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L’austerità di Renzi

austerità-Governo-Renzi

“Da quando il Governo Renzi si è insediato sono quattro i documenti di Economia e Finanza che ha presentato (due DEF, aggiornati ambedue durante l’anno a settembre): quattro progetti per come gestire le finanze pubbliche nel quadriennio 2015-2018. Progetti che ci aiutano a rispondere ad una domanda chiave: come è cambiato al riguardo Renzi in questi due anni?

La tabella lo illustra molto bene.

In un certo senso non è mai cambiato: ha sempre promesso all’Europa e soprattutto ad imprese e famiglie italiane che avrebbe ridotto il deficit in 4 anni in percentuale del PIL di circa il 2-2,5% di PIL: 40 miliardi circa con 3 manovre restrittive ed austere. Difficile far ripartire l’economia italiana in questo modo.

Ma quello che più colpisce delle decisioni del Governo è come, a parità di dimensione complessiva delle manovre nel quadriennio, è cresciuta nel tempo la quota di queste manovre che vengono affidate al 2017 e 2018. Dal 43% di aprile 2014, l’aggiustamento che avverrà nel biennio 2017-2018 dichiarato nell’ultima nota d’aggiornamento è dell’89%! Trovare 40 miliardi in 2 anni prima delle elezioni è una bella sfida, ce lo immaginiamo Renzi intento a farlo?

E’ duplice il caos che questa politica genera nelle aspettative degli operatori chiave dell’economia, come famiglie ed imprenditori. Prima di tutto, perdendo fiducia nella verità della programmazione economica, confusi, stentano a prendere decisioni coraggiose per il futuro, come quelle di cui avremmo bisogno per ripartire: consumare ed investire. Secondo, vedendo crescere la quota parte di austerità a venire nei prossimi anni, accrescono – invece di ridurre – il loro timore sul futuro.

Questo dicono i numeri: una politica economica gattopardesca relega l’Italia alla serie B europea”. gustavopiga

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Tutta colpa dei Mercati Finanziari, dominano la politica e controllano le nazioni

mercati finanziari

“Dopo sei anni di crisi gli economisti italiani ufficiali hanno cambiato “un poco” idea (Luigi Zingales: “perché ho cambiato un po’ idea su euro e Merkel” 21 sett 2014). Anche Draghi come noto un mese fa ha cambiato un poco idea visto che ha dichiarato che bisognerebbe trovare il mondo di spendere un poco di più e che bisogna far risalire un poco l’inflazione. Draghi ha detto solo “un poco” (solo qualche decina di mld in infrastrutture e forse un punto e mezzo di inflazione in più, perchè punta sempre a dare soldi alle banche perchè li prestino…)

Giavazzi e Tabellini (che erano per l’austerità) a fine agosto hanno fatto un voltafaccia e scritto che si deve creare della moneta per finanziare i deficit, invece di finanziarli sempre con debito. L’obiezione che subito hanno ricevuto da altri economisti italiani noti è che creare moneta spaventa i mercati finanziari, vedi Roberto Perrotti. Perrotti scrive: “sì, in teoria è giusto creare 80 mld e ridurre le tasse,… ma nel mondo reale i bond hanno un rischio, se stampi 80 mld provochi panico dei mercati, crash dei titoli di stato… poi le banche che ne sono piene vanno sotto..” ( in the real world, government debt can be and is risky, and markets do not like to see it increase – particularly in countries with a high initial level of debt or spending. Without a commitment to decreasing spending in the future, financial markets might panic..”).

Questa obiezione è corretta, i mercati finanziari non vogliono che si crei moneta, come ho sottolineato più volte, per il semplice e fondamentale motivo che i mercati finanziari sono essenzialmente mercati del DEBITO.

