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I nativi digitali non riconoscono le bufale sul web

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Secondo uno studio pubblicato dalla Stanford University, la maggioranza dei teenager non sarebbe capace di individuare le notizie vere dalle bufale sul web, in particolar modo all’interno del modo dei social network, dove gli stessi utenti sono tendenzialmente portati a credere alle notizie che sono state pubblicate dagli inserzionisti pubblicitari. I più giovani sono vittime, come i papà, gli zii e le mamme, delle cosiddette fake news, un fenomeno sempre più diffuso. Continue Reading

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Italiani, popolo di teledipendenti

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Secondo i dati del rapporto Censis 2015 quasi tutti gli italiani guardano la tv, nonostante gli smartphone e i tablet siano usati, ormai, da due terzi dei giovani. Sempre peggio la carta stampata e i libri.

Nel 2015 la televisione ha una quota di telespettatori vicina alla totalità della popolazione (il 96,7%). Ma aumenta l’abitudine a guardare la tv attraverso i nuovi device: +1,6% di utenza rispetto al 2013 per la web tv, +4,8% per la mobile tv, mentre le tv satellitari si attestano a una utenza complessiva del 42,4% e il 10% degli italiani usa la smart tv che si può connettere alla rete. Anche per la radio si conferma una larghissima diffusione di massa (l’utenza complessiva corrisponde all’83,9% degli italiani), con l’ascolto per mezzo dei telefoni cellulari (+2%) e via internet (+2%) ancora in ascesa. In effetti, gli utenti di internet continuano ad aumentare (+7,4%), raggiungendo una penetrazione del 70,9% della popolazione italiana. Le connessioni mobili mostrano una grande vitalità, con gli smartphone forti di una crescita a doppia cifra (+12,9%) che li porta oggi a essere impiegati regolarmente da oltre la metà degli italiani (il 52,8%), e i tablet praticamente raddoppiano la loro diffusione e diventano di uso comune per un italiano su quattro (26,6%). Aumenta ancora la presenza degli italiani sui social network, che vedono primeggiare Facebook, frequentato dal 50,3% dell’intera popolazione e addirittura dal 77,4% dei giovani under 30, mentre Youtube raggiunge il 42% di utenti (il 72,5% tra i giovani) e il 10,1% degli italiani usa Twitter. Al tempo stesso, non si inverte il ciclo negativo per la carta stampata, che non riesce ad arginare le perdite di lettori: -1,6% per i quotidiani, -11,4% per la free press, stabili i settimanali e i mensili, mentre sono in crescita i contatti dei quotidiani online (+2,6%) e degli altri portali web di informazione (+4,9%). Non è favorevole l’andamento della lettura dei libri (-0,7%): gli italiani che ne hanno letto almeno uno nell’ultimo anno sono solo il 51,4% del totale, e gli e-book contano su una utenza ancora limitata all’8,9% (per quanto in crescita: +3,7%).

Abissali le distanze tra giovani e anziani. Tra i giovani la quota di utenti della rete arriva al 91,9%, mentre è ferma al 27,8% tra gli anziani. L’85,7% dei primi usa telefoni smartphone, ma lo fa solo il 13,2% dei secondi. Il 77,4% degli under 30 è iscritto a Facebook, contro appena il 14,3% degli over 65. Il 72,5% dei giovani usa Youtube, come fa solo il 6,6% degli ultrasessantacinquenni. I giovani che guardano la web tv (il 40,7%) sono un multiplo significativo degli anziani che fanno altrettanto (il 7,1%). Il 40,3% dei primi ascolta la radio attraverso il telefono cellulare, dieci volte di più dei secondi (4,1%). E mentre un giovane su tre (il 36,6%) ha già un tablet, solo il 6% degli anziani lo usa.

