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La cyber guerra mondiale

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La criminalità e lo spionaggio elettronico ogni anno costano all’economia globale 445 miliardi di dollari, quasi l’1 per cento del Pil mondiale. Sono le stime fatte dal Center for Strategic and International Studies di Washington.

Ogni giorno, nel mondo, rimbalza la notizia di un attacco informatico. Decine di migliaia di minacce partono ogni secondo, lanciati come missili virtuali da un capo all’altro del Pianeta. Con un unico, grande, obiettivo, visibile anche ad occhio nudo: gli Stati Uniti, verso cui sono diretti circa il 70% di tutti i cyber attacchi mondiali. Di questi solo l’1% rappresenta un pericolo reale, ma il numero complessivo è in costante crescita. A distanza siderale (intorno al 5%) compaiono le Filippine, che nell’aprile 2014 hanno siglato un patto militare decennale con cui concederanno agli Usa l’accesso a basi militari strategiche nel Pacifico, in cambio di una sponda in funzione anti-cinese. Al terzo posto tra i più colpiti c’è un altro alleato chiave degli americani, l’Arabia Saudita, decisivo nello scacchiere medio-orientale. E, a seguire, Russia, Francia, un paradiso fiscale come Cipro e Taiwan, che tra il 2013 e il 2014 ha subito circa 3 milioni di attacchi virtuali, indirizzati perlopiù a impiegati governativi.

Ben 3 minacce su 10 alla rete mondiale provengono dalla Cina, in larga parte indirizzate proprio a computer americani, in una guerra fredda digitale. Gran parte degli attacchi informatici sono dovuti al furto di proprietà intellettuali e allo spionaggio economico attuato dagli stessi governi.

C’è chi ha provato a tracciare le coordinate di questa cyber guerra mondiale. Si chiama Norse, un’azienda della Silicon Valley specializzata in sicurezza digitale che fornisce una ricostruzione in tempo reale delle rotte dei pirati informatici. Come? Disseminando in rete centinaia di cosiddetti honeypot: trappole elettroniche in grado di catturare, monitorare e identificare virus e spyware di ogni genere. Il risultato è visibile all’indirizzo map.ipviking.

Tra i Paesi più attivi nel cyberspazio c’è la Germania, da cui parte circa il 4% del traffico mondiale di virus, seguita da Francia, Russia, Arabia Saudita, Giappone e Corea del Sud. Ma anche alcuni “insospettabili” come Brasile, Perù e Paesi Bassi. E l’Italia? Non pervenuta, inesistente nell’attività di cyber intelligence.

Ma quali sono le armi di questa cyber guerra? I primi cyber assalti da contrastare, apparentemente meno dannosi, ma più insidiosi per la collettività, provengono da Facebook, Twitter, e dai social network in generale. Ma per raggiungere il cuore informatico di una nazione non servono tecnologie ultra sofisticate, anche una stampante può essere pericolosa: basta equipaggiarla con un programma da pochi kilobite per trasformarla in un pericoloso cavallo di Troia capace di infettare un’intera rete di computer.

Secondo gli esperti il virus chiamato Stuxnet è la più evoluta delle armi digitali: si propaga tramite chiavette USB infette e colpisce i computer deputati al controllo di grandi apparecchiature industriali come quelli che controllano la distribuzione di corrente elettrica, di gas, le centrali nucleari o gli acquedotti. Può spiarne l’attività e riprogrammarla secondo le istruzioni impartite da un sabotatore. Se inoculato e controllato da mani sbagliate potrebbe avere conseguenze catastroficheUn attacco digitale su vasta scala potrebbe mettere il mondo in ginocchio in meno di 15 minuti. Insomma, siamo nel caos più totale e difendersi è molto difficile.

Dal 2008 il presidente Usa può attivare, in caso di grave minaccia alla sicurezza nazionale, una procedura segreta per disconnettere il Paese dal web. Ma se gli Stati Uniti venissero disconnessi dal web non sarebbe solo un problema “americano”. Tutti i siti i cui server sono principalmente negli Usa, ad esempio Google, Facebook e Twitter andrebbero fuori servizio.

