrezionalità dei Comuni, con diverse metodologie di calcolo e diversi risultati in termini di copertura dei costi del servizio e di spesa delle famiglie e delle imprese. Inoltre si è piuttosto lontani dal rispettare il principio comunitario del “pay as you throw”, mancando di fatto in gran parte del territorio un sistema di tariffazione puntuale. Le recenti disposizioni normative, definite nel disegno di legge di stabilità per l’anno 2014, non hanno peraltro contribuito a fare chiarezza al riguardo. È opportuno infine che il sistema di governance del settore venga in parte rivisto, pur mantenendo validi i princípi che hanno portato alla prescrizione di ambiti ottimali che favorissero l’aggregazione, in un mercato contraddistinto dalla piccola dimensione aziendale. La gestione integrata, già prevista dal decreto Ronchi, aveva infatti l’obiettivo di favorire il consolidamento delle imprese. Tuttavia se è importante che il ciclo dei rifiuti sia considerato integralmente, soprattutto in fase di pianificazione, programmazione e regolamentazione, questo è meno vero in sede di affidamento del servizio. Inoltre le caratteristiche industriali e tecnologiche delle diverse fasi della filiera, che presentano mercati distinti e agevolmente identificabili, fanno propendere per l’opportunità di gestire separatamente i vari segmenti, pur nella consapevolezza dell’importanza che i rapporti tra questi assumono per le numerose interazioni. Molti degli aspetti critici evidenziati e delle possibili soluzioni individuate sono in realtà già presenti nella vigente normativa, che però nei fatti è stata attuata in modo poco tempestivo e puntuale, senza una visione d’insieme e di lungo termine, effettivamente ispirata a un principio di coordinamento istituzionale e all’efficienza gestionale. Solamente per dare un’idea del “blocco attuativo” che ha caratterizzato la normativa settoriale si può considerare come a oggi si sia ancora in attesa di un notevole numero di adempimenti nazionali che potrebbero invece, se realizzati, contribuire piuttosto significativamente al rafforzamento del comparto. In particolare: la definizione di un metodo standard per la certificazione delle raccolte differenziate; il regolamento per la definizione della tariffa puntuale e la revisione del metodo normalizzato; il regolamento sull’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani.

Quello che è venuto a mancare fino a oggi è soprattutto “il mercato”, che avrebbe potuto invece contribuire in maniera determinante a creare quelle condizioni di contesto necessarie per superare le criticità tipiche del settore. Parliamo del “nanismo” imprenditoriale, dell’eccessiva dipendenza delle imprese del comparto dal contributo degli Enti locali per la remunerazione delle fasi a monte del servizio, della scarsa presenza soprattutto delle aziende più piccole nelle fasi più remunerative della filiera (recupero energetico e riciclo), dell’insufficiente livello qualitativo e quantitativo degli investimenti. Si tratta di limiti che vanno superati rapidamente se si vuole guardare al settore in un’ottica di effettivo sviluppo. Senza il superamento di questi, infatti, non sarà possibile gestire i rifiuti secondo una logica innovativa, che li trasformi da scarti da eliminare a risorse da sfruttare.

*Obiettivo discarica zero

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Paul Connett: I 10 punti fondamentali per azzerare la produzione di rifiuti

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Paul Connett il guru del concetto ‘Rifiuti Zero’, professore emerito di chimica ambientale all’Università St. Lawrence di Canton, New York, ha illustrato in un incontro a Capua, organizzato da “Gli amici di Beppe Grillo”, i dieci step capaci non solo di difendere l’ambiente ma anche di creare posti di lavoro combattendo la camorra e la gestione illegale di tutto il ciclo dei rifiuti. Il concetto è semplice e si fonda sulla raccolta differenziata, il porta a porta, il riutilizzo dei materiali, la collaborazione delle industrie nella produzione di materiali e le iniziative dello Stato, elementi, questi, che in concorso tra loro potrebbero, nel giro di pochi anni, far raggiungere l’obiettivo dell’emissione di zero rifiuti nell’ambiente. Per molti potrebbe sembrare un sogno ma il professor Connett a supporto delle sue teorie ha portato l’esempio di San Francisco (Usa) che sta applicando alla lettera i dieci punti di ‘Rifiuti zero’ e attualmente viaggia ad una percentuale di differenziata dell’85% e nel 2020 raggiungerà il 100%.

In Italia Connett è presidente del comitato scientifico della commissione Rifiuti Zero di Capannori, primo comune in Italia ad adottare tale strategia di gestione del servizio.

