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Il debito pubblico greco è illegale, illegittimo e odioso



“La Grecia si trova a un bivio, dovendo scegliere se proseguire con i programmi di aggiustamento macroeconomico imposti dai creditori o effettuare un cambiamento reale per spezzare le catene del debito. A distanza di 5 anni da quando i programmi di aggiustamento cominciarono, il paese resta profondamente immerso in una crisi economica, sociale, democratica ed ecologica. La scatola nera del debito è rimasta chiusa, e finora nessuna autorità, né greca né internazionale, ha cercato di far luce su come e perché la Grecia sia stata assoggettata al regime della Troika. Il debito, nel cui nome non è stato risparmiato niente, rimane la regola attraverso la quale viene imposto l’aggiustamento neoliberale e la recessione più profonda e prolungata mai vissuta dall’Europa in tempo di pace.

Esiste un bisogno immediato e una responsabilità sociale di indirizzare una gamma di questioni legali, sociali ed economiche che pretendono adeguata considerazione. La risposta del Parlamento Ellenico è stata di istituire, in aprile del 2015, il Comitato per la Verità sul Debito Pubblico, incaricato di investigare la creazione e la crescita del debito pubblico, il modo e i motivi per i quali il debito è stato contratto, e l’impatto che le condizioni legate ai prestiti hanno avuto sull’economia e la popolazione. Il Comitato per la Verità ha il mandato di diffondere la consapevolezza delle questioni riguardanti il debito greco, sia all’interno che internazionalmente, e di formulare argomentazioni e opzioni pertinenti la cancellazione del debito.

La ricerca del Comitato presentata in questo resoconto preliminare fa luce sul fatto che l’intero programma di aggiustamento, al quale la Grecia è stata assoggettata, era e rimane un programma orientato politicamente. L’esercizio tecnico che circonda le variabili macroeconomiche e le proiezioni di debito, cifre legate direttamente alle vite e al sostentamento delle persone, ha fatto sì che le discussioni sul debito restassero a un livello tecnico, basandosi soprattutto sulla tesi che le politiche imposte alla Grecia avrebbero migliorato la sua capacità di ripagare il debito. I fatti presentati in questo resoconto contestano tale tesi.

Tutte le prove da noi presentate in questo resoconto mostrano che la Grecia non solo non ha la capacità di pagare questo debito, ma anche che non dovrebbe pagarlo, prima di tutto perché il debito conseguente alle disposizioni della Troika è una diretta violazione dei fondamentali diritti umani degli abitanti della Grecia. Siamo perciò pervenuti alla conclusione che la Grecia non dovrebbe ripagare questo debito in quanto esso è illegale, illegittimo e odioso.

Il Comitato ha anche compreso che l’insostenibilità del debito pubblico greco era evidente fin dall’inizio ai creditori internazionali, alle autorità greche e ai grandi media. Eppure le autorità greche, insieme ad altri governi dell’UE, cospirarono nel 2010 contro la ristrutturazione del debito pubblico per proteggere le istituzioni finanziarie. I grandi media nascosero la verità al pubblico dipingendo una situazione in cui il salvataggio avrebbe avvantaggiato la Grecia, costruendo al contempo una narrativa secondo la quale la popolazione raccoglieva giustamente il frutto dei propri errori.

I fondi per il salvataggio forniti in entrambi i programmi del 2010 e 2012 sono stati gestiti esternamente tramite schemi complicati che hanno prevenuto ogni autonomia fiscale. L’uso del denaro del salvataggio è strettamente dettato dai creditori, e perciò è indicativo che meno del 10% di questi fondi sia stato destinato alle spese correnti del governo.

Questo rapporto preliminare presenta una prima individuazione dei problemi principali e delle questioni associate con il debito pubblico, e nota cruciali violazioni legali associate con la contrazione del debito; inoltre tratteggia le fondazioni legali sulle quali si può basare la sospensione unilaterale dei pagamenti. I risultati sono presentati in 9 capitoli strutturati come segue:

– Capitolo 1: Debito prima della Troika, analizza la crescita del debito pubblico greco dagli anni ’80, e conclude che l’aumento del debito non fu dovuto a una spesa pubblica eccessiva, di fatto inferiore a quella di altri paesi dell’Eurozona, ma al pagamento di interessi ai creditori a tassi estremamente alti, a spese militari eccessive e ingiustificate, a perdita di gettito fiscale dovuta a esportazioni illecite di capitale, a ricapitalizzazioni statali di banche private, e agli squilibri internazionali creati dai difetti intrinseci della stessa Unione Monetaria.