Nuove tecnologie sono in fase di studio da parte della NATO per individuare le fonti dell’eventuale attacco, e ridurre la vulnerabilità degli obiettivi ritenuti sensibili o critici, dal punto di vista teorico sembra che la dottrina considerata più efficace sia quella preventiva. Tutto dovrebbe basarsi sui concetti di Resilienza e Flessibilità, cioè la capacità di un sistema di preservare le proprie capacità di reazione e recupero dei dati durante e dopo un attacco. Per conoscere, prevedere e combattere i cyber terroristi.

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Un sistema corrotto

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Lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri Renzi e al Ministro dell’Interno Alfano, inviata da Lorena La Spina Segretario Nazionale dell’A.N.F.P. (Associazione Nazionale Funzionari di Polizia). La collusione mafiosa tra politica, pubblica amministrazione e settore imprenditoriale sono ostacoli formidabili alla crescita economica e al benessere della popolazione. La corruzione impoverisce la società, l’economia e la democrazia del Paese. Un male da estirpare alla radice.

I temi della legalità e della sicurezza meritano una presa di posizione seria e definitiva. Abbiamo dimostrato con studi e ricerche che le attività illegali alterano la competizione ed il mercato e costituiscono un costo aggiuntivo per le comunità ed i territori ove esse allignano. In Italia il peso dell’economia sommersa è stimato, secondo i dati della Banca d’Italia, al 31% del PIL. Le mafie frenano la crescita del Paese e nelle regioni del meridione impediscono di fatto lo sviluppo economico ed imprenditoriale. L’influenza della criminalità organizzata e dei reati commessi dai c.d. colletti bianchi determina, tra l’altro, un aumento del costo dell’accesso al credito per le imprese, i cittadini e le banche, con effetti fortemente afflittivi sull’iniziativa economica.

Ci sembra quindi che, proprio nell’attuale contesto, la crisi economica ed il considerevole debito pubblico che grava sul bilancio del nostro Paese, rendano quanto mai attuali una serie di considerazioni, in particolare, in tema di lotta alla corruzione. Ed infatti, appare ormai certo il contributo dei fenomeni legati al malaffare ed alla collusione tra politica, pubblica amministrazione e settore imprenditoriale nella creazione di un’enorme voragine dei conti dello Stato, da cui conseguono l’impoverimento del welfare, la perdita di credibilità delle istituzione e degli organi di rappresentanza.

La crisi ha paralizzato la crescita, annientato lo stato sociale, impoverito i consumi, ma non il malaffare e l’illegalità, che anzi appaiono irrobustiti proprio grazie al disordine morale, alla crescente indifferenza per le regole, alla tolleranza nei confronti del familismo e del clientelismo, che si nutrono di relazioni opache e lievitano nel clima economico informale e nell’incertezza delle garanzie.

Recentemente, la Commissione ha ricordato nel suo primo report sulla corruzione in Europa, che per l’Italia essa ha un valore di circa 60 miliardi l’anno, pari a circa il 4% del Pil. Quei 60 miliardi sono la metà di quello che l’economia europea perde annualmente per casi di corruzione, ovvero 120 miliardi.

La corruzione, e più in generale l’illegalità, la criminalità e l’inefficienza amministrativa — tutti fenomeni strettamente collegati — sono ostacoli formidabili alla crescita economica e al benessere della popolazione e determinano una grave lesione della qualità della democrazia e della convivenza civile.

Un sistema politico ad alta densità di corruzione intacca alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni rappresentative e le legittima. La corruzione, in altri termini, non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici, ma produce un grave deficit di democrazia: da un lato, perché incide negativamente sulla competizione elettorale – che della democrazia è il meccanismo procedurale per eccellenza – poiché assegna risorse addizionali e un vantaggio concorrenziale proprio ai meno onesti, ai più spregiudicati e abili nel reinvestire le tangenti nelle campagne elettorali e nella costruzione delle loro reti clientelari; dall’altro, perché minaccia il sistema e lede il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, anche attraverso l’introduzione di elementi di arbitrarietà nelle politiche di controllo e vigilanza e nella produzione di norme che finiscono per diventare largamente assolutorie della corruzione medesima, specie ove la stessa si concretizza come procedura asseritamente difensiva per la rimozione di ostacoli, come pratica di condoni e scudi, come smantellamento del sistema dei controlli e delle autorizzazioni.