Dieci passi verso Rifiuti Zero

1. Separazione alla fonte: organizzare la raccolta differenziata. La gestione dei rifiuti non e’ un problema tecnologico, ma organizzativo, dove il valore aggiunto non e’ quindi la tecnologia, ma il coinvolgimento della comunità chiamata a collaborare in un passaggio chiave per attuare la sostenibilità ambientale.

2. Raccolta porta a porta: organizzare una raccolta differenziata “porta a porta”, che appare l’unico sistema efficace di RD in grado di raggiungere in poco tempo e su larga scala quote percentuali superiori al 70%. Quattro contenitori per organico, carta, multi materiale e residuo, il cui ritiro e’ previsto secondo un calendario settimanale prestabilito.

3. Compostaggio: realizzazione di un impianto di compostaggio da prevedere prevalentemente in aree rurali e quindi vicine ai luoghi di utilizzo da parte degli agricoltori.

4. Riciclaggio: realizzazione di piattaforme impiantistiche per il riciclaggio e il recupero dei materiali, finalizzato al reinserimento nella filiera produttiva.

5. Riduzione dei rifiuti: diffusione del compostaggio domestico, sostituzione delle stoviglie e bottiglie in plastica, utilizzo dell’acqua del rubinetto (più sana e controllata di quella in bottiglia), utilizzo dei pannolini lavabili, acquisto alla spina di latte, bevande, detergenti, prodotti alimentari, sostituzione degli shoppers in plastica con sporte riutilizzabili.

6. Riuso e riparazione: realizzazione di centri per la riparazione, il riuso e la decostruzione degli edifici, in cui beni durevoli, mobili, vestiti, infissi, sanitari, elettrodomestici, vengono riparati, riutilizzati e venduti. Questa tipologia di materiali, che costituisce circa il 3% del totale degli scarti, riveste però un grande valore economico, che può arricchire le imprese locali, con un’ottima resa occupazionale dimostrata da molte esperienze in Nord America e in Australia.

7. Tariffazione puntuale: introduzione di sistemi di tariffazione che facciano pagare le utenze sulla base della produzione effettiva di rifiuti non riciclabili da raccogliere. Questo meccanismo premia il comportamento virtuoso dei cittadini e li incoraggia ad acquisti piu’ consapevoli.

8. Recupero dei rifiuti: realizzazione di un impianto di recupero e selezione dei rifiuti, in modo da recuperare altri materiali riciclabili sfuggiti alla RD, impedire che rifiuti tossici possano essere inviati nella discarica pubblica transitoria e stabilizzare la frazione organica residua.

9. Centro di ricerca e riprogettazione: chiusura del ciclo e analisi del residuo a valle di RD, recupero, riutilizzo, riparazione, riciclaggio, finalizzata alla riprogettazione industriale degli oggetti non riciclabili, e alla fornitura di un feedback alle imprese (realizzando la Responsabilità Estesa del Produttore) e alla promozione di buone pratiche di acquisto, produzione e consumo.

10. Azzeramento rifiuti: raggiungimento entro il 2020 dell’azzeramento dei rifiuti, ricordando che la strategia Rifiuti Zero si situa oltre il riciclaggio. In questo modo Rifiuti Zero, innescato dal “trampolino” del porta a porta, diviene a sua volta “trampolino” per un vasto percorso di sostenibilità, che in modo concreto ci permette di mettere a segno scelte a difesa del pianeta.

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Paul Connet e la Strategia Rifiuti Zero

Strategia Rifiuti Zero: Lezione di Paul Connet sulla Gestione dei Rifiuti from Lista Civica Pesaro a 5 Stelle on Vimeo.

Paul Connett l’ideatore della strategia rifiuti zero e professore emerito in chimica ambientale all’Università St. Lawrence di New York ci illustra, con la semplicità che solo i grandi maestri riescono a trasmettere, cosa vuol dire Rifiuti Zero e come possiamo e dobbiamo intraprendere questo cammino il prima possibile per la salvaguardia del nostro pianeta e il futuro dei nostri figli. Rifiuti Zero è possibile e questo contributo lo dimostra. In 45 minuti il Prof. Connett, in occasione dell’evento “Strategia Rifiuti Zero: Una soluzione sostenibile alla gestione dei rifiuti” organizzato quasi due anni fa dalla Lista Civica Pesaro a 5 Stelle, ci illustra un cammino sostenibile e facilmente applicabile per cambiare il nostro stile di vita a favore dell’ambiente e della sostenibilità.

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