Infrastrutture e trasporti Ue: Italia solo 17esima

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La Commissione europea, mettendo insieme varie fonti (Eurostat, l’Agenzia europea dell’ambiente e il Forum economico mondiale), ha pubblicato l’edizione 2016 del “Quadro di valutazione dei trasporti dell’Unione europea” (Transport Scoreboard 2016), nel quale sono confronti i risultati dei ventotto Stati membri in ben trenta indicatori che coprono tutti gli aspetti dei trasporti, dal mercato all’impatto sul clima e sull’ambiente, dal sistema delle infrastrutture ai servizi ai cittadini. Continue Reading

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La città a misura d’auto

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La mobilità sostenibile è un cardine strategico per la green economy: oggi i trasporti consumano il 28% dell’energia e sono responsabili di circa un quarto delle emissioni di CO2, soprattutto a causa del traffico su gomma e di circa 1 miliardo di autovetture private che circolano nel mondo, in continua crescita. Questa situazione insostenibile spinge a puntare, con forza e rapidità, verso innovazioni e nuove soluzioni. La Fondazione per lo Sviluppo sostenibile ha recentemente documentato, che più del 70% degli impatti negativi – ambientali e sociali – dei trasporti è prodotto da spostamenti brevi, urbani e periurbani. E’ soprattutto su questo campo, quindi, che bisogna vincere la battaglia della mobilità sostenibile.

A fine 2013 la domanda di autoveicoli mondiale si è attestata a 85,7 milioni di autoveicoli venduti, con una crescita di circa il 4,7% rispetto al 2012 che aveva già registrato un 5% di incremento sul 2011. Le auto rappresentano il 75% del totale degli autoveicoli, con quasi 65 milioni di unità vendute (+4,7% sul 2012). Il mercato degli autoveicoli nel 2013 è stato sostenuto in particolare dalle vendite in Cina (+13,9%) e all’interno del Nafta (+7,1%). Il 25% dell’intero mercato mondiale di autoveicoli nel 2013 è rappresentato dalla domanda cinese, con l’intero continente asiatico che equivale al poco meno della metà (44%) della domanda globale. Il mercato degli autoveicoli leggeri è in forte crescita nei paesi non OCSE ed ormai sta raggiungendo per numero di vendite i valori registrati nei paesi OCSE.

Lo scenario Improve prende in considerazione un’ulteriore aumento dei limiti fissati dagli standard per il consumo degli autoveicoli, e per la riduzione delle emissioni di gas serra, oltre al dispiegamento di politiche dirette ad incentivare la penetrazione dei veicoli con alimentazioni alternative nel mercato degli autoveicoli, in particolare di quelli elettrici. In questo caso, a parità di veicoli venduti, gli effetti previsti sono quelli di un sostanziale cambiamento delle quote di mercato rispetto al presente, in cui le vendite dei veicoli si ripartiscono come segue:

  • i veicoli elettrici venduti cominciano a crescere ad un buon ritmo a partire dal 2020 per giungere a toccare nel 2050 lo share del 23 % sul totale;
  • i veicoli ibridi plug-in arrivano nel 2050 al 35% delle vendite, cominciando un trend di crescita più sostenuto anch’essi a partire dal 2020;
  • i veicoli ibridi dopo un aumento delle quote di mercato costante sino al 2035, in cui toccano il 27% del totale, scendono progressivamente a quota 15% dei veicoli venduti globalmente nel 2050;
  • i veicoli a benzina e diesel rappresentano una quota residuale delle vendite nel mercato del 2050 (rispettivamente il 6% e l’1%);
  • le vendite dei veicoli a gas metano e GPL crescono tra il 2010 ed il 2040, raddoppiando la propria quota di mercato (5%), per poi diminuire significativamente al 2050 tornando alla quota attuale (2%).

Questa ricerca analizza le potenzialità green dello sviluppo dei veicoli a combustibili gassosi in Italia. I risultati di questa ricerca documentano che le auto a gas sono una delle tecnologie ponte a basso impatto ambientale che, insieme ai veicoli elettrici e ibridi, possono contribuire, nei prossimi decenni, a ridurre l’inquinamento dell’aria nelle nostre città e possono favorire anche l’apertura di una prospettiva interessante per il futuro: l’utilizzo del biometano, prodotto dai rifiuti organici per l’autotrazione e di biopropano (bio-GPL).

