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L’Euro ha fallito, ha portato alla scissione non all’integrazione

fallimento Euro

“L’Unione Monetaria è il risultato di un desiderio francese e di una concessione tedesca. Il desiderio francese era quello di guadagnare potere sul marco tedesco per mezzo di una Banca Centrale Europea aperta alla persuasione della politica; il desiderio tedesco era quello di ottenere un’unione politica europea. Da questo punto di vista, il Cancelliere Helmut Kohl mostrò di essere un romantico: è dalle immagini che i politici traggono inspirazione.

L’immagine ispiratrice di Kohl fu la morte in un Luftangriff, un bombardamento del suo fratello maggiore, poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale. “Che non accada mai più” deve aver pensato, “meglio una Germania europea che una Europa tedesca”, e l’unione politica dell’Europa lo avrebbe garantito. Per raggiungere questo obiettivo era disposto a sacrificare il simbolo del rinascimento economico della Germania: il marco tedesco. Questa era la sua concessione. Come sostenne Hubert Védrine, assistente del Presidente Mitterrand e poi Ministro degli Affari Esteri in Francia, “con la Moneta Unica Kohl ha fatto la più grande concessione che si possa chiedere a un Cancelliere tedesco”. Se all’epoca fosse stato fatto un referendum sulla creazione della Moneta Unica, la scelta di rinunciare al marco avrebbe potuto benissimo essere sconfitta nelle urne.

Nel Novembre 1992 Helmut Kohl disse al Parlamento Tedesco: “Die Politische Union ist das unerlässliche Gegenstück der Wirtschafts und Währungsunion”, ovvero “l’Unione Politica è la controparte fondamentale dell’Unione Monetaria”.

Così, fummo avvertiti. L’Unione Politica doveva precedere l’Unione Monetaria, ma non lo fece, ed è stato esattamente il contrario. L’Unione Monetaria è stata concordata a Maastricht, e stiamo ancora qui ad aspettare l’Unione Politica. Poco tempo dopo la conferenza di Maastricht, Helmut Kohl scrisse che non era stato possibile soddisfare tutte le aspettative in quell’occasione, ma era stata creata una dinamica politica alla quale nessuno degli stati membri sarebbe stato in grado di resistere. Come tutti noi possiamo vedere, non ha funzionato in questo modo e l’Unione Monetaria ha portato alla scissione, non all’integrazione.

Al fine di ottenere l’accettazione dell’euro, la Germania ha insistito sul cosiddetto Patto di Stabilità e Crescita, che qualche tempo dopo venne concluso a Dublino, stabilendo i cinque criteri che tutti i paesi membri avrebbero dovuto raggiungere se avessero voluto aderire all’Euro.

In primo luogo, tra questi criteri c’era il requisito che determinava che il deficit annuale di uno stato membro non deve superare il 3%. Tutti i firmatari del Patto di Stabilità e Crescita dichiararono “solennemente” che avrebbero “rigorosamente” osservato questo criterio, ma le cose non andarono così: nel 2003 la Germania e la Francia furono i primi a non rispettare le regole. Ora, se un patto che tutti i firmatari di una dichiarazione solenne hanno dichiarato di osservare rigorosamente viene disatteso dopo pochi anni, quale patto o dichiarazione europea successiva potrà avere credibilità? Questo, temo, vale anche per il recente accordo conclusosi a Bruxelles, dove si riafferma il Patto di Stabilità e Crescita e si rafforzano le sanzioni per i trasgressori. Staremo a vedere.

