L’inquinamento uccide ogni anno nel mondo un numero di persone che è 234 volte quello delle vittime dei conflitti. Non esiste sulla terra un altro killer così spietato. Lo rivela un rapporto dell’agenzia dell’Onu per l’Ambiente (UNEP) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), presentato stamani a Nairobi, in Kenya, alla seconda Assemblea delle Nazioni unite per l’Ambiente (UNEA2), che raccoglie 2.300 delegati da 170 paesi. Il rapporto rivela che, nel 2012, 12,6 milioni di morti premature nel mondo (23%) sono da attribuirsi a condizioni ambientali degradate. Continue Reading
disastri naturali
Benvenuti nel Secolo dei rifugiati ambientali
Di fronte all’impatto delle catastrofi, che ogni anno colpiscono la Terra, non sempre è possibile adattarsi e spesso milioni di donne, uomini e bambini sono costretti a fuggire dai propri Paesi in cerca di condizioni di vita migliori e più salubri. Questi sono i profughi climatici, persone in movimento che non scappano da guerre e persecuzioni. Nel 2050 i rifugiati ambientali saranno 250 milioni. Ancora più pessimiste, le stime del Christian Aid che prevede circa 1 miliardo di sfollati ambientali nel 2050.
Secondo i dati del CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters) il numero dei disastri naturali avvenuti in media nel mondo dal 2001 al 2010 è stato pari a 384. Tenendo in considerazione l’enorme numero, attuale e futuro, di evacuati per cause ecologiche il XXI secolo potrebbe essere definito come il “Secolo dei rifugiati ambientali”, nonostante il termine non sia ancora riconosciuto dalle leggi internazionali.
L’ultimo rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre pubblicato nel maggio 2013 afferma che nel 2012 sono state 32,4 milioni nel mondo le persone costrette ad abbandonare la loro casa in conseguenza di disastri naturali. Solo le alluvioni in India hanno distrutto le abitazioni di 6,9 milioni di persone, in Nigeria di 6,1 milioni, in Pakistan, per il terzo anno di fila, hanno lasciato senza casa oltre 1 milione di abitanti. Moltissime, quindi le vittime, milioni le persone coinvolte, private delle proprie terre, delle case, del proprio lavoro, per non parlare della distruzione di interi habitat naturali. Secondo i dati del CRED, si sono verificate 310 calamità naturali che hanno portato 9330 decessi, 106 milioni di persone sono state colpite con un danno stimato di 138 miliardi di dollari. Il 63% delle perdite economiche si sono verificate in America, principalmente a causa dell’uragano Sandy (50 miliardi di dollari) e la siccità (20 miliardi di dollari). L’Europa è stata colpita da due lunghe ondate di freddo all’inizio e alla fine dell’anno uccidendo quasi 1.000 di persone. I terremoti che hanno colpito l’Emilia Romagna sono stati l’evento naturale più costoso in Europa: molti degli edifici della regione, compresi i monumenti storici, sono stati distrutti, e un gran numero di imprese sono state danneggiate, causando danni complessivi per circa 16 miliardi di dollari (12,2 miliardi di euro). L’Africa è stata gravemente colpita dalla siccità ma anche dalle alluvioni come quella in Nigeria che ha provocato la morte di più di 300 persone. Anche i dati pubblicati dalla compagnia assicurativa Munich Re che traccia un bilancio delle perdite economiche dovute a terremoti, inondazioni, uragani e siccità, sono simili. Sono circa 122 miliardi di Euro i danni causati dai disastri naturali avvenuti in tutto il mondo nel 2012. I disastri naturali colpiscono di più e con effetti più gravi proprio dove il tenore di vita è più basso: il 98% di chi ha dovuto lasciare la propria abitazione a causa di disastri naturali è nei paesi più poveri. In Africa in totale sono stati costretti a spostarsi per alluvioni, siccità ed altri eventi metereologici estremi in 8,2 milioni, più del quadruplo della media dei 4 anni precedenti.
Sia le Nazioni Unite che l’Unione Europea hanno riconosciuto la minaccia e il tema e stanno cercando di trovare una soluzione. Ma allo stato attuale nessuno si rende conto che una definizione di rifugiato, ai sensi del diritto internazionale, che include il degrado ambientale come un driver “valido” di spostamento potrebbe generare benefici netti per tutti i rifugiati (tradizionali e ambientali). Un riconoscimento internazionale deve essere ottenuto al fine di mettere questa questione nelle principali agende politiche internazionali. Anche se i governi estendono le leggi esistenti in materia di asilo per includervi le persone sfollate da cambiamenti climatici, non porterebbero a fornire una giusta protezione.
