La produzione alimentare globale è in pieno boom: produciamo cibo per sfamare 13 milioni di persone.
Ma chi produce il cibo “vero” per sfamare il mondo? Continue Reading
La produzione alimentare globale è in pieno boom: produciamo cibo per sfamare 13 milioni di persone.
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Un chilo di carne equivale a 35 metri quadrati di foresta, 15.500 litri d’acqua, 15 chili di cereali e 36 chili di Co2.
Il consumo di carne è responsabile in parte di un grosso problema che affligge l’umanità: la fame nel mondo. Continue Reading
Entro il 2050 la popolazione mondiale si prevede possa aumentare di oltre 2 miliardi di esseri umani rispetto agli oltre 7,3 attualmente presenti (raggiungendo i 9,7 miliardi) (United Nations, 2015). Con ogni probabilità questo incremento potrebbe condurre a un raddoppio della domanda di cibo, come suggerito da diversi studi.
La domanda alimentare si prevede in incremento nei prossimi decenni, a causa di una popolazione mondiale in crescita e dei mutamenti che si verificheranno nella composizione della dieta e nei livelli di consumo associati all’incremento dell’urbanizzazione dei paesi di nuova industrializzazione (dalla Cina all’India, dal Brasile al Sud Africa, ecc.). Tutto questo potrebbe richiedere un aumento nella produzione agricola del 70%.
Ciò determinerà inevitabilmente ulteriore perdita di biodiversità e incremento delle emissioni di gas a effetto serra e inquinamenti di vario tipo. Inoltre l’espansione delle coltivazioni per ottenerne biocarburanti causerà un’ulteriore pressione sui sistemi naturali.
L’agricoltura ha già distrutto o trasformato radicalmente il 70% dei pascoli, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate e il 25% delle foreste tropicali. Dall’ultima era glaciale, nessun altro fattore sembra aver avuto un impatto tanto distruttivo sugli ecosistemi. L’area occupata dalle attività agricole è pari a 60 volte quella occupata globalmente da strade ed edifici.
Se escludiamo Groenlandia e Antartide, attualmente coltiviamo il 38% delle terre emerse. L’agricoltura è di gran lunga l’attività umana che usa più terreno in assoluto sul Pianeta e la maggior parte di questo 38% include i terreni migliori. Il resto è costituito principalmente da deserti, montagne, tundra, ghiaccio, città, parchi naturali e altre aree non adatte alla coltivazione. Le poche frontiere ancora disponibili si trovano nelle foreste tropicali e nelle savane, che però sono fondamentali per la stabilità degli equilibri dinamici del Pianeta, specialmente come sink di carbonio e riserve di biodiversità. Espandere le coltivazioni in queste aree costituirebbe un grave errore, tuttavia negli ultimi 20 anni sono stati creati tra i 5 e i 10 milioni di ettari di coltivazioni l’anno, di cui una parte significativa nelle zone tropicali. Questo incremento ha però portato a un aumento netto di terreno coltivato pari solo al 3%, a causa delle perdite dovute, per esempio, allo sviluppo delle aree urbane, in particolare nelle zone temperate.
Le attività umane, comprese quelle relative alla produzione, trasformazione, confezionamento, distribuzione, vendita al dettaglio e consumo di cibo, sono in parte responsabili dei cambiamenti climatici in atto a causa delle emissioni di gas serra delle attività agricole e zootecniche e cambiamenti d’uso del suolo. Queste attività stanno contribuendo a modificare anche altri aspetti del cambiamento ambientale globale (Global Environmental Change, GEC), comprese le alterazioni nell’approvvigionamento di acqua dolce, nella qualità dell’aria, nel ciclo dei nutrienti, nella biodiversità, nella copertura del suolo e dei terreni.
