Sei neonati che dormono dentro scatole di cartone che contenevano medicinali Biogalenic, una marca locale di farmaci, allineati su un tavolo dell’ospedale e identificati con un foglio di carta attaccato con dello scotch. Il fatto sarebbe avvenuto nel reparto maternità dell’ospedale Domingo Guzman Lander, nello stato di Anzoategui (nord-est del Venezuela). Continue Reading
Venezuela
Hugo Chávez vita, morte e miracoli
“Come in se stesso infine l’eternità lo cambia” (1), Hugo Chávez , scomparso il 5 marzo in piena gloria politica, si unisce a partire da ora e per sempre, nell’immaginario degli umili dell’America latina, alla piccola coorte dei grandi difensori della causa dei popoli: Emiliano Zapata, Che Guevara, Salvador Allende…
E’ stato senza dubbio il leader politico più celebre del suo tempo. Il che non significa che il suo pensiero e la sua opera siano stati riconosciuti. Perché era anche il leader più odiosamente attaccato e demonizzato dai grandi mezzi di comunicazione dominanti. Se la sua traiettoria politica, da quando è arrivato al potere in Venezuela nel 1999, è stata relativamente ben studiata, la stessa cosa non accade con i periodi precedenti della sua prima vita. Come nasce Chávez ? Dove si è formato? Che influenze ha ricevuto? Quando decise di prendere il potere? Questi aspetti della sua apparizione, è quel che vorremmo ricordare qui.
Al principio, nulla lasciava intendere per Hugo Chávez un destino tanto singolare. In effetti, venne al mondo all’interno di una famiglia molto povera in un angolo tra i più oscuri del “lontano ovest” del Venezuela, a Sabaneta, una piccola città degli Llanos, le infinite pianure che si estendono ai piedi delle Ande. Quando nacque, nel 1954, i suoi genitori non avevano compiuto vent’anni. Insegnanti precari in un remoto villaggio, sottopagati, dovettero affidare i loro primi due figli (Hugo e il suo fratello Adán) alla nonna paterna dei bambini. Rosa Inés, meticcia afro-indigena, li allevò fino all’età di quindici anni. Persona molto intelligente, molto pedagogica, dotata di una notevole sensatezza e traboccante di amore, questa nonna ha avuto un’influenza decisiva sulla formazione del piccolo Hugo.
Appena fuori dal paese, Rosa abitava una casa amerindia con il pavimento di terra battuta, i muri di adobe (fango pressato, ndt) e con il tetto di foglie di palma. Senza acqua corrente, senza elettricità. Priva di risorse, viveva della vendita di alcuni dolci che essa stessa preparava con la frutta del suo piccolo giardino. Così che, fin dalla prima infanzia, Hugo imparò a lavorare la terra, potare le piante, coltivare il mais raccogliere i frutti, occuparsi degli animali… Si impadronì del sapere agricolo ancestrale di Rosa Inés. Partecipava a tutti i lavori di casa, andava a prendere l’acqua, spazzava la casa, aiutava a fare i dolci … E, a sette o otto anni, andava a venderli camminando per le strade di Sabaneta, gridando alle uscite del cinema, al bocciodromo e al mercato…
Questo paese, “quattro strade di terra – avrebbe raccontato Chávez – che, in inverno, si trasformavano in pantani apocalittici” (2), rappresentava, per il giovane Hugo, tutto il mondo. Con le sue gerarchie sociali: i “ricchi” nella parte bassa del paese in edifici in pietra di vari piani: i poveri sui versanti della collina in capanne coperte di paglia. Con le sue differenze etniche e di classe: le famiglie di origine europea (italiani, spagnoli, portoghesi) possedevano i commerci principali così come le poche industrie (segherie), mentre i meticci costituivano la massa della forza lavoro.