Per affrontare questa sfida crescente deve essere fatto di più. Sono necessarie azioni concrete volte a limitare le conseguenze del cambiamento climatico, sia di mitigazione come la diminuzione delle emissioni per prevenire un ulteriore riscaldamento sia di adattamento al cambiamento climatico. Tuttavia non è solo compito dei governi agire per migliorare la condizione del nostro Pianeta e aiutare le popolazioni colpite, la responsabilità è di tutti noi. L’egocentrismo degli esseri umani si sta già manifestando nella dominazione, deprivazione e distruzione dell’ambiente. Non interrogarsi sugli effetti delle proprie scelte di produzione e consumo e sullo stile di vita ha quindi un impatto su tutti gli altri esseri viventi e sull’equilibrio che regola la Vita del Pianeta. Ognuno di noi ha dunque il compito di assicurare che la scienza, la tecnologia e i nostri sistemi sociali siano plasmati e utilizzati per il bene delle generazioni future, dell’ambiente e di tutte le popolazioni del mondo.
Leggi il Rapporto: Profughi ambientali, cambiamento climatico e migrazioni forzate
Piove, Governo sordo: 40 anni di allarmi inascoltati
Negli ultimi 60 anni gli eventi naturali a carattere disastroso sono stati ben 3.362 e sono collegabili principalmente a fenomeni come improvvise inondazioni, frane di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, colate di fango e detriti. Con l’arrivo delle nuove piogge, al manifestarsi di nuove alluvioni ci si ritrova a ribadire stessi concetti, ad inseguire emergenze, a far la conta di danni e vittime.
Il territorio è la più grande infrastruttura, la sua salvaguardia non può più aspettare, non è possibile prescindere dall’attuazione di misure rigide e ragionate finalizzate a garantire ad ampio raggio adeguati interventi nell’ottica di un concreto cambio di rotta. Solo quando la cultura della emergenza sarà radicalmente sostituita da quella della prevenzione potremo ritenerci soddisfatti. L’abusivismo e l’illegalità sono stati tra le cause principali dello scempio del nostro territorio, con i conseguenti conteggi di danni, distruzioni e lutti.
Proprio 50 anni orsono, il 3 febbraio 1963, lo Stato italiano definì, attraverso la Legge n. 112, i criteri per esercitare la professione di geologo. Al geologo venne attribuito per la prima volta un corpus sistematico di conoscenze ed un profilo professionale specifico e soprattutto esclusivo, che a partire da quella data sono stati riconosciuti dall’ordinamento giuridico del nostro Paese.
E’ da allora che i geologi lanciano continui allarmi inascoltati. Il Consiglio nazionale dei geologi ripercorre questi 50 anni riproponendo gli interventi fatti a salvaguardia di un’Italia troppe volte flagellata dal susseguirsi di eventi distruttivi, talvolta impudicamente definiti disastri naturali.
- Contributo della geologia alla pianificazione del territorio – marzo 1971
- Costa miliardi la pioggia in Italia – marzo 1973
- La verità sul territorio – aprile 1975
- I problemi della geologia in Italia e le strutture pubbliche del settore – gennaio 1978
- Una sola Italia – luglio 1983
- Libro Bianco “Territorio-Ambiente 1987″
- I numeri del dissesto idrogeologico in Italia – ottobre 2010
- I costi del rischio del non controllo – ottobre 2010
- Manifesto dei geologi italiani per la messa in sicurezza del nostro territorio – gennaio 2013
- Anche quest’anno i geologi ci ricordano che il territorio è a rischio – agosto 2013
Sandy l’uragano del Secolo
Case allagate, alberi sradicati e blackout elettrici. Raffiche di vento che hanno raggiunto anche i 145 chilometri orari, ha prodotto un’ondata record di 4,2 metri nel cuore di Manhattan, ben al di sopra del precedente massimo di 3 metri provocato dall’uragano Donna nel 1960, secondo quanto riferito dal National Weather Service. L’uragano Sandy, una delle peggiori che abbiano mai colpito gli Usa, dopo aver ucciso una sessantina di cubani, ha provocato altri 16 morti nella costa orientale degli Stati Uniti. Attualmente Sandy è scesa sotto la soglia dello status di uragano ma la città è paralizzata, con sette gallerie della metropolitana e sei depositi degli autobus completamente allagati. Al buio sei milioni e mezzo di persone in 13 Stati, di cui 250mila solo a Manhattan. Quando la natura sprigiona la sua forza non c’è niente da fare. La nostra vulnerabilità ai disastri naturali sta crescendo più rapidamente della resistenza.