L’adozione dell’euro portò a un drastico aumento del debito privato, al quale erano esposte importanti banche europee, così come le banche greche. Una crescente crisi bancaria contribuì alla crisi del debito sovrano greco. Il governo di George Papandreou contribuì a presentare la crisi bancaria come una crisi del debito sovrano quando nel 2009 aumentò il deficit e il debito pubblico.

Capitolo 2: Evoluzione del debito pubblico greco dal 2010 al 2015, conclude che il primo accordo sul prestito del 2010 mirava soprattutto a salvare le banche greche e altre banche private europee, e a permettere alle banche di ridurre la loro esposizione ai titoli di stato greci.

Capitolo 3: Debito pubblico greco per creditore nel 2015, presenta la controversa natura dell’attuale debito greco, delineando le caratteristiche principali dei prestiti, analizzate in dettaglio nel Capitolo 8.

Capitolo 4: Il meccanismo del sistema del debito in Grecia, rivela i meccanismi previsti dagli accordi implementati da maggio 2010. Essi crearono un sostanziale ammontare di nuovo debito verso creditori bilaterali e il Fondo Europeo di Stabilità (EFSF), generando al contempo costi abusivi e peggiorando ulteriormente la crisi. I meccanismi rivelano come la maggioranza dei fondi presi a prestito furono trasferiti direttamente alle istituzioni finanziarie. Anziché avvantaggiare la Grecia, essi hanno accelerato il processo di privatizzazioni tramite l’uso di strumenti finanziari.

Capitolo 5: Condizioni contro la sostenibilità, descrive il modo in cui i creditori imposero condizioni invasive che portarono direttamente all’insostenibilità del debito. Tali condizioni, sulle quali i creditori tuttora insistono, hanno non solo contribuito ad abbassare il PIL e ad alzare l’indebitamento pubblico, portando quindi a un maggiore rapporto debito/PIL, ma hanno anche disegnato cambiamenti drammatici nella società e provocato una crisi umanitaria. Il debito pubblico greco può essere ora considerato totalmente insostenibile.

Capitolo 6: Impatto dei ‘programmi di salvataggio’ sui diritti umani, conclude che le misure implementate con i ‘programmi di salvataggio’ hanno influenzato direttamente le condizioni di vita delle persone e violato i diritti umani che, secondo il diritto nazionale, regionale e internazionale, la Grecia e i suoi partner sono obbligati a rispettare, proteggere e promuovere. I drastici aggiustamenti imposti all’economia greca e alla società nel suo insieme hanno portato a un rapido deterioramento degli standard di vita, e restano incompatibili con la giustizia sociale, la coesione sociale, la democrazia e i diritti umani.

Capitolo 7: Questioni legali pertinenti il MOU e gli accordi di prestito, sostiene che si è avuta una violazione dei diritti umani da parte della stessa Grecia e dei prestatori, ovvero degli stati creditori dell’Eurozona, della BCE e del FMI, che hanno imposto tali misure alla Grecia. Tutti questi attori non hanno valutato le violazioni dei diritti umani conseguenti alle politiche da loro imposte alla Grecia, e hanno inoltre violato direttamente la costituzione greca privandola di fatto di gran parte dei suoi diritti sovrani. Gli accordi contengono clausole abusive che costringono la Grecia a rinunciare a elementi importanti della sua sovranità. Questo è evidente nella scelta del diritto britannico, che facilitò l’aggiramento della costituzione greca e dei diritti umani internazionali. Incompatibilità con i diritti umani e gli obblighi consuetudinari, numerosi indizi di malafede nelle parti contraenti, e carattere immorale di questi accordi, rendono questi ultimi invalidi.

Capitolo 8: Valutazione dei debito rispetto all’illegittimità, l’odiosità, l’illegalità e l’insostenibilità, fornisce una valutazione del debito pubblico greco secondo le definizioni di ‘illegittimo’, ‘odioso’, ‘illegale’ e ‘insostenibile’ adottate dal Comitato. Il capitolo conclude che a giugno 2015 il debito pubblico greco è insostenibile, poiché la Grecia non è attualmente in grado di ripagare il debito senza minare la sua capacità di assolvere i più elementari obblighi relativi ai diritti umani. Inoltre il resoconto fornisce per ogni creditore le prove di casi rivelatori di debiti illegali, illegittimi e odiosi.

debito-pubblico-ateneIl debito verso il FMI dovrebbe essere considerato illegale poiché la sua concessione violò lo stesso statuto del FMI, e le sue condizioni violarono la costituzione greca, il diritto consuetudinario internazionale e i trattati che la Grecia ha sottoscritto. E’ anche illegittimo, perché le condizioni includono prescrizioni politiche che violano gli obblighi relativi ai diritti umani. Infine è odioso, in quanto l’FMI sapeva che le misure imposte erano antidemocratiche, inefficaci, e avrebbero portato a gravi violazioni dei diritti socio-economici.