Semplificando al massimo, più moneta crei e meno occorre indebitarsi, meno bonds occorrono e in più i bonds calano di valore. Questo non va bene perchè il business delle banche, dei mega fondi, degli hedge funds e altre istituzioni finanziarie è IL DEBITO

Questo è il problema oggi fondamentale che gli economisti accademici, da Giavazzi a Zingales ad Allesina a quelli keynesiani anti-austerità a quelli per il ritorno alla lira non sembrano capire (perchè lo stesso vale ovviamente anche per il ritorno alla lira). Ci sono di mezzo i “mercati finanziari” globali, i quali se necessario spazzano via i governi in pochi giorni (Berlusconi docet)

Ora come rispondono Giavazzi e Tabellini all’obiezione di Perrotti, che si incarica di spiegargli che al mercato finanziario non va che si crei moneta per ridurre le tasse e far uscire l’Italia dalla Depressione? Dicono che agli inglesi e americani il gioco è riuscito, hanno aumentato i deficit pubblici finanziandoli con moneta dal 2009 e non c’è stato nessuna “destabilizzazione”, come pudicamente chiamano la reazione dei mercati Giavazzi e Tabellini (“Un’unica via per la ripresa dell’Eurozona”, 19 sett 2014)


Clicca qui per ingrandire

Sorvolano però sul fatto che c’è stata inflazione tra il 3 e il 4% dal 2010 in poi in Usa e UK, i rendimenti reali dei loro bonds sono andati negativi perchè la FED e la BCE ne comprava tonnellate e sono tuttora rendimenti negativi cioè pagano l’1% e rotti (a cinque anni) con inflazione al 2% e rotti. I “mercati finanziari” con gli inglesi e americani non hanno fatto una piega, per ora, per cui potrebbero sopportare un 3-4% inflazione anche da noi ?

Il New York Times ad es. ha reportage dedicato ai benefici dell’inflazione, citando tutti quelli che la vedono necessaria ora come soluzione, con gente come Ken Rogoff che parla di un +6% di inflazione per gli USA come obiettivo (per gli USA!, immagina per l’Italia). Come si sa i keynesiani “de sinistra” sono in genere un poco inflazionisti, inutile negarlo, Krugman, Rogoff, Stiglitz.. mentre quelli di “Chicago” (Lucas, Cochrane…) e i tedeschi invece no, preferiscono un inflazione zero o quasi.

Come si sa però anche TUTTE LE BANCHE CENTRALI HANNO DA 25 ANNI UN OBIETTIVO DI INFLAZIONE INTORNO AL 2%, cioè la teoria e la prassi ufficiale è che l’inflazione zero faccia male. Ci sono paesi come il Canada dove da 20 anni la Bank of Canada ogni singolo anno centra il 2% di inflazione, (a volte 2,2% a volte 1,8%…non sbagliano mai un anno).

Ora Draghi dichiara che vuole far salire l’inflazione EU, così come ha fatto il Giappone l’anno scorso e come hanno fatto inglesi e americani, che avevano inflazione 0% nel 2009 e l’hanno fatta risalire tra 2% e il 4% successivamente creando moneta. Perchè ovviamente non ci piove che creando moneta puoi creare inflazione e il problema è solo la percentuale giusta, a seconda delle circostanze quello che prescrive il dottore sarà un 2% o un 3% o un 4% o un 5%…

C’è chi dice che in certi casi anche un 6% è necessario (come Ken Rogoff) e come ho mostrato quando l’Italia aveva inflazione vicina al 10% negli anni ’70 il suo PIL cresceva lo stesso anche del 3-4% l’anno. Ma negli anni ’70 i movimenti dei capitali erano vincolati e limitati in tanti modi, oggi invece sono totalmente liberi. Tra parentesi i keynesiani di oggi non si ricordano mai che il loro Keynes a partire dal 1936 circa si era convertito al protezionismo e ai controlli sui capitali. In più, oltre a liberalizzare completamente i movimenti di capitale si è anche impedito, negli anni ’80, agli stati di creare moneta. Risultato: il debito è triplicato e chi ha in mano il debito (i bonds) oggi comanda il mondo

Dato che il debito ora è tre volte e mezzo il PIL medio in occidente e che il mercato del debito (bonds) è senza vincoli e senza limiti e muove migliaia di miliardi attraverso il mondo nello spazio di ore… sai qual’è infatti la conseguenza? Oggi chi detiene il debito, chi ha e muove i bonds sui mercati finanziari, tiene per le palle i governi e le nazioni. Se non neutralizzi allora i “mercati finanziari” globali non puoi fare niente, perchè questi sono in pratica un eufemismo per i creditori, chi vive con gli interessi del debito.

