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Il 76% delle Pmi italiane non ha un sito internet

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Le piccole e medie imprese italiane stanno sottovalutando l’importanza di avere un proporio sito su internet. È dimostrato che prima di qualsiasi acquisto di prodotto o servizio il cliente si informa… ma dove se non su internet?

Il 76% delle Pmi non è presente su internet, e spesso hanno profili improvvisati su facebook o twitter che non rimandano a nessun sito. Solo una piccola media impresa su tre ha un proprio sito internet e solo tre su dieci utilizzano il commercio elettronico come canale addizionale di vendita e acquisto. Lo rivela un recente studio di Google.

Il trend del made in Italy è in crescita ma non viene sfruttato. Solo nel 2013 le ricerche legate a prodotti italiani sono cresciute del 12% sul motore di ricerca. Moda, turismo e agroalimentare sono le categorie più cercate.

“Dobbiamo far ancora scoprire alle Pmi la cultura del web, perché internet è oggi l’ infrastruttura su cui si muove tutta l’economia globale”, dice Diego Ciulli, senior policy specialist del colosso statunitense “Il mondo ha letteralmente fame di Made in Italy, ma molto spesso i consumatori cercano il Made in Italy su internet ma non lo trovano”.

Google ha già avviato da qualche mese una piattaforma web ad hoc per valorizzare le eccellenze italiane. Si tratta della prima volta in cui Google realizza un progetto di questo tipo per un Paese.

Sta suscitando interesse anche la piattaforma online Netberg, creata da due trentenni italiani, Claudio e Michele Cuccovillo, che vivono in Gran Bretagna. Nel giro di pochi minuti è possibile impostare il sito aziendale gratuitamente e solo nel momento in cui si effettua una vendita, viene trattenuto dalla transazione il 5% in Inghilterra e il 5% più IVA (quindi il 7%) in Italia. In due mesi la piattaforma ha già lanciato in rete 15 mila nuove realtà.

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L’arretratezza tecnologica costa all’Italia 10 milioni al giorno

economia-digitale

Siamo un Paese tecnologicamente arretrato, lo “spread digitale”, cioè la distanza tecnologica tra noi e gli altri Paesi, costa all’Italia 10 milioni di euro al giorno che, moltiplicati per un anno, fanno 3,6 miliardi di euro. Se in Italia si sviluppasse il commercio online, l’uso della moneta elettronica fino a raggiungere i livelli medi europei, e se riuscisse a razionalizzare le banche dati della pubblica amministrazione centrale, questi soldi, si renderebbero disponibili per nuovi investimenti in reti, tecnologie e servizi innovativi. È la stima del Censis contenuta in uno studio. Questo è il valore dello “spread digitale” che, appunto, attualmente ci penalizza nella competizione internazionale, ed è il peso che la nostra economia deve sopportare a causa del non allineamento dell’Italia ai migliori standard europei. Ecco tutti i numeri che raccontano come in Italia l’innovazione tecnologica risulti nettamente indietro rispetto agli altri Paesi avanzati.

È ancora basso il grado di confidenza degli italiani con le nuove tecnologie digitali. Le persone con età compresa tra 16 e 74 anni che utilizzano internet sono il 58% del totale, contro il 90% del Regno Unito, l’84% della Germania e l’82% della Francia (la media europea è del 75%). Di questi, solo il 34% interagisce via web con le amministrazioni pubbliche, contro il 72% della Francia, il 57% della Germania e il 45% del Regno Unito (la media europea è del 54%). Ed è ancora forte il ritardo del nostro Paese sul fronte degli investimenti in reti di nuova generazione. In Italia le famiglie con un componente di età compresa tra 16 e 74 anni con accesso alla banda larga sono solo il 68% del totale, contro l’87% del Regno Unito, l’85% della Germania e il 78% della Francia (la media europea è del 76%). I laureati italiani in discipline scientifiche e tecnologiche con meno di 30 anni sono solo 13,2 ogni mille abitanti della stessa età, contro i 22,1 della Francia, i 19,8 del Regno Unito, i 16,2 della Germania (la media europea è di 17,1). E le start-up innovative, alle quali la normativa riconosce agevolazioni fiscali, faticano a crescere e a dare spinta propulsiva all’innovazione. Delle 2.254 imprese iscritte nell’elenco ufficiale, il 60,9% non ha nemmeno un sito internet. Non stupisce che la bilancia dei pagamenti per servizi informatici dell’Italia sia strutturalmente in deficit, con un saldo negativo che nel 2012 ha raggiunto 1,49 miliardi di euro: le esportazioni valgono 1,88 miliardi e le importazioni ammontano a 3,37 miliardi.

