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L’euro è un morto che cammina

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LA CRISI DELLA LIRA 1964

Per capire perché l’euro non è ancora morto, è utile guardare alla storia dei regimi monetari. Vi sono differenze notevoli tra questi: il vecchio gold standard non era uguale al regime di Bretton Woods, né questo allo SME, né lo SME all’Euro. A noi però interessa guardare ad una caratteristica particolare che sarà chiara in seguito.

Fino al 1971 l’Italia faceva parte dell’accordo di cambio noto come regime di Bretton Woods. Le monete dei paesi occidentali mantenevano un tasso di cambio fisso – ma eventualmente aggiustabile – con il dollaro americano, e questo a sua volta aveva un valore in oro.

Nel 1963-64 la lira italiana fu vittima di un attacco speculativo. L’Italia del boom economico aveva raggiunto la piena occupazione (il tasso di disoccupazione era sceso al di sotto del 4%), i sindacati erano particolarmente forti e riuscivano ad ottenere forti aumenti salariali, superiori alla produttività. Questo produsse un deficit di partite correnti notevole e i mercati si aspettavano per questo una svalutazione della lira.

Fonte: Report FMI 1963-64

Ma la svalutazione non avvenne. Già da maggio 1963 governo e Banca d’Italia avevano incominciato ad attuare politiche monetarie e fiscali restrittive, che causarono una caduta della produzione industriale e dell’occupazione a partire dagli inizi del 1964. Eppure la fase più acuta della crisi valutaria si ha proprio mentre l’Italia inizia l’ “aggiustamento”.

A questo punto interviene un fatto nuovo. Il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, si reca a Washington. L’incontro doveva rimanere segreto, ma così non fu. I giorni dal 1° al 13 marzo furono i più drammatici per la moneta italiana e la Banca d’Italia bruciò duecento milioni di dollari per mantenere il cambio. Ma Carli, contrario alla svalutazione, ottiene dal Tesoro americano e da altri enti prestiti per complessivi 800 milioni di dollari. A questi si aggiungono prestiti più piccoli della Bundesbank, della Banca d’Inghilterra e del FMI, coinvolti dallo stesso Tesoro americano, per un totale di 1275 milioni di dollari. Un’enormità. Che – è bene sottolinearlo – non fu utilizzata. Bastò infatti l’annuncio della concessione del prestito a calmare i mercati.

Pochi giorni dopo l’annuncio, la crisi valutaria era solo un ricordo. La lira non si svalutò e l’aggiustamento fu più che sufficiente a riportare in avanzo la bilancia commerciale. Già nell’ultimo trimestre 1964 iniziò la ripresa.

LA CRISI DEL 1992

Nel 1992 si produsse una situazione simile a quella del 1964. Anche in questo caso eravamo di fronte ad una crisi di bilancia dei pagamenti, dopo aver prodotto dal 1987 crescenti disavanzi delle partite correnti, in un sistema di cambi fissi (il Sistema Monetario Europeo, SME), sebbene con qualche margine possibile di aggiustamento. Come nel 1964, la lira (insieme alla sterlina britannica, al franco francese e alla peseta spagnola) fu attaccata dalla speculazione. L’occasione fu la bocciatura del Trattato di Maastricht da parte degli elettori danesi e il rischio, poi non concretizzatosi per pochi voti, di un eguale giudizio negativo dei francesi, chiamati alle urne nel settembre del 1992. Protagonista della vicenda, come è noto, fu George Soros. Questa volta però tanto la lira quanto la sterlina, dopo tentativi simili a quelli del 1964, furono costrette ad abbandonare lo SME, bruciando peraltro le riserve valutarie della Banca d’Italia. Eppure non sarebbe dovuto accadere. Il Sistema Monetario Europeo, infatti, prevedeva il sostegno delle banche centrali degli altri paesi in caso di attacco ad una valuta. La responsabilità maggiore ricadeva sulla Bundesbank, la banca centrale tedesca, poiché il marco era di fatto la valuta di riferimento del sistema. Ma questa collaborazione non vi fu né attraverso il sostegno alle valute attaccate né con una la rivalutazione pilotata del marco (come avvenuto in passato), anche perché all’epoca la Germania era in deficit di partite correnti e non voleva aggravarlo. L’aggiustamento doveva essere interamente a carico dei paesi “deboli”. Dopo un’iniziale svalutazione il 13 settembre 1992, il governo Amato decide l’uscita dallo SME il 17 settembre, all’indomani dell’uscita della sterlina. Anche la Francia subì l’attacco speculativo, ma alla fine la Bundebank si mosse in soccorso del Franco. Pochi mesi dopo l’Italia ratificherà il Trattato di Maastricht. Una coincidenza storica notevole fece in modo che una delle firme italiane sul Trattato fosse proprio quella di Guido Carli, ministro del Tesoro nel governo precedente (Andreotti VII).

