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Nasce la Carta italiana dei diritti di Internet

Dichiarazione dei diritti in Internet

Dopo un anno di lavoro, decine di audizioni e la raccolta online delle opinioni dei cittadini, nasce grazie alla Commissione di studio per l’elaborazione di principi in tema di diritti e doveri relativi ad Internet, presieduta da Stefano Rodotà, la “Dichiarazione dei diritti in Internet”, una specie di “Costituzione” della rete.

Internet ha contribuito in maniera decisiva a ridefinire lo spazio pubblico e privato, a strutturare i rapporti tra le persone e tra queste e le Istituzioni. Ha cancellato confini e ha costruito modalità nuove di produzione e utilizzazione della conoscenza. Ha ampliato le possibilità di intervento diretto delle persone nella sfera pubblica. Ha modificato l’organizzazione del lavoro. Ha consentito lo sviluppo di una società più aperta e libera. Internet deve essere considerata come una risorsa globale e che risponde al criterio della universalità. L’Unione europea è oggi la regione del mondo dove è più elevata la tutela costituzionale dei dati personali, esplicitamente riconosciuta dall’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali, che costituisce il riferimento necessario per una specificazione dei principi riguardanti il funzionamento di Internet, anche in una prospettiva globale.

Questa Dichiarazione dei diritti in Internet è fondata sul pieno riconoscimento di libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona. La garanzia di questi diritti è condizione necessaria perché sia assicurato il funzionamento democratico delle Istituzioni, e perché si eviti il prevalere di poteri pubblici e privati che possano portare ad una società della sorveglianza, del controllo e della selezione sociale. Internet si configura come uno spazio sempre più importante per l’autorganizzazione delle persone e dei gruppi e come uno strumento essenziale per promuovere la partecipazione individuale e collettiva ai processi democratici e l’eguaglianza sostanziale. I principi riguardanti Internet tengono conto anche del suo configurarsi come uno spazio economico che rende possibili innovazione, corretta competizione e crescita in un contesto democratico. Una Dichiarazione dei diritti di Internet è strumento indispensabile per dare fondamento costituzionale a principi e diritti nella dimensione sovranazionale.

Art. 1. (Riconoscimento e garanzia dei diritti)

1. Sono garantiti in Internet i diritti fondamentali di ogni persona riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalle costituzioni nazionali e dalle dichiarazioni internazionali in materia.
2. Tali diritti devono essere interpretati in modo da assicurarne l’effettività nella dimensione della Rete.
3. Il riconoscimento dei diritti in Internet deve essere fondato sul pieno rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza e della diversità di ogni persona, che costituiscono i principi in base ai quali si effettua il bilanciamento con altri diritti.

Art. 2. (Diritto di accesso)

1. L’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale.
2. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.
3. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete.
4. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite.
5. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità.

Art. 3. (Diritto alla conoscenza e all’educazione in rete)

1. Le istituzioni pubbliche assicurano la creazione, l’uso e la diffusione della conoscenza in rete intesa come bene accessibile e fruibile da parte di ogni soggetto.
2. Debbono essere presi in considerazione i diritti derivanti dal riconoscimento degli interessi morali e materiali legati alla produzione di conoscenze.
3. Ogni persona ha diritto ad essere posta in condizione di acquisire e di aggiornare le capacità necessarie ad utilizzare Internet in modo consapevole per l’esercizio dei propri diritti e delle proprie libertà fondamentali.
4. Le Istituzioni pubbliche promuovono, in particolare attraverso il sistema dell’istruzione e della formazione, l’educazione all’uso consapevole di Internet e intervengono per rimuovere ogni forma di ritardo culturale che precluda o limiti l’utilizzo di Internet da parte delle persone.
5. L’uso consapevole di Internet è fondamentale garanzia per lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva, il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, Istituzioni e cittadini, la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui.

Art. 4. (Neutralità della rete)

1. Ogni persona ha il diritto che i dati trasmessi e ricevuti in Internet non subiscano discriminazioni, restrizioni o interferenze in relazione al mittente, ricevente, tipo o contenuto dei dati, dispositivo utilizzato, applicazioni o, in generale, legittime scelte delle persone.
2. Il diritto ad un accesso neutrale ad Internet nella sua interezza è condizione necessaria per l’effettività dei diritti fondamentali della persona.

