Il Centro studi di Confindustria ha recentemente fotografato il “quanto” e il “chi” evade in misura più massiccia: oltre la metà dei 122 miliardi, pari al 7,5% del Pil, sottratto ogni anno allo Stato provengono dall’Iva non versata (39,8 miliardi) e dai contributi non pagati (34,4); subito dopo, con 23,4 miliardi di tasse non pagate viene l’Irpef, poi 5,2 di Ires, 3,0 di Irap e 16,3 di altre imposte indirette.
Il sommerso economico, che alberga l’evasione, è stimato dall’Istat per il 2013 in 190,8 miliardi. È particolarmente elevato nelle altre attività di servizi (32,9% del valore aggiunto del settore), nel commercio, trasporti, attività di alloggio e ristorazione (26,2%), nelle costruzioni (23,4%) e nelle attività professionali (19,7%). Al contrario, è bassa la sua incidenza nelle attività finanziarie e assicurative (3,5%) e nella manifattura (6,0%). Nel confronto europeo per livello di evasione, basato sul tax gap per l’Iva, l’Italia si attesta al secondo posto dopo la Grecia, con un gettito evaso pari al 33,6% di quello dovuto, contro il 16,5% della Spagna, l’11,2% della Germania, l’8,9% della Francia e il 4,2% dei Paesi Bassi.
A questi numeri, ovviamente, corrispondono servizi meno efficienti o assenti, opere pubbliche sospese e pagamenti postergati, posti di lavoro cancellati, turnover bloccati per anni. Quello che c’è, lo pagano per tutti i contribuenti onesti o costretti a esserlo. E si perchè, stima sempre Confindustria, l’inadeguatezza dell’amministrazione fiscale nell’effettuare i controlli è mirata solo a fare cassa e non alla deterrenza, tanto che il 99% dei contribuenti rischiano di subire un controllo ogni 33- 50 anni. Altri paesi con livelli di evasione molto più bassi e condizioni di contesto più favorevoli si sono dotati di strumenti più efficaci, come emerge dall’analisi OCSE.
Al fisco più della metà del reddito familiare. Nel 2015 una famiglia composta da una coppia di lavoratori dipendenti con un figlio in età scolare, destina il 54,9% del reddito al pagamento dei contributi sociali e delle imposte, dirette e indirette. L’esborso più sostanzioso è effettuato direttamente con le trattenute sulla busta paga, comprese quelle che non vi figurano perché a carico del datore di lavoro. A fronte di un costo del lavoro dipendente pari a circa 73mila euro annui, il 35,2% è destinato ai contributi (di cui il 28,4% a carico del datore di lavoro) e il 13% per il pagamento dell’Irpef, comprensiva di addizionale regionale e comunale. L’insieme delle retribuzioni nette della famiglia ammonta quindi a poco più della metà del costo sostenuto dai datori di lavoro: 37.701 euro, pari a 2.900 al mese. Tale somma è destinata per l’89,3% alla spesa familiare, il cui valore comprende il pagamento di imposte indirette sui consumi (principalmente IVA, ma anche accise sui carburanti e sui tabacchi) e di tributi destinati agli enti locali (come, ad esempio, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti e il bollo auto) per complessivi 4.880 euro, pari al 14,5% della spesa in consumi e al 6,7% del reddito da lavoro (ovvero del costo del lavoro). Il carico fiscale e contributivo che grava sulla famiglia è dunque molto più elevato della pressione fiscale totale, pari al 43,2% del Pil. E ciò si spiega sia con la progressività dell’imposizione (avendo la famiglia considerata un reddito più alto della media italiana, date le sue caratteristiche, anche residenziali) sia con il sommerso. Per effettuare questa simulazione è stata scelta una famiglia che, stando alla distribuzione geografica e settoriale del sommerso economico, ha una bassa propensione all’evasione.