L’ostacolo vero all’uscita dell’Italia dalla depressione sono “i mercati finanziari”, cioè “I CREDITORI”, quelli che vivono di debito, incassando interessi (e speculando sul debito). Lasciamo da parte il fatto che questi a loro volta si indebitano e usano leva finanziaria, cioè non è vero che sono “risparmi” che vengono investiti (vedi Pimco, che ha rivelato quest’anno di aver comprato 70 MILIARDI DI DOLLARI DI FUTURES per aumentare la sua leva).

Nel mondo dei mercati finanziari (del debito)
non vogliono i default
non vogliono l’inflazione
non vogliono la svalutazione

Vogliono ricevere i loro interessi in valuta che non si svaluta, con interessi di 2 o 3 punti sopra l’inflazione e senza rischio, come hanno fatto per gli ultimi 30 anni. Dal loro punto di vista è comprensibile, così come è comprensibile che i dipendenti del Senato vogliano mantenere i loro stipendi da 300mila euro l’anno, i magistrati della Corte Costituzionale i loro 500mila euro, quelli della Regione Sicilia…

Nel mondo invece del lavoro, delle imprese, della produzione, delle famiglie… la svalutazione, l’inflazione o anche il default possono essere utili, dato che in aggregato e in maggioranza invece hanno debiti

Il fatto è che oggi i mercati finanziari sono colossali, 80 mila miliardi di bonds che circolano ovunque, senza limiti, di continuo, trattati e in mano a mega istituzioni finanziarie che assumono i politici e funzionari di stato. Per cui oggi “i mercati” effettivamente dominano la politica economica e quindi dominano le nazioni.

Riassumiamo: finalmente, dopo soli sei anni, gli economisti ufficiali si accorgono che si può creare moneta, se ne manca in giro, che non è vero che “non ci sono i soldi”, perchè i soldi possono essere creati senza alcun costo dalla banca centrale o dallo stato (e anche le banche in realtà li creano dal niente senza costo..). E’ un passo avanti, ma ovviamente data la depressione in cui son cadute Spagna, Italia, Portogallo, Grecia e la crisi della Francia stessa occorrerebbe ora creare centinaia di miliardi e quindi inevitabilmente l’inflazione può salire anche lei, diciamo dallo 0% al 4%. Draghi parla di tornare al 2%, ma se fai dei deficit ora in Italia di 80 miliardi addizionali (oltre i 45 mld attuali di deficit annuo), lo stato spenderà sempre per 800 mld, ma incasserà di tasse meno di 680 mld per un deficit di 125 mld circa l’anno.

I “mercati finanziari” accetteranno che l’Italia faccia deficit annui di 125 miliardi (e Spagna, Francia ecc.. anche loro per numeri simili) ?

Notare che se torni alla Lira il problema è peggiore, perchè in quel caso un inflazione del 6% o anche 8% è probabile e hai anche una perdita secca del 20 o 30% causa svalutazione per i detentori esteri di BTP, per cui la probabilità di un crash del mercato obbligazionario è maggiore.

Sia che cerchi di creare moneta all’interno dell’Euro (sperando che la BCE finanzi lei comprando BTP con moneta che lei crea dal niente), sia che pensi di ritornare alla Lira il problema alla fine è sempre lo stesso: un “panico dei mercati finanziari” cioè un crash dei bonds…” cobraf

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Dal 2008 fallite 11.200 imprese edili

imprese edili

“Le imprese sono ridotte allo stremo: dal 2008 abbiamo perso 690mila posti di lavoro considerando tutta la filiera delle costruzioni e si stima che 50.000-80.000 persone, oggi in Cassa integrazione guadagni, potrebbero non essere reintegrate. 11.200 imprese edili sono fallite”. E’ quanto ha dichiarato il presidente dell’Ance, Paolo Buzzetti, nel suo intervento all’assemblea dell’associazione.