La gestione della mobilità va affrontata in modo integrato, tenendo conto di tutti gli aspetti, non solo dell’inquinamento locale, che è poi quello meno complesso da affrontare con l’aiuto delle tecnologie. L’incremento dei gas di serra, prodotto diretto dell’inquinamento da traffico, è tenuto poco in considerazione ed invece è preoccupante; così come il rumore, un problema serio per milioni di persone che abitano lungo le strade delle grandi città e la questione della sicurezza stradale: una parte consistente dei morti e dei feriti per incidenti stradali avviene in città. C’è, poi, il tema della congestione, che resterebbe anche usando l’idrogeno o altre fonti ad emissioni zero; e quello della vivibilità delle città, che si sta perdendo: le città a misura d’auto espellono i cittadini dalle piazze, dalle strade, dai punti di incontro.

Un approccio globale richiede una strategia coerente, mirata a gestire in maniera sostenibile la mobilità nel territorio urbano e metropolitano. Per attuare una strategia coerente, è utile individuare come punti centrali la gestione del traffico, il trasporto pubblico e quello non motorizzato, il trasporto merci in città, le misure di tariffazione, l’accessibilità e l’uso del territorio, l’influenza sui comportamenti in merito alla mobilità. Per stabilire una strategia di gestione della mobilità è necessario partire dai piani urbani del traffico, affrontando la questione del rapporto tra Regioni e Comuni: alle Regioni il compito di tracciare le direttrici generali, ma senza prescindere dai Comuni, che hanno un ruolo insostituibile nella gestione della mobilità, vivendo concretamente il problema: limitarsi alla gestione delle emergenze non è sufficiente, senza il coinvolgimento delle amministrazioni locali non è possibile affrontare la questione nella sua complessità. Risulta evidente la necessità di una strategia chiara: per esempio, è contraddittorio affermare di voler gestire la mobilità e poi non limitare l’uso dell’auto privata ormai giunto a livelli insostenibili. La limitazione dell’uso dell’auto privata è una scelta ineludibile: il mix di misure da prendere ruota attorno a questo obiettivo centrale. In primo luogo, occorre favorire la concorrenza del mezzo pubblico, mettendo in condizione di minor favore la circolazione delle auto.

In secondo luogo, va affrontato il tema dei parcheggi: l’incremento dei parcheggi porta l’incremento del traffico in città. Va sviluppata, inoltre, una limitazione degli accessi delle auto, con zone chiuse al traffico in modo permanente e con altre zone chiuse in certi orari ed a certi mezzi. E’ importante che siano incrementate le linee di mobilità dedicate e protette per i mezzi collettivi, così da scoraggiare l’uso dell’auto privata. Queste misure darebbero certamente risultati importanti. Anche la sperimentazione delle domeniche ecologiche si poneva nell’ottica di influenzare i comportamenti ed abituare i cittadini a limitazioni dell’uso dell’auto che devono diventare permanenti ed ad un maggior ricorso al mezzo collettivo.

Il punto rilevante è il trasporto pubblico ed il trasporto ciclopedonale non motorizzato (in bici ed a piedi). Va data priorità al trasporto pubblico, come punto qualificante di una strategia coerente, evitando errori del passato, come quello di eliminare i tram a vantaggio dell’auto. La priorità al trasporto pubblico si ottiene con le linee protette, la comodità dei mezzi, frequenze adeguate, informazioni e tariffe contenute (internalizzando i vantaggi del trasporto pubblico). Andrebbe, inoltre, promosso  il road-pricing, la tariffazione degli ingressi i cui proventi vanno direttamente investiti nel trasporto pubblico, migliorando il servizio e riducendo i costi. E’ possibile limitare l’iniquità potenziale di una tariffa non proporzionale al reddito, che potrebbe sfavorire i ceti meno abbienti, attraverso un effettivo miglioramento del servizio e finanziando con i suoi proventi tariffe agevolate per i mezzi pubblici.

Queste misure possono trovare un largo consenso tra i cittadini. Va fatta una scelta netta a favore della tariffazione della mobilità privata, andando oltre le incertezze che hanno caratterizzato questi ultimi anni. Va, inoltre, regolato, il trasporto merci in città, che incide fino al 20% sull’inquinamento e la congestione ed è destinato ad aumentare. E’ necessario arrivare ad una regolamentazione, con orari e modalità ben determinate ed organizzate.