Art. 5. (Tutela dei dati personali)

1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati che la riguardano, per garantire il rispetto della sua dignità, identità e riservatezza.
2. Tali dati sono quelli che consentono di risalire all’identità di una persona e comprendono anche i dati dei dispositivi e quanto da essi generato e le loro ulteriori acquisizioni e elaborazioni, come quelle legate alla produzione di profili.
3. Ogni persona ha diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano, di ottenerne la rettifica e la cancellazione per motivi legittimi.
4. I dati devono esser trattati rispettando i principi di necessità, finalità, pertinenza, proporzionalità e, in ogni caso, prevale il diritto di ogni persona all’autodeterminazione informativa.
5. I dati possono essere raccolti e trattati con il consenso effettivamente informato della persona interessata o in base a altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Il consenso è in via di principio revocabile. Per il trattamento di dati sensibili la legge può prevedere che il consenso della persona interessata debba essere accompagnato da specifiche autorizzazioni.
6. Il consenso non può costituire una base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento.
7. Sono vietati l’accesso e il trattamento dei dati con finalità anche indirettamente discriminatorie.

Art. 6. (Diritto all’autodeterminazione informativa)

1. Ogni persona ha diritto di accedere ai propri dati, quale che sia il soggetto che li detiene e il luogo dove sono conservati, per chiederne l’integrazione, la rettifica, la cancellazione secondo le modalità previste dalla legge. Ogni persona ha diritto di conoscere le modalità tecniche di trattamento dei dati che la riguardano.
2. La raccolta e la conservazione dei dati devono essere limitate al tempo necessario, rispettando in ogni caso i principi di finalità e di proporzionalità e il diritto all’autodeterminazione della persona interessata.

Art. 7. (Diritto all’inviolabilità dei sistemi, dei dispositivi e domicili informatici)

1. I sistemi e i dispositivi informatici di ogni persona e la libertà e la segretezza delle sue informazioni e comunicazioni elettroniche sono inviolabili. Deroghe sono possibili nei soli casi e modi stabiliti dalla legge e con l’autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria.

Art. 8. (Trattamenti automatizzati)

1. Nessun atto, provvedimento giudiziario o amministrativo, decisione comunque destinata ad incidere in maniera significativa nella sfera delle persone possono essere fondati unicamente su un trattamento automatizzato di dati personali volto a definire il profilo o la personalità dell’interessato.

Art. 9. (Diritto all’identità)

1. Ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale e aggiornata delle proprie identità in Rete.
2. La definizione dell’identità riguarda la libera costruzione della personalità e non può essere sottratta all’intervento e alla conoscenza dell’interessato.
3. L’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza delle persone interessate, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione di profili che le riguardano.
4. Ogni persona ha diritto di fornire solo i dati strettamente necessari per l’adempimento di obblighi previsti dalla legge, per la fornitura di beni e servizi, per l’accesso alle piattaforme che operano in Internet.
5. L’attribuzione e la gestione dell’Identità digitale da parte delle Istituzioni Pubbliche devono essere accompagnate da adeguate garanzie, in particolare in termini di sicurezza.

Art. 10. (Protezione dell’anonimato)

1. Ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure.
2. Limitazioni possono essere previste solo quando siano giustificate dall’esigenza di tutelare rilevanti interessi pubblici e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica.
3. Nei casi di violazione della dignità e dei diritti fondamentali, nonché negli altri casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria, con provvedimento motivato, può disporre l’identificazione dell’autore della comunicazione.

Art. 11. (Diritto all’oblio)

1. Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica.
2. Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate.
3. Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque può impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione.