Convinti di fare bene, i nostri Governi hanno seguito la linea più rigorosa di tutti i paesi avanzati: il più attento rispetto dell’austerità. Tutto il contrario di quello che nel frattempo avveniva non soltanto Oltreoceano, ma anche nelle altre grandi potenze europee. Per esempio gli Stati Uniti, che nel momento in cui bisognava ripartire lo hanno fatto dall’edilizia, prevedendo un grande piano di investimenti a sostegno dei mutui per le famiglie che vogliono comprare casa e grandi investimenti in opere pubbliche. Così ha fatto il Giappone, che con la Abeconomics è uscito dalla stagnazione ventennale nel quale era caduto puntando su grandissimi interventi infrastrutturali. Così la Gran Bretagna, che ha investito 100miliardi di sterline. Ma provvedimenti a sostegno dell’industria delle costruzioni sono stati messi in campo con decisione anche dalla Francia e dalla Germania. Noi siamo gli unici ad aver attuato una politica di rigore assoluto senza alcun sostegno al mercato interno. Le imprese sono ridotte allo stremo: abbiamo perso 690mila posti di lavoro considerando tutta la filiera delle costruzioni e si stima che 50.000‐80.000 persone, oggi in Cassa integrazione guadagni, potrebbero non essere reintegrate. 11.200 imprese edili sono fallite, il 28‐30% delle aziende non sono in condizioni di reggere un altro anno per mancanza di liquidità. Rispetto al 2007 il credito a sostegno delle imprese del settore è diminuito di 77 miliardi. Il mercato della casa è praticamente fermo: l’acquisto di nuove abitazioni da parte delle famiglie ha subito un crollo di 74 miliardi rispetto a 6 anni fa. L’Imu ha contribuito in modo determinante a questa caduta. I lavori pubblici si sono dimezzati. Siamo l’unica nazione che ha fatto il contrario di ciò che si dovrebbe fare: abbiamo immesso risorse nella fase di espansione degli anni 2000 e nel momento della crisi, anziché usare il settore in maniera anticiclica, abbiamo diminuito i fondi di 20 miliardi all’anno. Serve un Piano Marshall per la ripresa, pagare tutte le imprese subito. È necessaria la garanzia che le imprese vengano pagate anche nel 2014. Mancano ancora all’appello 12 miliardi per il settore. Inoltre, con la nuova Direttiva Europea che sancisce l’obbligo di pagare a 60 giorni, si sta attestando una progressiva ma lenta riduzione dei tempi di pagamento sui nuovi contratti. Tuttavia il rischio riscontrato è che le amministrazioni, a corto di fondi, comincino a ridurre le gare pur di non avere l’obbligo del pagamento.

Emergenza Casa. E’ necessario ridare credito a imprese e famiglie. Le banche non credono più nel mercato immobiliare: ci sono tassi di interesse di due punti superiori a quelli degli altri paesi, nonostante una domanda ancora elevata e una percentuale di insolvenza delle famiglie tra le più basse d’Europa. L’Ance ha studiato assieme all’Abi una proposta di obbligazioni garantite per finanziare i mutui alle famiglie per l’acquisto di abitazioni ad alta efficienza energetica. Altrettanto urgente è rivedere in modo sostanziale l’Imu, che ha comportato un aumento del prelievo patrimoniale del 367% e contribuito a bloccare il mercato dell’affitto. E poi far ripartire il grande Piano dell’housing sociale e delle case popolari, come fu il Piano Fanfani, che potrebbe creare migliaia di posti di lavoro e soddisfare le esigenze delle fasce più deboli della popolazione. L’Europa lo comincia a fare con la golden rule, perché non lo facciamo anche a casa nostra?

Le cose da fare non mancano per risanare e ammodernare il Paese: ci sono 30mila scuole a rischio, migliaia di edifici pubblici, a partire dagli ospedali, da mettere in sicurezza. C’è il più grande patrimonio storico‐artistico del mondo da tutelare e valorizzare: un esempio per tutti Pompei, che versa in condizioni disastrose.