La corruzione impoverisce la società, l’economia e la democrazia del Paese, perché si alimenta del denaro pubblico e, violando la trasparenza delle regole (per esempio quelle per l’aggiudicazione degli appalti nelle “Grandi opere” o nei lavori pubblici ordinari), compromette il fondamentale principio che presiede al contenimento dei costi: competenza su una posizione di parità.

Le misure auspicate dal Governo in materia di semplificazione dovranno necessariamente essere accompagnate da una pratica di vigilanza e da un controllo rigido su procedure, transazioni, appalti, incarichi, giacché la corruzione cagiona danni incalcolabili alle risorse dei contribuenti, al circolo virtuoso che dovrebbe alimentare la libera concorrenza ed il mercato, ai potenziali competitori. In tal senso, nel salutare con estrema soddisfazione la nomina del Dott. Raffaele CANTONE alla guida dell’Autorità anticorruzione, ci auguriamo che il nuovo esecutivo assicuri il massimo impegno affinché la medesima sia concretamente posta in grado di assolvere, con tutti gli strumenti necessari, il gravoso e strategico compito che le è affidato.

Queste considerazioni valgono, in particolare, per gli incarichi e gli appalti della Pubblica Amministrazione e per il tema rovente del pagamento dei crediti maturati. Le proposte che Confindustria ha indirizzato al Governo abbracciano diversi campi, sui quali spicca lo sblocco immediato di 48 miliardi in due anni per i debiti della PA.

Richiesta sacrosante, che hanno anche un effetto secondario da non sottovalutare: il diffondersi della precarietà, l’indebitamento, la crescita dell’insicurezza, l’indisponibilità del sistema bancario e finanziario a dare assistenza alle aziende in crisi le rende permeabili alla penetrazione della criminalità, che approfitta della loro vulnerabilità per integrarsi nell’economia “legale”.

Ciononostante, proprio in questo clima di insicurezza e arbitrarietà, a fronte della precarietà del sistema dei controlli, da anni impoverito per non dire demolito, è indispensabile procedere ad un’accurata selezione delle priorità e ad un’attenta analisi della legittimità delle richieste.

La grande massa dei debiti maturati riguarda, infatti, un numero considerevole di piccole e medie imprese, di ditte artigianali, la cui sopravvivenza è “in forse”. Ma tra le richieste spiccano anche quelle di aziende che hanno mostrato una colpevole disinvoltura, delle quali sono state accertate frequentazioni discutibili e alleanze opache. Alcune sono sotto inchiesta per tangenti, per pratiche speculative, per corruzione. C’è da sospettare che, in certi casi, si tratti proprio di soggetti su cui gravano precise responsabilità del disastro economico e morale in cui versa il nostro Paese, gli stessi che hanno contribuito a generare il nostro debito pubblico e a rendere sempre più inadeguato e povero il nostro stato sociale, ai danni delle categorie più deboli e bisognose.

Sarebbe auspicabile, dunque, predisporre procedure di indagine e valutazione certe, vere e proprie linee guida ed appropriati format, anche con la collaborazione della Corte dei Conti, affinché sia possibile procedere ad una verifica preventiva in ordine alla legittimità delle procedure utilizzate per le aggiudicazioni e ad un vaglio dei debiti superiori ad una soglia prestabilita, in modo da proporre all’interlocutore privato una ragionevole transazione basata sui valori di mercato e sui costi standard di prodotti e prestazioni.

Si pensi, in particolare, ai debiti maturati dal sistema sanitario, che rappresenta la voce più onerosa e maggiormente soggetta ad arbitrarietà ed a pratiche di corruzione, secondo la stessa Corte dei Conti.