L’Unione Politica Europea immaginata da Helmut Kohl non è altro che un’unione federale, una cosa con cui i tedeschi hanno tanta esperienza perché è proprio dentro un’unione federale che vivono. L’Unione Europea però non diventerà mai una federazione come la Germania, gli Stati Uniti, il Canada o il Brasile. Per prima cosa, non c’è nessun popolo europeo, nessuna lingua europea, nessuna legge europea, nessuna opinione pubblica europea. Quindi, le condizioni basilari per formare una federazione non vengono soddisfatte già in partenza. In secondo luogo, importanti stati membri non lo vogliono. Primo fra tutti il Regno Unito, dove il progetto di un superstato europeo — lì la chiamano così la federazione europea — viene respinto con orrore, ma anche la Polonia, dove i ministri hanno detto che i polacchi non sono passati attraverso 40 anni di dominazione sovietica per finire sotto la tutela di Bruxelles. Stessa cosa anche per i cechi e gli spagnoli, e ora anche gli olandesi, che un tempo hanno creduto che uno stato federale europeo avrebbe protetto i piccoli Paesi membri da quelli più grandi.

Certamente è vero che l’Unione Europea ha determinate caratteristiche federali: il Parlamento Europeo, la Commissione Europea, la Corte Europea di Giustizia e il Consiglio Europeo. Ma questo è il massimo a cui si è riusciti ad arrivare.

Quindi, possiamo dire che nessun protagonista ha ottenuto quello che voleva. La Francia ritiene che il Trattato di Maastricht ha rappresentato una vittoria sulla Germania ma ancora non ha ottenuto una Banca Centrale Europea aperta all’influenza dalla politica, dal momento che questo per i tedeschi sarebbe una violazione del patto, che farebbe abortire l’Unione Monetaria. La Germania non ha raggiunto la sua ambizione, perché non ci sarà mai una Federazione Europea.

Non si riflette mai abbastanza attentamente. I politici europei sono stati confusi dalla nozione romantica di un’unione sempre più stretta, come il preambolo del Trattato di Roma lasciava intendere, ma il romanticismo in politica è pericoloso: meglio essere realisti ricordando che “i migliori piani dei topi e degli uomini vanno spesso fuori strada”, come scrisse il poeta scozzese Robert Burns.

Una cosa che avrebbe dovuto essere considerata fin dall’inizio – ma così non è stato – era la differenza di cultura economica tra il Nord Europa e l’area Mediterranea guidata dalla Francia. Messa nel modo più sintetico possibile: il Nord ha voluto la solidità, il Mediterraneo la solidarietà.

Tornando negli anni sessanta, Johannes Witteveen, all’epoca Ministro delle Finanze olandese e successivamente direttore del Fondo Monetario Internazionale, disse: “i paesi che formano un’unione monetaria si firmano reciprocamente un assegno in bianco”. Questo è stato dimenticato.

Secondo la visione francese la disciplina prevista dalla bilancia dei pagamenti dovrebbe sparire. Se le differenze economiche tra gli stati membri dovessero manifestarsi, gli squilibri risultanti dovrebbero essere finanziati congiuntamente o – in alternativa – regolati in modo tale che l’onere dell’aggiustamento venisse simmetricamente distribuito sui paesi in deficit e in surplus. In questo modo i paesi in surplus mostrerebbero solidarietà con quelli in deficit.

Un’altra differenza altrettanto perniciosa tra il Nord e gli stati membri del Mediterraneo era l’asimmetria nella competitività. Herman Van Rompuy, il Presidente del Consiglio Europeo, è noto per aver detto che l’euro è un sonnifero: ha permesso ai paesi mediterranei di prendere in prestito denaro a tassi d’interesse artificialmente bassi, trascurando la necessità di apportare miglioramenti strutturali alle loro economie, lasciandosi andare al sogno del “dolce far niente”.

Tali erano gli effetti del “one size fits all”. Non conosco un singolo americano che abbia creduto alla durata dell’euro, e questi sono i motivi.