E INFINE L’EURO

Come è noto l’idea dell’euro non è tedesca, ma francese. Con la creazione della moneta unica la Francia sperava di sottrarre alla Germania la propria egemonia monetaria. A distanza di 22 anni dal Trattato di Maastricht si può dire che l’esperimento è riuscito solo in parte. Del sostanziale fallimento dell’euro abbiamo parlato diffusamente, ma qui ci interessa invece capire perché esso è sopravvissuto finora.

Nell’eurozona non esistono più le monete nazionali, ma i tassi di interesse sui titoli di stato ci danno una misura del rischio di cambio  percepito dai mercati finanziari. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, i tassi di interesse incominciano a divergere e si manifesta il famoso “spread“. Ma è dal 2010, con la crisi greca, che i differenziali finiscono fuori controllo.

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Verso la fine dell’estate del 2011, poi, l‘interbancario si blocca definitivamente. Il sistema delle banche centrali dell’eurozona, tramite il sistema Target2, interviene in automatico a finanziare i deficit esteri dei paesi in disavanzo di partite correnti, con grande disappunto dei tedeschi (Hans-Werner Sinn in testa, che oggi pretende di pareggiare in oro!), mentre i capitali vengono rimpatriati. Questo contribuisce ad evitare un crollo disordinato dell’eurozona e rappresenta una novità rispetto alle consuete crisi di bilancia dei pagamenti.

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Ma il motivo fondamentale per il quale l’Euro sopravvive è l’intervento discrezionale della Banca centrale europea che, il 2 agosto 2012, annuncia il programma OMT, dopo il famoso discorso londinese di Mario Draghi (26 luglio 2012).

Quando si parla di fragilità dell’euro, di fragilità crescente dell’euro, e forse di crisi dell’euro, molto spesso gli stati o i leader che non fanno parte dell’eurozona sottovalutano l’entità del capitale politico che viene investito nell’euro. E invece noi lo vediamo, e non credo che siamo osservatori parziali, e pensiamo che l’euro è irreversibile. E non è una parola vuota, perché ho appena detto esattamente quali azioni sono state fatte, e vengono fatte per renderlo irreversibile. Ma c’è un altra cosa che voglio dirvi. All’interno del nostro mandato, la BCE è pronta a fare tutto quanto è necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza.(Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough).

l programma OMT consiste nell’acquisto “illimitato” di titoli di stato da parte della BCE, dopo aver accettato un programma di “salvataggio”,  per quei paesi che dovessero essere vittime della speculazione sul debito sovrano. Ne beneficia soprattutto l’Italia, paese che non ha chiesto “aiuti”, ma che vede il suo “spread” con i titoli di stato tedeschi ridursi da oltre 500 punti di allora ai circa 150 di oggi.

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E’ importante notare che anche in questo caso lo strumento non è stato in realtà mai utilizzato. A calmare i mercati è cioè bastato l’annuncio, da parte della Banca Centrale, della sua disponibilità a fungere da prestatore “senza limiti” di ultima istanza (sebbene sotto condizioni). Coperti dalla BCE, anche i titoli di un paese considerato sull’orlo del default diventano affidabili.