Il suo primo giorno di scuola rimase per sempre impresso nella memoria di questa “piccola cosa” (3) venezuelana: fu espulso perché indossava sandali di canapa e non scarpe in pelle come era d’obbligo … Ma seppe prendersi una vendetta. La nonna gliaveva insegnato a leggere e scrivere. E molto rapidamente si impose come il migliore allievo della scuola, diventando il beniamino delle maestre. Al punto che, durante una visita solenne del vescovo della regione, fu scelto dagli insegnanti perché leggesse il saluto di benvenuto al prelato. Il suo primo discorso pubblico…
La nonna gli parlò molto anche della storia. Gli mostrò le sue tracce a Sabaneta: il grande albero antico all’ombra del quale Simón Bolivar riposò prima della sua traversata delle Ande nel 1819; e le strade che ancora echeggiavano del galoppo feroce dei fieri cavalieri di Ezequiel Zamora quando passarono di lì diretti verso la Battaglia di Santa Inés nel 1859. Così, il piccolo Hugo crebbe all’ombra del culto di questi due personaggi: il Libertador, padre dell’indipendenza, e l’eroe delle “guerre federali”, fautore di una riforma agraria radicale a favore dei contadini poveri, il cui grido di battaglia era “Terra e uomini liberi!”. Di più, Chávez seppe che uno dei suoi antenati era stato coinvolto in quella famosa battaglia e che il suo nonno materno, il colonnello Pedro Pérez Delgado, detto Maisanta, morto in carcere nel 1924, era un guerrigliero molto popolare nella regione, una specie di Robin Hood che rubava ai ricchi per sfamare i poveri.
Non c’è nessun determinismo sociale automatico. E Hugo Chávez , con questa stessa infanzia, avrebbe potuto avere un destino del tutto diverso. Ma accadde che, fin dalla più tenera età, la nonna gli instillò forti valori umani (solidarietà, aiuto mutuo, onestà, giustizia). E gli trasmise quel che potrebbe essere definito un forte senso di appartenenza di classe: “Ho sempre saputo dov’erano le mie radici – dirà Chávez -, nelle profondità del mondo popolare, da lì vengo. Non l’ho mai dimenticato” (4).
Quando entra nella scuola superiore, il giovane Hugo lascia Sabaneta e si sistema a Barinas, la capitale dello stato omonimo. Siamo nel 1966, la guerra del Vietnam è sulla prima pagina di tutti i giornali e Che Guevara morirà di lì a poco in Bolivia. Anche in Venezuela, dove viene restaurata la democrazia nel 1958, abbondano le guerriglie; molti giovani si uniscono alla lotta armata. Ma Chávez è un adolescente che non si interessa di politica. A quel tempo, le sue tre ardenti passioni sono: gli studi, il baseball e le ragazze.
Fu un liceale brillante, soprattutto nelle materie scientifiche (matematica, fisica, chimica). Amava fare corsi di recupero per o compagni meno dotati. Nel corso del tempo, acquisirà grande prestigio nella sua scuola grazie ai suoi buoni voti e al senso di cameratismo. Le diverse organizzazioni politiche del liceo – tra le quali quella di suo fratello Adán, militante di estrema sinistra, si combattevano per reclutarlo. Ma Chávez pensava solo al baseball. Era letteralmente ossessionato da questo sport. E fuun temibile “pitcher” (lanciatore) mancino, e partecipò con successo ai campionati scolastici. Perfino la stampa locale parlava di lui, dei suoi successi sportivi. Il che aumentava la sua prestigio personale.
Nel corso di questi anni di scuola, la sua personalità si consolidò, si affermò. Era una persona sicura di sé, si esprimeva bene in pubblico, aveva dell’umorismo e si sentiva a suo agio ovunque. Divenne quello che noi chiamiamo un “leader naturale”, primo della classe ed eccellente nello sport. E siccome voleva diventare un professionista del baseball dopo aver ottenuto la maturità, scelse di affrontare l’esame di ammissione all’Accademia militare, perché lì c’erano i migliori allenatori del paese. Lo passò. E così, nel 1971, il giovane che veniva da una lontana provincia arrivò a Caracas, capitale tanto futurista e terrorizzante ai suoi occhi quanto la Metropolis di Fritz Lang.
Le questioni militari lo appassionarono immediatamente. Dimenticò il baseball. Chávez si dedicò anima e corpo agli studi militari. Questi erano appena stati riformati. Ora l’Accademia ammetteva solo diplomati. Anche il corpo docente era stato rinnovato. Vi insegnavano ufficiali superiori considerati “meno sicuri” o “più progressisti” da parte delle autorità che rifiutavano di porre truppe sotto i loro ordini… ma non avevano esitato ad affidare loro la formazione dei futuri ufficiali… Dal 1958, dopo la caduta del dittatore Marcos Pérez Jiménez, i principali partiti . in particolare Azione Democratica (socialdemocratico) e Copei (democristiani) – aveva stabilito un accordo tra loro, il patto di Punto Fijo, e aveva gestito il potere alternativamente. La corruzione era generale. Nel 1962, scoppiarono due ribellioni di ufficiali, alleati a organizzazioni di estrema sinistra, a Puerto Cabello e a Carúpano. Altri militari si unìrono alle varie guerriglie sulle montagne. La repressione fu atroce. Le esecuzioni sommarie, le torture e le “sparizioni” divennero moneta corrente. La presenza di rappresentanti degli Stati Uniti era molto evidente, non solo nei siti petroliferi, ma all’interno stesso dello Stato Maggiore delle Forze Armate. La Cia inviò vari agenti e aiutò a perseguitare gli insorti.