La consapevolezza degli impatti effettivi della mobilità è molto bassa: la gente è stufa del traffico, ma le conseguenze sanitarie dell’inquinamento sono poco conosciute o poco credute. In presenza di comportamenti più intelligenti e più consapevoli non sarebbe risolto il 100% del problema, ma una buona quota certamente. Occorre una buona campagna di informazione e la messa a punto di strumenti in grado di influenzare i comportamenti di mobilità dei cittadini. Influenzare i comportamenti di mobilità dovrebbe essere parte di una politica di mobilità, come sostiene anche l’UE. Una Amministrazione locale dovrebbe avere tra i suoi compiti quello di scoraggiare l’uso dell’auto, di favorire il trasporto pubblico, contribuendo a creare un sistema di mobilità maggiormente sostenibile. L’industria, a fronte di una domanda di mobilità più sostenibile e più intelligente, troverebbe il modo per fare affari anche con questa.

Misure mirate per eliminare le auto più vecchie possono essere utili, a condizione che le nuove auto rispettino condizioni di elevate prestazioni ambientali. E’ chiaro che, da sola, tale misura non è risolutiva. Le tecnologie, dei carburanti e delle auto, non sono in grado di risolvere la congestione del traffico; ma anche le tecnologie hanno il loro impatto e non è possibile ignorarle. Le auto ibride, elettriche e ad idrogeno sono una prospettiva interessante nella prospettiva della prevalenza della produzione elettrica rinnovabile.

*Fondazione per lo sviluppo sostenibile

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Furti di rame un fenomeno in continua crescita

Furti-di-rame

Nel 2012 i furti di rame sono stati 19.701 con un aumento del 6,9% rispetto al 2011. Il fenomeno criminale dei furti di rame colpisce società operanti nel settore dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni, nonché aziende elettrotecniche ed elettroniche attive nella produzione e nell’utilizzazione di beni prodotti con l’impiego di rame.

Il furto di metalli rappresenta un fenomeno preoccupante. A livello operativo presenta delle specificità. Sotto il profilo socio-economico a trainare questa tendenza ci sono gli stessi fattori di altre tendenze della criminalità:

  • la crisi economica in cui le società si dibattono per evitare il fallimento;
  • opportunità di occupazione limitate, retribuzioni più basse a fronte di un costo della vita maggiore;
  • scambi, trasporti e telecomunicazioni globalizzati;
  • gruppi criminali organizzati sempre più agili, flessibili e intraprendenti.

Il rame è ampiamente utilizzato sull’intera infrastruttura ferroviaria. In particolare, è impiegato negli impianti tecnologici, nei sistemi infrastrutturali (segnalamento e alimentazione elettrica dei treni) e in quelli di telecomunicazione. Il rame rappresenta il miglior conduttore elettrico disponibile sul mercato dopo l’argento, risulta essere resistente alla corrosione ed è riciclabile interamente. Per queste sue caratteristiche è molto richiesto dal mercato internazionale dove il sensibile aumento della domanda come materia prima, soprattutto nei Paesi emergenti del nord-est asiatico e del sud America, non è soddisfatto dalla produzione alimentando di conseguenza i circuiti illegali. Il valore del rame è in costante crescita nell’ultimo decennio. Il 3 febbraio 2011 il metallo rosso ha segnato, sulla piazza di Londra, il suo record storico: 10mila dollari a tonnellata. La quotazione aggiornata della media annua del 2013 vede il rame a 6,82 €/kg (fonte: quotazione cash Milano – siti ASSOMET e ISOCLIMA).

L’azione di contrasto delle Forze di polizia ha registrato un incremento, infatti nel 2012 a livello nazionale, si è evidenziata la denuncia di 3.431 soggetti (+8,6% rispetto al 2011) di cui 2.092 in stato di arresto (+12,7%). Nel primo semestre del 2013, si sono verificati 11.040 furti con un aumento del 12,1% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. L’azione di contrasto ha consentito di denunciare 2.720 (+41%) soggetti di cui 1.631 (+36,7%) in stato di arresto. La crescente domanda di metallo sul mercato internazionale e il conseguente incremento dei prezzi dei metalli ha fatto del furto di questo bene un’attività particolarmente lucrativa e interessante per i ladri. Si ritiene che la domanda di metalli rimarrà sostenuta, che i loro prezzi continueranno a crescere e che, di conseguenza, anche i furti di metallo manterranno la loro attrattiva presso i ladri.

