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Lo sport in Italia: 90mila società e 1 milione le persone coinvolte

sport in Italia

Le istituzioni sportive costituiscono il settore più ampio del non profit italiano. Sono 92.838 le società, pari al 30,8% delle istituzioni non profit censite. A queste si aggiunge il 7,7% di istituzioni, che svolgono attività sportive come area di intervento secondaria, per un totale di 114.287 unità. Questo il quadro d’insieme dello sport in Italia emerso dalla ricerca dall’Istituto nazionale di statistica e il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, “Lo sport in Italia. Numeri e contesto”. I dati presentati rappresentano la fotografia più aggiornata e recente dello stato del mondo sportivo italiano. 

Lo sport nel non profit conta sul contributo lavorativo di un milione di volontari, 13 mila lavoratori dipendenti e 75 mila lavoratori esterni (collaboratori coordinati e continuativi, collaboratori a progetto, prestatori d’opera). Il lavoro volontario rappresenta il 92,2% delle risorse lavorative utilizzate.

La struttura organizzativa delle istituzioni sportive è di carattere quasi esclusivamente associativa (il 98,5% delle unità), mentre le affiliazioni da parte di persone fisiche (ovvero il numero di soci/associati con diritto di voto) sono circa 8,6 milioni.

Rispetto ai risultati della rilevazione censuaria del 1999 emerge la forte crescita del settore: le istituzioni sono aumentate del 63%, i volontari dell’84,6%, i lavoratori retribuiti sono più che triplicati. Più della metà delle istituzioni sportive rilevate è di recente costituzione, il 61,5% è sorto dopo il 2000 (a fronte del 51,1% del totale non profit). Le istituzioni sportive storiche, nate prima del 1970, rappresentano solo il 4,1% del totale (7,1% nel totale del non profit).

Considerando i settori di attività in cui le organizzazioni operano, si rileva un’elevata specializzazione di quelle sportive: il 67,2% delle unità svolge solo attività core. Del restante 32,8% (che svolge più di un’attività), l’82,3% si occupa anche di ricreazione e socializzazione, il 29% di attività culturali e artistiche, il 10,9% di protezione dell’ambiente, il 6,6% di istruzione primaria e secondaria, il 5,5% di assistenza sociale e protezione civile e il 4,4% di protezione degli animali.

In riferimento ai servizi erogati, il 65,8% delle istituzioni organizza eventi sportivi, il 60% corsi per la pratica sportiva e circa un quinto (23,5%) gestisce impianti sportivi. Tra gli altri servizi prevale l’organizzazione di eventi, feste, sagre e altre manifestazioni (realizzati dall’8,5% delle unità rilevate), seguono l’organizzazione di viaggi ed escursioni (4%), di spettacoli di intrattenimento (3,5%) e la gestione di centri aggregativi e di socializzazione (2,7%).

Riguardo ai destinatari dei servizi erogati, le istituzioni sportive mutualistiche, cioè quelle orientate al soddisfacimento dei bisogni dei propri soci, sono nettamente prevalenti, raggiungendo una quota pari al 61,7%, molto superiore al valore registrato complessivamente nel settore non profit, pari al 38,2%.

Di rilievo l’attività orientata a persone con specifici disagi. Sono 6.816 (pari al 13,6% del totale di istituzioni non profit che erogano servizi a persone con disagio) le istituzioni sportive che nel corso del 2011 hanno erogato servizi a particolari categorie di soggetti svantaggiati. Il 72,5% di esse si rivolge, in particolare, a individui disabili o non autosufficienti. Nella maggior parte dei casi i servizi riguardano l’organizzazione di corsi per la pratica sportiva (84%) e/o di eventi sportivi (69,7%); l’8,8% delle istituzioni considerate ha realizzato interventi per l’integrazione sociale dei soggetti deboli o a rischio; l’8,2% si è occupato della gestione di centri aggregativi e di socializzazione e il 7,9% ha organizzato viaggi ed escursioni.