Liberare il mercato dalla tassa occulta della burocrazia. Secondo la recente indagine Doing Business 2013 della Banca Mondiale, l’Italia è al 73° posto su 185 paesi analizzati. In Europa siamo addirittura gli ultimi (solo la Grecia è sotto di noi). Abbiamo contato tutte le sigle degli strumenti urbanistici esistenti a livello territoriale: sono ben 62! Al Paese serve una grande manovra di rilancio delle infrastrutture, dell’ordine di 70 miliardi, capace di sostenere la ripresa dell’economia e far aumentare l’occupazione senza sforare il limite del 3% di deficit fissato dalla Ue.

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E se la polizia toglie gli elmetti e marcia con i manifestanti?

L’Europa scende in piazza contro l’austerità e le politiche di rigore dei governi. In Italia la Cgil ha convocato una mobilitazione di quattro ore e circa 100 manifestazioni in tutto il Paese. E come al solito è scontro, guerriglia tra i manifestanti e le forze dell’ordine. Scontri a Roma, Torino, Milano, Genova, ovunque. Guerra tra poveri. Una guerra che sta stancando anche le stesse forze dell’ordine costrette a difendere le politiche di governanti che penalizzano anche loro. Proprio questo, evidente e logico malessere, in una dichiarazione del  Segretario Generale del Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia Franco Maccari, in riferimento alla guerriglia di Napoli in occasione del vertice italo-tedesco dove era presente la Fornero: “Presto la Fornero non potrà più dare per scontato di stare al sicuro quando andrà agli incontri pubblici, a meno che non si organizzi autonomamente i servizi d’ordine privati. Intanto, non ci aspettiamo che il Ministro, oramai famosa per la sua insensibilità al di là delle lacrime finte versate a favore di telecamere, ringrazi pubblicamente gli uomini che oggi hanno impedito che la folla inferocita si accanisse su di lei, né che offra quantomeno un pensiero ai Colleghi rimasti feriti per difendere l’Istituzione che rappresenta, ma chissà se questa ennesima occasione in cui le Forze dell’Ordine sono state bersaglio di rabbia cieca e tentati omicidi servirà per indurla a riflettere. Prossimamente saranno i Ministri a dover accorrere in aiuto dei Tutori dell’Ordine per salvargli la pelle, visto che saranno più giovani e più in forze di loro” ed aggiunge “se in Italia avessero ancora un senso le parole specificità, giustizia sociale e umanità, avrebbero tutto il diritto di stare a casa a godersi i nipotini dopo una vita logorante come la nostra invece che andare a farsi spaccare le ossa?”. Ecco proprio questo ci hanno tolto il senso delle parole.

Vogliono la guerra tra poveri, ma non si rendono conto che sono rimasti solo le forze dell’ordine a difenderli. Non è accettabile che ragazzi con divisa e senza divisa debbano fare la guerra del buono contro il cattivo. Quando i cattivi sono le istituzioni italiane ed europee che ci stanno affondando. E poi si fa presto a dire che sono pochi delinquenti che devono essere isolati. Il problema è la rabbia ormai arrivata oltre il limite. Niente giustifica queste violenze. Ma non è giustificabile non ascoltare le grida di protesta, di disperazione. E continuare a prendere per il culo gli italiani. Si avvicina il giorno in cui  la polizia toglie gli elmetti e marcia al fianco dei manifestanti aprendo loro la strada.

Questo è l’appello a cui hanno aderito centinaia di studentesse e degli studenti per lo sciopero generale europeo. I giovani, il futuro dell’Italia. Un non-futuro. Di fronte ad una situazione disastrosa, a politiche europee, come il Fiscal Compact, che costringono a ridurre i diritti, impoverire il lavoro, distruggere l’istruzione pubblica, gli studenti di questo Paese portano in piazza la necessità di invertire la rotta in cui l’Europa e l’Italia in particolare stanno andando.