Le imprese attive nel commercio elettronico in Italia sono complessivamente il 5% del totale, contro il 22% della Germania, il 19% del Regno Unito e l’11% della Francia (la media europea è del 14%). Le imprese italiane con almeno 10 addetti che hanno un sito web attraverso il quale ricevere ordinazioni o prenotazioni online sono l’11,7% del totale, con un valore delle vendite realizzate via web pari solo al 2,1% del valore totale delle vendite (si oscilla tra il 2,6% al Nord-Ovest e lo 0,5% nel Mezzogiorno). Il fatturato complessivo delle vendite online delle imprese con almeno 10 addetti, e che realizzano via web almeno l’1% del proprio fatturato, è arrivato a 12,2 miliardi di euro nel 2013, molto meno dei 96 miliardi del Regno Unito, i 50 miliardi della Germania e i 45 miliardi della Francia. Se l’Italia incrementasse le vendite online e i fatturati realizzati via web, raggiungendo il livello di commercio elettronico dei principali competitor europei, potrebbe liberare risorse da investire in reti e servizi innovativi per circa 1,4 miliardi di euro all’anno.

Un altro capitolo riguarda il cronico ritardo del nostro Paese nella diffusione di mezzi evoluti di pagamento. Le transazioni con carte di pagamento (escluse le carte di moneta elettronica) sono solo 28 per carta all’anno, contro le 167 del Regno Unito, le 129 della Francia e le 30 della Germania. In Italia il denaro contante è utilizzato nell’82,7% delle transazioni, contro una media europea del 66,6%. Il maggior costo rispetto alla media europea della gestione del contante confrontato con mezzi elettronici equivalenti è stimabile in circa 450 milioni di euro all’anno.

Il nostro Paese è al penultimo posto in Europa per uso dei servizi online della pubblica amministrazione. Degli oltre 500 milioni di messaggi e-mail dei ministeri, solo il 27% è in uscita: segno di una scarsa interattività con l’esterno. Nel primo quadrimestre del 2014 le caselle di posta elettronica certificata sono cresciute del 172% rispetto allo stesso periodo del 2011, superando la soglia di 15 milioni di caselle attive. Il numero medio di messaggi per casella è però sceso da 22 a 18 all’anno. La firma digitale ha raggiunto a maggio 2014 la quota di 5,3 milioni di certificati attivi, in crescita rispetto all’inizio del 2012 del 62%. Pur registrando una notevole diffusione, la firma elettronica è però uno strumento ancora sconosciuto nella cultura collettiva. La pubblica amministrazione spende (dati al 2012) oltre 3,9 miliardi di euro per beni e servizi Ict, con un trend in contrazione nel tempo (-8% rispetto a 5 anni prima), nonostante la crescita costante del parco tecnologico installato. Ad esempio, le caselle di posta elettronica dei ministeri e degli enti nazionali ammontano a poco meno di 2 milioni, in crescita rispetto all’anno precedente del 14,3%. La quota delle spese dello Stato destinate alla gestione e manutenzione dell’esistente è pari al 57% del totale della spesa Ict, in aumento del 3% rispetto all’anno precedente. La parte assorbita dagli investimenti si riduce progressivamente e riguarda principalmente la manutenzione evolutiva di applicativi esistenti, che pesa per il 41% del totale dei nuovi investimenti. Il 50,6% del valore dei nuovi contratti Ict è affidato con trattativa privata. Nel primo semestre del 2014 l’amministrazione centrale dello Stato ha speso 24,5 milioni di euro in consulenze informatiche, con una forte riduzione (-37%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel 2013 le spese in consulenza informatica sono state pari a 93,7 milioni di euro, che corrispondono ‒ per avere un ordine di grandezza ‒ al 73,4% della spesa destinata a traslochi e facchinaggi. Le amministrazioni pubbliche centrali hanno attive 1.520 diverse banche dati. Un ragionevole progetto di razionalizzazione potrebbe ridurre il loro numero a meno di 100, con un netto miglioramento della qualità dei servizi e una conseguente disponibilità per nuovi investimenti in innovazione. Una proiezione dei minori costi di gestione per effetto della razionalizzazione delle banche dati stima in circa 160 milioni di euro all’anno le minori spese.

