1

Ma chi se ne frega chi è lei!

Lei non sa chi sono io” è un mantra sempre di moda. Pare averla pronunciata (ma lei smentisce) anche Daniela Ferrari, Lady Bersani, per evitare una multa per divieto di sosta e intralcio al traffico. L’Onorevole Trombetta, cioè Totò, la usava come scherzo. La Cassazione l’ha rubricata a reato. E Nonciclopedia gli ha dedicato una voce, consigliando l’unica controrisposta possibile: “No e non ce ne frega un cazzo!”.Il mantra è buono per chiunque si senta importante, da Giorgio Almirante (uno dei tanti politici citati in “E io non pago!” di Lanfranco Palazzolo) ad Aida Yespica (va be’). A volte la frase è pronunciata fedelmente e a volte no. Rimane, però, l’approccio da Marchese del Grillo: il potente, in quanto tale, ritiene la legge un fastidioso impiccio. Che si parli di vicende gravi o minori.

Nell’ottobre del 2001, l’onorevole Gabriella Carlucci irrompe alle 10 del mattino nel pieno centro di Roma. Guida una Porsche cabriolet grigio metallizzato. Impegnata a parlare al telefono, bypassa lo stop e non si accorge – nonostante metri – dell’arrivo di un jumbo-bus. Crash. Gabry scende, constata che si è rotta appena un fanalino e riparte, mentre l’autista Atac la insegue per la constatazione amichevole. Lascia poi l’auto sul marciapiede di Montecitorio (il parcheggio era pieno). Granitiche le spiegazioni: “Embè? Alla Camera c’erano le votazioni”, “Io non ho colpe: spetta ai custodi della Camera controllare le auto, è un problema loro”.

Meritorio anche Renato Schifani. Nel 2002, al Cinema Aurora di Palermo, tenta di entrare (gratis) con una tessera Agis (scaduta). Quando la maschera non lo lascia passare, lui – democraticamente – chiede alla scorta di identificare il vile plebeo che tanto ha osato. Per l’exploit vince il Tapiro e lì dà una versione diversa: “La maschera poi voleva chiudere un occhio e farmi entrare. Ma io ho detto ‘Non entro, mi faccia parlare con il gestore’”. Qualche mese dopo, il 15 agosto 2006, per reinventarsi uomo del popolo detta un comunicato stampa monumentale: “In vacanza alle isole Eolie, Renato Schifani, in compagnia di alcuni amici, ha dovuto aspettare per un’ora di fila che si liberasse un tavolo in un ristorante del centro di Lipari. Il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama ha pazientemente atteso il proprio turno, senza sollevare alcuna obiezione e senza pretendere un trattamento di favore” (non è una battuta: il comunicato è autentico).

Alla Sagra dell’Arroganza non poteva mancare Vittorio Sgarbi. Ventidue ottobre 1997, Giunta per le autorizzazioni a precedere. Polemiche, discussioni fino a tarda notte. Oggetto del contendere: occorre deliberare in merito a Sgarbi, che nel luglio ’92 a Pisa ha sfanculato vari agenti di Polizia (“Voglio telefonare al Prefetto perché c’è una guardia che vuole rompere i coglioni”, “Me ne sbatto i coglioni”). Sgarbi, invitato per una manifestazione pubblica, aveva tentato di far passare dall’ingresso riservato alle autorità due ragazze appena conosciute. Gli agenti glielo impedirono. E lui la prese bene. Nel corso della bagarre alla Camera, il totemico Filippo Mancuso cita Leopardi e consiglia a Sgarbi (“uomo di grande sapere”) di usare d’ora in poi non “coglioni” ma “tommasei”. Tipo: “Mi girano i tommasei”, “Mi hai rotto i tommasei”. Ovazione nel centrodestra (anche questa non è una battuta).

Immortale Claudio Burlando, che una settimana dopo il Vaffa-Day (2007) capisce benissimo l’umore del paese e si comporta di conseguenza: percorrendo contromano un chilometro e mezzo di superstrada. A Genova. Quando una pattuglia della polizia lo ferma, esibisce il tesserino da deputato. Scaduto (un classico del genere).

Bettino Craxi, a inizio anni Novanta, si imbarcò a Fiumicino su un aereo senza biglietto. Di fronte ai fermi rimproveri del solito feticista della legge, Craxi reagì spintonandolo a terra. Un esponente di Rifondazione Comunista lo raccontò. Bettino non si scompose: “Quel signore non mi permetteva di andare a Milano”.

E poi c’è Eugenio Scalfari. Da deputato socialista, nel 1970, parcheggiò vicino alla Stazione Centrale di Milano. Entrambi i posti erano riservati ai Carabinieri. Lo invitarono a spostare l’auto. Fu allora che Scalfari pronunciò il Sacro Mantra dell’Ego Ferito. Per la cronaca, aveva pure la patente scaduta. La vicenda uscì ovunque. Il Fondatore sostenne che “il comando, legato all’assessore al traffico social-democratico, telefonò all’Ansa”. Ripetè che la “la storia era troppo complicata”. Poi, sempre garbato e democratico, Il Fondatore scagliò contro il vigile tutto “L’Espresso”, a difesa del cittadino inerme Scalfari. Nel monologo “La democrazia”, Giorgio Gaber diceva: “Dopo alcune geniali modifiche (la democrazia, ndr) fa sì che tu deleghi un partito che sceglie una coalizione che sceglie un candidato che tu non sai chi è, e che tu deleghi a rappresentarti per cinque anni, e che se lo incontri ti dice giustamente: ‘Lei non sa chi sono io!’. Questo è il potere del popolo”.

(Fonte Il Fatto Quotidiano)

Condividi: