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Imprese italiane: 221 mila protesti a 69 mila imprese

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Nei primi tre mesi del 2013 oltre 23 mila imprese italiane non individuali hanno fatto registrare almeno un protesto. Il trimestre nero dei default potrebbe essere seguito da altri mesi altrettanto difficili sul fronte della liquidità aziendale: i dati relativi alle abitudini di pagamento delle imprese italiane non sembrano infatti indicare un miglioramento a breve della situazione.

Tra gennaio e marzo del 2013 sono stati levati 221 mila protesti a 69 mila imprese, in aumento, rispettivamente, del +3,7% e del +2,8% sul 2012. Questi aumenti sono il risultato di diverse dinamiche in atto tra le imprese individuali e le società più strutturate. Da un lato si osserva un calo del fenomeno tra gli imprenditori titolari di ditte individuali, sia in termini di numero di titoli contestati (-2,3%), sia di numero di soggetti protestati (-1,6%). Dall’altro, continua anche nel primo trimestre la corsa dei protesti levati alle società, che tocca un nuovo record: tra gennaio e marzo si contano oltre 23 mila aziende con almeno un protesto, il valore più elevato in tutto il periodo analizzato (+12,6% sui primi tre mesi del 2012). Il forte incremento dei mancati pagamenti riguarda tutto il sistema economico: i dati indicano infatti aumenti con tassi a due cifre rispetto allo scorso anno nei servizi (+15%), nell’industria (+14,7%) e nelle costruzioni (+13,8%). L’edilizia si conferma il comparto in cui il fenomeno è maggiormente diffuso: all’1,7% delle società attive nel settore risulta essere stato levato almeno un protesto nei primi tre mesi del 2013, contro una percentuale che si attesta all’1% nell’industria e allo 0,9% nei servizi. L’incremento dei protesti riguarda tutti i settori manifatturieri, ad eccezione dell’industria dei prodotti intermedi (-12,7%) e dell’hi tech (-7,4%). In ambito industriale, la crescita risulta particolarmente preoccupante nella filiera auto (+25,8%), nella meccanica (+24,9%), nel sistema casa (+24,7%) e nel largo consumo (+19,9%). I protesti crescono anche in tutti i comparti non manifatturieri, con ritmi più elevati tra le imprese che operano nel campo della logistica e dei trasporti (+18,7%, settore in cui la diffusione del fenomeno tocca l’1,8% delle società attive nel settore) della distribuzione (+17,3%), dei servizi non finanziari (+13,1%). Dal punto di vista geografico – dopo un 2012 in cui i protesti avevano fatto registrare una crescita a due velocità, più sostenuta al Centro-Sud rispetto al resto del Paese – nei primi tre mesi del 2013 hanno accelerato i mancati pagamenti anche nel Nord del Paese: il numero di società protestate è aumentato rispetto all’anno precedente a tassi del 12% nel Nord Est e del 9,9% nel Nord Ovest.

I dati di Payline, il database di Cerved Group sulle abitudini di pagamento di oltre 2 milioni di imprese italiane, indicano che tra gennaio e marzo sono aumentati rispetto allo scorso anno i tempi medi di pagamento (a 81,2 giorni dai 79,8 dello scorso anno) e i ritardi nella liquidazione delle fatture, che si sono attestati a 21,1 giorni (19,1). Nel corso dell’anno si è ridotta la presenza di imprese puntuali e tra le PMI con ricavi compresi tra 2 e 50 milioni di euro sono aumentati i gravi ritardi (oltre due mesi), casi che spesso sfociano in mancati pagamenti o in default. La situazione risulta in ulteriore e forte peggioramento tra le PMI che operano nell’edilizia: i giorni di ritardo sono aumentati in media da 20 a 27 giorni, mentre la presenza di società puntuali è diminuita dal 46,5% al 38,9%, con un aumento dei gravi ritardi che hanno superato la soglia del 10%. Qualche miglioramento si osserva invece nei servizi, soprattutto nei settori della distribuzione alimentare soggetti all’entrata in vigore dell’art. 62, che fissa a 60 (o a 30) giorni il tempo massimo di liquidazione delle fatture che trattano beni alimentari. Dal punto di vista geografico, i maggiori ritardi osservati tra le PMI riguardano tutta la Penisola. Le situazioni più critiche si osservano in alcune regioni del Centro-Sud, in cui le PMI pagano con ritardi che superano il mese: in Calabria i pagamenti sono effettuati addirittura 44 giorni dopo le scadenze concordate, mentre in Sicilia i ritardi si attestano a 36 giorni, nel Lazio a 33 e in Campania e Sardegna a 31.
*Osservatorio sui protesti e i pagamenti delle imprese