Al momento del dibattito sul chi avrebbe e chi non avrebbe dovuto avere la possibilità di entrare nell’Unione Monetaria, io ero il leader del mio partito. Ero contrario all’adesione dell’Italia perché era evidente che non avrebbe soddisfatto i criteri. Il nostro Ministro delle Finanze, Gerrit Zalm, era d’accordo con me. Di conseguenza, è stato chiamato “il duro” o “il perfido” quando a Roma ha insistito sull’osservanza dei criteri. Da parte mia, sono andato a Francoforte per incontrare il signor Tietmeyer, all’epoca Presidente della Bundesbank, per convincerlo a opporsi all’ingresso dell’Italia nella Zona Euro. Fu tutto inutile, e mi disse: “Lieber Herr Bolkestein, Sie sind Politiker, ich bin nur Beamte” (Caro signor Bolkestein, lei è un politico, io solo un impiegato). In altre parole: “Dovrei fare io il lavoro sporco?” Certo, poteva fare ben poco visto che il suo capo, Bundeskanzler Helmut Kohl, aveva già deciso che l’Italia poteva entrare nell’euro.

L’adesione italiana alla Zona Euro ha avuto conseguenze disastrose, una di queste è che anche la Grecia è stata accettata come membro; non a discapito dell’aver mentito sulle statistiche – cosa che ha fatto – ma perché il Consiglio Europeo ha ritenuto che non poteva negare alla Grecia quello che era stato consentito all’Italia. I tedeschi chiamano questo comportamento “die Fluch der bösen Tat”, ovvero “fai una cosa sbagliata e questa continuerà a perseguitarti”.

E così, adesso ci troviamo di fronte alla crisi del credito. Secondo alcuni la crisi è stata causata dai banchieri, ma le cose non stanno così. Non nego che alcuni – forse anche molti – banchieri si siano comportati male, ma l’origine si trova negli Stati Uniti e la causa erano le scelte politiche sbagliate del Governo.Tre fattori meritano di essere menzionati:

  • In primo luogo, il deficit del Governo finanziato in gran parte dai cinesi. Questo significa he alcune delle persone più povere della terra hanno pagato per mantenere alcuni dei consumatori più ricchi e garantiti finanziariamente.
  • In secondo luogo, la politica della Federal Reserve, che ha mantenuto il tasso d’interesse artificialmente basso allo 1% quando avrebbe dovuto essere intorno al 4%. Questi due fattori hanno causato un eccesso di liquidità.
  • In terzo luogo, la normativa che ha chiesto ai banchieri di concedere mutui per comprare casa anche a persone che non erano solvibili. È vero che alcuni banchieri hanno approfittato dei clienti creduloni, ma era il Governo a permetterglielo.

Noi europei ci siamo invischiati in un bel pasticcio. L’ordine del giorno è che i governi dovrebbero ridurre le spese e risparmiare denaro al fine di soddisfare i criteri del 3% ma una delle lezioni degli anni ’30 è che ridurre la spesa in un momento di crisi ha l’effetto di prolungarla. Certo, la situazione attuale non è come quella degli anni ’30. Per prima cosa abbiamo sistemi di sicurezza sociale che servono ad attutire gli effetti della disoccupazione, ma questi sistemi di stabilizzazione significano anche un aumento della spesa pubblica, e in parte vanno a contrastare proprio quello che cercano di salvare.

Il Governo spagnolo ha supplicato di essere perdonato per non aver applicato la regola del 3%. La Francia è messa peggio. Il Governo greco può fare promesse, ma non può mantenerle a causa della sua debolezza. Quando ero membro della Commissione Europea (prima del Novembre 2004) abbiamo concesso alla Grecia 150 milioni di euro per istituire un Registro del catasto: ad oggi ancora non esiste. La sua economia gira solo attraverso gli accordi corporativi.

È difficile pensare come la Grecia possa rimanere uno stato membro dell’Unione Monetaria. Penso che la cosa migliore per la Grecia sia uscirne, forse per ritornare più tardi, dopo aver sistemato tutto quello che c’è da sistemare. Non c’è dubbio che questa sarebbe una faccenda molto complicata da gestire, ma che significato ha mandare di tanto in tanto ad Atene delle missioni della Troika solo per scoprire che ancora una volta il Governo greco non ha fatto quello che aveva promesso?