Art. 12. (Diritti e garanzie delle persone sulle piattaforme)

1. I responsabili delle piattaforme digitali sono tenuti a comportarsi con lealtà e correttezza nei confronti di utenti, fornitori e concorrenti. 2. Ogni persona ha il diritto di ricevere informazioni chiare e semplificate sul funzionamento della piattaforma, a non veder modificate in modo arbitrario le condizioni contrattuali, a non subire comportamenti che possono determinare difficoltà o discriminazioni nell’accesso. Ogni persona deve in ogni caso essere informata del mutamento delle condizioni contrattuali. In questo caso ha diritto di interrompere il rapporto, di avere copia dei dati che la riguardano in forma interoperabile, di ottenere la cancellazione dalla piattaforma dei dati che la riguardano.
3. Le piattaforme che operano in Internet, qualora si presentino come servizi essenziali per la vita e l’attività delle persone, assicurano, anche nel rispetto del principio di concorrenza, condizioni per una adeguata interoperabilità, in presenza di parità di condizioni contrattuali, delle loro principali tecnologie, funzioni e dati verso altre piattaforme.

Art. 13. (Sicurezza in rete)

1. La sicurezza in Rete deve essere garantita come interesse pubblico, attraverso l’integrità delle infrastrutture e la loro tutela da attacchi, e come interesse delle singole persone.
2. Non sono ammesse limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero. Deve essere garantita la tutela della dignità delle persone da abusi connessi a comportamenti quali l’incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza.

Art. 14. (Governo della rete)

1. Ogni persona ha diritto di vedere riconosciuti i propri diritti in Rete sia a livello nazionale che internazionale.
2. Internet richiede regole conformi alla sua dimensione universale e sovranazionale, volte alla piena attuazione dei principi e diritti prima indicati, per garantire il suo carattere aperto e democratico, impedire ogni forma di discriminazione e evitare che la sua disciplina dipenda dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica.
3. Le regole riguardanti la Rete devono tenere conto dei diversi livelli territoriali (sovranazionale, nazionale, regionale), delle opportunità offerte da forme di autoregolamentazione conformi ai principi indicati, della necessità di salvaguardare la capacità di innovazione anche attraverso la concorrenza, della molteplicità di soggetti che operano in Rete, promuovendone il coinvolgimento in forme che garantiscano la partecipazione diffusa di tutti gli interessati. Le istituzioni pubbliche adottano strumenti adeguati per garantire questa forma di partecipazione.
4. In ogni caso, l’innovazione normativa in materia di Internet è sottoposta a valutazione di impatto sull’ecosistema digitale.
5. La gestione della Rete deve assicurare il rispetto del principio di trasparenza, la responsabilità delle decisioni, l’accessibilità alle informazioni pubbliche, la rappresentanza dei soggetti interessati.
6. L’accesso e il riutilizzo dei dati generati e detenuti dal settore pubblico debbono essere garantiti.
7. La costituzione di autorità nazionali e sovranazionali è indispensabile per garantire effettivamente il rispetto dei criteri indicati, anche attraverso una valutazione di conformità delle nuove norme ai principi di questa Dichiarazione.

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Internet, siamo solo agli inizi

internet futuro

“Quando parliamo di cyber politica internazionale facciamo riferimento alle regole del gioco del futuro ordine globale. Internet è già diventata di gran lunga la più importante infrastruttura dell’economia globale, ma siamo appena agli inizi. Nei prossimi 5-10 anni, Internet non solo sarà la più importante infrastruttura del mondo, sarà l’infrastruttura sulla quale poggeranno tutte le altre. Rotte commerciali marittime o sistemi finanziari: dipenderanno tutti dal funzionamento della rete.

Capacità e disponibilità sono in rapida crescita per soddisfare la domanda. Entro cinque anni il 90 per cento del mondo sarà coperto da reti mobili a banda larga che avranno una capacità molto superiore a quella che abbiamo oggi in Europa. Con l’eccezionale i ncremento di importanza del cyber mondo, assistiamo all’entrata in scena in modo altrettanto eccezionale di altri attori. Due Paesi in particolare, Cina e Russia, hanno concluso un accordo in materia di “sicurezza dell’informazione” che stanno attuando su larga scala. Rispecchiando la filosofia che applicano ad altri aspetti delle loro società, puntano a esercitare il controllo su Internet gestendo i flussi di informazione per garantire la sicurezza dei rispettivi regimi. Altri hanno adottato questo approccio e si tratta spesso, come nel caso degli iraniani e dei sauditi, di Paesi sospettosi nei confronti dell’Occidente. Quanto accadrà ora sarà di estrema importanza.

