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Grafene la materia perfetta

Grafene la materia più perfetta di sempre

Il Grafene è 50 volte più duro dell’acciaio e costa pochissimo. Ci costruiremo i microprocessori di domani. Risolverà la nostra fame di metalli rari. Cancellerà il problema dell’inquinamento delle acque. Il Grafene è come il prezzemolo in cucina, ne basta pochissimo, da combinare a materiali standard come plastica e tessuti.

Il Grafene è stato scoperto da due giovani ricercatori russi Andre Geim e Konstantin Novoselov. Per arrivare alla loro scoperta nel 2004 Geim e Konstantin sono partiti da una punta di matita (fatta di grafite) e un nastro adesivo.

Sono stati i pionieri del Grafene ed hanno ottenuto il Premio Nobel per la Fisica 2010, mettendo in evidenza le interessanti proprietà di questo materiale bidimensionale (2D), quali l’elevata conducibilità, la trasparenza, la impermeabilità e la formidabile durezza tipica del diamante, ma con un elevata flessibilità, pur essendo il Grafene un ultra-sottile e leggerissimo foglietto di grafite che nella sua massa tridimensionale (3D), ha notoriamente proprietà completamente diverse. Continue Reading

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I robot ci ruberanno il lavoro?

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Secondo un recente rapporto presentato nel corso dell’’ultimo meeting del World Economic Forum tenutosi a Davos, entro il 2020 gli androidi occuperanno circa cinque milioni di posti di lavoro e renderanno obsoleto il 47% dei posti di lavoro.

L’indagine si chiama “Future Jobs” e traccia uno scenario già presagito qualche mese fa dall’Università di Oxford. Prende in esame 13 milioni di dipendenti di nove diversi settori industriali e nelle prime 15 economie nazionali del pianeta. Continue Reading

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Tecnologia, geni e mentalità: I tre segreti degli atleti moderni


Se osserviamo i traguardi sportivi degli ultimi decenni, sembra che gli atleti siano diventati più veloci, più bravi e più forti quasi sotto ogni punto di vista. Eppure, come sottolinea David Epstein giornalista investigativo, in questa relazione illustrata alla conferenza del TED (Technology Entertainment Design), sono molti i fattori che entrano in gioco quando si battono dei record. E lo sviluppo dei nostri talenti naturali è solo uno di questi.

“Il motto olimpico è “Citius, Atius, Fortius”. Più veloce, più in alto, più forte. E gli atleti hanno tenuto fede a questo motto, rapidamente. Il vincitore della maratona alle Olimpiadi 2012 ha corso in due ore e otto minuti. Se avesse gareggiato contro il vincitore della maratona olimpica del 1904, avrebbe vinto con quasi un’ora e mezza di scarto. Ora abbiamo tutti la sensazione che, in un modo o nell’altro, stiamo migliorando come razza umana, con progressi inesorabili, ma non ci siamo affatto evoluti in un una nuova specie in un secolo. Quindi che cosa sta succedendo? Voglio dare un’occhiata a quello che c’è realmente dietro a questa marcia di progressi atletici.

Nel 1936, Jesse Owens deteneva il record mondiale dei 100 metri. Se Jesse Owens avesse corso l’anno scorso ai mondiali dei 100 metri, quando il velocista giamaicano Usain Bolt aveva raggiunto il traguardo, Owens avrebbe dovuto correre ancora 4,3 metri. Ed è tanto per un velocista. Per darvi un’idea di quanta distanza sia, voglio condividere con voi una dimostrazione ideata dallo scienziato sportivo Ross Tucker. Immaginatevi lo stadio l’anno scorso in occasione dei mondiali dei 100 metri: migliaia di fan che aspettano col fiato sospeso di vedere Usain Bolt, l’uomo più veloce della storia; i flash scattano mentre i nove uomini più veloci del mondo si abbassano sui blocchi di partenza. E voglio che facciate finta che Jesse Owens partecipi a quella gara. Ora chiudete gli occhi per un momento e immaginatevi questa corsa. Bang! La pistola spara. Un velocista americano scatta davanti agli altri. Usain Bolt inizia a raggiungerlo. Usain Bolt lo sorpassa, e quando gli atleti raggiungono il traguardo, sentirete un bip quando ogni atleta avrà tagliato il traguardo. (Bip) Tutta la gara si conclude qui. Potete aprire gli occhi ora. Il primo bip era per Usain Bolt. L’ultimo bip era per Jesse Owens. Ascoltate di nuovo. (Bip) Se ci pensate in questi termini, non c’è una grande differenza, vero? E poi tenete a mente che Usain Bolt ha iniziato a staccarsi dai blocchi su un tappeto appositamente fabbricato per lui e progettato per consentirgli di correre quanto più velocemente possibile per un uomo. Jesse Owens, d’altro canto, correva sulle ceneri del legno bruciato, e quella morbida superficie gli portava via molta più energia dalle gambe mentre correva. Al posto dei blocchi, Jesse Owens scavava delle buche nella cenere con una paletta da giardinaggio per segnare il punto di partenza. L’analisi biomeccanica della velocità delle articolazioni di Owens mostra che se avesse corso sulla stessa superficie di Bolt, non sarebbe stato dietro di lui di 4,3 metri, sarebbe stato solo a un passo di distanza. Anziché l’ultimo bip, Owens sarebbe stato il secondo bip. Ascoltate di nuovo. (Bip) Questa è la differenza che ha fatto la tecnologia di superficie della pista, ed è successo in tutto il mondo della corsa.