Una cosa che di sicuro non dovremmo fare è creare i cosiddetti euro bond. Questo significherebbe che tutti gli stati membri metterebbero in comune i loro debiti facendoseli finanziare da queste obbligazioni: un piano disastroso. Per prima cosa farebbe pagare ai Paesi Bassi un tasso d’interesse molto più elevato del dovuto. Il mio ultimo calcolo ha mostrato che l’onere degli interessi salirebbe di 7 miliardi di euro all’anno. In secondo luogo, e, cosa più grave, gli euro bond si presenterebbero come un diaframma tra i paesi in deficit e il mercato, proprio come fece l’euro: ma in questi paesi il deficit dovrebbe rispondere di più al mercato, non di meno. L’ex Primo Ministro del Belgio Guy Verhoffstadt è un adepto di questo piano, ma – questo è il mio sospetto – lo è perché vuole abolire lo Stato-Nazione, il che è assurdo. In termini più generali, la mutualizzazione del debito scarica dalla responsabilità, che è esattamente l’opposto di quello che invece dovrebbe essere.

Ci sarà la rottura della Zona Euro? O piuttosto, che tipo di Euro avremo in futuro? Mostrerà “solidità” come la Germania e il mio paese vogliono? Oppure significherà “solidarietà”, che significa usare i soldi degli altri? I tedeschi non vogliono gli euro bond; non vogliono un’unione di trasferimento, che significherebbe un flusso permanente di denaro da Nord verso Sud nella stessa maniera delle sovvenzioni che passano dalla Germania Ovest a quella dell’Est. Resisteranno anche all’Unione Fiscale, che ci costringerebbe ad imitare l’economia francese fatta di tasse elevate ed elevata spesa pubblica. Ringrazio la Corte Costituzionale di Karlsruhe, che ha reso le ulteriori cessioni di sovranità a Bruxelles oggetto di approvazione parlamentare.

Permettetemi di ricordarvi la storia di questo paese. L’Italia è stata costituita nel 1870. La lira divenne la moneta nazionale. È stata progettata per il Nord, e quindi, troppo forte per il Sud. Il Nord ha compensato questo squilibrio attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, e questa unione di trasferimentocontinua ancora oggi, ma ha fatto ben poco per migliorare la situazione economica del Mezzogiorno.

L’Unione Monetaria ha fallito. Impedisce le svalutazioni di cui i paesi in disavanzo hanno bisogno. Invece di essere una zona di stabilità monetaria, è una fonte di inquietudine. Finché il Nord e il Sud sono legati insieme, non potremo mai uscire dalla fossa che noi stessi ci siamo scavati”. Frits Bolkestein economista e politico olandese, ex commissario UE per il Mercato Interno, la Tassazione e l’Unione Doganale nella Commissione Prodi. Un politico che ha vissuto in pieno la nascita dell’Euro.

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Gli Stati Uniti d’Europa

Intervento di Viviane Reding Vicepresidente della Commissione europea e Commissaria per la giustizia, e per i diritti fondamentali e la cittadinanza, al Centro di diritto europeo dell’università di Passau. 

“Se si vuole una politica di bilancio sana e duratura, occorre un Ministro delle finanze europeo responsabile del proprio operato dinanzi al Parlamento europeo e che disponga di chiari poteri per intervenire nei confronti degli Stati membri. L’arbitrarietà dei giudizi pubblicati dalle agenzie di rating non può certo rappresentare un’alternativa!”

“A Maastricht hanno voluto farci credere che era possibile introdurre un’unione monetaria stabile e una nuova valuta internazionale senza creare in parallelo gli Stati Uniti d’Europa. È stato un errore, e questo errore di Maastricht va corretto adesso se vogliamo continuare a vivere in un’Europa stabile ed economicamente prospera.”

“Al momento attuale vedo un pericolo soprattutto nel fatto che, sia il meccanismo europeo di stabilità, sia il patto di bilancio sono costruzioni improvvisate al di fuori dei trattati europei. È vero, di fronte alla crisi non c’erano alternative, bisognava agire subito. Sotto il profilo del parlamentarismo democratico questa però non può e non deve essere una soluzione duratura.”