Sono uno studente del 2012. La mia scuola è il liceo classico “Cavour”, è l’istituto tecnico “Volta”, è il professionale “Marconi”. La mia scuola cade a pezzi e da anni mi dicono che non ci sono soldi per ristrutturarla. Ogni anno però la mia famiglia spende centinaia di euro per farmi di studiare, anche se non può permetterselo. Se passasse la Legge 953, ex Aprea, verrebbe cancellata la rappresentanza studentesca e aboliti i diritti democratici miei e dei miei compagni di scuola. Scendo in piazza il 14 novembre per bloccare questo progetto di legge e rivendico fondi straordinari per l’edilizia scolastica, una legge quadro nazionale per il diritto allo studio, più borse di studio, il diritto ad una mensa accessibile.

Sono una studentessa universitaria. La mia università è a Roma, a Milano, a Cosenza. Studio lettere, studio ingegneria, studio scienze. Questi sono i luoghi nei quali io mi sento estranea. Non so più a cosa serva la mia università, non avendo nessuna certezza per il futuro, sul lavoro che andrò a fare e nessuna sicurezza per il presente, perché studio in aule sovraffollate, con una didattica sempre peggiore a causa del blocco del turn over, pago tasse sempre più alte, mentre i servizi che ricevo sono sempre più scadenti.

Sono una studentessa e questa didattica non mi piace. Voglio che nella mia scuola e nella mia università studiare non significhi solo apprendere velocemente nozioni. Voglio che le aule siano luoghi di discussione e dibattito. Voglio che i saperi siano liberi e non al servizio del mercato, della fondazione che finanzia la mia scuola e la mia università. Voglio saperi che non discriminano, che parlino di donne e di uomini, di ambiente, di lavoro, che aprano la mente, non voglio saperi che indottrinano e che presentano visioni univoche e assolute delle realtà.

Sono uno studente escluso. Uno di quelli che voleva studiare medicina, ingegneria, lingue. Ma una stupida legge sul “numero chiuso” o le tasse troppo alte mi impediscono di avere il diritto di studiare ciò che voglio. E’ per questo che il 14 novembre voglio liberare il diritto di studiare, abbattendo le barriere all’accesso all’istruzione.

Sono una giovane come tante, ma non posso permettermi di accedere ai luoghi della cultura, so che oggi la scuola e l’università non sono più gli unici luoghi dove apprendere, che si apprende anche al cinema, a teatro, in un museo o leggendo libri. Ed è per questo che manifesto il 14 novembre, perché voglio che l’accesso al sapere sia libero.

Sono uno studente indebitato. Sono un idoneo non vincitore e per pagarmi gli studi ho chiesto un prestito. Dovrò restituire i soldi che ho preso in prestito a tassi elevati non appena avrò un lavoro. Sarò più ricattabile dei miei colleghi e delle mie colleghe, sarò due volte precario. Per questo il 14 novembre scendo in piazza per un reddito per i soggetti in formazione che non mi obblighi ad indebitarmi per studiare.

Sono una studentessa fuorisede, lavoratrice. Lavoro in nero per pagare 300 euro per un posto letto in doppia, senza contratto; spesso lavoro nei fine settimana, a volte d’estate perché gli studi costano troppo e non voglio e non posso pesare sulle spalle della mia famiglia. Manifesto il 14 novembre perchè pretendo una vita dignitosa, un diritto all’abitare realmente garantito.

Sono un pendolare. Per studiare sono costretto a spendere centinaia di euro l’anno per raggiungere la mia scuola o la mia università. Nessuna legge tutela la mia condizione per garantirmi l’abbassamento del costo dei trasporti. E’ per questo che voglio manifestare il 14 novembre.

Sono uno studente fuoricorso, ma non me ne vergogno. Lavoro per studiare, prendo i miei tempi per apprendere e non credo che studiare sia una gara contro gli altri studenti, ma un mio percorso di crescita individuale, che non lede in nessun modo quello degli altri. Scendo in piazza il 14 novembre perché sono contro chi vuole alzare le tasse ai fuoricorso definendoli un costo sociale, riversando su di loro le cause dell’inefficienza del sistema universitario.