Chávez assorbì letteralmente l’insegnamento teorico che riceveva all’Accademia. Uno dei suoi professori, il generale Pérez Arcáis, grande specialista di Ezequiel Zamora, esercitò un’influenza decisiva su di lui. Lo educò al bolivarianismo. Chávez lesse l’intera opera di Bolívar. La imparò a memoria. Era in grado di riprodurre in dettaglio su una mappa, con gli occhi chiusi, la strategia di ciascuna delle sue battaglie. Lesse anche a Simón Rodríguez, l’enciclopedista insegnante di Bolívar. E presto sviluppò la sua teoria delle “tre radici”: Rodríguez, Bolívar e Zamora. Dai testi politici di questi tre autori venezuelani ricavò l etesi dell’indipendenza e della sovranità, della giustizia sociale, dell’inclusione, dell’uguaglianza e dell’integrazione latinoamericana. Tesi che divennero i pilastri principali del suo progetto politico e sociale.
Chávez possedeva una mente scientifica e una memoria enorme. Non tardò a diventare uno dei migliori studenti e il “leader” dei cadetti dell’Accademia. Lesse (in segreto) a Marx, Lenin, Gramsci, Fanon, Guevara … E cominciò a frequentare, al di fuori dell’Accademia, vari circoli politici di estrema sinistra: il Partito comunista (Pcv), La Causa R, il Movimiento Izquierda Revolucionaria (Mir), il Movimiento al Socialismo (Mas)… si incontrava clandestinamente con i loro dirigenti. Di nuovo, ognuno di loro cercò di reclutarlo nella sua organizzazione, dato che infiltrarsi nell’esercito era sempre stata un ambizione della sinistra. Dopo aver studiato bene le ribellioni militari in Venezuela, Chávez si convinse che era possibile prendere il potere per farla finita con la povertà endemica. Ma l’unico modo di evitare derive “gorilistas” (dittature militari di destra) era creare un’alleanza tra le forse armate e le organizzazioni politiche di sinistra. Questo sarà la sua idea di base: la “unione civico-militare”.
Studiò quindi l’esperienza al potere dei militari rivoluzionari di sinistra in America Latina, in particolare: Jacobo Arbenz in Guatemala, Juan José Torres in Bolivia, Omar Torrijos a Panama e Juan Velasco Alvarado in Perù. Incontro ques’ultimo a Lima, durante un viaggio di studio, nel 1974, ne fu fortemente impressionato. Tanto che, venticinque anni dopo, una volta al potere, fece pubblicare la Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela, approvata con un referendum nel 1999, nello stesso formato e colore del famoso “piccolo libro blu” di Velasco Alvarado…
Chávez era entrato nell’Accademia Militare senza la minima cultura politica, ma ne uscì quattro anni più tardi, nel 1975, all’età di 21 anni, con una sola idea in mente: farla finita con il regime ingiusto e corrotto, e riforndare la Repubblica. Da quel momento, tutto era molto chiaro. Sia politicamente che strategicamente. Aveva in sé il progetto bolivariano di ricostruzione del Venezuela.
Ma la sua apparizione avrebbe dovuto aspettare venticinque anni. Venticinque anni di cospirazioni silenziose all’interno delle forze armate. E l’effetto di quattro eventi decisivi: la grande rivolta popolare – il “Caracazo” – contro la terapia d’urto neoliberista nel 1989 (5), il fallimento della ribellione militare nel 1992, la feconda esperienza di due anni di carcere, e il decisivo incontro, nel 1994, con Fidel Castro. Da lì in poi, la sua vittoria elettorale era ineluttabile. Ciò che sarebbe accaduto nel dicembre 1998. Perché affermava Chávez, citando Victor Hugo, che “non c’è niente al mondo più potente di un’idea per la quale è arrivato il suo tempo”.