La Internet Assigned Numbers Authority (IANA) si avvia a passare il prossimo autunno dal controllo americano al controllo di un gruppo di soggetti globali, un mutamento che potrebbe essere, al tempo stesso, irrilevante e di enorme importanza simbolica. Irrilevante perché il governo americano conserva una funzione di salvaguardia nella governance della rete, un ruolo di “ultimo intervento” che finora non ha mai usato e che può essere utilizzato solo nel caso in cui le cose si dovessero mettere veramente male. Simbolicamente, tuttavia, è di enorme importanza in quanto ha portato in tanti, nel mondo, a credere che il governo degli Stati Uniti controlli il cyber-mondo. Ciò ha indotto il cyber-mondo a cedere quote di sovranità, sempre che ci sia un organismo in grado di salvare il sistema qualora si presentasse lo scenario peggiore tra quelli possibili. Il processo consistente nel creare un tale organismo è attualmente in corso. Qualora la transizione della IANA dovesse fallire, cinesi e russi ne riceverebbero una grossa spinta a cercare di imporre la loro versione di ordine in materia di regole globali a disciplina di Internet.

La Cina in particolare è un attore importante e aggressivo tanto che Internet rappresenta una delle cinque aree prioritarie di governance del Paese. Finora l’Europa ha fatto molto poco. È ora di accelerare il passo. Non solo abbiamo bisogno di sviluppare una strategia esterna, ma dobbiamo abbandonare l’approccio difensivo e protezionistico se vogliamo sperare di essere competitivi in campo digitale. In Europa abbiamo il problema che alcuni settori sono gravati da un eccesso di normative. Quando si parla di deregulation, forse le battaglie più aspre si combattono in ogni Paese nel campo dei taxi, un settore gestito da corporazioni di carattere medievale. Facendo il nostro ingresso nell’era dell’economia collaborativa (la sharing economy), incontriamo di frequente residui di tipo corporativo nell’economia europea. E non di meno i giovani fuggono dalle corporazioni medievali verso l’economia collaborativa creando una serie di problemi. Questi problemi non si risolvono regolando il settore digitale, ma affrontando l’eccesso di regole in altri settori. Tuttavia non dobbiamo dimenticare i punti di forza di cui dispone l’Europa.

Il settore di Internet in più rapida espansione è quello della tecnologia mobile e la spinta viene dalla tecnologia europea e non da quella americana. Prendiamo ad esempio la tecnologia della telefonia cellulare: mentre americani e giapponesi hanno tentato di fissare standard globali, gli europei li hanno di fatto progettati. C’è inoltre il dato secondo cui circa il 50 per cento del traffico mobile su Internet nel mondo passa per infrastrutture europee. Ciò dimostra che indubitabilmente c’è del talento imprenditoriale in Europa; il problema è che i talenti emigrano verso la più potente cultura innovativa di Silicon Valley. Un atteggiamento più difensivo non servirebbe a scoraggiare la fuga dei cervelli. Dobbiamo mettere i discussione il timore esistente nei confronti dei giganti tecnologici americani. Dopo tutto dieci anni fa non c’erano e in un settore così tremendamente dinamico, non si può affermare con certezza che tra dieci anni saranno ancora in prima linea. L’Europa non dovrebbe guardare al presente, ma creare le condizioni giuste in vista del futuro. Internamente o esternamente l’Europa deve creare l’ambiente che consenta ad un Internet aperto, libero, dinamico e globale di prosperare. È un vitale interesse europeo e finora non siamo stati all’altezza della sfida”. Traduzione di Carlo Antonio Biscotto ad un articolo di Carl Bildt, copresidente del think tank paneuropeo European Council on Foreign relations sul cui sito è presente la versione integrale in inglese

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Monetizzare le vite dei cittadini

internet spy

“Il lusso c’è già, solo che non è distribuito in modo uniforme. Questa, almeno, è la tesi di Hal Varian, capo economista di Google. La “regola Varian” dice che per prevedere il futuro basta guardare cosa i ricchi hanno già e calcolare che le classi medie lo avranno tra cinque anni e i poveri tra dieci.