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Tecnologicamente arretrati

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Le società moderne sono in profonda trasformazione (demografia, cultura, modalità relazionali) e le tecnologie, a partire da quelle della comunicazione e dell’informazione (ICT), accelerano il passaggio “storico” dalle società del XX (“industriali”) a quelle del XXI secolo (“digitali”). Le istanze espresse dalla società avanzate sono cambiate: i bisogni di “base” (biologici e fisiologici, di sicurezza, di appartenenza e di stima) sono dati per acquisiti; i “nuovi” bisogni da soddisfare attengono alla dimensione delle esigenze cognitive, estetiche e all’autorealizzazione. L’organizzazione delle istituzioni deve tenere conto dei “nuovi” bisogni: occorre innovare gli obiettivi di sistema e le strutture amministrative attraverso cui gli Stati funzionano, ottimizzando le risorse dedicate al soddisfacimento dei bisogni primari perché i Paesi si strutturino per soddisfare i bisogni “alti”. L’offerta dei servizi moderni per l’amministrazione del Paese deve adeguarsi a nuovi standard attesi di costo, efficienza e qualità, traguardando nuovi modelli di offerta con servizi multi-canale, personalizzati, partecipativi, aggregati, intuitivi e di facile utilizzo. I servizi digitali e l’e-Government sono uno strumento chiave di modernizzazione per raggiungere obiettivi strategici di importanza crescente: semplificare la vita dei cittadini e delle imprese; soddisfare i bisogni delle società avanzate in aree sensibili; facilitare l’innovazione dei sistemi istituzionali e di governo. Nei processi di transizione digitale di successo nel mondo esistono degli elementi ricorrenti: visione strategica e capacità realizzativa; efficace governance centrale; interoperabilità delle piattaforme e sicurezza (cyber security); coinvolgimento del settore privato nell’implementazione; attivazione di nuovi settori economici dalla modernizzazione dei servizi; ingaggio proattivo dei cittadini.

L’Italia dal 2000 promuove iniziative di modernizzazione, ma la transizione digitale è ad oggi largamente incompiuta. Solo il 17% dei cittadini interagisce con la PA via internet (è il 40-50% nei principali Paesi europei); il commercio elettronico è marginale (terz’ultimi in EU-27); i sistemi di pagamento on-line sono poco diffusi: abbiamo un quarto delle transazioni per abitante di Francia e Germania; le infrastrutture avanzate per le comunicazioni sono arretrate: ad esempio le connessioni a 30Mbps raggiungono solo il 14% delle abitazioni contro una media UE-27 del 52%; l’Agenda Digitale Italiana è in ritardo.

L’arretratezza dei servizi frena il sistema-Italia, rende meno efficiente il sistema di governo del Paese; brucia tempo “utile” che recuperato potrebbe valere fino a 40 miliardi di Euro; penalizza la qualità della vita e l’attrattività del Paese; non promuove la trasparenza e la fiducia nelle istituzioni. Gli elementi che frenano la transizione digitale sono: il governo inefficace dei processi e la sovra-burocratizzazione; le scarse competenze tecnologico-operative nelle PA; il divario di infrastrutture e cyber security; gli interessi diffusi a mantenere la situazione attuale e la resistenza alla trasparenza; il mancato ingaggio dei cittadini, anche culturale.