Le istituzioni sportive hanno dimensioni più contenute rispetto a quelle rilevate nel complesso del non profit, contando in media 11 volontari (rispetto a 16), 1 lavoratore retribuito per istituzione (3 in media nel totale del non profit), 93 affiliazioni per istituzione (187 nel totale). Anche in termini di dimensione economica si registrano valori medi più ridotti: le entrate per istituzione sportiva ammontano a 52mila euro a fronte di 212mila euro rilevate in media nel non profit.

Il settore è caratterizzato da una maggiore presenza maschile sia tra i volontari (pari al 77,8%, a fronte del 22,2% delle donne) che tra gli occupati (pari al 66,5%) e anche da una forte presenza di giovani: il 23,7% dei volontari ha infatti meno di 30 anni. Tra le nuove generazioni di volontari cresce comunque la partecipazione femminile (pari al 37,1% dei minori di 18 anni e al 26% tra i 19-29enni).

Il contributo del lavoro dipendente è molto modesto, pari all’1,2% delle risorse umane complessivamente impiegate (a fronte di una quota nazionale dell’11,9%) mentre la quota di lavoratori esterni è di circa 2 punti percentuali superiore alla quota rilevata per il totale del non profit (6,6% nelle istituzioni sportive rispetto al 4,7% nel complesso). I risultati del censimento suggeriscono pertanto, che l’organizzazione del lavoro all’interno delle istituzioni è basata su forme contrattuali flessibili, i quali riguardano soprattutto figure professionali come atleti, allenatori, accompagnatori, istruttori e altri (61mila soggetti, pari al 69% del totale dei lavoratori retribuiti – dipendenti e lavoratori esterni – di cui 35mila uomini e 26mila donne).

Nel corso del 2011 le istituzioni sportive hanno registrato un flusso di entrate economiche di oltre 4,8 miliardi di euro (7,6% del totale relativo al non profit) e di uscite di oltre 4,7 miliardi di euro (8,2%). Le istituzioni sportive risultano di dimensioni contenute anche sotto il profilo economico: il 2,6% soltanto delle istituzioni sportive (a fronte del 7,8% per il totale) hanno entrate superiori a 250mila euro, mentre sono molto numerose le istituzioni sportive nelle classi di entrata di piccole o medie dimensioni. Le entrate di fonte privata rappresentano l’88,6% del totale, di cui il 41,3% proveniente da contributi annui degli aderenti e il 28,5% dalla vendita di beni e servizi. Quelle di fonte pubblica rappresentano l’11,4%. Per quanto riguarda le uscite, si rileva una quota di spese per l’acquisto di beni e servizi pari al 54,2%, nettamente superiore a quella del totale del non profit (38,1%). Di contro, si registra una quota minore di spese per il personale retribuito (rispettivamente del 24% rispetto al 35,2%). La voce “spese per i collaboratori esterni” (7,5%) supera quella dei dipendenti (6,7%), mentre il restante 9,8% delle spese è per rimborsi a volontari, un valore significativamente più alto rispetto al totale del non profit (pari all’1,5%).

Le istituzioni sportive si articolano sul territorio in 99.920 unità locali (pari al 28,7% del totale). In media queste contano un numero di unità locali inferiore rispetto a quanto rilevato per il settore non profit nel complesso, con una quota più elevata di unità istituzionali unilocalizzate (88%, rispetto all’81% per il totale).  A livello regionale, la Provincia Autonoma di Bolzano (con 5,2 volontari e lavoratori retribuiti ogni 100 abitanti), la Valle d’Aosta (4,9), la Provincia Autonoma di Trento (4) e il Friuli Venezia Giulia (3,9), si confermano, anche in relazione alle attività sportive, i territori a più alta vocazione non profit. In generale, le regioni del Sud e la Sicilia presentano una incidenza sulla popolazione meno elevata, rispetto alle regioni del Nord. Tra i territori del Mezzogiorno si conferma il risultato positivo della Sardegna (con 2,3 risorse umane per cento abitanti), mentre il Molise (1,9), l’Abruzzo (1,8) e la Basilicata (1,6), sono, tra le regioni del Sud, quelle a più alta vocazione sportiva.