Le regioni particolarmente colpite nel 2012 sono state, nell’ordine: Lombardia, Puglia, Sicilia, Campania, Lazio, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Veneto e Sardegna. Per altro verso, proprio in queste regioni è stata assai incisiva l’azione di contrasto delle Forze di polizia. Nel Lazio, ad esempio, il numero delle persone denunciate e/o arrestate nel 2012, rispetto al precedente anno, segna un incremento del 48%, in Sicilia del 38,7%, in Emilia Romagna del 65%, in Toscana del 4,5%, in Veneto del 21,2% e in Calabria del 79,5%.

Le aziende pubbliche rappresentate nell’Osservatorio Nazionale sui furti di rame, tuttavia, segnalano un significativo decremento dei furti subiti nel corso del 2013, soprattutto in quelle aree che, nel corso del 2012, erano state particolarmente colpite.

Per quanto riguarda la rete ferroviaria, l’andamento del fenomeno, nei primi dieci mesi di quest’anno, ha visto una lieve diminuzione pari all’1,8% dei furti in linea rispetto allo stesso periodo del 2012: 1.673 furti nell’anno in corso a fronte dei 1.703 del 2012, mentre aumenta in generale il fenomeno, così come denunce e arresti. Aggiungendo anche i furti in deposito, si arriva a 1.778 furti episodi per un totale di circa 643.227 chili di materiale trafugato. Nell’ultimo triennio 2011-2013 il Gruppo Fs italiane ha stimato un danno economico per i furti del rame – su tutto il territorio nazionale – pari a quasi 31 milioni di euro, di cui circa 12 milioni per i costi degli interventi necessari al ripristino della circolazione.

“È indispensabile che tutto quanto è stato fatto in materia di repressione sia affiancato da un’attività di prevenzione: le aziende che producono il rame e quelle che lo acquistano devono dotarsi di codici comportamentali e di sistemi di tracciabilità del prodotto”. Lo ha dichiarato il capo della Polizia – direttore generale della Pubblica Sicurezza Alessandro Pansa, nel suo intervento in occasione della conferenza sul focus “Nazionale sui furti di rame”, in cui ha tracciato le strategie adottate dal Dipartimento della Ps per prevenire e contrastare sempre più efficacemente il fenomeno. “La trasparenza è economicamente conveniente”, ha sottolineato il prefetto Pansa tracciando un parallelismo con l’azione messa in campo per contrastare il fenomeno del riciclaggio: “Come in quel caso siamo riusciti ad eliminare il vecchio detto ‘pecunia non olet’, dobbiamo sforzarci di eliminare il principio ‘rame non olet'”.

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Oltre il baratro

Redditi da lavoro in caduta libera, più di mezzo milione di lavoratori in Cassa integrazione e oltre 30mila imprese scomparse. In difficoltà anche il commercio, il turismo, i trasporti e le banche. Questa è la fotografia del Paese emersa dal Rapporto della CGIL in vista della manifestazione nazionale, ‘Il Lavoro prima di tutto’, che si svolgera a Roma il 20 ottobre.

Prosegue il monitoraggio della Confederazione sulle situazioni di crisi più acute che stanno letteralmente sconvolgendo il tessuto industriale del Paese, ma anche il sistema dei servizi, del commercio e del credito. Continua l’emorragia dei posti di lavoro con cifre da capogiro, mezzo milione di posti nel solo triennio 2008/2010, in tutti i settori manifatturieri, dalla meccanica alla siderurgia, dagli elettrodomestici alla farmaceutica, il tessile, la ceramica, ai quali si aggiungono quelli persi nell’edilizia, nel commercio, nelle telecomunicazioni, nei trasporti e nelle banche.

