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Oltre l’allegria

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“Se Grillo e Casaleggio avessero avuto la curiosità (e soprattutto l’umiltà) di vedere No – I Giorni Dell’Arcobaleno (film del 2012 di Pablo Larraìn, storia della vittoria degli oppositori di Pinochet nel referendum del 1988 che detronizzò il dittatore cileno), oggi il M5S non si leccherebbe le ferite per l’insuccesso elettorale: perché non ci sarebbe stato. Sarebbe bastato guardarsi un film.

Cosa successe in Cile 26 anni fa? Le pressioni internazionali costrinsero Pinochet, al potere con il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 in cui morì Salvador Allende, a sottoporre a referendum popolare il proprio incarico di presidente: i cileni avrebbero dovuto decidere se affidargli o meno altri 8 anni di potere e per la prima volta ai partiti d’opposizione veniva concessa la possibilità di accedere al mezzo televisivo (15 minuti al giorno, per 28 giorni, in orario notturno) per una campagna elettorale libera di proporre un’alternativa democratica alla dittatura del Generale.

La storia, e il film, sono a dir poco istruttivi. I partiti che sostengono il NO (a Pinochet) contattano un giovane pubblicitario di successo, René Saavedra, figlio di esiliati ma cittadino sostanzialmente integrato: e a dispetto del suo iniziale scetticismo, insistono per affidargli la campagna televisiva contro il dittatore. Sorprendendo tutti, Saavedra decide di lanciarsi in una campagna di comunicazione che vada oltre la riproposizione e il ricordo, dei gravi crimini di Pinochet, ma che porti avanti – invece – un messaggio potente, nel contenuto e nella forma, di ottimismo e di speranza, di futuro e di vita. Secondo Saavedra, il messaggio che il movimento del NO deve veicolare si chiama allegria: commissiona così il jingle Chile l’alegria ya viene e impronta tutti gli spot in una chiave di ricerca di felicità e voglia di allegria con il linguaggio fresco della pubblicità per “vendere” un prodotto mai trattato prima: la democrazia.

La scelta è uno choc per gran parte del movimento, che in quei 15 minuti in tivù vorrebbero madri di desaparecidos, vedove piangenti, racconti di pestaggi, torture, esecuzioni, sparizioni. C’è una sollevazione contro Saavedra: molti lo accusano di intelligenza con il nemico, di mancato rispetto del dolore di milioni di cittadini, ma il pubblicitario, impassibile, non deflette: “Ho visto troppe cause valide fallire per mancanza di competenza nel comunicare. Gli uomini di buona volontà non sono per forza dei bravi comunicatori. E questa può essere una tragedia”.

Inizia così una sfida televisiva spiazzante e impensabile. Da una parte i 15 minuti del regime, con la retriva e retorica propaganda a base di inni e lodi sperticate della grandezza e dell’infinito amore del Generale Pinochet per il suo popolo; dall’altra i 15 minuti “pop” dell’opposizione democratica in cui nulla delle brutture e dei crimini del regime viene evocato, dove si canta e si balla pensando all’allegria che i cileni hanno la possibilità di regalarsi e dove si ride: come nello sketch della coppia a letto in cui una lei vogliosa si offre provocante e un lui intransigente risponde NO. NO. NO. Alla fine, anche lei capisce, schizza a sedere e lo urla a squarciagola: NO! (a Pinochet). Sono d’accordo. E se la ridono.

È il 1988. E finisce come nessuno avrebbe mai potuto immaginare in un paese che da 15 anni convive con il terrore: alle urne vanno più di 7 milioni di cileni e il 55,9 % mette una croce sul NO. Pinochet se ne deve andare. E il Cile può tornare a vivere. In allegria.

Se Grillo e Casaleggio avessero voluto imparare qualcosa dalla storia e invece di postare messaggi nel blog e perdere tempo da Vespa e dall’Annunziata avessero investito due ore del loro tempo a guardarsi il film sul Cile, magari l’avrebbero capita. E invece di evocare Auschwitz e Hitler, allestire gogne per giornalisti-servi e minacciare processi di popolo, far tintinnare manette e promettere indagini fiscali sul conto di politici infedeli, auspicare vivisezioni di cani e chiusure di Expo, straparlare di mafia e di P2, di ebetini e di ladri, il tutto urlando “Vinciamo noi!”, “Siamo in guerra!”, “Siete tutti morti!”, “Arrendetevi!”, in un crescendo di pathos e di tensione sconsigliabile ai deboli di cuore, e non solo, invece di urlare insulti e improperi e ricordare sconcezze e ruberie che ormai tutti conoscono a menadito, avrebbero potuto imboccare la strada della leggerezza e andare oltre. Guardando avanti, invece che indietro. E magari provando a farlo spruzzando il tutto con un po’ di allegria. Grillo fa il comico: conosce il significato?” Paolo Ziliani

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