Note
(1) Verso di Stéphane Mallarmé, estratto da Le Tombeau d’Edgar Poe (1877)
(2) Conversazioni con l’autore.
(3) Cfr. Alphonse Daudet, Little Thing (1868), un romanzo autobiografico.
(4) Conversazioni con l’autore.
(5) Dettata dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e imposta dal presidente socialdemocratico Carlos Andrés Pérez, questa “terapia d’urto” fu un vero e proprio piano di aggiustamento strutturale che si tradusse in misure di austerità, lo smantellamento dell’embrione di Welfare State e la crescita dei prezzi dei beni di prima necessità. Il 27 febbraio 1989, la popolazione di Caracas si ribellò. E’ stata la prima ribellione al mondo contro le politiche neoliberiste. Il governo “socialista” ricorse all’esercito. La repressione fu feroce: più di 3000 morti. Hugo Chávez dirà: “La gente ci precedette. E il governo utilizzò i militari come fossero un esercito di invasione del Fmi contro i nostri stessi cittadini”.
(Fonte Editoriale del numero di aprile della versione in spagnolo di Le Monde diplomatique – Tradotto da DKm0)
La verità su Hugo Chávez, che in Italia non dicono
L’immagine che non troverete commentare sui nostri media è quella di Hugo Chávez, del dittatore trinariciuto Hugo Chávez, accompagnato al seggio dal premio Nobel per la Pace guatemalteco Rigoberta Menchú e da Piedad Córdoba, che da noi è meno conosciuta ma che è un gigante della difesa dei diritti umani violati nella vicina Colombia. È una scelta simbolica e sono figure talmente cristalline e inattaccabili, quelle di Rigoberta e Piedad, che il fiele antichavista, che si sparge a piene mani in queste ore per sminuire l’importanza della vittoria del presidente venezuelano nelle presidenziali di ieri, semplicemente le ignora. Rigoberta Menchú e Piedad Córdoba che sostengono Chávez sono ingombranti per chi si dedica da anni a costruire l’immagine falsa di un violatore di diritti umani e quindi vanno cancellate. Sono donne latinoamericane, indigena una, nera l’altra. Sono state vittime e hanno combattuto il terrorismo di stato, sanno cosa sia il neoliberismo, sanno cosa sono le violazioni dei diritti umani e mai le avallerebbero, conoscono la storia del Continente e proprio per questo stanno con Hugo Chávez.
Mille commenti oggi si affannano a ragionare di percentuali e di erosione del consenso o mettono un cinico accento sulla salute del presidente che non avrebbe molto davanti. Eppure fino a ieri altrettanti commenti davano per sicura la sconfitta e sicuri i brogli (delle due l’una!), nonostante chiunque abbia toccato con mano, per esempio l’ex presidente statunitense Jimmy Carter, abbia definito esemplari le elezioni nel paese caraibico. Addirittura Mario Vargas Llosa dava così certa la vittoria di Capriles da prevedere l’assassinio di questo da parte del negraccio dell’Orinoco. Calunnie sfacciate. Ventiquattro ore dopo gli stessi editorialisti commentano il 55% di Chávez come una sconfitta del vincitore. Pace. Chi conosce la politica venezuelana sa come esistano geometrie variabili e storie di continue entrate e uscite sia da destra che da sinistra nell’appoggio al presidente che, fino a prova contraria -ne erano tutti sicurissimi- doveva essere bell’e morto di cancro per le elezioni di oggi. Invece non solo Chávez è vivo, e ne andrebbe elogiato il coraggio di fronte alla malattia, ma si è confermato presidente del Venezuela.
Chávez ha vinto, che vi piaccia o no, sia per quello che ha fatto che per quello che rappresenta. Chávez ha vinto perché per la prima volta ha investito la ricchezza del petrolio in beneficio delle classi popolari che in questi anni hanno visto migliorato ogni aspetto della loro vita (salute, educazione, casa, trasporti). Non c’è nulla di rivoluzionario in questo, nonostante la retorica usata spesso a piene mani: “è il riformismo, stupido” direbbe Bill Clinton. È quanto rappresenta, invece, che fa essere Chávez rivoluzionario: conquistare pane e salute non è una conseguenza di un’economia affluente nella quale chi sta sopra può permettersi di essere così magnanimo da lasciare qualche avanzo. È un diritto fondamentale che va conquistato con la continuazione delle due battaglie storiche per la giustizia sociale e la dignità: la lotta di classe, nella quale il merito di Chávez è portare sulle spalle il peso del conflitto e quella anticoloniale, nella quale l’integrazione del Continente è un passaggio chiave.