Vola la spesa per i consumi tecnologici: la disintermediazione digitale riscrive le regole dell’economia reale. Tra il 2007, l’anno prima dell’inizio della crisi, e il 2014, la voce «telefonia» ha più che raddoppiato il suo peso nelle spese degli italiani (+145,8%), superando i 26,8 miliardi di euro nell’ultimo anno, mentre nello stesso arco di tempo i consumi complessivi flettevano del 7,5%, la spesa per l’acquisto dei libri crollava del 25,3%, le vendite giornaliere di quotidiani passavano da 5,4 a 3,7 milioni di copie (-31%). Gli italiani hanno evitato di spendere su tutto, ma non sui media connessi in rete, perché grazie ad essi hanno aumentato il loro potere di disintermediazione, che ha significato un risparmio netto finale nel loro bilancio personale e familiare. Usare internet per informarsi, per prenotare viaggi e vacanze, per acquistare beni e servizi, per guardare film o seguire partite di calcio, per svolgere operazioni bancarie o entrare in contatto con le amministrazioni pubbliche, ha significato spendere meno soldi, o anche solo sprecare meno tempo: in ogni caso, guadagnare qualcosa. Gli utenti di internet si servono sempre di più di piattaforme telematiche e di provider che consentono loro di superare le mediazioni di soggetti tradizionali. Si sta così sviluppando una economia della disintermediazione digitale che sposta la creazione di valore da filiere produttive e occupazionali consolidate in nuovi ambiti. La ricerca in rete di informazioni su aziende, prodotti, servizi coinvolge il 56% degli utenti del web. Segue l’home banking (46,2%) e un’attività ludica come l’ascolto della musica (43,9%, percentuale che sale al 69,9% nel caso dei più giovani). Fa acquisti su internet ormai il 43,5% degli utenti del web, ovvero 15 milioni di italiani. Guardare film (25,9%, percentuale che sale al 46% tra i più giovani), cercare lavoro (18,4%), telefonare tramite Skype o altri servizi voip (16,2%) sono altre attività diffuse tra gli utenti di internet.

Da cosa dipende la reputazione dei media? Per gli italiani i mezzi di informazione che negli ultimi anni hanno incrementato la loro credibilità sono stati proprio i nuovi media: per il 33,6% è aumentata quella dei social network, per il 31,5% quella delle tv all news, per il 22,2% e per il 22% rispettivamente quella dei giornali online e degli altri siti web di informazione. Su cosa si fonda la credibilità di un mezzo di informazione? Per gli italiani la credibilità si basa prima di tutto sul linguaggio chiaro e comprensibile, apprezzato dal 43,8% della popolazione. Seguono l’indipendenza dal potere (36,1%) e la professionalità della redazione (32,8%). Completano la ricetta della credibilità altri ingredienti fondamentali: l’aderenza oggettiva ai fatti (31,7%) e la rapidità di aggiornamento delle notizie (31,1%).

I ritardi nella transizione digitale della Pubblica Amministrazione. In Italia il numero di utenti di internet che interagiscono via web con gli uffici pubblici attraverso la restituzione di moduli compilati online è ancora insoddisfacente (solo il 18%), sia nel confronto con la media dell’Ue (che si attesta al 33%), sia perché è cresciuto di appena un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Anche se si considera l’intero ventaglio dei portali internet delle amministrazioni pubbliche, il nostro Paese dimostra comunque un ritardo nel panorama europeo: ha avuto contatti con la Pa il 36% degli internauti italiani, una percentuale inferiore di almeno 20 punti rispetto ai francesi (74%), ai tedeschi (60%) e agli inglesi (56%). Tra le operazioni più frequenti figurano il pagamento delle tasse (26,3%), l’iscrizione a scuole superiori e università (21,4%), l’accesso ai circuiti bibliotecari (16,9%). Un basso tasso di utilizzo si registra, invece, con riferimento alle pratiche degli uffici anagrafici, visto che si va dal 10,2% di cittadini digitali che richiedono documenti personali (come la carta di identità o il passaporto) all’esiguo 1,9% di coloro che dichiarano di aver effettuato online il cambio di residenza, mentre la richiesta di certificati riguarda il 6,5% degli italiani che usano internet. Il ricorso al canale digitale non è significativo nemmeno per la richiesta di prestazioni di previdenza sociale (sussidio di disoccupazione, pensionamento, assegni per figli a carico, ecc.), attivato solo dall’11,9% degli utenti di internet. Infine, la sanità digitale rimane ancora indietro, se solo il 16,7% degli utenti del web ha prenotato online visite mediche e il 10,6% accertamenti diagnostici. E risulta ancora molto limitato anche l’accesso al fascicolo sanitario elettronico (7,6%). Ma almeno sorprende positivamente che l’esperienza di fruizione degli sportelli pubblici online non lascia una impressione negativa nell’utenza. Infatti, solo il 9,9% degli utenti di internet che si sono relazionati online con la Pubblica Amministrazione si lamenta per la mancata assistenza, solo il 19,6% segnala disguidi tecnici, solo il 22,9% dichiara di aver trovato informazioni poco chiare o non aggiornate.