LA CRISI PUÒ TORNARE

La crisi dell’euro però non è finita. A rinfocolarla nei prossimi mesi potrebbe essere la deflazione e il costante aumento delle sofferenze bancarie causato dall’austerità. L’esito relativamente positivo degli stress test condotti dalla BCE, infatti, non deve trarre in inganno perché non contempla lo scenario deflattivo. D’altro canto la BCE non ha molti strumenti per invertire la tendenza. Il piccolo Quantitative Easing non può di per sé creare inflazione, se non in misura limitata, attraverso la svalutazione dell’euro. L’unica maniera affidabile per creare inflazione è aumentare i salari, come ha ammesso la Banca centrale giapponese e addirittura la Bundesbank. Pertanto la soluzione non è in mano alla BCE. A ciò si aggiunge il fatto che gli strumenti finora messi in campo per affrontare una crisi bancaria su larga scala (unione bancaria ed ESM) potrebbero essere insufficienti in caso di una crisi sistemica.

WHATEVER IT TAKES WHITIN OUR MANDATE. WHAT MANDATE?

L’esperienza dell’Italia del 1964, messa a contrasto con quella del 1992 e in analogia a quella del luglio 2012, deve indurre alla cautela quando si parla di esisto scontato della crisi dell’euro. Il punto è se la BCE farà – se potrà fare, se le sarà concesso di fare – davvero “tutto quanto è necessario” per preservare l’euro. Questo potrebbe includere l’acquisto illimitato di titoli di stato dei paesi meridionali, al fine di consentire il salvataggio del loro sistema bancario e contenere lo spread. Il programma OMT è già stato sfidato davanti alla Corte costituzionale tedesca. Ora si attende il giudizio da parte della Corte di giustizia europea, il cui esisto sarà determinante, sebbene pochi scommettano su una bocciatura.

Ma al di là dell’OMT, tutto sta nel risolvere questo dilemma: i trattati e lo statuto della BCE, se da un lato proibiscono il finanziamento monetario dei deficit, dall’altro danno alla BCE un mandato implicito nella sua stessa esistenza e nella vigenza dei trattati: preservare l’euro. E, all’interno di questo, “promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento“. La situazione è paradossale, ma non è raro che una legge o un trattato siano internamente contraddittori. E’ su questa lama di rasoio che si giocherà la partita nei prossimi mesi.

(Fonte keynesblog)

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Gli Stati Uniti d’Europa

Intervento di Viviane Reding Vicepresidente della Commissione europea e Commissaria per la giustizia, e per i diritti fondamentali e la cittadinanza, al Centro di diritto europeo dell’università di Passau. 

“Se si vuole una politica di bilancio sana e duratura, occorre un Ministro delle finanze europeo responsabile del proprio operato dinanzi al Parlamento europeo e che disponga di chiari poteri per intervenire nei confronti degli Stati membri. L’arbitrarietà dei giudizi pubblicati dalle agenzie di rating non può certo rappresentare un’alternativa!”

“A Maastricht hanno voluto farci credere che era possibile introdurre un’unione monetaria stabile e una nuova valuta internazionale senza creare in parallelo gli Stati Uniti d’Europa. È stato un errore, e questo errore di Maastricht va corretto adesso se vogliamo continuare a vivere in un’Europa stabile ed economicamente prospera.”

“Al momento attuale vedo un pericolo soprattutto nel fatto che, sia il meccanismo europeo di stabilità, sia il patto di bilancio sono costruzioni improvvisate al di fuori dei trattati europei. È vero, di fronte alla crisi non c’erano alternative, bisognava agire subito. Sotto il profilo del parlamentarismo democratico questa però non può e non deve essere una soluzione duratura.”

“Quando decisioni del genere sono prese a livello europeo, va anche garantito un controllo democratico a livello europeo, da pari a pari. Sono pertanto a favore dell’integrazione a medio termine del patto di bilancio e anche del meccanismo europeo di stabilità nei trattati europei, in modo da sottoporre questi strumenti al controllo del Parlamento europeo.”

