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#Genova: Vergognatevi corrotti, criminali e incapaci

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Dieci morti nel 1953, quarantaquattro nel 1970 con duemila sfollati, due nel 1992, tre nel 1993, uno nel 2010, sei nel 2011, un altro ieri… Ed avanti così, se non cambia qualcosa, nuovi morti domani, dopodomani, dopodomani l’altro.

Quei fiumi che esplodono perché non ce la fanno a contenere la pioggia. Nella loro “pancia” non c’è più spazio, quello è servito all’uomo per costruire, cementificare, deviare. Un mare di parole affoga anche l’emergenza di queste ore. Genova ha divorato spazio, costruita sul disastro di se stessa. Ma la colpa non è mai di nessuno.

La versione del sindaco Marco Doria, al centro delle polemiche perché mentre cominciava l’inferno era al Teatro Carlo Felice ad assistere all’opera “Una furtiva lacrima” (guarda il caso): “Nessuno ci aveva preavvertito che certe cose avrebbero potuto accadere nella giornata di ieri. Non avendo avuto informazioni in questa direzione, il nostro sforzo è stato quello di affrontare l’emergenza in tempo reale, comportandoci come se ci fosse uno stato di allerta 2 (elevata criticità, il più grave, ndr), anche se non era stato ancora proclamato“. La versione del governatore e cementificatore Claudio Burlando è simile: “Tutta colpa del nostro modello previsioni, è la prima volta che sbaglia. Ieri sera (giovedì, ndr), mentre fino al bollettino delle 18, che indicava un’attenuazione dei fenomeni, realtà e modelli corrispondevano, alle 21 si è verificata una divaricazione tra il modello e quello che è accaduto in realtà“.

Certo come al solito il disastro dell’alluvione di Genova non è colpa dei politici mafiosi e cementificatori di Destra-Sinistra-Centro, ne’ della protezione civile, ne’ del mancato allarme, ne’ dell’Arpal, Parpal, Pipital etc…. la colpa è della pioggia autorigenerante con scappellamento a bomba d’acqua, come Antani senza ombrello…

Ma poi si scopre che dai primi mesi del 2012, e cioè da due anni e mezzo, il settore di Protezione civile ed Emergenze della Regione Liguria, di cui Arpal fa parte, non ha un dirigente responsabile. Nell’ente che “vanta” una sensibile concentrazione di capi, il calcolo parla d’un dirigente ogni 13 dipendenti, a reggere le sorti del dipartimento cruciale, è un “vice”, pur universalmente riconosciuto “capace”: Stefano Vergante.

Ed è in questi anni che la Liguria stava ragionando sulla necessità di modificare in modo strutturale i sistemi di segnalazione dell’emergenza. Chi c’era a governare questo processo? Nessuno. Niente capo, una posizione di fatto vagante dal lontano 2010, quando va in pensione lo storico dirigente Guglielmo De Luigi. A dire la verità un sostituto viene individuato, e nominato, in Maria Luisa Gallinotti, prima nella graduatoria degli aventi diritto al posto. Ma non entra mai in sintonia con il diretto superiore e al primo valzer, inizio 2012, la dirigente finisce a occuparsi di emergenza profughi, pur essendo più titolata a gestire il meteo. Da lì in poi non si fa nulla per dotare la struttura di  un nuovo dirigente, mentre un capo ci sarebbe voluto eccome. La Protezione civile regionale e Arpal non diventano quel che dovrebbero diventare, e cioè una sorta di unità di crisi permanente, quasi un team pilota in una delle terre più vulnerabili d’Italia. Ad oggi è invece sottodimensionata e in maniera importante: 20 persone, quando gli omologhi settori di altre regioni hanno ranghi molto più nutriti (quasi sempre oltre le 50unità).

E poi c’è l’assurda storia degli appalti per la messa in sicurezza dei due torrenti: il Fereggiano e il Bisagno. I soldi ci sono, e da tempo, ma i cantieri sono fermi da almeno tre anni, data dell’ultima alluvione. Solo ad agosto sono state avviate le procedure di gara per lo scolmatore di Fereggiano, un appalto da 45 milioni di euro. “Speriamo di aprire i cantieri entro la fine del 2014“, ha dichiarato l’assessore regionale Gianni Crivello. La sicurezza può attendere. È però la vicenda del torrente Bisagno (esondò nel 1822, uccise nel 2011 e sta devastando la città in queste ore) la più assurda e scandalosa, i soldi ci sono (35 milioni di euro) ma i lavori sono bloccati dal Tar. Il grande paradosso è che anche quando finiranno i lavori, scrive Legambiente , “e arriveranno alla Ferrovia, si avrà una capacità di 850 metri cubi d’acqua al secondo (ora è di 5-600), mentre l’alluvione del 2011 ha avuto una portata di 1000 metri cubi al secondo”. Tradotto serviranno a poco.

Non c’è soluzione al ridicolo, ma a parte le supercazzole politiche è responsabile dell’alluvione chi ha governato e chi era all’opposizione in tutti questi anni, chi con la Destra stringe le mani delle vittime e con la Sinistra incassa tangenti, chi ha ricoperto la Liguria di cemento, chi ha approvato progetti di porticcioli, chi a trascurato la pulizia dei rivi, chi stanzia miliardi per grandi opere inutili etc. etc…. Vergognatevi penalmente e moralmente!!

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Ma chi se ne frega chi è lei!