Le società moderne sono sempre più strutturalmente legate alla tecnologie, ormai parte integrante della vita quotidiana. Anche l’Italia è interessata in prima linea da queste dinamiche. Nel 2020 il Paese sarà sostanzialmente diverso da quello attuale e significativamente polarizzato su estremi opposti, anche generazionali: 1 persona su 4 sarà over-65 (oggi è 1 su 5), mente i nativi digitali saranno 1/4 della popolazione. Oltre l’11% dei residenti sarà costituito da stranieri (nel 2010 era il 7%). L’educazione tecnologica migliorerà, anche se rimarrà inferiore ai livelli delle realtà internazionali più avanzate. Un cambio di paradigma nazionale è urgente e potrebbe consentire benefici diffusi: efficienza dell’apparato burocratico-amministrativo; stimolo all’attività produttiva e promozione di nuovi settori economici e filiere industriali; attrattività del sistema Paese verso capitali, talenti e risorse. Un modello di regressione stima un aumento di produttività per l’Italia del 2% a fronte di miglioramento del 10% del sistema dei servizi per l’amministrazione del Paese.

ESEMPI DI SERVIZI ALL’AVANGUARDIA NEL MONDO

Sanità (Singapore). Le informazioni sui pazienti sono integrate e digitalizzate all’interno del sistema sanitario nazionale, con la raccolta e l’aggiornamento in tempo reale ad ogni punto di contatto (medico, ospedale, abitazione) e vi è piena disponibilità ad ogni occorrenza. Recentemente è stato messo a punto un sistema avanzato di telemedicina (TeliHealth) per il monotoraggio, l’assistenza a distanza e la consegna dei medicinali (fatta dall’operatore postale) a domicilio.

Citizen Connect (Singapore). A Singapore nel 2005 è stata avviata l’iniziativa Citizen Connect, che prevede la costituzione di una rete di postazioni internet, a cui i cittadini hanno libero accesso e in cui degli operatori si rendono disponibili a supportare e istruire le persone “inesperte” nelle interazioni elettroniche. Citizen Connect è stata inizialmente promossa tramite un progetto pilota della durata di un anno in cinque postazioni; visto il successo riscontrato, a partire dal 2006 l’iniziativa è stata estesa a 27 centri strategicamente dislocati nei vari punti del territorio.

E-Procurement (Danimarca). Il Portale EasyTrade per le imprese è un’infrastruttura di fatturazione elettronica (e-invoicing) sviluppata dallo Stato danese nel 2007 in partnership con operatori privati. Consente lo scambio di fatture B2G e B2B con forti risparmi di tempo e costi. La piattaforma è open source e open standard.

Servizi doganali e logistici digitali (Corea del Sud). Il sistema delle dogane è stato completamente integrato. Ciò ha permesso di ridurre i tempi delle pratiche di esportazione da 1 giorno a 1,5 minuti e quelle di importazione da 2 giorni a 2,5 minuti, con un risparmio di 2,6 miliardi di Euro per operatori e PA. Le informazioni (big data) rilevate in tempo reale dalle dogane sono utilizzate per formulare le politiche nazionali sul commercio. Il sistema tecnologico viene venduto anche all’estero.

Partecipazione elettorale digitale (Estonia). L’Estonia, 1°Paese al mondo, ha lanciato il voto via internet nel 2005. I votanti “digitali” sono aumentati dall’1,9% nel 2005 al 24,3% nel 2011. L’apertura della possibilità di voto via dispositivi mobili (tablet, smart phone, ecc.) alle ultime elezioni ha ulteriormente aumentato la partecipazione della base elettorale. Il voto elettronico prevede la possibilità di votare nei 7 giorni precedenti le elezioni e la propria scelta è modificabile in via definitiva dal voto cartaceo. Il sistema è integrato e basato sull’identità digitale.

