Il caporalato è un fenomeno che caratterizza ancora oggi le campagne italiane. Dopo un’attenuazione, negli ultimi 15-20 anni tale fenomeno è tornato alla ribalta con una degenerazione dello sfruttamento della manodopera a causa soprattutto dei flussi migratori. Il caporalato detiene oggi nel Mezzogiorno un monopolio nell’attività di mediazione, ma il fenomeno è in aumento anche nelle Regioni del Centro-Nord.
Più di dodici ore di lavoro nei campi per un salario di 25-30 euro al giorno, meno di 2 euro e 50 l’ora. È la situazione in cui lavorano in Italia 400mila lavoratori sfruttati dal caporalato, stranieri nell’80% dei casi, coinvolti con salario giornaliero inferiore del 50% rispetto a quello previsto dai contratti nazionali. A questo vanno sottratti: il trasporto dei lavoratori (5 euro), l’acquisto di acqua e cibo, l’affitto degli alloggi, acquisto di medicinali. È quanto emerge da uno studio di The European House-Ambrosetti su dati Flai Cgil relativi al 2015, presentato al convegno di Assosomm-Associazione italiana delle agenzie per il lavoro “Attiviamo lavoro. Le potenzialità del lavoro in somministrazione nel settore dell’agricoltura”.
Alcuni dati allarmanti riguardano anche la tutela della salute dei lavoratori: almeno 10 le vittime del caporalato nell’estate 2015, il 72% dei lavoratori presenta malattie che prima dell’inizio della stagionalità non si erano manifestate, il 64% dei lavoratori non ha accesso all’acqua corrente.
Sono almeno 80 i distretti agricoli in cui si pratica il caporalato: in 33 sono state riscontrate condizioni di lavoro indecenti, in 22 sono state riscontrate condizioni di lavoro gravemente sfruttato, negli altri si consuma “solo” l’intermediazione illecita di manodopera.
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