Ma come nasce un uragano? In quale modo si “carica” una macchina di distruzione così devastante? Il video ce lo spiega.
Allarme disastri naturali: nel 2015 a rischio 375 milioni di persone
Oggi si celebra la Giornata internazionale per la riduzioni dei disastri, il tema del 2012 è “Donne e bambine: la forza Invisibile della resilienza”.
La giornata ha come obbiettivo ricordarci che cambiamenti climatici, urbanizzazione, povertà e degrado ambientale (cause principali dell’aumento del rischio di catastrofi naturali e dell’incidenza dei danni) possono in parte essere mitigate e si può intervenire prima che gli eventi naturali diventino catastrofi in termini di impatto sulle vite umane e sul territorio. Come ha ricordato Marco Bertotto, direttore di Agire (Agenzia italiana per la risposta alle emergenze), “Tutto ciò comporta non solo un risparmio importante di vite umane ma anche di risorse economiche”.
La nostra vulnerabilità ai disastri sta crescendo più rapidamente della resistenza. Ricordiamo lo tsunami nell’Oceano Indiano, l’uragano Katrina negli USA, i terremoti in Pakistan, Haiti e Cile, le inondazioni in Uganda, Cina e Pakistan hanno provocato immense sofferenze alle popolazioni e importanti danni materiali ed ambientali, che hanno contribuito ad evidenziare l’urgenza di investimenti nel campo della prevenzione e della mitigazione dei rischi.
Solo 2010, 373 disastri naturali hanno colpito più di 200 milioni di persone, ne hanno uccise quasi 270 mila e hanno provocato danni per un valore di circa 110 miliardi di dollari. Nel decennio 2000-2010, più di 1 milione di persone ha perso la vita a causa di disastri naturali.
Dal 1980 al 2010, il numero dei soli disastri connessi al clima è cresciuto in media del 4,1% all’anno. Nel 2011, questi disastri hanno ucciso 27 mila persone e sono costati 380 miliardi di dollari in perdite economiche. Il loro costo finanziario sta raddoppiando ogni 12 anni. E Agire stima che i disastri connessi al clima colpiranno nel 2015 ben 375 milioni di persone, il 43% in più del 2010. Dal 1981, anche nei paesi Osce i danni economici provocati dai disastri stanno crescendo più rapidamente del Pil pro capite. Ciò significa che il rischio di perdere la ricchezza in condizioni di disastri è ora superiore alla velocità con cui la ricchezza stessa si sta creando.
L’Organizzazione metereologica mondiale ha evidenziato come per ogni dollaro investito nella prevenzione se ne potrebbero risparmiare circa 7 in assistenza umanitaria e ricostruzione. Nonostante questo ad oggi sui primi 40 paesi beneficiari di assistenza umanitaria, solamente l’1% degli aiuti viene destinato alla riduzione dei rischi da disastro. Anche l’Italia nel suo piccolo ha pagato un forte tributo in termini di perdita di vite umane e danni ambientali dovuti ad eventi estremi il cui effetto “a terra” cresce esponenzialmente a causa dell’incuria del territorio sempre più invaso dal cemento.
Ma nonostante questo i finanziamenti degli interventi di prevenzione sono visti come una spesa e non come un investimento per il futuro, capace tra l’altro di dare oggi buoni posti di lavoro e muovere l’economia nella direzione green. Nel 2005 la Piattaforma Globale per la Riduzione del Rischio, creata durante la conferenza di Hyogo, ha proposto un piano decennale per rafforzare la resilienza di città, comunità e nazioni, riducendo in modo significativo le conseguenze dei disastri. Nel 2009, tra le varie misure adottate, i rappresentanti della Piattaforma hanno lanciato un appello per destinare il 10% degli aiuti umanitari a programmi di Disaster Risk Reduction.
“Un obiettivo che purtroppo resta assai distante dalla realtà, soprattutto in Italia” ha aggiunto Bertotto di Agire.
Il messaggio è molto chiaro. La riduzione del rischio di disastri dovrebbe essere un interesse quotidiano per tutti. Ma come al solito così non sembra, sopratutto in Italia sempre abituati a piangere dopo che la frittata è fatta. È impossibile investire oggi per un futuro più sicuro?