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LifeStraw l’invenzione del secolo per salvare la vita a milioni di persone

lifestraw

Ormai nel 2013, siamo abituati ad avere l’acqua a casa, comprarla tranquillamente al supermercato e bere dalle fontanelle quando si è in giro. Ma si stima che nel mondo 884 milioni di persone non abbiano ancora accesso all’acqua potabile. La mancanza di acqua potabile contribuisce al proliferare delle malattie diarroiche in tutto il mondo e colpisce in particolare i giovani, gli immunocompromessi e i poveri. Quasi una morte su cinque dei bambini nei paesi del terzo mondo, circa 1,5 milioni all’anno, è dovuta alla diarrea. La diarrea uccide più bambini di AIDS, malaria e morbillo messi insieme. A tutto questo potrebbe porre rimedio il LifeStraw, l’invenzione che può salvare il mondo. Premiata come invenzione dell’anno dal Time Magazine, il LifeStraw rimuove un minimo del 99,9999% dei batteri a base acquosa, filtra sino a 1000 litri di acqua contaminata, non contiene sostanze chimiche ed è senza parti mobili soggette a usura.

Circa il 43% della popolazione mondiale, in particolare la popolazione a basso reddito nelle zone periferiche e rurali del mondo in via di sviluppo, è privo di acqua domestica sicura. Vi è quindi l’urgente bisogno di opzioni efficaci e convenienti per ottenere acqua potabile. Il trattamento è un approccio alternativo, che può accelerare i benefici per la salute connessi alla fornitura di acqua potabile per le popolazioni a rischio. Questo gadget, se può essere un divertimento ed una comodità per i popoli occidentali, perfetto per il camper, le escursioni, i viaggiatori o per le emergenze, è sicuramente un’esigenza “salvavita” per le popolazioni che non hanno accesso all’acqua potabile con costanza. Lo si può trovare ad un prezzo concorrenziale su Amazon USA (circa 20 dollari). Distribuendo il LifeStraw in tutto il mondo non ci sarà più il problema della scarsità di acqua potabile, salvando così la vita di milioni e milioni di persone. Maggiori info sul sito del produttore.

Incredibilmente di questo prodotto rivoluzionario si parla molto poco in Europa, in Italia saremo in 12 a conoscerlo, come mai?

Per chi invece vuole un oggetto simile in vendita in Europa, può comprare su Amazon Italia lo Steripen Adventurer Opti Handheld UV Water Purifier – Black/Green, che consente di rendere potabile l’acqua contenuta in una bottiglietta d’acqua durante un’escursione o in campeggio.

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Iraq. Gl’è tutto sbagliato, gl’è tutto da rifare

I bambini iracheni, vittime di guerre e violenze che hanno sconvolto il paese nell’ultimo quarto di secolo, si trovano oggi intrappolati in una tragedia umanitaria. La guerra, iniziata a marzo del 2003, ha drammaticamente deteriorato le condizioni di vita. Oltre 4 milioni di iracheni, la metà dei quali bambini, sono sfollati, costretti a vivere in situazioni estremamente precarie, privi dell’accesso ad acqua, mezzi di sussistenza e servizi di base. Molte famiglie sfollate vivono in comunità d’accoglienza già impoverite e colpite dalle conseguenze della guerra. Ogni mese, in Iraq, oltre 25.000 bambini sono costretti ad abbandonare le loro case; 800.000 bambini si vedono negato il diritto alla scuola; solo 1 bambino su 3 ha accesso all’acqua potabile. Il popolo iracheno è in ginocchio, schiacciato da promesse non mantenute.

E’ passato poco più di un anno da quando Marie-Hélène Bricknell è arrivata in Iraq per inaugurare  una presenza permanente della Banca Mondiale.

Quel giorno le sirene della famosa (ormai leggendaria) “Green Zone” di Baghdad avvertivano i gentili stranieri presenti nella bolla d’oro della capitale irachena dell’arrivo di possibili missili. 

Era il 2011, solo dodici mesi fa. Nonostante il clima di guerra che continua a dettare i ritmi della vita quotidiana di milioni di persone, l’Iraq ha raggiunto “un certo numero di risultati importanti”, sottolinea – forse imbarazzata – l’inviata della Banca Mondiale.