“Quando decisioni del genere sono prese a livello europeo, va anche garantito un controllo democratico a livello europeo, da pari a pari. Sono pertanto a favore dell’integrazione a medio termine del patto di bilancio e anche del meccanismo europeo di stabilità nei trattati europei, in modo da sottoporre questi strumenti al controllo del Parlamento europeo.”

“Auspicherei che in futuro divenisse norma per un Commissario esser stato prima eletto al Parlamento europeo. Ciò contribuirebbe a rafforzare la legittimazione democratica del governo europeo.”

“Dopo matura riflessione ritengo l’idea degli Stati Uniti d’Europa la più condivisibile, ma anche quella che definisce in modo più appropriato la struttura definitiva cui l’Unione europea aspira.”

“L’Europa ha bisogno di un sistema bicamerale come quello degli Stati Uniti. Forse un giorno avremo addirittura bisogno di un Presidente della Commissione europea eletto direttamente.”

“Per me gli Stati Uniti d’Europa sono la visione giusta per superare la crisi attuale, ma anche e soprattutto per rimediare alle carenze del trattato di Maastricht. Perché in fin dei conti una cristiano-democratica europea come me non può certo farsi dettare la visione per il futuro dagli euroscettici britannici!”

Sono particolarmente lieta di trovarmi qui con voi oggi all’università di Passau.

Ora capisco perché a Bruxelles abbiamo così tanti giuristi o economisti che hanno studiato all’università di Passau e che lavorano con grande ambizione e slancio allo sviluppo ulteriore dell’Europa: qui a Passau, al crocevia di tre Stati, non si può fare a meno di essere europei! Per me che sono nata nel Lussemburgo è una cosa ovvia: nel mio paese, i confini sono una realtà quotidiana e, quindi, di riflesso anche l’Europa lo è. Non a caso l’accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone in Europa è stato firmato nel Lussemburgo nel 1985, a bordo di una nave ormeggiata sulla Mosella, proprio sul confine tra Lussemburgo, Francia e Germania. Per questo oggi, qui a Passau, nella bella “città dei tre fiumi”, mi sento un po’ come a casa mia.

Devo questo invito all’onorevole Manfred Weber, deputato al Parlamento europeo, con il quale collaboro strettamente a Bruxelles e a Strasburgo sui temi della giustizia e degli affari interni. Negli ultimi mesi ci siamo entrambi adoperati per potenziare la libertà di circolazione prevista dall’accordo di Schengen su tutto il territorio europeo. Il 48% dei cittadini europei ritiene che il diritto di circolare e soggiornare liberamente all’interno dell’UE sia il più importante dei diritti civili. Non dobbiamo quindi permettere che in periodi di crisi, dietro spinte populiste, si cerchi nuovamente di erigere delle barriere in Europa!

Vorrei inoltre ringraziare il Centro di diritto europeo dell’università di Passau, il CEP, per aver contribuito ad organizzare la manifestazione odierna. In quanto Commissaria per la giustizia dell’UE sono anche competente per la cittadinanza europea: per questo, sono particolarmente compiaciuta del fatto che, da oltre dieci anni, il CEP gestisca un cosiddetto “centro per i cittadini dell’Unione”. Qui nella regione i cittadini si rivolgono regolarmente a questo “sportello” per sottoporre problemi di natura transfrontaliera con i quali si scontrano ogni giorno. Ad esempio, un dentista di Passau può aprire uno studio sull’altra sponda dell’Inn? Una lavoratrice dipendente ungherese residente in Bassa Baviera ha diritto al sussidio di disoccupazione tedesco? Uno studente di Passau di nazionalità tedesca che vive sulla sponda austriaca del fiume può partecipare alle elezioni per il Parlamento europeo in Austria? Quando si pongono problemi di questo tipo, i cittadini possono chiedere una prima consulenza legale gratuita al CEP. Oltre a dare un contributo molto concreto all’Europa, questo centro promuove anche la buona reputazione dell’università di Passau, soprattutto quando le esperienze raccolte in questi contatti con i cittadini confluiscono direttamente nell’insegnamento e nella ricerca scientifica. In ciò l’università di Passau costituisce un modello esemplare!