In questo contesto la prima e più importante lezione del voto di ieri è che i venezuelani, e con loro buona parte del continente latinoamericano, non vogliono, ri-fiu-ta-no, la restaurazione liberale, la restaurazione dell’imperio del Fondo Monetario Internazionale, la restaurazione di un modello nel quale sono condannati a essere per l’eternità figli di un dio minore, mantenuti in una condizione di dipendenza semicoloniale dove le decisioni fondamentali sulla loro vita sono prese altrove. C’è un dato che a mio modo di vedere rappresenta ciò: in epoca chavista il Venezuela ha moltiplicato gli investimenti in ricerca scientifica di 23 volte (2.300%). Soldi buttati, si affrettano a dire i critici. Soldi investiti in un futuro nel quale i venezuelani non saranno inferiori a nessuno. I latinoamericani ragionano con la loro testa, hanno vissuto per decenni sulla loro pelle il modello economico che la Troika sta imponendo al sud dell’Europa e non vogliono che quell’incubo d’ingiustizia, fame, repressione e diritti negati ritorni. Il patto sociale in Venezuela non è stato rotto da Chávez ma fu rotto nell’89 quando Carlos Andrés Pérez (vicepresidente in carica dell’Internazionale Socialista) con il caracazo fece massacrare migliaia di persone per imporre i voleri dell’FMI.
Ancora oggi alcuni commenti irriducibilmente antichavisti (la summa per disinformazione è quello di Gianni Riotta su La Stampa di Torino) rappresentano il candidato delle destre sconfitto come un seguace del presidente latinoamericano Lula. Divide et impera. Erano i velinari di George Bush ad aver deciso di rappresentare l’America latina spaccata in due tra governi di sinistra responsabili e governi di sinistra irresponsabili. È straordinario come i Minculpop continuino a far girare ancora le stesse veline: l’immagine di Capriles progressista e vicino a Lula è stata costruita a tavolino dai grandi gruppi mediatici, a partire da quello spagnolo Prisa. Il curioso è che Lula rispose immediatamente “a brutto muso” di non tirarlo in ballo, perché lui con Capriles non ha nulla a che vedere e appoggia con tutto se stesso l’amico e compagno Hugo Chávez. Non importa: loro, i Riotta, facendo finta di niente, continuano imperterriti a definire Capriles come il Lula venezuelano. Allo stesso modo continuano a ripetere la balla sulla mancanza di libertà d’espressione in un paese dove ancora l’80% dei giornali fa capo all’opposizione. È un’invenzione, ma la disparità mediatica è tale che è impossibile farsi ascoltare in un contesto mediatico monopolistico. Non siamo ingenui: nella demonizzazione di Chávez c’è ben altro che l’analisi degli eventi di un continente lontano. C’è lo schierare un cordone sanitario alla benché minima possibilità che anche in Europa si possa ragionare su alternative all’imperio della Troika. Lo abbiamo visto con il trattamento riservato ad Aleksis Tsipras in Grecia e a Jean-Luc Mélenchon in Francia: non è permesso sgarrare.
Soffermarci su tale dettaglio ci svela una realtà fondamentale difficilmente comprensibile dall’Europa: è talmente impresentabile il neoliberismo che in America latina è oggi necessario nasconderlo sotto il tappeto e spacciare anche i candidati di destra come progressisti. Aveva un che di paradossale ascoltare in campagna elettorale Capriles giurare amore eterno agli indispensabili medici cubani elogiandone il ruolo storico. Come già il suo predecessore Rosales, sapeva che senza medici non ci sarebbe pace in un Venezuela che oggi conosce i propri diritti e non è disposto a rinunciarvi, altro merito storico di Chávez. I Riotta di turno tergiversavano non solo sul riconoscimento dei meriti storici di Cuba nella solidarietà internazionale (o la riducono ad un mero scambio economico, salute per petrolio) ma negano anche l’informazione che era quello stesso Capriles, giovane dirigente politico dell’estrema destra venezuelana, che l’11 aprile 2002 diede l’assalto all’ambasciata cubana durante l’effimero golpe del quale fu complice. Che vittoria per i cubani se quello stesso Capriles fosse davvero stato sincero nel riconoscerne i meriti!