Secondo Varian questo vale per la storia di molte tecnologie, dalla radio agli smartphone. Quali sono le cose che i ricchi hanno oggi e i poveri avranno tra dieci anni? Varian scommette sugli assistenti personali. Anziché camerieri e autisti, avremo automobili che si guidano da sole, robot che fanno le pulizie e app onniscienti in grado di monitorarci, informarci e avvisarci in tempo reale. Secondo Varian “questi assistenti digitali saranno così utili che tutti ne vorranno uno, e tutti gli allarmi sulla privacy che si sentono oggi sembreranno antiquati e infondati”.

Google Now, uno di questi assistenti virtuali, controlla le email, le ricerche e gli spostamenti e ci ricorda le prossime riunioni o i prossimi viaggi, mentre verifica pazientemente le condizioni meteo e il traffico in tempo reale. L’accostamento tra camerieri e app può sembrare ragionevole, ma in realtà è fuorviante. Quando assumiamo un assistente personale, la transazione è semplice e diretta: paghiamo la persona per i servizi prestati (il più delle volte in contanti) e finisce lì. Si potrebbe sostenere che la stessa logica vale per gli assistenti virtuali: cediamo a Google i nostri dati al posto dei contanti e in cambio abbiamo un servizio. Ma nessuno si aspetta che un assistente personale faccia una copia di tutte le nostre lettere e dei nostri documenti per lucrarci sopra. Per gli assistenti virtuali, invece, questa è l’unica ragion d’essere. In realtà veniamo fregati due volte: la prima quando cediamo i nostri dati in cambio di servizi relativamente banali, la seconda quando quegli stessi dati vengono usati per organizzare la nostra esistenza in modo assai poco trasparente e desiderabile. Questo secondo aspetto, che considera i dati come unità di scambio, non è stato ancora pienamente compreso. Ma, di fatto, è la capacità di sfruttare i dati per modellare il nostro futuro a trasformare le informazioni in uno strumento di dominio.

Mentre il denaro è anonimo, i dati non sono altro che una rappresentazione della vita sociale. Google Now funziona solo se l’azienda che lo gestisce riesce a portare grossi pezzi della nostra esistenza (comunicazioni, viaggi, letture) sotto il suo grande ombrello. Una volta acquisite, queste informazioni possono essere monetizzate. Nulla di tutto questo succede ai ricchi quando assumono un assistente. In quel caso l’equilibrio di potere è chiaro: è il padrone che domina il servo, e non il contrario, come nel caso di Google Now e dei poveri. In un certo senso sono i poveri i veri assistenti virtuali di Google, perché aiutano l’azienda ad accumulare dati che poi vengono monetizzati.

Varian non si pone una domanda ovvia: perché ai ricchi serve un assistente personale? Forse perché vogliono più tempo libero. Ma anche con i gadget di Google i poveri non avranno mai lo stesso tempo libero dei ricchi. Le applicazioni ci fanno risparmiare tempo, peccato che poi lo passiamo a lavorare per pagare un’assicurazione più costosa o lo usiamo per mandare un’altra email di lavoro o per compilare i moduli di un sistema burocratico digitalizzato.

Facebook, il principale concorrente di Google, usa lo stesso trucco con la connettività. Il progetto Internet.org, lanciato in America Latina, nel sud est asiatico e in Africa, dovrebbe aumentare l’accesso a internet nei paesi emergenti e in via di sviluppo. Ma è un accesso molto particolare: Facebook e pochi altri siti sono gratuiti, mentre per qualsiasi altra cosa gli utenti devono pagare. Così le persone che possono permettersi di usare servizi non collegati a Facebook sarebbero pochissime. Ecco di nuovo la regola Varian. A prima vista, i poveri accedono a quello che i ricchi hanno già: il collegamento a internet. Ma i ricchi pagano in contanti, mentre i poveri pagano con i loro dati, che Facebook monetizzerà per pagare l’intera operazione Internet.org. Non si tratta di beneicenza: a Facebook interessa l’“inclusione digitale” come a uno strozzino interessa l’“inclusione finanziaria”.