Help corner (Regno Unito). Nel Regno Unito, è stata lanciata un’iniziativa pilota che prevede l’installazione negli uffici postali di chioschi dove i cittadini digitalmente o socialmente esclusi possono accedere ai servizi pubblici aiutati dal personale delle Poste. La sperimentazione è partita a settembre 2012 nell’area di Central London per una durata di 12 settimane; in questo periodo si sono contate 10.000 interazioni, il 14% delle quali sono state effettuate da cittadini che utilizzavano internet per la prima volta. Dato il successo del test, l’implementazione dell’iniziativa su scala nazionale è in fase di valutazione.

Corsi di informatica di base (Corea del Sud). In Corea del Sud è attiva l’iniziativa “Korea IT volunteers”, che si rivolge, con obiettivi strategici differenti, verso l’esterno. Il programma prevede la costituzione di team di volontari, composti da giovani tecnici coreani, che per quattro settimane offrono corsi di informatica di base, nonché di insegnamento della lingua e della cultura coreana, in Paesi partner (Asia, Africa, Europa dell’Est e Paesi CIS). Tra il 2001 e il 2010 circa 3.400 volontari hanno offerto corsi di formazione IT a 100.000 persone residenti in 68 Paesi del mondo. La stima indica che annualmente circa 400 volontari supportano l’apprendimento di 15.000 persone.

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Agenda digitale avanti a passo di lumaca

Secondo le richieste dell’Ue entro il 2013 tutti i cittadini dell’Ue dovranno disporre di collegamenti a Internet di almeno 2 megabit. Ed entro il 2020 la velocità deve salire ad almeno 30 megabit. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, ha avviato già a febbraio un tavolo tecnico permettere nero su bianco le nuove misure volte a dare al Paese un futuro di potenziale di sviluppo, con l’Italia negli ultimi cresce decisamente meno rispetto al resto dell’Unione europea. Il governo italiano ha ricevuto finora fondi europei per 440 milioni di euro che arriveranno a 700, e dovrebbero permettere di azzerare le differenze infrastrutturali fra le varie regioni italiane. F2i Tlc-Metroweb ha annunciato un piano da 4,5 miliardi di euro nei prossimi anni per coprire le 30 città maggiori con fibra a 100 Mbps. Per gli operatori privati: 10 miliardi di euro (di cui 4 già investiti) per le reti di nuova generazione mobile e 500 milioni di Telecom per la banda larga. Il totale potrebbe coprire il costo dei 20 miliardi necessari per la copertura totale. Il piano è di portare Internet ultraveloce in 99 città entro il 2014, che nel 2018 diventeranno 250, ma la velocità nelle case degli utenti potrebbe non superare i 50 Mbps. In molti sono convinti, quindi, che tra alcuni anni appena il 20% degli italiani viaggerà ultraveloce, mentre solo un terzo delle famiglie italiane arriverà a 50 Mbit. Eppure il ritardo nello sviluppo della banda larga costa all’Italia tra l’1 e l’1,5% del Pil. Al momento copre soltanto il 10% del territorio, mentre in Svizzera arriva al 90% e in Francia dovrebbe arrivare al 37% entro il 2015 e al 100% nel 2025. Un report della Commissione Europea diffuso in primavera spiega come nel 2015 il 90% dei posti di lavoro richiederà competenze informatiche ma mancano all’appello almeno 700mila professionisti in questo settore. Gli ultimi dati Eurostat sulle capacità informatiche individuali non forniscono un quadro esaltante dell’Italia. Nella fascia tra i 16 e i 74 anni poco più del 60% dei cittadini è in grado di sfruttare un computer per operazioni base. Più incapaci di noi soltanto Grecia, Bulgaria e Romania. Il risultato è anche peggiore se si considera la fascia dei giovani tra i 16 e i 24 anni, i cosiddetti nativi digitali, gli smanettoni nati. È vero, la percentuale di chi è in grado di sfruttare un computer per le operazioni base sale al 90% ma in questo caso anche la Grecia ci batte. La media Ue delle famiglie connesse a Internet è del 73% mentre l’Italia raggiunge a malapena il 62%, una condizione simile a quella della Lituania. Molto diverso anche il tasso di crescita: in Spagna siamo su aumenti del 5%, in Italia del 3%. Stesso quadro anche per diffusione della banda larga fissa: in Italia ci sono 21 linee ogni 100 abitanti contro le 27 dell’Europa, ma anche per numero di famiglie connesse a Internet veloce (52% contro 67%), e negli acquisti e per il commercio on line. Per le esportazioni mediante l’ICT l’Italia è fanalino di coda in Europa; solo il 4% delle piccole e medie imprese vendono on-line, mentre la media UE-27 è del 12%. (Fonte lastampa)