Siamo nel pieno di una crisi a 360 gradi, che non fa sconti a nessuno, ma colpisce un settore dopo l’altro. Infatti, quando chiude o riduce drasticamente la produzione uno stabilimento a scomparire dal mercato è anche il suo prodotto, e così in Italia rischiano di scomparire intere filiere come quella dell’alluminio in Sardegna (Alcoa, Eurallumina) o dell’acciaio (ThyssenKrupp, Lucchini, Ilva) con il conseguente aumento delle importazioni e quindi della dipendenza dall’estero della nostra economia. A rischio il made in Italy nel tessile e nell’industria del bianco (Merloni, Indesit), nella ceramica (Ginori), nell’alimentare e nel mobile imbottito che 10 anni fa copriva il 16% dell’intera produzione mondiale mentre oggi registra una mortalità delle attività produttive pari all’80%. E se è vero che l’industria italiana si è dimostrata meno sofferente sotto il punto di vista dell’export, passando dal 61,4% del 2000 al 55,6% del 2011, a subire enormemente la crisi sono le aziende che si rivolgono esclusivamente o quasi al mercato interno.

Il quadro per l’industria italiana è drammatico: i primi sentori della crisi il nostro paese li ha avvertiti nel 2008, quando ha registrato un calo dell’attività industriale del 22,1% (aprile 2008 marzo 2009) e da allora, sostanzialmente non si è più ripresa. A dimostrarlo è la scomparsa tra il 2009 e il 2011 di 30mila imprese. A questa sofferenza dell’attività industriale si sommano le richieste di ore di Cassa integrazione, circa un miliardo all’anno per 500mila lavoratori, che è importante sottolinearlo, incidono negativamente sulla produttività oraria che viene invece solitamente calcolata sul numero complessivo della forza lavoro.

Delocalizzazioni da costo, crisi di liquidità, mancanza di investimenti e infrastrutture, costi dell’energia troppo alti, processi di riorganizzazione per una domanda in continuo calo, sono alcune delle maggiori cause di crisi nel nostro Paese. Per questo la CGIL torna a ribadire la necessità di una politica industriale con al centro investimenti e innovazione in ambito energetico, ambientale e delle materie prime, che stimoli una più forte collaborazione tra pubblico e privato facendo leva sulla domanda pubblica. C’è bisogno di risorse per rendere competitivo il nostro paese. Far ripartire l’economia significa anche rianimare i consumi interni attraverso politiche non restrittive e a favore dei redditi da lavoro e da pensione che con gli attuali interventi del Governo stanno subendo una drastica riduzione.

E’ per dare voce a tutti coloro che questa crisi la vivono in prima persona e che lottano ogni giorno per salvare, se ancora possibile, il proprio posto di lavoro, tra Cassa integrazione, contratti di solidarietà e annunci di licenziamenti collettivi, che la CGIL chiama a scendere in Piazza San Giovanni l’Italia della crisi, ma che dalla crisi vuole uscire attraverso il lavoro.

Di seguito riportiamo gli aggiornamenti di alcune situazioni particolarmente critiche divise per settore. Continue Reading

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Trasporti e opere: Italia ferma a 50 anni fa

 

All’apice del suo splendore, l’impero romano era attraversato da una capillare rete viaria estesa per circa 100mila km, una volta e mezza l’attuale copertura autostradale dell’UE a 27: dalla capitale, lungo tutta la penisola, fino alla Spagna, alla Britannia, all’Egitto, al Marocco e all’Asia minore. Uno straordinario capolavoro di efficienza logistica, e uno specifico know how ingegneristico e manutentivo, per tanti versi ineguagliato. Ma andato sostanzialmente perduto nei secoli più bui del medioevo e di cui, ancora oggi, si fatica a ritrovare l’eredità.

Chiunque si approcci al tema della mobilità nel Bel Paese in tempi recenti, nonché a tutte le problematiche correlate, quale che sia il modo in cui lo declini ha davanti a sè un’impresa titanica. 

Ma la prima impressione, per chi abbia frequentato la materia in modi meno continui o, per così dire, “approfonditi”, è di una aggrovigliata matassa di interessi spesso anche molto conflittuali, resa inestricabile da decenni di sedimentazioni più o meno disomogenee e più o meno legittime.