Per raggiungere chi si connette grazie a Internet.org, qualsiasi fornitore di servizi (nell’istruzione, nella sanità o nel giornalismo) dovrà collegare le sue app a Facebook. I poveri avranno i servizi che i ricchi hanno già, ma solo coprendo i costi con i loro dati e quello che rivelano della loro vita sociale. La connettività gratuita offerta da Facebook è di fatto un gigantesco derivato che inanzia lo sviluppo della sua infrastruttura. Facebook ofre a questi paesi la connessione in cambio del diritto di monetizzare le vite dei loro cittadini quando questi avranno guadagnato abbastanza.

La regola Varian andrebbe corretta: per prevedere il futuro, basta guardare cosa hanno fatto le aziende petrolifere e le banche negli ultimi due secoli e applicarlo alla Silicon valley, il nuovo fornitore di infrastrutture per tutti i servizi di base. In quel futuro non basteranno gli assistenti virtuali, ci sarà un gran bisogno anche di psicoterapeuti virtuali”. Evgeny Morozov, sociologo, esperto di tecnologia e informazione (da Internazionale N. 1100)

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Internet in Italia: Libero ma arretrato

Map-of-Internet-Freedom-2014

“Freedom on the Net 2014″ è l’ultimo report di Freedom House, un’organizzazione internazionale non governativa che dal 1973 si occupa di studiare il fenomeno della democrazia e dei diritti umani nel mondo. Quanto è libero Internet nel mondo?

Per il quarto anno consecutivo, in ben 41 su 65 Paesi, per un periodo che va da Maggio 2013 a Maggio 2014, sono aumentate le azioni intraprese dai Governi che hanno emanato normative per controllare i contenuti online o aumentare il potere di sorveglianza; così come in 38 Paesi è aumentato il numero di persone arrestate per aver diffuso contenuti con riferimenti politici o sociali. Per non parlare delle pressioni esercitate sulle testate giornalistiche indipendenti che, secondo Freedom House, sono drasticamente aumentate. Tra gli episodi più citati rientrano quelli riferiti a giornalisti recatisi in Siria, Ucraina, Egitto e Turchia per seguire i vari conflitti in corso.

In Italia, secondo Freedom House, la Rete ha un buon grado di libertà: non risultano sospensioni di account social media o di siti politicamente o socialmente scorretti, non risultano blogger o utenti arrestati per contenuti non appropriati. Ma l’Italia non primeggia per la disponibilità di connessioni. Solo il 58% della popolazione possiede una connessione. Le generazioni più anziane non sono progredite quanto nel resto d’Europa, i giovani invece sembrano cavarsela.

L’Italia ha anche un altro primato. Secondo la Commissione Ue siamo il Paese dell’Unione Europea con il più basso accesso alla banda larga: il 98% degli italiani ha una copertura ADSL con un servizio di connessione base di 2 Mbps (cosa che a volte nemmeno accade), ma soltanto il 3,7% può usufruire di una velocità oltre i 10 Mbps. Siamo un 25esima posizione con un punteggio di 0,36, quasi la metà di quello del paese leader che è la Danimarca (0,67). Peggio solo Grecia, Bulgaria e Romania. Inoltre nel 2014 risultava ancora il Paese con la minor copertura di reti digitali di nuova generazione (NGA) in Europa, sotto la media europea di oltre 40 punti percentuali per l’accesso a più di 30 Mbps (Megabyte per secondo), un 20% di copertura, contro il 62% europeo; con la prospettiva di giungere solo nel 2016 al 60% di copertura a 30 Mbps e in assenza di piani di operatori privati per avviare la copertura estensiva a 100 Mbps. Una connessione più lenta significa servizi più arretrati e più scomodi da usare, siti di e-commerce meno sicuri, servizi e piattaforme che stentano a decollare.

Ciliegina sulla torta, l’Italia è 26esima per la lettura delle notizie su internet, 22esima per l’uso dei social network ma 12esima per video, musica e giochi online.

Dai dati emerge chiaramente che siamo ancora piuttosto arretrati. I gap da colmare richiederanno ancora un bel po’ di tempo. In questi giorni si parla di 6 miliardi di risorse pubbliche per garantire la connettività a 100 Mb all’85% della popolazione al 2020 con l’approvazione del Piano ultrabroadband e del Crescita digitale 2014-2020 da parte del Consiglio dei Ministri. Che sia la volta buona? Speriamo, meglio tardi che mai.

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