I debiti verso la BCE dovrebbero essere considerati illegali poiché la BCE ha scavalcato il suo mandato imponendo l’applicazione di programmi di aggiustamento macroeconomico (ad esempio la deregolamentazione del mercato del lavoro) tramite la sua partecipazione nella Troika. I debiti verso la BCE sono anche illegittimi e odiosi, perché la principale ragione d’essere del Securities Market Programme (SMP) era di fare gli interessi delle istituzioni finanziarie, permettendo alle principali banche private europee e greche di disfarsi dei titoli di stato greci.

L’EFSF si impegna in prestiti senza contante che dovrebbero essere considerati illegali perché in violazione dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), oltre a numerosi diritti socio-economici e libertà civili. Per di più, l’Accordo Strutturale sull’EFSF del 2010 e il Master Financial Assistance Agreement del 2012 contengono diverse clausole abusive che rivelano chiaramente cattiva condotta da parte del prestatore. L’EFSF agisce anche contro i principii democratici, rendendo questi debiti particolari illegittimi e odiosi.

I prestiti bilaterali dovrebbero essere considerati illegali perché violano la procedura prevista dalla costituzione greca. I prestiti comportavano chiaramente cattiva condotta da parte dei prestatori, e contenevano condizioni che contravvenivano il diritto o la politica pubblica. sia il diritto dell’UE che quello internazionale sono stati violati per mettere da parte i diritti umani nel disegno dei programmi macroeconomici. I prestiti bilaterali sono anche illegittimi, in quanto non sono stati usati a beneficio della popolazione, ma solo per permettere ai creditori privati della Grecia di essere salvati. Infine, i prestiti bilaterali sono odiosi perché gli stati prestatori e la Commissione Europea erano consapevoli delle potenziali violazioni, ma nel 2010 e 2012 evitarono di valutare l’impatto sui diritti umani dell’aggiustamento macroeconomico e del consolidamento fiscale che costituivano le condizioni per i prestiti.

Il debito verso i creditori privati dovrebbe essere considerato illegale perché le banche private si comportarono in modo irresponsabile prima dell’istituzione della Troika, non osservando la dovuta diligenza, mentre alcune creditori privati come i fondi speculativi agirono anche in malafede. Alcune parti dei debiti verso le banche private e i fondi speculativi sono illegittime per le stesse ragioni per cui sono illegali; inoltre le banche greche furono illegittimamente ricapitalizzate dai contribuenti. I debiti verso le banche private e i fondi speculativi sono odiosi, perché i maggiori creditori privati erano consapevoli che questi debiti non erano contratti nell’interesse della popolazione ma piuttosto a loro proprio vantaggio.

Il resoconto si conclude con alcune considerazioni pratiche.

Il Capitolo 9: Fondazioni legali per il ripudio e la sospensione del debito sovrano greco, presenta le opzioni per la cancellazione del debito, in particolare le condizioni nelle quali, secondo il diritto internazionale, uno stato sovrano può esercitare il diritto di agire unilateralmente per ripudiare o sospendere il pagamento del debito. Esistono diversi argomenti legali che permettono a uno stato di ripudiare unilateralmente il suo debito illegale, odioso e illegittimo. Nel caso greco, tale atto unilaterale potrebbe basarsi sui seguenti argomenti: la malafede dei creditori che spinsero la Grecia a violare il diritto nazionale e internazionale pertinente i diritti umani; la prevalenza dei diritti umani su accordi come quelli firmati dai governi precedenti con i creditori o con la Troika; la coercizione; i termini iniqui in flagrante violazione della sovranità greca e della costituzione; e infine il diritto, riconosciuto dal diritto internazionale, di uno stato a prendere contromisure contro atti illegali dei suoi creditori che danneggino intenzionalmente la sua sovranità fiscale, lo obblighino a contrarre un debito odioso, illegale e illegittimo, e vìolino l’autodeterminazione economica e i diritti umani fondamentali. Per quanto concerne l’insostenibilità del debito, ogni stato ha per legge il diritto di invocare la necessità in situazioni eccezionali per salvaguardare gli interessi essenziali minacciati da un pericolo grave e imminente. In tale situazione, lo stato può essere dispensato dall’adempimento degli obblighi internazionali che aumentino il pericolo, come nel caso dei contratti di prestito. Infine, gli stati hanno il diritto di dichiararsi unilateralmente insolventi, ove il pagamento del debito risulti insostenibile, nel qual caso non commettono un atto ingiusto e non hanno di conseguenza responsabilità. La dignità delle persone vale di più di un debito illegale, illegittimo, odioso e insostenibile.