Per cercare di districare questa matassa Confcommercio ha presentato un Libro Bianco  che “fotografa” lo stato di salute di infrastrutture e trasporti nel nostro Paese. Il libro ha evidenziando i ritardi delle infrastrutture, della filiera logistica e dei sistemi di trasporto, con dati a dir poco allarmanti. In pratica ci ritroviamo con troppe auto e poche strade nelle quali si viaggia sempre più lenti. Infatti la velocità media attuale nei maggiori centri urbani italiani ricorda da vicino quella raggiunta alla fine del ‘700: oscilla intorno ai 15 km/h e scende fino a 7-8 km/h nelle ore di punta. E’ uno dei sintomi più macroscopici del “congestionamento” delle reti urbane e metropolitane del Bel Paese, con costi sociali ed economici altissimi. E che a sua volta produce effetti difficilmente sostenibili, se non grotteschi, come il fatto che si impieghi più tempo per raggiungere l’aeroporto della Malpensa o di Orio al Serio dal centro di Milano che per viaggiare in aereo tra il capoluogo lombardo e Roma o Trapani. Il sistema di trasporto nazionale sopporta il peso di criticità diffuse e profonde. La congestione delle reti, si legge nel rapporto, è il risultato di un mix micidiale di ingredienti: parco auto circolante, infrastrutture urbane ed extraurbane inadeguate, trasporto pubblico inefficiente, mancanza di parcheggi, tariffe popolari non usate come regolatori della domanda, bassa velocità commerciale e, non ultimo, inquinamento.

 

 

Se l’Italia avesse messo in campo, politiche di miglioramento dell’accessibilità tali da allineare il sistema-paese all’andamento dello stesso indicatore in Germania, si sarebbe registrato un incremento del Pil pari a 142 miliardi di euro, in questi ultimi dieci anni.

Parco veicoli. Con 41,4 milioni di unità l’Italia detiene in questo campo un record mondiale ed europeo. L’aumento, rispetto al 1970, è stato del 271%, a fronte di una crescita dell’intera rete stradale del paese del 34%. Si è dunque passati da 81 a 225 veicoli per ogni km di strada disponibile. In Italia gli investimenti in infrastrutture sono in caduta libera da oltre venti anni: rispetto al 1990 si spende il 35% in meno, a fronte di un aumento del Pil del 21,9%. Il dato appare più allarmante se confrontato con gli altri paesi europei. Nel periodo in esame, ad esempio, la rete autostradale italiana è cresciuta del 7%, contro il 61,8% registrato in Francia e addirittura il +171,6% della Spagna. Così il Bel Paese, che nel 1970 era in questo settore il secondo in tutta Europa, dispone oggi della metà della rete di cui usufruiscono rispettivamente Francia, Germania o Spagna.

Le "incompiute" fonte Confcommercio

Le incompiute.  Aspettano, da quasi mezzo secolo un gruppo di 27 infrastrutture viarie, quelle più spesso invocate (invano) dagli imprenditori sul territorio, in qualche modo cominciate e mai portate a termine. Tutte insieme valgono 31 miliardi di euro ed hanno ormai accumulato ritardi che variano da un minimo di 5 anni a un massimo di 50, l’elenco è lungo e attraversa la penisola da un capo all’altro, isole incluse.(Vedere riquadro).

Se si guarda allo stato di attuazione del PIS (Programma per le infrastrutture strategiche), attualmente valutato oltre 367 miliardi di euro, emerge che solo il 9,3% delle opere è stato portato a termine, oltre metà è ancora in fase di progettazione. E’ senza   dubbio doveroso – si legge nel documento – tenere nella debita considerazione gli effetti che la grave congiuntura economica inevitabilmente stanno esercitando sugli stanziamenti previsti. Le risorse per nuove infrastrutture hanno subito nell’ultimo biennio 2009-2011 una riduzione del 34%, toccando il livello più   basso da venti anni a questa parte. Ed è facile prevedere che il taglio di 18 miliardi negli stanziamenti per il triennio 2012-2014 finirà per pesare soprattutto, ancora una volta, sulla spesa   destinata ad investimenti pubblici. Ma allo stesso tempo, va  ricordata la pericolosa lentezza con cui si stanno utilizzando i 41,2 miliardi di fondi strutturali e FAS stanziati per il quinquennio 2007-2013. Si tratta di stanziamenti destinati a programmi di infrastrutture nazionali (11,7 mld) e regionali (29,5 mld) destinati per l’85% nel Mezzogiorno. Al momento risulta utilizzato solo il 12% delle risorse: il rischio è trovarsi a fine anno obbligati a restituire a Bruxelles 2,6 miliardi di euro, la porzione comunitaria dei fondi FAS stanziati.

 

 

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