La parabola declinante dell’emittenza televisiva locale. Il settore delle televisioni locali si trova a dover fronteggiare una triplice torsione: grave flessione dei ricavi pubblicitari, consistente riduzione dei contributi pubblici, rilevante calo degli ascolti. I ricavi complessivi, dopo essere cresciuti in modo costante nella precedente fase espansiva, hanno subito un crollo, passando dai 223 milioni di euro del 1996 ai 335 milioni del 2000, fino a salire ai 647 milioni del 2006, per poi cominciare a calare significativamente, fino ai 409 milioni del 2013 (-15% rispetto all’esercizio precedente). Il calo della raccolta pubblicitaria (passata da 390 milioni di euro nel 2011 a 329 milioni nel 2012, poi a 287 milioni nel 2013) ha inciso profondamente sulle perdite totali, rappresentando più del 70% delle risorse totali. I contributi pubblici, lievitati nel corso della prima parte degli anni 2000 fino a raggiungere i 161,8 milioni di euro nel 2008, si sono poi progressivamente ridotti, attestandosi per l’anno 2013 su una cifra pari a 56,9 milioni di euro, con una flessione del 20,4% rispetto all’anno precedente. Non mancano preoccupazioni sul fronte dell’occupazione. Il numero dei dipendenti si era mantenuto sostanzialmente stabile nel periodo 2009-2011 (compreso tra 5.000 e 5.200 addetti), ma nel 2013 si è ridotto del 14,3%: 630 unità in meno. Una riflessione sul riposizionamento dell’«informazione di prossimità» offerta dalle tv locali non può più prescindere dal confronto con un sistema di media sempre più variegato e integrato, che nell’ultimo decennio ha conosciuto i decisivi processi di trasformazione innescati dalla digitalizzazione dei contenuti, la miniaturizzazione dei dispositivi hardware, la proliferazione delle connessioni mobili, lo sviluppo della banda larga e ultralarga, fino all’ingresso nel mercato televisivo, e più in generale dei contenuti audiovisivi on demand e multimediali, di nuovi soggetti di offerta e player internazionali.

Papa Francesco, fenomeno mediatico globale. Il fenomeno mediatico dell’anno si è rivelato Papa Francesco. Interrogati su quali siano i punti di forza del cattolicesimo, i residenti di Roma hanno indicato proprio il carisma di Bergoglio al primo posto (con il 77,9% delle risposte), prima ancora del messaggio d’amore e di speranza della religione. Anche la rilevazione del Pew Research Center è inequivocabile: nel corso del suo primo anno di pontificato, Papa Francesco precede in graduatoria, per numero di citazioni nelle news digitali statunitensi, la candidata alla presidenza Usa Hillary Clinton e leader di fama mondiale del calibro di Putin e Merkel.

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L’Isis recluta l’80% dei militanti attraverso Twitter, Facebook e Youtube

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L’Isis adesca 8 membri su 10 attraverso i social media. Secondo il rapporto dell’Osservatorio delle fatwa takfiriste e delle opinioni estremiste, che fa parte della Dar al-Ifta egiziana, l’istituzione ufficiale che si occupa di promulgare sentenze religiose, “i siti web ascrivibili a queste organizzazioni sono saliti da 12 nel 1997 a 150mila nel 2015“. Un fenomeno “in crescita” quello del “terrorismo elettronico” che rappresenta “la causa principale della diffusione della violenza e dell’estremismo”.

Lo studio, intitolato “Il ruolo dei forum elettronici e dei social media nel reclutamento dei terroristi: loro pericolosità e le vie per eliminarli”, spiega che gli estremisti fanno ampio ricorso a questi mezzi poiché “costano poco”, e permettono “un enorme flusso di notizie e il reclutamento a basso costo”. Ma i social media sono usati anche per “facilitare il trasferimento di denaro tra i membri e ricevere le donazioni” , così come per “ingigantire gli effetti degli attacchi terroristici diffondendo rapporti che suscitano il terrore tra la gente e far perdere loro la fiducia nei proprio governi”. Dalla rete affluiscono le donazioni del mondo arabo-musulmano e dei simpatizzanti che vivono in Europa e in Occidente.

L’Osservatorio fa quindi appello a “creare un ente nazionale che si occupi di lotta al terrorismo via web e che sia dotato di ampi poteri per perseguire questi siti e chi vi è legato”, contrastando inoltre la loro azione con “altri siti che diffondano l’ideologia ortodossa”.