Scarica la ricerca “Il non profit nello sport”

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Conti economici regionali: Aumenta il divario Nord-Sud

PRODOTTO INTERNO LORDO A PREZZI CORRENTI PER ABITANTE. Anno 2011 – fonte Istat

L’Istat pubblica le serie dei conti economici regionali nella nuova classificazione delle attività economiche per il periodo 1995-2011, in valori correnti e in volume. L’anno di riferimento delle serie concatenate è il 2005. E da questi dati si evidenzia in particolare come continui ad aumentare il divario economico tra il Nord e il Sud del nostro Paese. La graduatoria delle regioni per il 2011 vede al primo posto la Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, con un Pil per abitante di oltre 36.600 euro, e all’ultimo la Campania, con poco più di 16.600 euro.
Nel 2011 il Nord-est è l’area che segna il risultato più positivo in termini di variazione del Pil in volume (+1,1%), seguono Nord-ovest (+0,6%) e Centro (+0,2%). L’unica ripartizione che ha subìto una diminuzione del Pil rispetto all’anno precedente è il Mezzogiorno (-0,3%); particolarmente negativi sono i risultati di Molise (-1,9%), Sicilia (-1,3%) e Campania (-0,8%).
Tra il 2007 e il 2011, a causa degli effetti della crisi economica, il Pil in volume è diminuito in tutte le aree del Paese. Per il Centro-Nord, la riduzione media annua è stata di circa l’1%, mentre più marcata appare la contrazione nel Mezzogiorno (-1,7%), dove i risultati peggiori riguardano Molise (-3,0%) e Campania (-2,2%). Nel Nord è il Piemonte ad avere la performance più negativa (-1,5%).
Solo nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen il Pil in volume si è riportato nel 2011 su livelli pre-crisi (2007), mentre nel resto del Paese il recupero è stato solo parziale: per il Nord il livello del 2011 è analogo a quello del 2005, per il Centro a quello del 2004 e per il Mezzogiorno è sceso a quello del 2000.
Nel 2011 il valore più elevato del Pil per abitante si registra nel Nord-ovest, con 31.452 euro; seguono Nord-est, con 30.847 euro, e Centro con 28.240 euro. Il Pil per abitante nel Mezzogiorno, pari a 17.689 euro, è più basso di quello del Nord-ovest del 43,8% e inferiore alla media nazionale del 32,0%.
Il pil italiano cresce di piu’ nel  nord-est: nel 2011 si registra un incremento dell’1,1% rispetto all’anno precedente; mentre nel mezzogiorno si registra una  contrazione dello 0,3%. I dati sono contenuti nel report dell’Istat  sui conti economici regionali. Particolarmente negativi sono i  risultati di Molise (-1,9%), Sicilia (-1,3%) e Campania (-0,8%).
Il valore piu’ elevato del pil per abitante si  registra nel Nord-ovest, con 31.452 euro; seguono Nord-est, con 30.847 euro, e Centro con 28.240 euro. Il Pil per abitante nel Mezzogiorno, pari a 17.689 euro, e’ piu’ basso di quello del Nord-ovest del 43,8% e inferiore alla media nazionale del 32,0%. La graduatoria delle regioni per il 2011 vede al primo posto la provincia autonoma di  Bolzano/Bozen, con un pil per abitante di oltre 36.600 euro, e  all’ultimo la Campania, con poco piu’ di 16.600 euro. Tra il 2007 e il 2011, a causa degli effetti della crisi economica, il pil in volume e’ diminuito in tutte le aree del Paese. Per il centro-nord, la riduzione media annua e’ stata di circa l’1%, mentre piu’ marcata appare la contrazione nel Mezzogiorno (-1,7%), dove i risultati peggiori riguardano Molise (-3,0%) e Campania  (-2,2%). Nel Nord e’ il Piemonte ad avere la performance piu’ negativa (-1,5%). Solo nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen il pil in volume  si e’ riportato nel 2011 su livelli pre-crisi (2007), mentre nel resto del Paese il recupero e’ stato solo parziale: per il nord il livello  del 2011 e’ analogo a quello del 2005, per il centro a quello del 2004 e per il mezzogiorno e’ sceso a quello del 2000.

