“La Ludopatìa è ormai un fenomeno altamente diffuso nel nostro paese. Le vittime non si contano più, sia in termini economici che di effetti sulla vita quotidiana. È indubbio che la crisi sia una delle cause principali che hanno portato alla crescita di questo fenomeno. In Italia, solo nel 2012 il fatturato del gioco ha raggiunto quota 87 miliardi, contro gli 80 dell’anno precedente, di questi, solo 16 miliardi sono state distribuite in vincite. Questo primo dato, dà l’idea di quello che stiamo vivendo, e cioè un fenomeno che così come viene imposto non garantisce crescita economica per il paese e non riesce a salvare dal baratro più di 800 mila vittime. Molti di questi sono anziani, si stima, infatti, che 1.700.000 over 65 siano giocatori, di questi però bisogna distinguere tra problematici e patologici. I primi, rappresentano circa 1.200.000 della popolazione anziana giocatrice, mentre i casi di giocatori d’azzardo patologici sono circa 500 mila. Complessivamente, gli anziani giocano 5,5 miliardi di euro, circa 3200 euro l’anno e 266 euro al mese. Questo dato medio oscilla tra i 100 euro spesi da i giocatori anziani non patologici e i 400 di chi è ormai è malato. Le norme contenute nella Legge di stabilità potrebbero aggravare ulteriormente questa condizione. Infatti, questa manovra comporta, secondo gli studi che abbiamo condotto come Fipac Confesercenti, una riduzione del reddito disponibile dell’ordine di 300 euro per i livelli di pensione più diffusi. Una riduzione del reddito disponibile 2014 dei pensionati compresa fra i 294 e i 389 euro, per effetto di un taglio alle pensioni, di un mancato sgravio fiscale e di un aumento del prelievo sulla casa di abitazione. Se rapportiamo questo dato (300 euro in meno nelle tasche dei pensionati) alla spesa per giochi (266 euro al mese), abbiamo l’idea di quello che potrebbe accadere. Per evitare che i numeri di pensionati malati di gioco crescano, un primo passo potrebbe essere che le organizzazioni e le istituzioni riescano a collaborare per fare una buona prevenzione verso quei clienti che mostrano la patologia. Allo stesso modo, è importante poter giungere ad un incentivo o a uno sgravio fiscale per i pubblici esercizi che hanno fatto la scelta, prima di tutto etica, di non tenere nel proprio locale né slot machine, né qualsiasi altro tipo di gioco d’azzardo. Questo potrebbe essere un modo iniziale per evitare che si generi l’effetto “criminalizzazione” che potrebbe creare danni altrettanto gravi. Il gioco, infatti, deve essere inquadrato prima di tutto sotto un aspetto ludico di passatempo e divertimento, è il concetto condiviso di divertimento, che non deve diventare però grave problema e, appunto, ludopatia. Con il dossier “Il gioco non ha età” Fipac Confesercenti ha voluto fare luce su un fenomeno che ha raggiunto ormai livelli straordinari e che, in tempi di crisi economica, rappresenta sicuramente un’attrattiva per quanti, anziani in primis, cercano di uscire fuori da una forte depressione sociale ed economica.” Massimo Vivoli presidente Fipac Confesercenti
La testimonianza di Rita 73 anni, pensionata di Messina:
“La prima volta che ho iniziato a giocare è stato in una sala Bingo. Mi ero separata da poco e, in certi momenti mi sentivo molto sola. Il Bingo è un gioco che ti prende, perché ti dà questa doppia possibilità di giocare in maniera solitaria e, allo stesso tempo, di regalarti la compagnia di tanti come te che hanno voglia di spezzare la routine”. Rita, è una pensionata di 73 anni e ormai da 15 giocatrice. Vive da sola a Messina, una cittadina siciliana a ridosso del mare. “Ogni mattina, se così si può definire, intorno alle 12:00 mi alzo, prendo caffè, ma non faccio colazione, dopo vado subito a giocare. La prima volta in una sala bingo, avevo ancora nella mia testa gli effetti di un matrimonio che avevo fatto da molto giovane e mi aveva prosciugato tutte le energie. Nei primi periodi, andavo ogni sabato a giocare, ma puntavo poco, non spendevo molti soldi in cartelle. Col tempo però- racconta Rita- le cose sono peggiorate. Mi sono attorniata di un gruppo di amiche che hanno la stessa passione, così ci organizziamo spesso e passiamo tempo insieme. Ci si vede, una volta per uno a casa, facciamo una sorta di fondo cassa. Cioè puntiamo 30-40 euro, e iniziamo a giocare per buona parte della notte, alla fine però, nessuno porta via nulla di ciò che ha vinto o perso. Mettiamo tutto in un piatto comune che man mano rimpinguiamo ogni volta che giochiamo. Alla fine, quando ci rendiamo conto che questi soldi sono davvero tanti, li tiriamo fuori e partiamo tutti insieme per una vacanza”. Rita da giovane era ragioniera e impiegata in un’azienda, ha smesso di lavorare perché il marito, commercialista, a quei tempi voleva accanto una donna “di casa”. “Credo che la mia insoddisfazione- spiega- è iniziata là. In passato giocavo spesso nei circoli della città. Sono luoghi dove trovi di tutto, dalla gente bene, lì per giocare e farsi una chiacchierata, fino all’usuraio di professione. Lo riconosci subito, sta lì come un avvoltoio, e aspetta che qualcuno perda per poi intervenire con prestiti dalle percentuali usuraie. Conosco molta gente che ha fatto una brutta fine, per certi periodi me inclusa, che si è indebitata per pagare lo strozzino. A volte non riesco a riprendermi dallo stato di torpore in cui mi porta il gioco. Vivi come in un continuo stato di shock, perdendo il senso della misura. Oggi, sono questa. Mi alzo all’ora di pranzo, non mangio più, non curo il mio abbigliamento, né le relazioni sociali che non siano quelle del gioco. Credo di avere perso anche il senso dell’affetto.”