Si tratta di un tema che interessa molto da vicino anche gli operatori della Polizia di Stato, che vanta un credito riguardante la completa copertura dell’indennità perequativa una tantum 2012-2013 (volta ad attenuare i gravissimi effetti del blocco economico), l’adeguamento delle retribuzioni all’indice ISTAT e il reperimento dei fondi alternativi per la sospensione del blocco prorogato a tutto il 2014.

Riteniamo con serena convinzione che proprio in questo clima di incertezza e sfiducia, i debiti contratti con i tutori delle forze dell’ordine dovrebbero senz’altro comparire tra quelli privilegiati, giacché la soddisfazione delle loro legittime richieste è garanzia della sicurezza stessa della collettività e delle istituzioni.

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Se la legalizzazione fosse l’unica strada per combattere il narcotraffico?

legalizzazione della droga

La legalizzazione è l’ultima spiaggia per impedire i  profitti derivanti dal monopolio sul commercio delle droghe illegali garantito alla criminalità organizzata dalle leggi proibizioniste, le narcomafie con il riciclaggio hanno infiltrato l’economia legale (al Nord come al Sud e al Centro) e si stanno letteralmente comprando le nostre città.

Il 32% degli italiani ha fumato cannabis almeno una volta nella vita. In Italia il mercato illegale delle droghe proibite garantisce alle mafie un giro d’affari annuo stimato in almeno 24 miliardi di euro, coinvolgendo 250/400 mila piccoli spacciatori, 3 milioni di consumatori abituali, con oltre 800 mila persone coinvolte in procedimenti amministrativi per possesso di droga e 28 mila detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti (fonte: Commissione di studio sul mercato illegale delle droghe). Il Comune di Milano il 1° agosto scorso ha pubblicato una relazione di 111 pagine sui traffici e gli interessi della rete criminale che agisce in città. Nel periodo considerato che va da gennaio 2011 a luglio 2012, si contano 39 incendi, 13 intimidazioni con bombe artigianali o armi da fuoco e un omicidio. Anzi tre. Tutto in solo venti mesi. Meno di due anni.

Un bilancio pesante, ma per il prefetto di Milano tutto è sotto controllo e non c’è alcun allarme. Quante ancora dovranno essere le vittime di questa infame guerra per arrivare alla legalizzazione e alla riduzione del danno, chiedevano nella loro dichiarazione il senatore radicale Marco Perduca e Leonardo Monaco di Radicali Italiani.

E proprio i Radicali, si stanno battendo ed hanno proposto, una petizione online “contro le mafie della droga proibita: legalizzazione, autocoltivazione e riduzione del danno”. Decenni di politiche proibizioniste hanno totalmente fallito. La legalizzazione di produzione, commercio e vendita delle droghe rappresenta l’unica e necessaria alternativa. Inoltre, questa petizione, chiede alla Camera dei Deputati di discutere ed approvare la Proposta di Legge n. 2641 (Bernardini e altri) per la depenalizzazione della coltivazione domestica di piante dalle quali possono essere estratte sostanze stupefacenti o psicotrope. Legalizzare la droga non significa renderla libera. Legalizzare la produzione delle piante, consentendo un guadagno non alla criminalità organizzata ma a chi legalmente produce e vende, registrandosi, pagando le tasse, includendo così in un sistema lavorativo legale i propri dipendenti, è una proposta sensata e condivisibile. Ci vuole tanto? Perchè non non viene presa in considerazione questa ipotesi? Perchè?

Il Governo italiano dovrebbe promuovere politiche di riduzione del danno in analogia a quanto avviene in Europa, reintroducendone il concetto anche nei documenti ufficiali da cui era stato espulso persino il termine, e di favorire le misure alternative alla pena (collocamento in comunità o agli arresti domiciliari) per i detenuti tossicodipendenti in modo che possano scontare la pena usufruendo di misure alternative, assicurando una migliore assistenza socio-sanitaria oltre a un notevole risparmio economico per lo Stato.

Mondoallarovescia.com appoggia l’iniziativa dei Radicali nella convinzione che attraverso queste politiche si possa contrastare la criminalità organizzata e nel contempo combattere realmente il mondo della droga e gli interessi economici delle Mafie.

Per aderire alla petizione dei Radicali Italiani clicca qui.

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