Avendo concluso un’indagine preliminare, il Comitato considera che la Grecia è stata ed è tuttora la vittima di un attacco premeditato e organizzato da parte del FMI, della BCE e della Commissione Europea. Questa missione violenta, illegale e immorale mirava esclusivamente a spostare il debito privato al settore pubblico.

Rendendo disponibile questo rapporto preliminare alle autorità e al popolo greco, il Comitato considera di aver adempito alla prima parte della sua missione come definita nella decisione del Presidente del Parlamento il 4 aprile 2015. Il Comitato spera che il resoconto sarà uno strumento utile a quanti vogliono uscire dalla logica distruttiva dell’austerità e difendere ciò che oggi è messo in pericolo: i diritti umani, la democrazia, la dignità dei popoli e il futuro delle generazioni a venire.

In risposta a quanti impongono misure ingiuste, il popolo greco potrebbe invocare ciò che Tucidide menzionò riguardo alla costituzione del popolo ateniese: “Di nome è chiamata una democrazia, perché l’amministrazione è gestita con in vista gli interessi dei molti, non dei pochi.” Tratto dall’intero resoconto dalla commissione parlamentare ellenica

>>Leggi il rapporto preliminare dell’inchiesta della Commissione “Verità sul debito pubblico” istituito alcuni mesi fa dal parlamento ellenico

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Krugman: “Per uscire dalla crisi la Grecia deve abbandonare l’euro”

Grecia-Euro

Alla luce della vittoria del “no” alla troika in Grecia, P. Krugman sostiene che i veri europeisti dovrebbero esultare. Fortunatamente, si è evitato che le istituzioni europee rovesciassero un altro governo democratico, imponendo politiche che loro stesse ammettono fallite. Come sottolinea il Nobel, l’unica plausibile uscita dalla crisi per la Grecia è un’uscita dall’eurozona, uscita per la quale i maggiori costi – la crisi bancaria e finanziaria – sono ormai stati pagati.

“Domenica l’Europa ha schivato un proiettile. Smentendo molte previsioni, gli elettori greci hanno fortemente sostenuto il rifiuto alle richieste dei creditori da parte del loro governo. E anche i più ardenti sostenitori dell’Unione europea dovrebbero tirare un sospiro di sollievo.

Naturalmente, i creditori non la metterebbero in questo modo. La loro versione dei fatti, ripresa da molti nella stampa finanziaria, è che il fallimento del loro tentativo di costringere la Grecia alla sottomissione è un trionfo dell’irrazionalità e dell’irresponsabilità sui buoni consigli dei tecnocrati.

Ma la campagna di sopraffazione — il tentativo di terrorizzare i greci privando le loro banche di finanziamenti e minacciando il caos generale, il tutto con l’obiettivo quasi dichiarato di disarcionare l’attuale governo di sinistra— è stato un episodio vergognoso per un’Europa che afferma di credere ai principi democratici. Se quella campagna fosse riuscita, si sarebbe stabilito un terribile precedente, anche se i creditori avessero avuto ragione.

Per di più, non ce l’hanno. La verità è che i sedicenti tecnocrati europei sono come medici medievali che insistono nel salassare i loro pazienti — e quando il loro trattamento fa ammalare ancor di più i pazienti, essi chiedono di togliere ancora più sangue. Una vittoria del “Sì” in Grecia avrebbe condannato il paese ad altri anni di sofferenza nell’attuare politiche che non hanno funzionato e addirittura, come dice l’aritmetica, non possono funzionare: l’austerità probabilmente riduce il PIL più velocemente di quanto si riduce il debito, quindi tutta la sofferenza non serve a niente. La schiacciante vittoria del “no” offre almeno una possibilità di una via di fuga da questa trappola.

Ma come gestire questa fuga? C’è un modo per la Grecia di rimanere nell’euro? E questo è in ogni caso auspicabile?

La questione più immediata riguarda le banche greche. Prima del referendum, la Banca Centrale Europea ha tagliato il loro accesso a ulteriori fondi, facendo precipitare il panico e costringendo il governo a imporre la chiusura delle banche e i controlli di capitali. La Banca Centrale deve ora affrontare una scelta difficile: se riprendesse il normale finanziamento sarebbe come ammettere che il congelamento precedente era politico, ma se non lo facesse, in pratica costringerebbe la Grecia ad introdurre una nuova moneta.