Tra i più importanti di questi social media figura Twitter che “mette a disposizione società virtuali mutanti che si creano automaticamente in occasione di grandi eventi”, come le operazioni terroristiche. Un recente studio della Brookings Institution ha dimostrato che solo nell’ultimo trimestre del 2014 i sostenitori dell’Isis hanno utilizzato almeno 46mila profili Twitter con una media di 1.000 seguaci ciascuno. Facebook “è utilizzato per il reclutamento di nuovi seguaci e per diffondere le idee”. Quanto a Youtube, costituisce “una piazza virtuale per l’addestramento e il suo compito essenziale è quello di dare spazio a video che possano essere visti da tutti”. Questo flusso continuo di messaggi attraverso i social alimenta la radicalizzazione degli individui, amplificata dalle immagini grafiche e dall’audio.

Giovane, uomo o donna che sia, scontento della società nella quale e vive appassionato dei social media: è il nuovo identikit del terrorista.

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Il 76% delle Pmi italiane non ha un sito internet

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Le piccole e medie imprese italiane stanno sottovalutando l’importanza di avere un proporio sito su internet. È dimostrato che prima di qualsiasi acquisto di prodotto o servizio il cliente si informa… ma dove se non su internet?

Il 76% delle Pmi non è presente su internet, e spesso hanno profili improvvisati su facebook o twitter che non rimandano a nessun sito. Solo una piccola media impresa su tre ha un proprio sito internet e solo tre su dieci utilizzano il commercio elettronico come canale addizionale di vendita e acquisto. Lo rivela un recente studio di Google.

Il trend del made in Italy è in crescita ma non viene sfruttato. Solo nel 2013 le ricerche legate a prodotti italiani sono cresciute del 12% sul motore di ricerca. Moda, turismo e agroalimentare sono le categorie più cercate.

“Dobbiamo far ancora scoprire alle Pmi la cultura del web, perché internet è oggi l’ infrastruttura su cui si muove tutta l’economia globale”, dice Diego Ciulli, senior policy specialist del colosso statunitense “Il mondo ha letteralmente fame di Made in Italy, ma molto spesso i consumatori cercano il Made in Italy su internet ma non lo trovano”.

Google ha già avviato da qualche mese una piattaforma web ad hoc per valorizzare le eccellenze italiane. Si tratta della prima volta in cui Google realizza un progetto di questo tipo per un Paese.

Sta suscitando interesse anche la piattaforma online Netberg, creata da due trentenni italiani, Claudio e Michele Cuccovillo, che vivono in Gran Bretagna. Nel giro di pochi minuti è possibile impostare il sito aziendale gratuitamente e solo nel momento in cui si effettua una vendita, viene trattenuto dalla transazione il 5% in Inghilterra e il 5% più IVA (quindi il 7%) in Italia. In due mesi la piattaforma ha già lanciato in rete 15 mila nuove realtà.

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La manipolazione sociale

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Per una curiosa convergenza temporale negli ultimi mesi si sono succeduti due studi sulla possibilità di manipolare l’opinione pubblica mediante un’azione sui social network, ma in realtà si tratta di meccanismi validi anche al di là dell’ambito social. Il caso più noto riguarda lo studio condotto da Facebook su un campione di 155.000 utenti ignari di essere sottoposti ad un test per il quale è stato ritenuto sufficiente solo il generico consenso espresso da tutti gli utenti all’atto dell’apertura dell’account. Nulla sarebbe trapelato se lo studio non fosse stato pubblicato il 17 Giugno scorso su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) con il titolo “Experimental evidence of massive-scale emotional contagion through social networks“, dove un grafico mostra l’effetto sugli utenti della manipolazione dei feedback positivi/negativi:

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Subito però si è passati dall’interesse alle proteste per la violazione dei diritti degli utenti del social, a fine Giugno la notizia varcava l’ambito accademico per approdare sulla stampa (vedi agenzia ANSA) e il 2 Luglio arrivavano delle poco convinte scuse, come documenta il Corriere della Sera, molto più critica verso l’atteggiamento della dirigenza di Facebook appare invece la CNN.