Il raggiungimento della sicurezza alimentare per tutta la popolazione mondiale è chiaramente una sfida più complicata del semplice incremento della produzione alimentare; il mondo, infatti, produce un quantitativo di cibo più che sufficiente per tutti, ma – ancora oggi – 795 milioni di persone (vale a dire una su nove) soffrono la fame (FAO, IFAD and WFP, 2015). Nonostante i progressi significativi, diverse regioni e sub-regioni continuano a restare indietro. In Africa sub-sahariana, più di una persona su quattro rimane cronicamente sottoalimentata, mentre l’Asia, la regione più popolosa del mondo, è anche la regione dove si concentra il maggior numero delle persone che soffrono la fame – 526 milioni (FAO, IFAD and WFP, 2015).
La questione fondamentale, però, come sottolineato dalle tre agenzie delle Nazion i Unite, riguarda l’accesso a cibo, piuttosto che la produzione alimentare. Il consumo di carne pro capite, infatti, è in continuo aumento, dal 1995 è incrementato globalmente del 15% come ricorda il Worldwatch Institute. E’ la Cina il paese leader nel consumo di carne a livello mondiale ( nel 2012 ha raggiunto un consumo annuale di 71 milioni di tonnellate, più del doppio di quello degli Stati Uniti) Anche la dieta europea è notevolmente cambiata nel corso degli ultimi 50 anni e molti di questi cambiamenti sono andati nella direzione di una maggiore assunzione di carne. Secondo la FAO, in Italia il consumo di carne è aumentato di oltre il 190% dal 1961 (31 kg pro capite l’anno) al 2011, con 90 kg pro capite l’anno. Numeri che fanno riflettere dato che oggi, nonostante si produca nel mondo un quantitativo di cibo più che sufficiente per tutti, soffrono ancora la fame ben 795 milioni di persone, quasi una su nove di cui oltre la meta’ in Asia.
La lotta contro la fame tornerà indietro di decenni a causa dei cambiamenti climatici se non si interviene urgentemente. Rispetto a un mondo senza cambiamenti climatici, nel 2050 potrebbero esserci 25 milioni in più di bambini malnutriti di età inferiore ai 5 anni, ovvero l’equivalente di tutti i bambini di quell’età di Stati Uniti e Canada (come indica Oxfam). Il Quinto e ultimo Rapporto dell’IPCC mostra che l’impatto del cambiamento su queste problematiche legate alla sicurezza alimentare, alla nutrizione, ai mezzi di sussistenza sarà peggiore di quanto precedentemente stimato e le conseguenze saranno avvertite molto prima, cioè già nei prossimi 20-30 anni. I cambiamenti climatici potrebbe far lievitare il prezzo di mais, frumento e riso del 120-180% come ricorda anche Oxfam. Ad avvalorare la tesi, negli ultimi anni ci sono stati tre picchi dei prezzi degli alimenti a livello globale: nel 2008, nel 2010 e nel 2012. Si ritiene che milioni di persone migreranno da zone sempre più aride a zone più fertili.
Le soluzioni? Passare dai sistemi di produzione alimentare dominanti al livello planetario, ad alto consumo di risorse naturali (come, ad esempio, il terreno fertile), all’agroecologia (con minimo utilizzo di fertilizzanti e pesticidi e input – come il letame e i concimi organici – prodotti localmente) e alla pesca sostenibile. L’85% degli stock ittici mondiali è pienamente sfruttato o sovrasfruttato o esaurito. 160 milioni di tonnellate di pescato, di cui il 44% da acquacoltura, sono volumi non più sostenibili. Occorre incoraggiare i pescatori, i fornitori, i compratori e i venditori a impegnarsi per la certificazione sostenibile del pescato e la tracciabilità della filiera. “L’impatto del cambiamento climatico sulla produzione alimentare e gli effetti di pratiche agricole dannose per il clima sono già una realtà”, ha dichiarato Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia, “l’obiettivo è quello di creare sistemi alimentari fortemente integrati con la vitalità dei sistemi naturali e della biodiversità (il nostro capitale naturale costituito da suolo, acqua, foreste e specie ecc. ), che producano con il minor danno per l’ambiente e il clima”.