In particolare, se il denaro non inizia a scorrere da Francoforte (la sede della Banca centrale), la Grecia non avrà altra scelta se non cominciare a pagare salari e pensioni con i.o.u.s, (in inglese I Owe You, ossia “pagherò”, cambiali NdVdE) che sarebbero de facto una valuta parallela — e che potrebbero presto trasformarsi nella nuova dracma

Supponiamo che, al contrario, la Banca centrale riprenda la normale erogazione dei prestiti, e che la crisi bancaria si risolva. Rimane ancora la questione di come rilanciare la crescita economica.

Durante i negoziati falliti che hanno portato al referendum di domenica, il punto critico centrale era la richiesta della Grecia di una riduzione permanente del debito, per rimuovere le incertezze che gravavano sulla sua economia. La troika — le istituzioni che rappresentano gli interessi dei creditori — ha rifiutato, ma ora sappiamo che un membro della troika, il Fondo Monetario Internazionale, aveva concluso in modo indipendente che il debito della Grecia non può essere ripagato. Cambieranno atteggiamento ora che è fallito il tentativo di deporre la coalizione di sinistra al governo?

Immaginate, per un momento, che la Grecia non avesse mai adottato l’euro, che avesse semplicemente fissato il valore della dracma a quello dell’euro. Cosa suggerirebbero di fare le semplici analisi economiche di base? La risposta, a stragrande maggioranza, sarebbe che dovrebbe svalutare — lasciare scendere il valore della dracma – sia per incoraggiare le esportazioni sia per uscire dal ciclo della deflazione.

Naturalmente, la Grecia non ha più una propria moneta, e molti analisti erano soliti affermare che l’adozione dell’euro era una decisione irreversibile— dopo tutto, ogni accenno di uscita dall’euro avrebbe scatenato una devastante crisi bancaria e una crisi finanziaria. Ma a questo punto la crisi finanziaria c’è già stata, così che i maggiori costi di un’uscita dall’euro sono stati pagati. Perché, allora, non godere dei benefici?

L’uscita greca dall’euro avrebbe lo stesso, grande successo della svalutazione dell’Islanda nel 2008-09, o dell’abbandono dell’Argentina della sua politica un-peso-un-dollaro nel 2001-02? Forse no — ma consideriamo le alternative. A meno che la Grecia non ottenga davvero una grossa cancellazione del debito, e forse anche se la ottenesse, lasciare l’euro offre la sola via di fuga plausibile dal suo incubo economico senza fine.

E cerchiamo di essere chiari: se la Grecia alla fine lascia l’euro, non significa che i greci sono cattivi europei. Il problema del debito della Grecia comporta che ci siano dei creditori irresponsabili tanto quanto dei debitori irresponsabili, e in ogni caso i greci hanno pagato per i peccati del loro governo molte volte. Se non riescono a prosperare all’interno della moneta comune europea, è perché quella moneta comune non offre nessun aiuto ai paesi in difficoltà. La cosa importante ora è fare tutto il necessario per terminare l’emorragia”. Paul Krugman – traduzione vocidallestero

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Tsipras l’ultima speranza greca

Tsipras-Grecia

In Grecia la crisi economica si è diffusa rapidamente al pari di un virus infettivo, ha aggredito il sostrato sociale tramite canali di trasmissione privilegiati, quali il bilancio pubblico, il mercato del lavoro e quello finanziario, che hanno generato a loro volta disastrose reazioni a catena. È l’impietosa fotografia contenuta nel rapporto “Gioventù ferita” di Caritas Italiana. Numeri, dati e testimonianze raccolte dall’organismo pastorale della Cei.

Per quanto riguarda il settore pubblico, per difendersi dal rapido peggioramento delle sue stesse finanze, il Governo di Atene, sotto la pressione della Troika, ha scatenato una “difesa immunitaria” aggressiva sotto forma di programmi di austerity che hanno al contempo aumentato le imposte e ridotto la spesa per i servizi pubblici. Questo ha prodotto conseguenze dirette sui redditi delle famiglie e nel mercato del lavoro: nel settore pubblico le misure di austerità hanno prodotto numerosi licenziamenti (15.000 fino al termine del 2014), mentre il settore privato ha risentito del calo della domanda relativa a merci e servizi. Infine, il mercato finanziario è stato fortemente colpito dalla diminuzione della ricchezza privata, causata dal deterioramento degli asset e dell’accesso limitato al credito, mettendo in crisi molte banche nazionali e locali, generando ulteriore disoccupazione e impoverimento delle famiglie. In particolare, negli ultimi cinque anni il numero di bambini e di famiglie greche che non riescono a soddisfare le fondamentali esigenze materiali ed educative è aumentato esponenzialmente. Gli elevati tassi di disoccupazione, che gareggiano con quelli raggiunti durante la Grande Depressione del 1929, hanno reso tante famiglie incapaci di assicurare cure basilari, protezione e opportunità, cui ciascun bambino ha diritto.