Parla di costruzione e ricostruzione di scuole e ospedali, ma anche di “formazione di infermiere e medici”, e soprattutto di “acqua potabile per oltre 600.000 iracheni”.

Acqua potabile per 600 mila iracheni su 27 milioni di abitanti? Dopo dieci dalla sua “liberazione”? In un paese che galleggia sul petrolio e che nei prossimi decenni diventerà il secondo esportatore mondiale di oro nero?

Ma questo non è l’unico aspetto che rende l’Iraq del 2012 un paese in pieno ‘non sviluppo’: è la stessa Bricknell a ricordare come “il deterioramento della qualità di vita abbia avuto un’incidenza enorme sui bambini”, e su tutta la popolazione.

“Un recente rapporto dell’UNICEF evidenzia una tendenza preoccupante nella malnutrizione e nel ritardo nella crescita dei più piccoli, nonché un aumento dei tumori e della mortalità nella fascia d’età 0-12 mesi”.

Sebbene infatti il salario medio annuo di un iracheno superi i 3.000 dollari, questa cifra non è che il risultato della rendita petrolifera divisa per tutti gli abitanti.

“A dire il vero – ammette l’inviata speciale della Banca Mondiale -, penso che il petrolio potrebbe essere la maledizione dell’Iraq, in un certo senso”.

Perché una tale ricchezza non si traduce in posti di lavoro, con l’industria petrolifera che riesce ad assorbire a malapena l’un per cento della forza lavoro nazionale, anche a causa della mancanza di lavoratori qualificati, in quanto “il sistema educativo non sta generando il livello di competenze richieste dal settore”.

Problemi che sembrano minuzie se paragonate alla situazione generale del popolo iracheno, che da anni attende di poter contare su più di sei ore di elettricità per mangiare, dissetarsi (il 30% non ha accesso all’acqua potabile), lavorare, farsi curare. Sopravvivere insomma.

Problemi che potrebbero essere risolti se i profitti eccezionali generati dalle ricchezze del sottosuolo vengano finalmente spese per soddisfare i bisogni reali (e primari) di un popolo straziato da tre guerre, una dittatura, un embargo e dieci anni di faide intestine.

Nell’elencare le sfide principali, la rappresentante della Banca Mondiale punta quindi il dito sull’urgenza di efficaci “misure anticorruzione”, una delle piaghe principali insieme al clima di impunità che si respira dalla caduta della dittatura.

Ma cosa può fare la principale istituzione finanziaria del mondo per un paese così disastrato? 

L’Iraq ha il petrolio. Ed è proprio questa la parola chiave che improvvisamente rende tutto possibile, persino qui.

Per la verità è dal lontano 2004 che la lunga mano della World Bank si aggira per Baghdad.

E’ proprio la Bricknell a svelare tutte le contraddizioni di quello che finora poteva sembrare un giudizio onesto e schietto sulla situazione del paese.

L’inviata speciale prosegue millantando l’enorme impegno assunto dall’organizzazione nella gestione del multimilionario intervento lanciato immediatamente dopo la ‘liberazione’.

Ora questo fondo è agli sgoccioli ed è destinato ad esaurirsi entro dicembre 2013. Ne serve un altro, perché il paese ha ancora bisogno di quella ricostruzione che doveva essere diventata già visibile.

E invece di domandarsi dove sia finita la valanga di soldi che ha investito l’Iraq negli ultimi 9 anni, la rappresentate della World Bank ribadisce la necessità di mettere a punto un altro piano, un’altra ricostruzione.

Perché occorre ancora “promuovere il buon governo attraverso il rafforzamento della gestione della finanza pubblica”, così come “la condivisione degli ingenti proventi del petrolio, la creazione di nuovi posti di lavoro”, ma anche la “diversificazione economica, la crescita sostenibile, le infrastrutture, lo sviluppo regionale e la riduzione della povertà attraverso il miglioramento del sistema di protezione sociale e di erogazione dei servizi”.

Ma non sono gli stessi obiettivi decantati all’ombra del nuovo Iraq sorto dalle ceneri della dittatura di Saddam?

Anche se lo fossero, a detta della Bricknell “la Banca può svolgere ancora un ruolo molto importante per aiutare il governo adottare politiche per soddisfare le esigenze” dei tanti Iraq (quello ricco, quello povero, quello più che povero, e poi quello sciita, sunnita e anche curdo).

