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Lavoro: In Italia non si investe sulla formazione qualificata

formazione dei lavoratori

Che in Italia la formazione professionale sia rimasta molto indietro rispetto al resto dell’Europa è un dato ormai noto. Il nostro Paese non ha mai agito seriamente sulla formazione continua. La conferma arriva dai numeri presentati nel Rapporto al Parlamento sulla formazione continua realizzato da Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) per conto del ministero del Lavoro relativo al 2015-2016. Le imprese italiane investono poco in capitale e poco in formazione. Continue Reading

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Istruzione e formazione in Italia? Bocciate!

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L’Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell’ultimo decennio, non è ancora in grado di offrire a tutti la possibilità di un’educazione adeguata. Il ritardo rispetto alla media europea e il forte divario territoriale si riscontrano in tutti gli indicatori relativi a istruzione, formazione continua e livelli di competenze. Dal 2004 al 2011 è aumentato il numero di giovani che non studiano e non lavorano, si nota una stagnazione della formazione continua e si è avuta una drastica riduzione della partecipazione culturale.

In merito ai due principali indicatori per la misura del livello di formazione della popolazione, si rileva che, nel 2011:

  • il 56 per cento delle persone di 25-64 anni ha il diploma superiore, rispetto a una media europea del 73,4 per cento;
  • gli individui di 30-34 anni in possesso di un titolo universitario sono il 20,3 per cento, a fronte del 34,6 per cento della media europea.

Il contesto socio-economico di provenienza è un fattore importante nel determinare i percorsi formativi dei ragazzi e il titolo di studio posseduto dai genitori condiziona fortemente la riuscita dei percorsi scolastici, il che vuol dire che la scuola non riesce a svolgere una significativa funzione di riequilibrio sociale per i ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate. La laurea sta perdendo, inoltre, importanza come motore di mobilità sociale.

Sebbene in ritardo rispetto all’Europa, l’Italia sta comunque compiendo progressi: dal 2004 al 2011 si sono registrati graduali miglioramenti nel livello di istruzione formale; parallelamente è diminuita la percentuale di giovani che abbandonano prematuramente gli studi (dal 22,9 % del 2004 al 18,2 % del 2011) ed è aumentata quella di persone con alti livelli di competenze informatiche (dal 15,2 % del 2006 al 21,7 % del 2012).

A causa della crisi economica, è aumentata la quota di NEET (Not in education, employment or training), ossia di giovani di 15-29 anni che non lavorano, non studiano e non sono in formazione (dal 19,5 per cento del 2009 al 22,7 per cento del 2011). E anche nelle famiglie che offrono maggiori opportunità socio-economiche la quota di NEET resta a livelli preoccupanti (oltre il 10 per cento). Inoltre solo il 5,7 per cento delle persone di 25-64 anni ha partecipato ad attività di istruzione e/o formazione continua rispetto alla media europea dell’8,9 per cento. Il ricorso alla formazione continua ristagna sui livelli del 2004 (era il 6,3 per cento e nel 2011 era del 5,7 per cento), indicando una grave sottoutilizzazione di questo canale formativo.

Secondo i dati dell’indagine PISA, il livello di competenza alfabetica degli studenti di 15 anni nel 2009 è più basso di 10 punti della media dei paesi OCSE e dal 2000 non ha subito miglioramenti. I livelli di competenza sono fortemente influenzati dal tipo di scuola frequentata: sia nelle competenze linguistiche che nelle numeriche i licei ottengono risultati mediamente più alti degli istituti tecnici, i quali conseguono risultati superiori ai professionali. I risultati peggiorano man mano che si discende lungo la penisola, al punto che il punteggio in italiano degli istituti tecnici del Nord è migliore di quello dei licei del Sud. Un aspetto positivo è rappresentato dalla scuola dell’infanzia che, nel 2010, in Italia copre, con lievi differenze territoriali, il 92,5 per cento dei bambini di 4-5 anni. Se si considerano anche i bambini di 5 anni già inseriti nella scuola primaria, si arriva a un tasso di partecipazione del 97,1 (superiore alla media europea, che è del 92,4 per cento) e anche al target europeo, che indica per il 2020 un tasso di inserimento del 95 per cento per i bambini di 4-5 anni.

La partecipazione alla vita culturale è fortemente diminuita (spettacoli visti fuori casa, ma anche la visione casalinga di DVD, visite a musei, monumenti e mostre, lettura di quotidiani): nel 2012 l’indicatore presenta un marcato decremento, passando al 32,8 % dal 37,1 % del 2011.

*Servizio Studi Senato

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