PRINCIPALI INDICATORI ECONOMICI TERRITORIALI – Fonte Istat

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Ieri, oggi e non c’è il domani

Ieri la notizia diffusa dalla Confcommercio ha rivelato una realtà a dir poco inquietante: “Il 2012 dovrebbe presentare la peggiore variazione negativa della spesa reale pro capite della
storia della Repubblica (oltre il -3%)”. Secondo le analisi a campione dell’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, il crollo dei consumi a fine anno rischia di scendere ulteriormente avvicinandosi al -5%. In parole povere non si spende più, non ne abbiamo più. Solo pochissimi settori di spesa (la telefonia e l’informatica) e solo un canale di distribuzione, il discount, tengono i livelli di fatturato reale del 2011. E’ del tutto evidente che al netto di un’inflazione di poco superiore al 3%, il potere d’acquisto del sistema commerciale si sia ovunque ridotto. Una vera e propria catastrofe per l’economia, dal momento che tale contrazione comporta una riduzione complessiva della spesa di ben 35,5 miliardi di Euro. Vuol dire mediamente una riduzione di spesa di circa 1.480 Euro a famiglia: cifra che supera una mensilità di stipendio.

Oggi anche l’Istat conferma le stime sul disastroso andamento dei consumi. Particolarmente allarmante la caduta dei consumi persino nel comparto alimentare, destinata ad attestarsi ad oltre il -2,5%. Questo vuol dire che le famiglie in campo alimentare (cioè il settore che per ultimo viene intaccato in una situazione di crisi), spenderanno 3,4 miliardi in meno. Una contrazione pari a -141 Euro annui a famiglia (esclusivamente nel settore alimentare). E le previsioni per il 2013 sono ancora, se possibile, peggiori.

Ovviamente alla riduzione di spesa si accompagnano scelte sempre più improntate al risparmio: dalla ricerca più attenta di offerte e promozioni, alla migrazione in massa verso i discount, a soluzioni innovative come l’orto in giardino o i gruppi di acquisto solidale.

Ed a catena se crollano i consumi, si riduce la produzione e, di conseguenza, si hanno importanti effetti sull’occupazione e, quindi, sul potere di acquisto delle famiglie (già diminuito di oltre il -11,8% dal 2008). Tale andamento continuerà ad alimentare la spirale negativa di crisi e recessione dalla quale non si intravede via d’uscita, complice anche l’elevatissima pressione fiscale che pesa sulle spalle dei cittadini.

“Certo è che, in una situazione simile, non è possibile affidarsi solo alla creatività delle famiglie sperando che riescano ad escogitare un modo per arrivare a fine mese: è indispensabile che il Governo si decida ad agire.” – dichiarano Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti di Federconsumatori.

Prima di tutto sui prezzi, controllandone la crescita ormai scandalosa, ed inoltre avviando misure di sostegno e di rilancio del potere di acquisto delle famiglie a reddito fisso, lavoratori e pensionati, a partire da una detassazione delle tredicesime. Solo attraverso tali operazioni sarà possibile risollevare l’andamento dei consumi e, quindi, una ripresa della produzione, dell’occupazione e dell’intera economia. Mediamente la pressione fiscale a carico dei contribuenti in regola e’ addirittura del 55%. E’ un livello record che, inevitabilmente, zavorra drasticamente investimenti e consumi.

