I pesticidi sono utilizzati in agricoltura, per difendere le colture da parassiti (organismi che vivono a spese di altri organismi) e in generale da popolazioni molto numerose di insetti che si nutrono di queste piante, nonché da funghi e da erbe infestanti.
Tuttavia, il fatto che consentano di preservare la naturale crescita delle colture non ci autorizza a farne un uso spropositato e anzi Legambiente sostiene da sempre le pratiche agricole, che non fanno ricorso alla chimica o che prevedono un minor consumo di fitofarmaci. L’esposizione diretta o indiretta delle persone e dell’ambiente a tali sostanze, infatti, può avere effetti negativi, quali disturbi cronici e a lungo termine, particolarmente preoccupanti nei bambini, nelle persone anziane e nei lavoratori esposti spesso a tali sostanze.
Il rapporto annuale di Legambiente sui residui fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli che circolano in Italia “Pesticidi nel piatto2012” ha evidenziato la presenza di 9 sostanze tossiche diverse nell’uva, 8 nel vino, 6 nelle mele e 5 nelle arance. Nonostante gli sforzi tesi a una riduzione dell’uso della chimica di sintesi in agricoltura, la quantità di residui di pesticidi rilevati nei campioni di ortofrutta e derivati, analizzati dai laboratori pubblici italiani delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA), risulta elevata. In pratica un terzo della frutta e della verdura che finisce nel nostro piatto è contaminata. Di fatto residui di pesticidi si ritrovano nella frutta e nelle verdure che quotidianamente arrivano sulle nostre tavole e, cosa forse ancora più grave, essi contaminano diffusamente le matrici ambientali, comprese le acque, arrivando fino alle acque sotterranee. Gli effetti di queste molecole sulla salute si manifestano spesso tardivamente (anche dopo decenni) e variano non solo in base alla durata, al tipo di sostanza e alla loro quantità, ma anche a seconda del momento in cui avviene l’esposizione. Gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà sono momenti cruciali in cui il contatto con queste sostanze può comportare effetti gravi.
Sono stati trovati residui di sostanze come il clorphyrifos che è riconosciuto da diversi studi scientifici come un interferente endocrino, perché altera il funzionamento del sistema endocrino causando danni all’organismo, compromettendo il normale funzionamento del sistema ormonale, fondamentale per la sopravvivenza. In uno studio pubblicato nel 2010 sulla rivista scientifica Pediatrics ha evidenziato che in un campione rappresentativo di bambini americani tra gli 8 ed i 15 anni, coloro che hanno alti livelli di metaboliti dei pesticidi organofosforici nelle urine hanno una maggiore probabilità (dal 55% fino al 72 %) di avere deficit di attenzione/iperattività (ADHD) rispetto ai bambini con livelli più bassi. Oppure il captan, fungicida utilizzato in varie specie frutticole, soprattutto nella coltura della mela, cancerogeno per l’uomo secondo l’Epa, e il fosmet, un altro insetticida che oltre ad avere un notevole impatto ambientale danneggerebbe soprattutto le api.
Sul piano ambientale possono essere causa di contaminazione dell’acqua, dell’aria o del suolo. Le molecole chimiche delle miscele possono disperdersi nell’aria e colpire l’organismo non bersaglio. Inoltre, raggiungendo le falde acquifere o penetrando nel suolo possono provocare danni alle vegetazioni spontanee o agli insetti utili. Per i piccoli mammiferi o gli insetti, infatti, queste molecole chimiche sono spesso molto tossiche. Anche a piccole dosi e sotto i limiti stabiliti dalla legge, l’azione sinergica di diverse sostanze assunte dall’ambiente possono avere un effetto cancerogeno. Negli Stati Uniti, per esempio, dopo cinque anni di studi sulla tossicità è stato verificato che su 289 fitofarmaci censiti e analizzati, 54 erano agenti cancerogeni. Molte di queste molecole, oltre ad essere dei probabili cancerogeni, sono anche degli interferenti endocrini.
Non possiamo che auspicare per il bene del nostro pianeta e per tutti gli organismi che lo popolano, incluso l’uomo, un agricoltura più sostenibile, ossia che faccia sempre meno uso di sostanze chimiche, i cui effetti non sono mai completamente controllabili né prevedibili, un’agricoltura che fondi la sua forza sulla biodiversità.
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