L’Italia ormai è questa: un italiano su quattro è povero e il Sud è a rischio desertificazione umana e industriale, e si continua a emigrare (116mila lo scorso anno). È la fotografia emersa dall’ultimo “Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno”. Un Paese sempre più in difficoltà.
Sono due le grandi emergenze nel nostro Paese: quella sociale con il crollo occupazionale, e quella produttiva con il rischio di desertificazione industriale, che caratterizzano ormai per il sesto anno consecutivo il Mezzogiorno. Nel caso del Mezzogiorno la peggior crisi economica del dopoguerra rischia di essere sempre più paragonabile alla Grande Depressione del 1929. Gli effetti della crisi si sono fatti sentire anche al Centro-Nord, e non certo per colpa del Sud; ma anche l’area più forte del Paese rischia di non uscire dalla crisi finché non si risolve il problema del Mezzogiorno, in quanto una domanda meridionale così depressa ha inevitabili effetti negativi sull’economia delle regioni centrali e settentrionali. Si sta disegnando una geografia del lavoro nel nostro Paese che rischia di escludere strutturalmente il Mezzogiorno, e con il Mezzogiorno soprattutto i giovani e le donne.
L’andamento dell’economia italiana è stato nel 2013 tra i peggiori in Europa: solo la Grecia e Cipro sono calati in misura maggiore. La forbice della crescita con l’economia europea, che in termini cumulati, dall’inizio della crisi, ha superato i sette punti percentuali (-8,5% di PIL in Italia contro il -0,9% dell’UE a 27).
Dal 2008 al 2013, la recessione del Sud non ha conosciuto tregua, a differenza di un Centro-Nord che nel 2010-2011 aveva partecipato ad una “ripresina”. In base alle previsioni, la stessa dinamica si protrarrà nel biennio 2014-2015, con un Sud che continua la sua spirale recessiva mentre il resto del Paese si avvia verso una lenta, e forse troppo debole, ripresa. Esiste incertezza sulle prospettive future della domanda, e, in presenza di ampi margini di capacità inutilizzata, le imprese sono ancora restie a produrre e a investire, il numero dei disoccupati è in aumento, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto per il quinto anno consecutivo con una flessione dell’1,1%, gli investimenti fissi lordi sono diminuiti del 4,7% con un calo complessivo dal 2007 al 2013 del 26,7%.
Il Mezzogiorno si colloca ormai in un equilibrio implosivo che si caratterizza per una crescente perdita di produttività, minore occupazione, fuga dei giovani e di quanti sono più professionalizzati, minore benessere. Il divario di sviluppo tra Nord e Sud in termini di prodotto pro capite ha ripreso ad allargarsi pur in presenza di una riduzione della popolazione meridionale; nel 2013 è tornato ai livelli del 2003, con un differenziale negativo di oltre 43 punti percentuali. Il Mezzogiorno ha subito tra il 2008 e il 2013 una caduta dell’occupazione del 9%, quattro volte superiore a quella del Centro-Nord (-2,4%).
Dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio, ben 583 mila sono nel Sud. L’impatto della caduta di occupazione è stato così forte da provocare un crollo dei consumi delle famiglie meridionali di quasi 13 punti percentuali (-12,7%), di oltre due volte maggiore di quello registrato nel resto del Paese (-5,7%). In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2013 è sceso al 56,6% del valore del Centro Nord, tornando ai livelli del 2003, con un Pil pro capite pari a 16.888 euro.
Guardando agli anni della crisi, dal 2007 al 2013, profonde difficoltà restano soprattutto in Basilicata e Molise, che segnano cali cumulati superiori al 16%, accanto alla Puglia (-14,3%), la Sicilia (-14,6%) e la Calabria (-13,3%). Negli anni di crisi ha perso oltre il 13% di prodotto anche la Sardegna. Cali superiori al 12% in Campania, Marche e Umbria. Tra le regioni del Mezzogiorno è l’Abruzzo a registrare nel periodo in questione un calo del prodotto relativamente più contenuto (oltre il -8%), in linea con l’Emilia Romagna, dato comunque significativamente più positivo delle performances del Veneto e del Piemonte, che accusano una perdita superiore ai 10 punti percentuali.
“Nel corso degli ultimi anni“, si legge nell’Introduzione e sintesi del Rapporto, “si è privilegiato un approccio di politica economica attento solo al risanamento dei conti pubblici. Ma le condizioni e le sfida per la ripartenza del Paese possono trovare risposta solo nel campo dello sviluppo, presupposto di qualsiasi ipotesi di crescita. Ciò che serve, dopo diversi decenni, è tornare a riproporre con forza una “logica di sistema” sia dal punto di vista dei soggetti che dei territori, che richiede investimenti strategici anche a redditività differita e una progettazione a lungo termine. Un primo passo in questa direzione sarebbe l’effettivo, rapido sblocco dei 300 miliardi promessi dal nuovo Presidente della Commissione europea, che siano davvero aggiuntivi rispetto all’attuale esiguo budget Ue a favore di grandi investimenti pubblici. In ambito europeo l’Italia e il Sud, stanno subendo uno svantaggio concorrenziale, conseguenza delle “asimmetrie sistematiche” derivanti dalla non ottimalità dell’area euro, acuitesi con l’ingresso nell’Ue nel 2004 dei Paesi dell’Est, che godono di regimi fiscali molto più vantaggiosi. Lo sviluppo del Sud non può essere interamente delegato alle politiche di coesione, che peraltro necessitano di un maggiore sforzo strategico. E le risorse ordinarie devono smettere di essere un vero e proprio “buco nero” nello sviluppo del Mezzogiorno. È cruciale dare un’impronta meridionalistica alle politiche generali nazionali, con interventi che vanno dal funzionamento della PA a servizi essenziali come la scuola, la sanità e la giustizia, fino ad arrivare a una nuova politica attiva del lavoro e politiche di welfare non solo redistributive“.