Il tema del mio intervento odierno sono gli Stati Uniti d’Europa. Si tratta di una visione forte, ambiziosa e sicuramente controversa per il futuro del nostro continente. Sono certa che quello che sto per dire provocherà un dibattito molto acceso, ossia il fatto che, per uscire dalla crisi finanziaria e del debito, dobbiamo compiere il passo decisivo verso gli Stati Uniti d’Europa. Non vedo l’ora di confrontarmi con voi su questo tema, perché ritengo che in questo periodo di crisi sia più importante che mai discutere apertamente e lealmente sulle alternative che si prospettano all’Europa. Vi sono sempre alternative e spetta ai politici democraticamente eletti individuarle ed esplicitarle in modo chiaro affinché i cittadini possano scegliere con cognizione di causa, nelle elezioni legislative, regionali o alle elezioni per il Parlamento europeo del 2014.

Da parte mia, vorrei innanzitutto spiegarvi dove ha origine la nozione di “Stati Uniti d’Europa” e cosa significa, cercando di capire perché negli ultimi 20 anni questo sia stato per i politici un argomento tabù. Infine cercherò di spiegare perché oggi quest’idea di Stati Uniti d’Europa sia improvvisamente tornata di attualità.

Innanzitutto: Da dove proviene l’idea di Stati Uniti d’Europa e cosa significa?

Nel corso della storia sono tante le personalità famose che hanno parlato o sognato degli Stati Uniti d’Europa: da George Washington a Napoleone Bonaparte o Giuseppe Mazzini fino a Richard Coudenhove-Kalergi. Tuttavia è senza dubbio lo scrittore francese Victor Hugo ad aver formulato la visione più limpida e concreta.

Questa visione si può comprendere solo sullo sfondo del caos che regnava in Europa nel XIX secolo e che lo scrittore visse in prima persona: una serie di guerre tra Francia e Germania, l’esilio coatto di Victor Hugo sulle isole della Manica per la sua opposizione a Napoleone III, la traumatica annessione tedesca dell’Alsazia e della Lorena dopo la guerra del 1870/1871 e, infine, la partecipazione di Hugo al difficile decollo della nascente Terza Repubblica francese. In un’epoca così drammatica, è comprensibile che Victor Hugo anelasse alla pace e alla democrazia sul continente europeo. In occasione della conferenza di pace di Parigi, che si svolse alla metà del XIX secolo, lo scrittore illustrò la sua visione degli Stati Uniti d’Europa con queste parole:

“Verrà un giorno in cui le armi vi cadranno dalle mani; verrà un giorno in cui la guerra vi sembrerà tanto assurda, tanto impossibile fra Parigi e Londra, fra San Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino, quanto non lo sia oggi fra Rouen e Amiens, fra Boston e Filadelfia. Verrà un giorno in cui voi – Francia, Russia, Italia, Inghilterra, Germania – tutte le nazioni del continente senza perdere le vostre qualità distinte e la vostra gloriosa individualità, vi fonderete in modo stretto in un’unità superiore, formerete in modo assoluto la fraternità europea […]. Verrà un giorno in cui non vi saranno campi di battaglia al di fuori dei mercati che si aprono al commercio e degli spiriti che si aprono alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le bombe saranno sostituite dai voti, dal suffragio universale dei popoli, dal venerabile arbitrato di un grande senato sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, ciò che l’assemblea legislativa è per la Francia! Verrà un giorno in cui esporremo i cannoni nei musei sorprendendoci di ciò che è avvenuto in passato. Verrà un giorno nel quale l’uomo vedrà questi due immensi insiemi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, posti l’uno di fronte all’altro, tendersi la mano al di sopra dell’oceano, scambiare fra loro merci, prodotti, artisti, scienziati […]. Non ci vorranno quattrocento anni per vedere quel giorno poiché viviamo in un tempo rapido”. Continue Reading

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