La Grecia, al pari dell’Italia, è l’unico Paese europeo senza un piano per contrastare la povertà, ed è priva di un reddito di inclusione sociale in grado di inserire nella società anche i cittadini più poveri. A questo si somma la trappola generazionale costruita ad hoc dalla crisi economica, in cui giovani formati e istruiti vivono una realtà potenziale fatta di “non ancora” e di aspettative frustrate; dove la speranza di una vita produttiva da adulti appare una chimera lontana, un’irraggiungibile terra promessa.

Nel 2013, tre milioni e 904 mila persone, il 35,7% su una popolazione di quasi 11 milioni di abitanti, erano a rischio povertà, mentre come riportato dal rapporto UNICEF Figli della Recessione (pubblicato nell’ottobre 2014), nel 2011, a solo due anni dallo scoppio della crisi, 440 mila bambini in età scolare (il 20,1% del totale) risultavano soffrire di malnutrizione. Situazione inevitabile in un Paese nel quale la disoccupazione è quasi triplicata nell’arco di quattro anni: passando dal 9,6% del 2009 al 27,5% del 2013. Dopo un anno si è verificato un leggero rimbalzo (dovuto anche al boom turistico dell’estate 2014), che ha portato il tasso di disoccupazione generale al 25,8% (in Italia è al 13,4%), mentre quella giovanile, nella fascia di età 15-24, è al 49,5% (in Italia i dati più recenti l’attestano al 43,3%).

Dal 2008 al 2013 il reddito delle famiglie è calato, tra perdita di ricchezza e aumento dell’inflazione, del 40%. Così, secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (OCSE), riferito al 2014, il 17,9% dei greci non può permettersi di comprare tutti i giorni il cibo di cui avrebbe bisogno, una percentuale superiore a quella di Paesi con reddito pro-capite più basso come il Brasile e la Cina. Il 58% della popolazione, è ormai a rischio povertà. Nel 2013 più di 70 mila persone hanno riconsegnato le targhe della propria auto non potendola più mantenere, anche a causa dell’aumento esponenziale delle imposte. Circa 350 mila famiglie nel 2013 sono rimaste senza elettricità per morosità, e il 37% non ha usufruito di un adeguato riscaldamento nelle abitazioni. Solo nel 2012 il consumo di gasolio da riscaldamento è diminuito dell’80% e migliaia di greci sono tornati a utilizzare le stufe a legna, con un aumento dell’inquinamento atmosferico nelle grandi città, per l’uso di materiale combustibile non sempre naturale, e il diffondersi del taglio incontrollato dei boschi e dei giardini pubblici cittadini.

I tagli alla spesa pubblica hanno colpito duramente tutti i servizi. Secondo il già citato rapporto dell’Ocse, dal 2008 ad oggi la spesa complessiva per la protezione sociale e sanitaria in Grecia è diminuita del 18%, ma secondo altre fonti i tagli si attesterebbero ormai oltre il 25%. A febbraio 2013, l’Associazione medici democratici tedeschi, venuta in Grecia per documentarsi sulle ripercussioni della crisi, ha affermato che il sistema sanitario della Grecia presentava una situazione “scioccante”, analoga a quella di “una zona di guerra”.

Ad essere fortemente colpiti dalla crisi economica sono anche bambini e giovani, le cosiddette “nuove generazioni”. Difficile immaginare un futuro positivo per i figli della grande recessione e per la Grecia stessa, colpita nel vivo su due fronti; infatti, se da un lato il Paese continua a perdere sangue vivo nella forma e nella sostanza di giovani laureati che abbandonano la nazione per motivi economici, dall’altro non ha i mezzi necessari per garantire un’infanzia dignitosa a un alto numero di bambini. Una stima dell’UNICEF, relativa all’impatto della crisi sul reddito medio dei nuclei familiari con bambini, indica che fra il 2008 e il 2012 le famiglie greche hanno perso l’equivalente di 14 anni di progresso. Un Paese che non può investire sulle nuove generazioni è un Paese che rischia di trovarsi a breve senza futuro.