Lei non sa chi sono io” è un mantra sempre di moda. Pare averla pronunciata (ma lei smentisce) anche Daniela Ferrari, Lady Bersani, per evitare una multa per divieto di sosta e intralcio al traffico. L’Onorevole Trombetta, cioè Totò, la usava come scherzo. La Cassazione l’ha rubricata a reato. E Nonciclopedia gli ha dedicato una voce, consigliando l’unica controrisposta possibile: “No e non ce ne frega un cazzo!”.Il mantra è buono per chiunque si senta importante, da Giorgio Almirante (uno dei tanti politici citati in “E io non pago!” di Lanfranco Palazzolo) ad Aida Yespica (va be’). A volte la frase è pronunciata fedelmente e a volte no. Rimane, però, l’approccio da Marchese del Grillo: il potente, in quanto tale, ritiene la legge un fastidioso impiccio. Che si parli di vicende gravi o minori.

Nell’ottobre del 2001, l’onorevole Gabriella Carlucci irrompe alle 10 del mattino nel pieno centro di Roma. Guida una Porsche cabriolet grigio metallizzato. Impegnata a parlare al telefono, bypassa lo stop e non si accorge – nonostante metri – dell’arrivo di un jumbo-bus. Crash. Gabry scende, constata che si è rotta appena un fanalino e riparte, mentre l’autista Atac la insegue per la constatazione amichevole. Lascia poi l’auto sul marciapiede di Montecitorio (il parcheggio era pieno). Granitiche le spiegazioni: “Embè? Alla Camera c’erano le votazioni”, “Io non ho colpe: spetta ai custodi della Camera controllare le auto, è un problema loro”.

Meritorio anche Renato Schifani. Nel 2002, al Cinema Aurora di Palermo, tenta di entrare (gratis) con una tessera Agis (scaduta). Quando la maschera non lo lascia passare, lui – democraticamente – chiede alla scorta di identificare il vile plebeo che tanto ha osato. Per l’exploit vince il Tapiro e lì dà una versione diversa: “La maschera poi voleva chiudere un occhio e farmi entrare. Ma io ho detto ‘Non entro, mi faccia parlare con il gestore’”. Qualche mese dopo, il 15 agosto 2006, per reinventarsi uomo del popolo detta un comunicato stampa monumentale: “In vacanza alle isole Eolie, Renato Schifani, in compagnia di alcuni amici, ha dovuto aspettare per un’ora di fila che si liberasse un tavolo in un ristorante del centro di Lipari. Il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama ha pazientemente atteso il proprio turno, senza sollevare alcuna obiezione e senza pretendere un trattamento di favore” (non è una battuta: il comunicato è autentico).

Alla Sagra dell’Arroganza non poteva mancare Vittorio Sgarbi. Ventidue ottobre 1997, Giunta per le autorizzazioni a precedere. Polemiche, discussioni fino a tarda notte. Oggetto del contendere: occorre deliberare in merito a Sgarbi, che nel luglio ’92 a Pisa ha sfanculato vari agenti di Polizia (“Voglio telefonare al Prefetto perché c’è una guardia che vuole rompere i coglioni”, “Me ne sbatto i coglioni”). Sgarbi, invitato per una manifestazione pubblica, aveva tentato di far passare dall’ingresso riservato alle autorità due ragazze appena conosciute. Gli agenti glielo impedirono. E lui la prese bene. Nel corso della bagarre alla Camera, il totemico Filippo Mancuso cita Leopardi e consiglia a Sgarbi (“uomo di grande sapere”) di usare d’ora in poi non “coglioni” ma “tommasei”. Tipo: “Mi girano i tommasei”, “Mi hai rotto i tommasei”. Ovazione nel centrodestra (anche questa non è una battuta).

Immortale Claudio Burlando, che una settimana dopo il Vaffa-Day (2007) capisce benissimo l’umore del paese e si comporta di conseguenza: percorrendo contromano un chilometro e mezzo di superstrada. A Genova. Quando una pattuglia della polizia lo ferma, esibisce il tesserino da deputato. Scaduto (un classico del genere).

Bettino Craxi, a inizio anni Novanta, si imbarcò a Fiumicino su un aereo senza biglietto. Di fronte ai fermi rimproveri del solito feticista della legge, Craxi reagì spintonandolo a terra. Un esponente di Rifondazione Comunista lo raccontò. Bettino non si scompose: “Quel signore non mi permetteva di andare a Milano”.

E poi c’è Eugenio Scalfari. Da deputato socialista, nel 1970, parcheggiò vicino alla Stazione Centrale di Milano. Entrambi i posti erano riservati ai Carabinieri. Lo invitarono a spostare l’auto. Fu allora che Scalfari pronunciò il Sacro Mantra dell’Ego Ferito. Per la cronaca, aveva pure la patente scaduta. La vicenda uscì ovunque. Il Fondatore sostenne che “il comando, legato all’assessore al traffico social-democratico, telefonò all’Ansa”. Ripetè che la “la storia era troppo complicata”. Poi, sempre garbato e democratico, Il Fondatore scagliò contro il vigile tutto “L’Espresso”, a difesa del cittadino inerme Scalfari. Nel monologo “La democrazia”, Giorgio Gaber diceva: “Dopo alcune geniali modifiche (la democrazia, ndr) fa sì che tu deleghi un partito che sceglie una coalizione che sceglie un candidato che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni, e che se lo incontri ti dice giustamente: ‘Lei non sa chi sono io!’. Questo è il potere del popolo”.

(Fonte Il Fatto Quotidiano)

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