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Pubblica amministrazione e imprese private: tempi di pagamento biblici

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Nelle transazioni commerciali tra Pubblica amministrazione e imprese private i tempi di pagamento medi presenti in Italia sono pari a 180 giorni, ma nella sanità, ricorda la CGIA, si arriva a pagare anche dopo 4/5 anni, soprattutto al Sud. La media Ue è pari a 65 giorni. Tra le imprese private, invece, il saldo fattura avviene dopo 96 giorni. Solo in Spagna la situazione è peggiore della nostra, mentre il dato medio di pagamento in Ue è di 52 giorni, con una punta minima presente in Germania pari a 35. I dati forniti dalla CGIA di Mestre sono drammatici e ci dicono che tra i grandi d’Europa nessuno può vantare un handicap del genere. “Se a questa situazione – aggiunge il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – aggiungiamo la stretta creditizia in atto e gli effetti della crisi economica che continuano a farsi sentire in misura sempre maggiore, la tenuta finanziaria delle imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, è a rischio con ricadute occupazionali negative facilmente prevedibili.” Nemmeno l’entrata in vigore del decreto di recepimento della Direttiva Europea contro il ritardo dei pagamenti, avvenuto a il 1° gennaio scorso, sembra aver sortito effetto. “Stando alle segnalazioni che ci sono giunte da molti piccoli imprenditori – conclude Bortolussi – la nostra Pubblica amministrazione non starebbe rispettando i tempi di pagamento previsti dalla legge. Per questo chiediamo un intervento dell’Unione europea teso a richiamare il nostro Paese affinché il saldo fattura non superi i 30/60 giorni”.

Copiamo dalla Spagna. Nel 2012 la Spagna ha pagato 27 miliardi di euro alle sue aziende. Come sbloccare una buona parte dei 70 miliardi di euro che le nostre aziende avanzano dallo Stato? Semplice, sottolinea con una punta di sarcasmo la CGIA di Mestre, basta prendere esempio dal Governo spagnolo. Previa intesa con l’Ue, Madrid nel 2012 è riuscita a smobilizzare 27 miliardi di euro di pagamenti arretrati in soli 5 mesi, dando una forte boccata d’ossigeno alle imprese iberiche.

In che modo? Inserendo questa trattativa, a latere degli aiuti ricevuti da Bruxelles, all’interno del “Piano di riforme” che ogni Paese europeo deve presentare entro il mese di aprile. Anche se i tempi sono ormai ridotti al lumicino, auspichiamo che il nostro Presidente, Mario Monti, faccia altrettanto nel prossimo documento governativo, consentendo di smobilizzare una quota importante dei crediti che le nostre aziende vantano dallo Stato senza che questi importi vadano a peggiorare irrimediabilmente il rapporto debito/Pil. Al di là dell’aspetto tecnico c’è un fatto inequivocabile: mentre in Spagna hanno posto al centro dei propri interessi le imprese, da noi, purtroppo, questo non è successo. Nonostante siano stati realizzati ben 4 decreti, dei 70 miliardi di euro che lo Stato deve alle imprese, alla fine ne ha onorati solo 3 milioni.

“Ci troviamo in una situazione kafkiana – commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA – visto che non conosciamo nemmeno con precisione l’ammontare delle risorse che le imprese vantano dalla Pa. Per il ministero sono 70 miliardi, secondo le imprese sono 100, per molti studiosi non è da escludere che si raggiunga addirittura la soglia dei 150 miliardi. Sta di fatto che la mancanza di liquidità contribuisce ad affossare la nostra economia, mettendo in crisi sia le grandi sia le piccole imprese. Per quest’ultime, oltre ai mancati pagamenti del pubblico, continua anche la contrazione dei prestiti erogati dalle banche, con il risultato che la gran parte del 95% di imprese italiane che, ricordo, ha meno di 10 addetti non ce la fa più a rimanere a galla”.

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