Sono uno studente omosessuale, una giovane  migrante, una ragazza  madre. Sono discriminato/a per la mia storia, il mio orientamento sessuale e le mie passioni. Vorrei che le scuole e le università fossero un luogo di incontro, in cui ognuno possa essere se stesso, arricchire e essere arricchiti dagli altri; un luogo dove costruire l’uguglianza di genere e per uscire da questa società patriarcale ed eteronormotiva.

Sono uno studente di Taranto, Iglesias, Mirafiori. Mi hanno detto che per continuare ad avere lavoro sul mio territorio dovevamo sacrificare i diritti: quello al salario dignitoso, quello alla salute, quello alle pause. Voglio che nella mia università si studino modelli alternativi di mobilità,  e modelli per produrre acciaio o carbone garantendo diritti, lavoro e salute. Il mio sapere è un’opportunità per il mio territorio, per questo il 14 novembre lotterò per maggiori investimenti in ricerca e innovazione, per un lavoro dignitoso e la salute dei cittadini e delle cittadine e per il rispetto dell’ambiente.

Non sono uno studente ma desidero studiare con tutto me stesso. Ho deciso di andare a fare l’apprendista per prendermi il diploma guadagnandomi da vivere. Mi avevano detto che avrei imparato come a scuola, ma ho dovuto lavorare incessantemente. E’ per questo che anch’io manifesto il 14 novembre, perché anche per me studiare sia un diritto.

Sono un neet, uno dei  giovani  tra i 15 e i 29 anni che “né studia e né lavora” , sono una disoccupata neolaureata e faccio parte del 36% di giovani italiani che non riesce a trovare un lavoro.

Ci chiamano “choosy” perchè non ci accontentiamo del lavoro, precario, sottopagato che ci propongono. Ma spesso non troviamo nemmeno quello. Qui in Italia docenti, ministri, amici mi dicono di andare all’estero per non dover continuare a pagare le conseguenze di questa crisi.

Eppure io voglio restare per cambiare questo paese, voglio riconquistare il mio presente per liberare il mio futuro tenuto in ostaggio dalla precarietà. Per questo il 14 novembre lotto contro l’attacco ai diritti dei lavoratori, per un reddito, per l’articolo 18 e i miei diritti, i diritti dei miei genitori, dei miei fratelli.

Sono una studentessa italiana, sono uno studente greco, sono una studentessa spagnola, sono uno studente portoghese. Per uscire dalla crisi il mio governo sta smantellando il welfare e i diritti: tagli ai fondi per le scuole, le università, la ricerca, tagli ai sussidi di disoccupazione ai miei genitori e la sanità alla mia famiglia. Nonostante ciò la condizione di tutti è peggiorata e non siamo usciti dalla crisi. La disuccupazione giovanile in Europa è aumentata al 22% .  Io sono una risorsa per l’Europa, per questo voglio che ciò che apprendo a scuola e all’università sia un’opportunità per uscire dalla crisi. Per questo anche io sarò in piazza il 14 Novembre nel mio paese in occasione dello sciopero generale europeo, per lottare per il mio presente e per il mio futuro, insieme ai miei coetanei e le lavoratrici e i  lavoratori europei.

Sono uno, nessuno e centomila. Ho mille facce, ma rappresento una sola condizione.

Per questo che scendo in piazza il 14 novembre, in occasione dello sciopero generale in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia contro le politiche di austerity dell’Unione Europea, contro un’Europa senza democrazia e governata dai poteri forti.

Scendo in piazza perchè voglio costruire, insieme a chi si sta mobilitando negli altri paesi, un’idea d’Europa differente, inclusiva, giusta ed eguale a che metta al centro i saperi, il welfare, i diritti  e il futuro delle persone.

E’ per questo che organizzo giornate di partecipazione e mobilitazione studentesca verso il 17 novembre, giornata Internazionale delle studentesse e degli studenti.

Faccio questo perché cambiare la scuola e l’università, significa cambiare l’Europa e la società tutta.

Uno studente, una studentessa

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