In questo scenario mi risulta strano e poco credibile, la lieve ripresa della fiducia dei consumatori rilevata dall’Istat. Infatti come e’ possibile che cresca, anche se poco la componente riferita al clima economico generale (da 69,5 a 71,0) e relativa al clima personale (da 92,0 a 92,3). Ma peggiorino i giudizi sulla situazione economica dell’Italia?(da -134 a -136 il saldo). O meglio la risposta che mi do e questa: abbiamo fiducia in noi stessi ma non nell’Italia. Pensiamo che l’Italia vada a fondo e noi restiamo a guardarla? Oppure, come giustamente sottolineato da Federconsumatori, l’Istat alcune rilevazioni li effettua ben lontano dall’Italia?

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La messa è finita andate a casa

 

Siamo più poveri di vent’anni fa: in media, il 4% di potere d’acquisto in meno per persona. I dati dell’Istat ieri non ci dicono soltanto che la grande crisi in corso dal 2007 ha colpito duramente l’Italia. Già da prima la crescita economica si era quasi arrestata. Per la prima volta dalla fine della II guerra mondiale, un grande Paese avanzato non avanza più. Possiamo già chiamarlo declino?

Inutile prendersela con l’instabilità finanziaria, e tanto meno con l’euro. L’analisi dell’Istituto di statistica, in diversi punti vicina a quella della Banca d’Italia, fa risalire a ben prima i nostri mali. In sintesi, si sono combinati tra loro diversi errori della nostra classe dirigente: non solo i politici, anche gli imprenditori, anche i burocrati, anche altri poteri costituiti.

A tal proposito il quotidiano Libero diretto da Maurizio Belpietro, amico “intimo” del Pdl, si rivolge al partito di BerluscAlfano con una lettera in cui sostiene la necessità di una “rivoluzione”. Scrive il direttore: “Alle ultime elezioni il Pdl ha perso Monza, Parma, Como, Asti, Alessandria, Belluno, Brindisi, Lucca, Rieti, Isernia, Palermo e Agrigento: però dice di non essere morto. Può darsi che sia così, come sostengono i maggiori dirigenti del partito. Ma, vista l’emorragia di città amministrate, se non è defunto il Popolo della libertà dev’essere per lo meno moribondo. Altrimenti non si spiegherebbe come sia stato possibile che città storicamente moderate, dove nonostante i lifting ai simboli quelli del Pd continuano a essere considerati sempre e solo comunisti, si siano buttate a sinistra”. E aggiunge “C’è bisogno d’altro per riconoscere che si tratta di una sconfitta di proporzioni difficilmente paragonabili al passato? Un anno fa il centrodestra a perso anche Milano, non dimentichiamolo. Che cosa dovremo vedere ancora prima di sentire il gruppo dirigente ammettere di essere stato battuto, o meglio spazzato via, a causa di una serie sterminata di errori che neppure gli elettori più affezionati avrebbero potuto perdonare? Ribadiamo: i vertici del Popolo della libertà possono continuare a nascondere la testa sotto la sabbia, ma non sarà sufficiente a salvarli”. E conclude “Sappiamo ovviamente che il discorso potrà apparire brutale e forse ad alcuni anche ingeneroso. Ma il compito dei giornali amici e’ quello di essere franchi fino in fondo e non di nascondere la realtà per non dare un dispiacere a persone che ci sono vicine. Una pagina si e’ chiusa e un’altra si deve aprire. Aprite le finestre e fate entrare un po’ di aria fresca. Soprattutto, fate uscire quella viziata: e’ arrivata l’ora”.

Il corteo della danza funebre dei partiti avanza inesorabile….Se vogliamo cambiare il Mondo, scrive Giorgio Cattaneo in un bellissimo post, dobbiamo liberarci di questa gente. Pensare globalmente e agire localmente, partendo dal proprio territorio. E’ l’ultima arma democratica, ma anche la prima. L’unica che i potenti della Terra – da Atene a Parigi, fino a Parma – temano davvero, se a vincere è il cittadino semplice, che condanna l’ingiustizia e si ostina a sperare di avere diritto al proprio futuro.