“Possiamo aiutare l’Iraq a riconquistare la sua posizione di leader in Medio Oriente”, afferma testualmente l’inviata della World Bank, colta da un’evidente amnesia lunga dieci anni.

(Fonte osservatorioiraq – Francesca Manfroni)

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L’acqua potabile è ancora per milioni di persone un miraggio


Dal 26 al 31 Agosto 2012 si è svolta a Stoccolma la “Settimana mondiale dell’acqua” (World Water Week), in occasione della quale l’Unicef  ha reso noto che, nonostante gli enormi progressi compiuti negli ultimi 20 anni sul versante dell’accesso a fonti idriche affidabili per miliardi di persone, portare a compimento l’obiettivo dell’acqua per tutti non sarà cosa facile. 

«Abbiamo registrato miglioramenti eccezionali in ogni regione del globo» afferma Sanjay Wijesekera, a capo dei programmi Acqua e Igiene per l’UNICEF. «Tuttavia, il nostro impegno non cesserà fino a quando ogni singola persona avrà ogni giorno a disposizione acqua da bere a sufficienza e da fonti sicure. Purtroppo la parte più difficile del compito è quella che abbiamo dinanzi.»

Wijesekera fa riferimento al rapporto “Progress on Drinking Water and Sanitation 2012”pubblicato nel marzo scorso da UNICEF e Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che rivela come tra 1990 e 2010 oltre due miliardi di abitanti del pianeta abbiano ottenuto l’accesso a fonti migliorate di acqua potabile, quali impianti idrici o pozzi protetti. Il rapporto afferma anche che l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio sull’acqua potabile è stato raggiunto a fine 2010con 5 anni di anticipo rispetto alle previsioni (2015), ma che 783 milioni di persone rimangono prive di un accesso all’acqua sicura.

Secondo il rapporto, la popolazione rimasta esclusa è anche quella più difficile da raggiungere, essendo costituita in larga parte da abitanti delle baraccopoli metropolitane o di aree rurali remote. L’UNICEF ritiene che il passo fondamentale da compiere sia affrontare le diseguaglianze che sussistono in tutti i continenti e a tutti i livelli: i più poveri e le donne ne sono le vittime principali. Infatti, laddove l’acqua non arriva direttamente nelle abitazioni, è soprattutto su bambine, ragazze e donne che grava il peso della raccolta dell’acqua per la famiglia. In alcune regioni del mondo questa corvée comporta in media camminare per 6 chilometri al giorno. I Paesi più poveri scontano un grave ritardo rispetto al resto del mondo, con appena l’11% della popolazione nei Paesi meno sviluppati (LDC) che dispone di acqua veicolata da tubazioni rispetto all’oltre 50% della media mondiale.

Campagne assetate

Quasi in ogni Stato permangono disparità tra aree rurali e urbane. Globalmente, la percentuale di popolazione urbana che riceve acqua dai rubinetti si aggira intorno all’80%, rispetto a meno del 30% per le popolazioni rurali. Tale divario è più profondo che mai nell’Africa subsahariana. Nei Paesi meno sviluppati, addirittura 97 abitanti delle campagne su 100 non hanno accesso ad acqua potabile tramite condutture. I principi del “Diritto umano all’acqua” approvati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’ottobre 2010, affermano che l’acqua potabile deve essere accessibile, affidabile, economica e in quantità sufficiente per soddisfare i bisogni di base. Secondo le previsioni dell’UNICEF, di questo passo nel 2015 – termine finale per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio – ancora 605 milioni di persone nel mondo non vedranno realizzato questo elementare diritto umano.

Le guerre dell’acqua. Nel 1995 il vicepresidente della Banca mondiale espresse una previsione inquietante: “Se le guerre di questo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del secolo prossimo avranno come oggetto del contendere l’acqua”. Molti segni fanno pensare che avesse ragione. Le guerre dell’acqua non sono una prospettiva lontana nel futuro. Il conflitto è già in corso, anche se non è sempre visibile. Molti conflitti politici di questo tipo sono infatti celati o repressi: chi controlla il potere preferisce mascherare le guerre dell’acqua travestendole da conflitti etnici e religiosi.
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