“Auspicherei che in futuro divenisse norma per un Commissario esser stato prima eletto al Parlamento europeo. Ciò contribuirebbe a rafforzare la legittimazione democratica del governo europeo.”

“Dopo matura riflessione ritengo l’idea degli Stati Uniti d’Europa la più condivisibile, ma anche quella che definisce in modo più appropriato la struttura definitiva cui l’Unione europea aspira.”

“L’Europa ha bisogno di un sistema bicamerale come quello degli Stati Uniti. Forse un giorno avremo addirittura bisogno di un Presidente della Commissione europea eletto direttamente.”

“Per me gli Stati Uniti d’Europa sono la visione giusta per superare la crisi attuale, ma anche e soprattutto per rimediare alle carenze del trattato di Maastricht. Perché in fin dei conti una cristiano-democratica europea come me non può certo farsi dettare la visione per il futuro dagli euroscettici britannici!”

Sono particolarmente lieta di trovarmi qui con voi oggi all’università di Passau.

Ora capisco perché a Bruxelles abbiamo così tanti giuristi o economisti che hanno studiato all’università di Passau e che lavorano con grande ambizione e slancio allo sviluppo ulteriore dell’Europa: qui a Passau, al crocevia di tre Stati, non si può fare a meno di essere europei! Per me che sono nata nel Lussemburgo è una cosa ovvia: nel mio paese, i confini sono una realtà quotidiana e, quindi, di riflesso anche l’Europa lo è. Non a caso l’accordo di Schengen sulla libera circolazione delle persone in Europa è stato firmato nel Lussemburgo nel 1985, a bordo di una nave ormeggiata sulla Mosella, proprio sul confine tra Lussemburgo, Francia e Germania. Per questo oggi, qui a Passau, nella bella “città dei tre fiumi”, mi sento un po’ come a casa mia.

Devo questo invito all’onorevole Manfred Weber, deputato al Parlamento europeo, con il quale collaboro strettamente a Bruxelles e a Strasburgo sui temi della giustizia e degli affari interni. Negli ultimi mesi ci siamo entrambi adoperati per potenziare la libertà di circolazione prevista dall’accordo di Schengen su tutto il territorio europeo. Il 48% dei cittadini europei ritiene che il diritto di circolare e soggiornare liberamente all’interno dell’UE sia il più importante dei diritti civili. Non dobbiamo quindi permettere che in periodi di crisi, dietro spinte populiste, si cerchi nuovamente di erigere delle barriere in Europa!

Vorrei inoltre ringraziare il Centro di diritto europeo dell’università di Passau, il CEP, per aver contribuito ad organizzare la manifestazione odierna. In quanto Commissaria per la giustizia dell’UE sono anche competente per la cittadinanza europea: per questo, sono particolarmente compiaciuta del fatto che, da oltre dieci anni, il CEP gestisca un cosiddetto “centro per i cittadini dell’Unione”. Qui nella regione i cittadini si rivolgono regolarmente a questo “sportello” per sottoporre problemi di natura transfrontaliera con i quali si scontrano ogni giorno. Ad esempio, un dentista di Passau può aprire uno studio sull’altra sponda dell’Inn? Una lavoratrice dipendente ungherese residente in Bassa Baviera ha diritto al sussidio di disoccupazione tedesco? Uno studente di Passau di nazionalità tedesca che vive sulla sponda austriaca del fiume può partecipare alle elezioni per il Parlamento europeo in Austria? Quando si pongono problemi di questo tipo, i cittadini possono chiedere una prima consulenza legale gratuita al CEP. Oltre a dare un contributo molto concreto all’Europa, questo centro promuove anche la buona reputazione dell’università di Passau, soprattutto quando le esperienze raccolte in questi contatti con i cittadini confluiscono direttamente nell’insegnamento e nella ricerca scientifica. In ciò l’università di Passau costituisce un modello esemplare!