Gli obiettivi del decreto Digitalia

Competenze digitali

  1. Estendere il modello della scuola digitale (banda larga per la didattica nelle scuole; cloud per la didattica; trasformare gli ambienti di apprendimento; contenuti digitali e libri di testo /adozioni; formazione degli insegnanti in ambiente di blended e-learning; LIM – e-book; e-participation…);
  2. Affrontare il problema dell’inclusione sociale (diversamente abili, stranieri, minori ristretti, ospedalizzati, anziani…) anche attraverso soluzioni di telelavoro;
  3. Incentivare il target femminile all’uso delle ICT;
  4. Sicurezza e uso critico e consapevole dei contenuti e dell’infrastruttura della rete;
  5. Promuovere l’uso delle ICT nei vari settori professionali, del mondo del lavoro pubblico e privato, per garantire la riqualificazione e la formazione professionale continua;
  6. Costruire un quadro normativo abilitante per il fund raising privato per partnership pubblico-privato;
  7. Promuovere la standardizzazione dei beni e dei servizi da acquistare favorendo l’utilizzazione dell’e-procurement pubblico;
  8. Sostenere attraverso campagne di comunicazione istituzionale l’utilizzo delle tecnologie e la promozione delle conoscenze;

E-commerce

  1. Promuovere il commercio elettronico: il 50% della popolazione dovrebbe fare acquisti online entro il 2015.
  2. Commercio elettronico transfrontaliero: il 20% della popolazione dovrebbe fare acquisti online all’estero entro il 2015.
  3. Commercio elettronico per le imprese: il 33% delle PMI dovrebbe effettuare vendite/acquisti online entro il 2015.

Infrastruttura e sicurezza

    1. Assicurare la copertura a banda larga di base per tutti entro il 2013, completando il Piano Nazionale Banda Larga.
    2. Definire una serie di provvedimenti normativi volti ad accelerare lo sviluppo di reti a banda larga e ultralarga, in particolar modo nelle aree meno remunerative, semplificare i relativi regimi autorizzativi, promuovere la condivisione degli scavi e delle infrastrutture.
    3. Assicurare – entro il 2020 – la copertura con banda larga pari o superiore a 30 Mbps per il 100% dei cittadini UE, attuando il Progetto Strategico per la Banda Ultralarga.
    4. Stimolare l’uso di reti a banda larga, incrementando il numero di abbonamenti al servizio di connettività, rispettando così – entro il 2020 l’obiettivo europeo di avere il 50% degli utenti domestici europei abbonato a servizi con velocità superiore a 100 Mbps.
    5. Gestione in modalità cloud computing dei contenuti e servizi della PA, mediante la realizzazione dei data center federati, mediante l’attuazione del Progetto Strategico Data – Center.
    6. Assicurare la protezione dei dati di valore strategico e la relativa gestione del disaster recovery mediante i data center di prossima realizzazione.
    7. Incremento dell’alfabetizzazione delle imprese, mediante l’attuazione del Progetto Strategico Data – Center.
    8. Definire politiche di rafforzamento della sicurezza delle reti, volte alla lotta agli attacchi cibernetici, mediante la costituzione di un CERT (Computer Emergency Respons Team).

Kindle: dispositivo di lettura wireless, schermo da 6″ a inchiostro elettronico, Wi-Fi. Kindle è sottile come una rivista, pesa meno di un libro tascabile, e contiene fino a 1.400 libri, così puoi portare la tua libreria sempre con te.

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