* Report WWF “IL CLIMA NEL PIATTO” diffuso alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Alimentazione che si celebrerà in tutto il mondo venerdì 16 ottobre
In occasione della giornata mondiale della Terra, 32 organismi, associazioni, movimenti e media cattolici italiani si riuniscono per fare il punto e rilanciare l’impegno contro la fame per una società più giusta, contro la cultura dello scarto e l’economia che esclude. La Terra ci nutre. Ricordiamocelo e rispettiamola.
Per far questo bisogna riportare il sistema finanziario ad agire in maniera funzionale a tutti e essere in grado di rispondere alla domanda di giustizia e di bene comune. In questo periodo di crisi economica, la questione cibo ha di fatto ridisegnato anche i confini della povertà e della vulnerabilità, avvicinando i paesi sviluppati a quelli più poveri e non viceversa.
Il diritto al cibo diventa quindi l’elemento fondamentale dal quale ripartire, per rimuovere quello che è lo “scandalo della fame” che affligge ancora molte, troppe persone al mondo, togliendogli ogni dignità umana.
Il cibo non è una merce e la Terra è un bene comune da tutelare ad ogni costo, nel Nord così come nel Sud del mondo: questo il presupposto col quale la Campagna intende partecipare al dibattito in corso all’ Expo 2015 e dare un contributo all’avvio dei nuovi Obiettivi dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. Saranno approfondite riflessioni e presentate iniziative concrete per un’economia che metta al centro l’uomo, la sua dignità, la destinazione universale dei beni comuni per il diritto al cibo.
L’intento è rilanciare l’azione a sostegno del diritto al cibo e della custodia della Terra, partecipando al dibattito che si aprirà in Expo 2015, all’avvio dei nuovi obiettivi del millennio post 2015 per sradicare la fame, e alla Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico affinché i paesi adottino obiettivi vincolanti ambiziosi per la riduzione dell’emissione dei gas serra e per un clima di giustizia tra nord e sud del mondo.
Caritas Europa domanda come l’Ue può provare a riformare il sistema agroalimentare globale, offrendo una proposta: “L’Ue a 28 membri è il primo donatore mondiale di aiuti allo sviluppo ma non ha nessun quadro giuridico che garantisca il diritto all’alimentazione per tutti. I deputati europei possono impegnarsi nella lotta alla fame e nella promozione del diritto all’alimentazione convincendo le istituzioni europee della necessità di includere il diritto al cibo nelle prossime riforme del Trattato. Le persone non soffrono la fame a causa di una scarsa produzione ma perché non si possono permettere di acquistare i prodotti sul mercato o perché non hanno un accesso continuativo e sostenibile alle risorse necessarie per poter produrre la quantità di cibo necessaria in maniera autosufficiente”.
Qui sotto una video-animazione di un minuto, basata su un’antica storia che parla di fame e di condivisione. L’allegoria “dei lunghi cucchiai” ci insegna che se pensiamo solo a noi stessi, tutti rimaniamo affamati. Se invece ci prendiamo cura dei bisogni dei nostri vicini scopriamo che c’è nutrimento sufficiente per ognuno. Nell’inferno le persone non sono in grado di sollevare il cibo alla bocca con quelle posate ingombranti, e stanno morendo di fame. In cielo, i commensali si alimentano l’un l’altro sul tavolo e sono sazi.
Gli insetti saranno il cibo del futuro? Pochi, nel mondo occidentale e soprattutto in Italia, accettano di considerare questi come potenziale componente della loro dieta. Eppure le ragioni che porterebbero a farlo sono numerose. Di fatto gli insetti sono l’alimento proteico più sostenibile, nutriente, ricco di proteine e amminoacidi essenziali, di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, fibre, di minerali e vitamine, poveri di grassi e di colesterolo. E per il momento sono alimenti non monetizzabili.