La crisi come una guerra, il paese a un bivio e Alexis Tsipras nuovo premier della Grecia è l’ultima speranza: “Ciò che ci ha chiesto il popolo della Grecia è qualcosa che non si può discutere: dobbiamo mettere fine all’austerità. Lavoreremo insieme per ricostruire il nostro Paese sull’onestà e sull’amicizia. La Grecia presenterà le sue vere proposte all’Ue, un nuovo piano radicale per i prossimi quattro anni. Collaboreremo con i nostri amici europei per trovare una nuova soluzione e per far tornare l’Europa verso la crescita e verso la stabilità e per far risorgere i valori europei come la democrazia e la solidarietà. Il nostro obiettivo è ridare una dignità alla Grecia”.

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Buonanotte Italia, siamo i figli di Troika

Italia-troika-Europa

Chi sono i “Figli di Troika”? L’economista Bruno Amoroso, in un suo recente libro, lo spiega assai bene. Sono i sicari del potere: Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Banca Centrale Europea. La nomenclatura finanziaria della globalizzazione si è consolidata nel corso degli ultimi dieci anni con il passaggio dal pensiero unico al potere unico. Sono gli “incappucciati della finanza” responsabili del disastro economico europeo, persone alle quali è stato affidato il ruolo d’infiltrarsi nella società, di manipolare l’informazione e la ricerca, e che con il metodo della governance hanno minato le nostre società. I Signori della finanza globale reclutano adepti nei singoli Stati.

Le loro strategie sono: la “marginalizzazione economica” per destabilizzare le istituzioni, l’allarmismo e la tensione praticate nell’anonimato dei mercati finanziari. Hanno volti, nomi, cognomi e, come direbbe Federico Caffè, anche soprannomi. E tra poco avremo modo di conoscerli anche in Italia, questi figli di Troika. Funziona così, scrive Marco Palombi sul Fatto.

Il paese X, per qualche motivo, comincia ad avere difficoltà a finanziarsi sul mercato: gli investitori chiedono interessi troppo alti. È qui, quando il paese X teme di non poter pagare stipendi e pensioni, che arriva la Troika proponendo un bel prestito di 100, 200, 300 miliardi, e sostenendo che il problema è il debito pubblico. Per avere i soldi, però, bisogna firmare un bel “Memorandum”, una lista assai nutrita di cose da fare.

La ricetta è sempre la stessa per tutti i paesi: tagli di spesa pubblica, stipendi e pensioni; licenziamenti nel settore statale; aumenti di tasse; privatizzazioni e liberalizzazioni selvagge (servizi pubblici in primis); riforme del mercato del lavoro (libertà di licenziare). Al termine della “cura”, aiutata da cospicue pressioni sull’opinione pubblica, il paziente è più malato di prima, il welfare e i beni pubblici un ricordo. In sostanza, e per paradosso, l’arrivo della Troika europea coincide con la distruzione del modello sociale europeo.

Non solo: i debiti pubblici, causa di ogni male, aumentano in maniera esponenziale. Non c’è da sorprendersi: il fine non è comprimere il debito dello Stato, ma quello estero, bloccando le importazioni attraverso un taglio dei redditi disponibili. È in questo modo che i creditori (spesso banche del Nord) rientrano dei soldi prestati negli anni di vacche grasse.

Se questo è quello che ci aspetta, chiudete le porte, non facciamo entrare sti gran figli di Troika.

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La crisi spiegata a mio figlio

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“Che dire di Repubblica? Dopo avere invocato la Troika con Scalfari, cede il passo al mio collega Bisin che riesce a dire:

“La questione concettuale importante da porsi è perché una prevista politica di domanda aggregata, di nuovi investimenti pubblici (suggerita dalla richiesta all’Europa di non includere gli investimenti nel computo del deficit) non abbia avuto gli effetti desiderati?”

Excuse me?

L’Italia, per gestire questa crisi, ha fatto esattamente il contrario di quello che dice Bisin, governo Renzi compreso, ed ecco perché si trova in queste condizioni assurde.

I numeri sono numeri, ed il PIL è il PIL. Purtroppo va chiarito ancora una volta che nel PIL non entrano né la spesa per interessi né la spesa pensionistica: sono trasferimenti da un cittadino ad un altro che non richiedono più produzione alle imprese. La spesa pubblica che incide sul PIL, perché genera servizi, beni, lavori è quella per stipendi pubblici e appalti. Ed allora, per venire incontro a Bisin, facciamogli vedere cosa è successo alla spesa pubblica che incide sul PIL, su quel PIL che non c’è più, dal 2009, anno in cui la politica economica ha dovuto combattere, più male che bene, la crisi finanziaria del 2008.

Basta vedere questo perfetto grafico Istat. Anche ad un bambino verrebbe spontaneo chiedere: “Papà che è successo al PIL nel 2008?”.

“E’ sceso per la crisi mondiale, figliolo, dal tondo verde a quello celeste.”