Questo è il segno del trionfo di Chávez: nelle classi medie e popolari venezuelane vige oggi un discorso contro-egemonico a quello liberale dell’imperio dell’economia sulla politica, della falsa retorica liberale per la quale tutti i diritti vanno garantiti a tutti ma a patto che siano messi su di uno scaffale ben in alto perché solo chi ci arriva con le proprie forze possa goderne. In Venezuela, in America latina, stanno spazzando via tutte le balle che racconta da decenni il Giavazzi di turno sul liberismo che sarebbe di sinistra. Chi lo ha provato, e nessuno come i latinoamericani lo ha provato davvero, sa bene di cosa si parla e non ci casca più. È un discorso quindi, quello chavista, che riporta in auge l’incancellabile ruolo della lotta di classe nella storia, la chiarezza della necessità della lotta anticoloniale, perché i “dannati della terra” continuano ad esistere e a risiedere nel Sud del mondo e non bastano 10 o 15 anni di governo popolare per sanare i guasti di 500 anni.
Eppure il Riotta di turno liquida ancora oggi come “inutili” i programmi sociali chavisti. Che ignoranza, malafede e disprezzo per il male di vivere di chi non ha avuto la sua fortuna. Milioni di venezuelani, che avevano come principale preoccupazione della vita l’alimentazione del giorno per giorno, la salute spiccia (banali cure per un mal di pancia, operazioni alla cateratta del nonno) che la privatizzazione della stessa nega a chi non può permettersela, l’educazione dei figli, la casa, passando da baracche a dignitose case popolari, oggi godono di un sistema sanitario pubblico che ha visto decuplicare i medici in servizio, di un sistema educativo pubblico che ha visto quintuplicare i maestri, di un sistema alimentare pubblico che permette a molti di mettere insieme il pranzo con la cena. “Inutili”, dice Riotta, con una volgarità razzista degna delle brioche di Maria Antonietta. Oggi queste persone, escluse fino a ieri, possono spingere il loro tetto di cristallo più in alto, respirare di più, desiderare di più, magari perfino leggere inefficienze e difetti del processo e avere preoccupazioni, quali la sicurezza, più simili alle classi medie che a quelle del sottoproletariato nel quale erano stati sommersi durante la IV Repubblica. Questo i Riotta non possono spiegarlo: è così inefficiente il chavismo che ha dimezzato i poveri che nella IV Repubblica erano arrivati al 70%.
Rispetto al nostro cammino già segnato, il fiscal compact, l’agenda Monti, il patto di stabilità, dogmi di fede che umiliano le democrazie europee, Chávez in questi anni ha cento volte errato perché cento volte ha fatto, provato, modificato ricette, ben riposto e mal riposto fiducia nelle persone e nei dirigenti in un paese terribilmente difficile come il Venezuela. È il caos creativo di un mondo, quello venezuelano e latinoamericano, che si è messo in moto in cerca della sua strada. Hanno chiamato questa strada socialismo, proprio per sfidare il pensiero unico che quel termine demonizzava. Anche se il cammino è tortuoso e ripido, è la più nobile delle vette.
(Fonte: http://www.gennarocarotenuto.it)
Il Venezuela di Chávez. Una rivoluzione del XXI secolo?. Fino a qualche anno fa, il Venezuela era un paese poco conosciuto al di fuori dei propri confini. Era solo una macchia bianca sulla mappa geografica della sinistra europea che da sempre volge uno sguardo speranzosa verso l’America Latina. Dalla vittoria di Hugo Chávez nel 1998 la situazione sembra completamente diversa e l’esperienza venezuelana appare anomala, tanto se paragonata agli altri paesi dell’America Latina, quanto sul piano mondiale. Questo libro descrive e analizza il processo di trasformazione avviato con l’elezione del presidente Chávez nel 1998, la politica del suo governo e dei settori a esso alleati o avversari e ne analizza le ricadute sia sul piano interno che su quello internazionale.
Caro benzina? Facciamo il pieno in Venezuela
Sappiamo benissimo che, nonostante in Italia nell’ultimo anno la domanda di carburante nel nostro paese è scesa del 7%, il prezzo a causa delle innumerevoli accise è aumentato, arrivando in questi giorni alla soglia dei 2 euro. Sembra strano ma c’è chi sta peggio di noi.