(Fonte la Stampa – Libero)

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1 Maggio 2012 Festa dei Lavoratori Disoccupati

La disoccupazione in Italia ha raggiunto il 9,7%, il tasso più alto dal 2001 ma “il tasso reale potrebbe risultare superiore poichè ai quasi 2,1 milioni di disoccupati si aggiungono 250.000 lavoratori in cig”. Lo afferma l’Ilo, l’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite sul Lavoro nella sua scheda sull’Italia, definendo “allarmante” il livello dei Neet. La disoccupazione giovanile sale al 32,6%, più che raddoppiata dall’inizio del 2008, mentre i disoccupati di lunga durata rappresentano il 51,1% dei disoccupati totali. I lavoratori che non cercano più lavoro hanno raggiunto il 5% del totale e i giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione, hanno raggiunto la cifra allarmante di 1,5 milioni. Dall’inizio della crisi l’occupazione a tempo parziale e determinato è cresciuta fino ad arrivare rispettivamente al 15,2% e al 13,4% del totale, mentre il 50% del lavoro a tempo parziale e il 68% di quello a tempo determinato non è frutto di una scelta dei lavoratori.

Nel mese di aprile, secondo le stime preliminari, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), comprensivo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,5% rispetto al mese precedente e del 3,3% nei confronti di aprile 2011 (lo stesso valore registrato a marzo).

L’inflazione acquisita per il 2012 è pari al 2,7%. I maggiori incrementi dei prezzi rilevati nel mese di aprile 2012 riguardano le divisioni Servizi ricettivi e di ristorazione (+1,7%), Trasporti (+1,3%) e Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+1,1%). Aumenti su base mensile più contenuti si rilevano per i prezzi delle Bevande alcoliche e tabacchi (+0,4%), dell’Abbigliamento e calzature e di Ricreazione, spettacoli e cultura (per entrambi +0,2%).

Beni alimentari: nell’ambito degli Alimentari lavorati si mette in luce l’aumento su base mensile dei prezzi del Pane e dei Formaggi e latticini (per entrambi +0,2%), che crescono su base annua rispettivamente del 2,6% e del 3,6%. Continua ad aumentare il prezzo del Caffè (+0,5%, +11,6% rispetto ad aprile 2011) e, al pari del mese precedente, anche ad aprile si registra un rialzo congiunturale dello 0,5% del prezzo del Vino, in crescita su base annua del 3,8%. Nello stesso comparto, infine, si segnalano gli incrementi congiunturali dei prezzi delle Patate (+3,1%, -4,7% su base annua), della Carne ovina e caprina (+1,7%) e delle Uova (+0,6%), in aumento in termini tendenziali, rispettivamente, del 3,4% e del 4,2%.

Beni energetici: l’aumento congiunturale è dovuto principalmente al rialzo del prezzo dell’Energia elettrica (+3,6%), il cui tasso di crescita tendenziale tuttavia scende al 10,9% (dall’11,2% di marzo). In aumento risulta anche il prezzo del Gas (+1,5%), che cresce su base annua del 15,1% (era +15,6% a marzo 2012). Forti rialzi  dei prezzi di tutti i carburanti. Il prezzo della Benzina aumenta del 3,1% sul mese precedente, cosicché il tasso di crescita sale al 20,8% (in sensibile accelerazione dal 18,6% di marzo). Il prezzo del Gasolio per mezzi di trasporto segna un rialzo su base mensile dello 0,9% e cresce su base annua del 20,5% (dal 22,5% del mese precedente). Infine, il prezzo del Gasolio per riscaldamento aumenta dello 0,3% sul mese precedente e del 10,1% su quello corrispondente del 2011 (era +11,7% a marzo).

Per concludere, ad aprile il rincaro annuo del carrello della spesa, cioè i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza (dal cibo ai carburanti), è del 4,7% un valore, superiore al tasso d’inflazione (3,3%), che risulta il più alto da settembre 2008.

In parole povere siamo senza lavoro, senza soldi e senza speranze… Buon 1 Maggio Festa dei Lavoratori Disoccupati!

(Fonte dati preliminari Istat)

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