A quanto pare, l’Expo di Milano sarà l’occasione giusta per promuovere, anche in Italia, il consumo di insetti. La Ue, dal 2012, ha stanziato un fondo di 3 Milioni di Euro per ogni Paese della comunità europea che incentivi l’entomofagia (ovvero il consumo di insetti da parte dell’uomo).
L’entomofagia, secondo un rapporto Fao, è praticata in molti paesi del mondo e soprattutto in alcune parti dell’Asia, Africa ed America Latina. Gli insetti integrano la dieta di circa 2 miliardi di persone ed hanno sempre fatto parte dell’alimentazione umana. Tra le specie che già vengono consumate ci sono coleotteri, bruchi, api, vespe e formiche, ma anche cavallette, locuste e grilli. In totale si contano circa 2000 specie commestibili.
Crescita della popolazione, l’urbanizzazione e l’incremento delle classi medie hanno aumentato la domanda globale di cibo, ed in particolare di fonti di proteine animali. Nel 2030 dovranno essere nutrite più di 9 miliardi di persone, assieme ai miliardi di animali allevati annualmente per l’alimentazione o per fini ricreativi come gli animali da compagnia.
Secondo gli esperti della Fao, uno dei modi per affrontare il problema della sicurezza alimentare e dei mangimi passa attraverso l’allevamento di insetti. Gli insetti vivono ovunque e si riproducono velocemente, presentano un alto tasso di crescita e di conversione alimentare e un basso impatto ambientale durante tutto il loro ciclo di vita. Al contrario la produzione di carne contribuisce per il 14-22% alle emissioni annuali di gas con effetto serra, più di industria e trasporti insieme. Una bistecca di 220 g costa, in termini di emissioni di gas serra, quanto fare circa 16 km con un’auto da 11 km/l, mentre gli stessi quantitativi di patata, mela, pollo e maiale costano rispettivamente 280 m, 320 m, 1,2 km e 4 km. Per non parlare dei quantitativi d’acqua necessari alla produzione di carne e dell’immisione di nitrati.
Gli insetti sono nutrienti, con contenuti molto alti di proteine, grassi e minerali. Possono essere allevati su scarti alimentari. Inoltre possono essere consumati interi o ridotti in polveri o paste ed incorporati in altri tipi di cibo. L’uso su larga scala degli insetti come ingredienti per cibi è tecnicamente praticabile e industrie presenti in varie parti del mondo sono già impegnate in questa produzione. Per esempio, l’uso di insetti come mangime per l’acquacoltura e l’alimentazione di pollame diverrà sempre più comune nei prossimi dieci anni.
Ma l’entomofagia è pericolosa? Non ci sono casi conosciuti di trasmissione all’uomo di malattie o parassiti causati dal consumo di insetti (a condizione che gli insetti siano trattati nelle stesse condizioni sanitarie di qualsiasi altro cibo). Sono state segnalate reazioni allergiche che sono tuttavia comparabili a quelle nei confronti di crostacei, che sono sempre degli Artropodi. In confronto a mammiferi ed uccelli, gli insetti possono presentare meno rischi di trasmettere zoonosi all’uomo e al bestiame, sebbene questo richieda ulteriori ricerche.
La Commissione di 75 tecnici ed esperti istruita per valutare il potenziale degli insetti per la produzione di alimenti e mangimi ha indicato le seguenti aree chiave per sviluppare ed automatizzare:
1) un tipo di allevamento degli insetti vantaggioso, efficiente dal punto di vista energetico e microbiologicamente sicuro;
2) tecnologie per la loro raccolta e trattamento;
3) opportune procedure sanitarie che assicurino la sicurezza degli alimenti e dei mangimi e portino alla produzione di prodotti ad un prezzo ragionevole ed a scala industriale, in confronto alla produzione di carne tradizionale.
La proposta della Fao ha sicuramente una sua utilità ma serve anche a nascondere un fatto ineccepibile: le istituzioni deputate a combattere la fame nel mondo, che esistono da cinquanta o sessant’anni, hanno clamorosamente fallito.