L’esperimento era in particolare teso a verificare la possibilità di condizionare gli utenti mediante l’esposizione a notizie filtrate, come riportato su Le Scienze:

Sui social network le emozioni, sia positive sia negative, passano efficacemente da un utente all’altro attraverso la semplice visualizzazione dei messaggi, influendo sul tono degli interventi successivi. E’ la prima volta che si riesce a dimostrare sperimentalmente che il fenomeno del contagio emotivo avviene anche attraverso il puro linguaggio scritto, privato delle sue componenti non verbali…

Per dare valenza sperimentale al loro studio, i ricercatori hanno agito sui filtri del News Feed di Facebook, ossia dell’algoritmo che seleziona i messaggi scritti dagli amici in base all’interesse individuale per certi contenuti, in modo che arrivino solo quelli presumibilmente più significativi. (Senza questi filtri un utente medio di Facebook sarebbe potenzialmente esposto a circa 1500 contenuti al giorno, mentre grazie a essi solo il 20 per cento circa dei messaggi finisce nella sua bacheca.) In questo modo Kramer e colleghi hanno potuto aumentare o diminuire il numero di messaggi positivi/negativi/neutri visualizzati da ciascun utente. 

Che lo studio sia di interesse in campo politico e persino militare è ricavabile da una delle firme, Jeffrey T. Hancock della Cornell University già collaboratore della Minerva Initiative del Dipartimento della Difesa degli USA per il quale ha realizzato lo studio “Modeling Discourse and Social Dynamics in Authoritarian Regimes” (Modelli di discorsi e dinamiche sociali nei regimi autoritari).  Dallo studio delle dinamiche sociali nei regimi autoritari alla verifica della possibilità di influenzare le dinamiche sociali in una direzione ritenuta desiderabile la distanza non è molta.

Inosservato era passato solo pochi mesi prima uno studio condotto sulle dinamiche di un altro importante social, in febbraio era stato infatti pubblicato sulla rivista Chaos e ripreso da Le Scienze uno studio condotto su Twitter:

L’opinione predominante, condivisa dalla maggioranza delle persone, emerge rapidamente su Twitter, qualunque sia l’argomento, e una volta stabilizzata difficilmente può cambiare. Lo ha scoperto una nuova analisi automatizzata, che potrebbe essere utilizzata per prevedere – ma forse anche per influenzare – come si orienterà l’opinione pubblica

Non solo l’opinione della maggioranza tende a convogliare ulteriori consensi, ma il dato più interessante è che basta un esiguo margine iniziale a favore per determinare grandi spostamenti di consensi, come riportato sempre su Le Scienze:

…sul lungo periodo, l’opinione che prevale è quella che all’inizio aveva un modesto vantaggio sulle altre. Questo fenomeno, tipico dei sistemi caotici, è denominato dipendenza sensibile dai dati iniziali o più volgarmente “effetto farfalla”, perché fu esemplificato da Edward Lorenz, pioniere della teoria del caos, in una celebre conferenza dal titolo “Il battito delle ali di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas?”.

Graficamente la situazione è così riassunta:

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Le dinamiche di maggioranza prevedono inoltre l’esistenza di uno “zoccolo duro” che non si uniformerà comunque all’opinione della maggioranza e che può essere accettato come un dato fisiologico che con la sua presenza ai livelli attesi potrebbe addirittura confermare il raggiungimento di una situazione di stabilità.

Le parole conclusive degli autori dell’esperimento, riferite alla fine dell’articolo su Le Scienze, non lasciano dubbi sul potenziale del meccanismo accertato:

Secondo i due ricercatori, il loro metodo di analisi potrebbe essere estremamente utile a politici e grandi società per analizzare le caratteristiche e gli schemi di evoluzione delle diverse opinioni, e quindi studiare come influenzare l’opinione pubblica a proprio favore.

Dopo i risultati degli esperimenti condotti su Facebook e Twitter, appare evidente il potenziale di controllo sociale esercitabile tramite semplici interventi effettuabili sui social network. Ma le dinamiche emerse confermano anche un meccanismo più generale secondo il quale l’opinione pubblica tende ad orientarsi nella direzione che ritiene essere quella della maggioranza, basta anche un margine iniziale minimo, e questo potrebbe valere anche nel caso dei sondaggi d’opinione o di una serie di articoli giornalistici che potrebbero generare l’opinione pubblica anziché misurarla o documentarla.

Si tratta quindi di un meccanismo di facile impiego e realizzazione, uno strumento che fornendo l’immagine desiderata degli orientamenti della maggioranza, potrebbe essere impiegato per creare quella stessa maggioranza che si vuole indicare come già esistente.

(Fonte enzopennetta)

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