Il tema del mio intervento odierno sono gli Stati Uniti d’Europa. Si tratta di una visione forte, ambiziosa e sicuramente controversa per il futuro del nostro continente. Sono certa che quello che sto per dire provocherà un dibattito molto acceso, ossia il fatto che, per uscire dalla crisi finanziaria e del debito, dobbiamo compiere il passo decisivo verso gli Stati Uniti d’Europa. Non vedo l’ora di confrontarmi con voi su questo tema, perché ritengo che in questo periodo di crisi sia più importante che mai discutere apertamente e lealmente sulle alternative che si prospettano all’Europa. Vi sono sempre alternative e spetta ai politici democraticamente eletti individuarle ed esplicitarle in modo chiaro affinché i cittadini possano scegliere con cognizione di causa, nelle elezioni legislative, regionali o alle elezioni per il Parlamento europeo del 2014.

Da parte mia, vorrei innanzitutto spiegarvi dove ha origine la nozione di “Stati Uniti d’Europa” e cosa significa, cercando di capire perché negli ultimi 20 anni questo sia stato per i politici un argomento tabù. Infine cercherò di spiegare perché oggi quest’idea di Stati Uniti d’Europa sia improvvisamente tornata di attualità.

Innanzitutto: Da dove proviene l’idea di Stati Uniti d’Europa e cosa significa?

Nel corso della storia sono tante le personalità famose che hanno parlato o sognato degli Stati Uniti d’Europa: da George Washington a Napoleone Bonaparte o Giuseppe Mazzini fino a Richard Coudenhove-Kalergi. Tuttavia è senza dubbio lo scrittore francese Victor Hugo ad aver formulato la visione più limpida e concreta.

Questa visione si può comprendere solo sullo sfondo del caos che regnava in Europa nel XIX secolo e che lo scrittore visse in prima persona: una serie di guerre tra Francia e Germania, l’esilio coatto di Victor Hugo sulle isole della Manica per la sua opposizione a Napoleone III, la traumatica annessione tedesca dell’Alsazia e della Lorena dopo la guerra del 1870/1871 e, infine, la partecipazione di Hugo al difficile decollo della nascente Terza Repubblica francese. In un’epoca così drammatica, è comprensibile che Victor Hugo anelasse alla pace e alla democrazia sul continente europeo. In occasione della conferenza di pace di Parigi, che si svolse alla metà del XIX secolo, lo scrittore illustrò la sua visione degli Stati Uniti d’Europa con queste parole:

“Verrà un giorno in cui le armi vi cadranno dalle mani; verrà un giorno in cui la guerra vi sembrerà tanto assurda, tanto impossibile fra Parigi e Londra, fra San Pietroburgo e Berlino, fra Vienna e Torino, quanto non lo sia oggi fra Rouen e Amiens, fra Boston e Filadelfia. Verrà un giorno in cui voi – Francia, Russia, Italia, Inghilterra, Germania – tutte le nazioni del continente senza perdere le vostre qualità distinte e la vostra gloriosa individualità, vi fonderete in modo stretto in un’unità superiore, formerete in modo assoluto la fraternità europea […]. Verrà un giorno in cui non vi saranno campi di battaglia al di fuori dei mercati che si aprono al commercio e degli spiriti che si aprono alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le bombe saranno sostituite dai voti, dal suffragio universale dei popoli, dal venerabile arbitrato di un grande senato sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, ciò che l’assemblea legislativa è per la Francia! Verrà un giorno in cui esporremo i cannoni nei musei sorprendendoci di ciò che è avvenuto in passato. Verrà un giorno nel quale l’uomo vedrà questi due immensi insiemi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, posti l’uno di fronte all’altro, tendersi la mano al di sopra dell’oceano, scambiare fra loro merci, prodotti, artisti, scienziati […]. Non ci vorranno quattrocento anni per vedere quel giorno poiché viviamo in un tempo rapido”. Continue Reading

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