“E nel 2009 come mai risale al tondo viola? E poi come mai riscende nel 2011 e non si ferma più fino al tondo arancione?”

Già, come mai?

Il papà dovrà spiegare che deve essere successo qualcosa di diverso tra quanto avvenuto tra il 2009 ed il 2010 e quanto avvenuto dal 2011 in poi. Ma non farà gran fatica: è successa una sola cosa diversa, tra 2009 e anni successivi, nella politica economica, con buona pace dell’ideologia di Bisin, persona simpaticissima ma che ha smesso di fare l’economista da quando scrive per Repubblica. E’ successo che nel 2009 si è fatto quello che si fa sempre nelle crisi da mancanza di domanda interna di questo tipo: si è sostituita la domanda privata scomparsa e terrorizzata di imprese e famiglie con quella certa e visibilissima dello stato, fatta di maggiori appalti.

Cito il Ragioniere Generale dello stato: nel 2009 la spesa primaria corrente in termini reali (senza tener conto dell’inflazione) aumenta del 3,4% e la spesa in conto capitale (gli investimenti pubblici) 12,2%. E i risultati, dirà il papà, si vedono: il PIL riprende la sua marcia. E se solo avessimo continuato…

“Perché? Non l’abbiamo fatto?” dirà l’ingenuo pargolo.

“E no, è entrato in gioco un meccanismo europeo assurdo che si chiama Fiscal Compact, che ci obbliga a non usare la spesa pubblica quando l’economia soffre. Così la spesa primaria senza contare le pensioni ed i sussidi, quella che contiamo nel PIL è scesa da 432,6 miliardi del 2010 ai 420,7 del 2014. In termini nominali!! E i famosi investimenti pubblici? Tieniti forte figlio mio, da 51,8 a 45,4, una diminuzione di più del 10% in termini nominali, molto di più in termini reali tenendo conto dell’inflazione. Abbiamo smesso purtroppo per te di costruire ponti e abbiamo smesso di spendere soldi per la scuola e l’università. Pensa soltanto che oggi ci vogliono 3 professori universitari che vanno in pensione per assumere un giovane ricercatore e che quest’ultimo viene pagato la metà dei suoi colleghi stranieri.”

“Papà ma questo Signor Bisin dice diversamente.”

“I dati sono i dati figlio mio, non si può cambiarli a piacimento. Te li rimetto qui eccoli:

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“Ma papà, forse è perché gli italiani non vogliono questo tipo di spese?”

“Beh figlio caro, direi di no: guarda i risultati di questo sondaggio dell’Istituto Piepoli…”

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“Ma papà questo Sig. Bisin dice che non ci sono i soldi per fare tutte queste spese…”

“Beh, bisognerebbe dirgli che intanto i margini ci sono eccome: queste stupide regole europee a cui abbiamo aderito almeno prevedono che quando quella linea rossa del PIL comincia a scendere si possa interrompere la corsa a ridurre le spese e aumentare le tasse. E sai cosa? Con la crescita che esse genereranno daranno forza al Paese per essere ripagate senza maggiori tasse, anzi con meno in percentuale! Oggi invece il Paese è debole e per ottenere le stesse entrate bisogna tassare sempre di più in percentuale le persone. E i conti pubblici continuano a peggiorare. Poi certo non c’è dubbio che dobbiamo dare l’assalto a quella parte di PIL dovuto agli appalti o agli stipendi che PIL non è perché non genera maggiore risorse ma solo trasferimenti verso gente che non lavora o verso imprese che corrompono. Ma questo non si fa in un battibaleno, e comunque bisognerebbe decidersi a cominciare a farlo…”

Che papà saggio. Invece di ridurre il deficit nel 2015, in recessione, dal 3% all’1,6% di PIL, siamo certi che consiglierebbe a Renzi di rimanere al 3% (o arrivare al 4 come Francia e Spagna) e usare questa opportunità per non aumentare le tasse, non tagliare a casaccio stipendi a maestri e ricercatori, poliziotti e medici, fare investimenti a Taranto per la bonifica del territorio, fare appalti per dare tecnologia avanzata ai nostri ospedali e per ricostruire molte più scuole di quanto non se ne intendano rimettere a nuovo oggi.

E’ così che ripartono le nostre imprese, i consumi delle famiglie, la riduzione del debito pubblico e della disoccupazione.

E nel contempo cominciare, ma veramente, la battaglia indefessa della spending review perché i nostri ospedali e le nostre scuole siano luoghi dove non si sprecano risorse e dove il servizio al cittadino è semplicemente eccellente.

Ecco, come si fa, caro Bisin”. Gustavo Piga

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