La prossima volta che ci lamentano del prezzo della benzina, ricordiamoci che tutto è relativo. Se in Venezuela ci vogliono mediamente 5 euro a pieno, in Norvegia il costo di un pieno si aggira sui 80 euro. Nella classifica è seguita da Turchia e Israele, noi siamo al settimo posto.
Price…..Country………….Pain Rank
$10.12…Norway………………….#52
$9.41….Turkey……………………#7
$9.28….Israel……………………..#31
$8.61….Hong Kong……………..#35
$8.26….Netherlands……………#41
$8.20….Denmark……………….#47
$8.15….Italy……………………….#34
$8.14….Sweden………………….#48
$7.92….Greece…………………..#26
$7.87….United Kingdom………#37
$7.79….France…………………..#39
$7.77….Belgium…………………#42
$7.74….Germany………………..#40
$7.72….Portugal…………………#23
$7.66….Switzerland…………….#53
$7.59….Finland…………………..#45
$7.34….Ireland……………………#44
$7.15….Japan…………………….#46
$7.12….South Korea…………..#30
$6.93….Slovakia…………………#21
$6.92….Brazil……………………..#13
$6.79….Hungary…………………#15
$6.60….Malta……………………..#27
$6.57….Slovenia…………………#32
$6.55….New Zealand…………#43
$6.49….Austria…………………..#49
$6.47….Spain…………………….#36
$6.46….Czech Republic………#25
$6.41….Australia…………………#54
$6.38….Luxembourg…………..#56
$6.32….Lithuania………………..#18
$6.15….Poland…………………..#19
$6.13….Chile………………………#22
$6.12….Bulgaria………………….#6
$6.08….Latvia…………………….#17
$6.08….Singapore……………….#50
$5.96….Colombia………………..#10
$5.86….Cyprus…………………..#38
$5.82….Argentina………………..#16
$5.80….Estonia………………….#24
$5.71….Romania………………..#11
$5.46….Canada………………….#51
$5.44….India………………………#1
$5.30….South Africa……………#12
$4.89….China……………………..#8
$4.51….Thailand…………………#9
$4.42….Philippines……………..#3
$3.85….Indonesia……………….#5
$3.75….Russia…………………..#33
$3.75….United States………….#55
$3.55….Pakistan…………………..#2
$3.24….Mexico……………………#29
$3.23….Malaysia…………………#28
$2.80….Iran………………………..#20
$2.32….Nigeria……………………#4
$1.89….United Arab Emirates..#57
$1.73….Egypt……………………..#14
$0.89….Kuwait……………………#59
$0.61….Saudi Arabia…………..#58
$0.09….Venezuela………………#60
C’è da dire che questa classifica non ha significato se non si tiene conto del reddito medio in confronto al prezzo al litro. Con questo calcolo Bloomberg ha stilato la classifica “Pain at the pump” (dolore alla pompa). E qui le cose cambiano infatti, L’India con un costo al gallone di 4,5 dollari, e’ al primo posto. Noi scendiamo al 34esimo posto. La prosperosa Norvegia dal primo posto scende al 52esimo.
Il paradiso per fare benzina? Il Venezuela nonostante il salario medio si aggira sui 30 dollari al giorno può vantare la 60esima posizione sia nella prima graduatoria che nella “Pain at the pump”. Merito dei sussidi del presidente venezuelano Hugo Chavez, l’ultima volta che il governo ha cercato di tagliare i sussidi, nel 1989, è stato lacerato da scontri che hanno ucciso centinaia di persone.
Meditiamo sulle nostre accise sulla benzina che da oggi fino al 31 dicembre 2012 saliranno da 724,20 a 728,40 euro per mille litri e quelle sul diesel dello stesso importo da 613,20 a 617,40 euro per mille litri. L’incremento genererà maggiori entrate per le casse statali pari a 65 milioni di euro per rendere strutturale il bonus per i gestori carburanti e fare fronte alla riscossione agevolata delle imposte nelle zone terremotate dell’Abruzzo. Così se andiamo indietro nel tempo, dall’inizio del 2011 le accise sulla benzina sono aumentate di 16,44 centesimi, mentre quelle sul diesel di 19,44 cent, a cui va ad aggiungersi l’effetto moltiplicatore dell’Iva. Senza dimenticare che l’ultimo incremento, di 2,42 centesimi Iva compresa su entrambi i prodotti a favore del terremoto in Emilia, risale allo scorso giugno. Meditiamo ….meditiamo… Non ci resta che andare a fare il pieno in Venezuela.