
Ogni anno in Italia lungo la filiera agroalimentare, dai campi al consumatore finale, si producono 5,6 milioni di tonnellate di cibo in eccedenza, di cui 5,1 milioni diventano spreco, per un valore di 12,6 miliardi di euro l’anno. Un rapporto di circa 210 euro a persona secondo i dati raccolti e pubblicati nel corso dell’indagine “Surplus Food Management Against Food Waste. Il recupero delle eccedenze alimentari. Dalle parole ai fatti” promossa dal Politecnico di Milano e dalla Fondazione Banco Alimentare. Le persone in media comprano il 20% in più del cibo che riescono a consumare.
Lo spreco alimentare viene generato per il 53% dalle aziende della filiera, ma anche il consumatore fa la sua parte (47%). Il recupero e la ridistribuzione delle eccedenze è però in aumento (si è passati dal 7,5% di 4 anni fa al 9% circa oggi) grazie al diffondersi di best practice e a una maggiore consapevolezza sociale. Anche il recupero ha i suoi costi (da 0,2 a 2 euro al kg in funzione dello stadio della filiera), ma considerando il valore del cibo recuperato si ha un “effetto moltiplicatore” (rapporto tra valore recuperato e costo per il recupero) che varia da 3 a 10 euro.
Limitandosi agli sprechi domestici e utilizzando diverse fonti statistiche nazionali (che non sempre sono del tutto comparabili) risulta che all’anno ogni persona spreca: 110 kg di cibo commestibile negli Stati Uniti, 108 in Italia, 99 in Francia, 82 in Germania e 72 in Svezia. Nei paesi in via di sviluppo, invece, lo spreco alimentare si verifica soprattutto attraverso le perdite a monte della filiera.
Il costo dello spreco alimentare, però, non è solo sociale ed economico ma anche ambientale: un impatto pari a 13 milioni di tonnellate di Co2, quelle utilizzate per produrre questi alimenti. Manca però un sistema di incentivi alla donazione delle eccedenze; sono previste invece delle agevolazioni fiscali dal punto di vista dell’Iva (esenzione della donazione e possibilità di recupero dell’Iva versata per la produzione o acquisto) e dal punto di vista delle imposte dirette.
Per passare da 500mila a 1 milione di tonnellate di cibo recuperato occorre approvare una legge che sia utilizzabile dai donatori e dai beneficiari, che stimoli le donazioni attraverso procedure certe e semplici. Oggi spesso la decisione di non recuperare cibo è motivata dalla complessità burocratica richiesta alle aziende.
Nel 2014, la Rete Banco alimentare ha recuperato circa 40.448 tonnellate di eccedenze alimentari, 1.043.351 porzioni di piatti pronti e 319 tonnellate tra pane, frutta e altri prodotti freschi dalla ristorazione organizzata, dalle mense aziendali e dalle mense scolastiche. Da maggio 2015 a settembre ha recuperato da Expo quasi 20 tonnellate di alimenti, tra cui prodotti freschi (frutta, verdura e latticini), a seguire pane, panini imbottiti e alimenti misti secchi, tra cui pasta, farina e legumi. Ogni giorno gli alimenti vengono ridistribuiti gratuitamente a 8.669 strutture caritative che aiutano 1.910mila poveri in Italia. Un’attività resa possibile grazie al lavoro quotidiano di 1.869 volontari. Il quadro normativo ha dimostrato di essere efficace nel promuovere la donazione di alimenti e il recupero di eccedenze alimentari ai fini di solidarietà sociale. Nel 2003 è stata approvata la cosiddetta “legge del Buon Samaritano” (n.155 del 25 giugno 2003), che considera le onlus consumatori finali: “Le organizzazioni riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, sono equiparati, nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali, ai fini del corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti”. Nel 2013, poi, la legge 147/2013 ha stabilito che i donatori di alimenti devono garantire un adeguato stato di conservazione, trasporto, deposito e uso dei prodotti alimentari donati, ciascuno per la parte di competenza.
Come afferma l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), “c’è la necessità di trovare un utilizzo benefico e giusto per gli alimenti sicuri che sono al momento gettati via”. Si prevede un aumento dello scarto alimentare con la crescita della popolazione, la richiesta di cibo e l’aumento di affluenza. L’industria alimentare, i venditori e i consumatori devono essere tutti consapevoli e agire su tale questione. Poche semplici misure non saranno positive solo per i nostri portafogli, ma avranno anche benefici globali.