Pensate a un evento più lungo. Nel 1954, Sir Roger Bannister fu il primo uomo a correre il miglio in meno di quattro minuti. Oggi, gli studenti universitari lo fanno ogni anno. In rare occasioni, lo fa un ragazzo delle superiori. Alla fine dell’anno scorso, 1314 uomini avevano corso il miglio in meno di quattro minuti, ma come Jesse Owens, Sir Roger Bannister correva su ceneri morbide che toglievano molta più energia alle sue gambe di quanto non facciano le piste sintetiche di oggi. Così ho consultato degli esperti di biomeccanica per capire quanto si corre più lentamente sulla cenere rispetto che sulle piste sintetiche, e la loro stima è che si corre 1,5 per cento più lentamente. Perciò, se si applica una conversione di rallentamento dell’1,5% a ogni uomo che ha corso il miglio in meno di quattro minuti su una pista sintetica, ecco che cosa succede. Ne restano solo 530. Se si guarda il dato da questa prospettiva, meno di dieci nuovi uomini all’anno hanno corso il miglio in meno di quattro minuti dai tempi di Sir Roger Bannister. Ora, 530 è molto di più di un atleta soltanto, e questo, in parte, è dovuto al fatto che ci sono molte più persone che si allenano oggi e che si allenano in modo più intelligente. Persino i ragazzi dell’università sono professionali durante gli allenamenti rispetto a Sir Roger Bannister, che si allenava 45 minuti alla volta quando saltava le lezioni di ginecologia alla facoltà di medicina. E quel tizio che ha vinto la maratona olimpica nel 1904 in tre ore e mezza, beveva veleno per topi e brandy mentre correva sulla pista. Era quella la sua idea di farmaci per migliorare le performance sportive.

Chiaramente, gli atleti sono anche diventati più esperti di farmaci per migliorare le proprie prestazioni sportive e questo ha fatto la differenza, a volte, per alcuni sport, ma la tecnologia ha fatto la differenza in tutti gli sport, dagli sci più veloci alle scarpe più leggere. Date un’occhiata al record dei 100 metri stile libero di nuoto. Il record tende sempre a scendere, ma è costellato da queste ripide cadute. La prima, nel 1956, è l’introduzione della virata. Al posto di fermarsi e poi girarsi, gli atleti potevano fare una capriola sott’acqua e ripartire subito nella direzione opposta. La seconda, l’introduzione dei canali di scolo ai lati della piscina che consentono all’acqua di scorrere via invece di diventare una corrente turbolenta che ostacola i nuotatori durante la gara. L’ultima discesa è l’introduzione di costumi da bagno interi e a basso attrito.

In tutti gli sport, la tecnologia ha cambiato le performance. Nel 1972, Eddy Merckx stabilì il record per la distanza più lunga percorsa in bicicletta in un’ora a 48,28 km e 1,150 m. Ora quel record è migliorato sempre di più perché le biciclette sono migliorate e sono diventate più aerodinamiche fino al 1996, quando il record si è stabilito a 56,33 km e 0,47 m, quasi 8 km in più della distanza percorsa da Eddy Merckx nel 1972. Ma poi nel 2000, l’Unione Ciclistica Internazionale decretò che chiunque avesse voluto detenere quel record doveva farlo sostanzialmente con gli stessi mezzi che aveva usato Eddy Merckx nel 1972. Qual è il record oggi? 48,28 km e 1,42 m, un grandioso totale di 269,14 m in più rispetto alla distanza percorsa da Eddy Merckx più di quarant’ anni fa. Praticamente tutto il miglioramento in questo record si deve alla tecnologia.

Eppure, la tecnologia non è l’unica cosa che fa avanzare gli atleti. È sì vero che non siamo evoluti in una nuova specie in un secolo, ma il pool genetico negli sport agonistici è certamente cambiato. Nella prima metà del XX secolo, Gli istruttori di educazione fisica e gli allenatori pensavano che il tipo di fisico medio fosse il migliore per tutte le discipline atletiche: statura media, peso medio, indipendentemente dallo sport. E questo si vedeva nel fisico degli atleti. Negli anni Venti, il saltatore in alto medio e il lanciatore del peso medio avevano esattamente la stessa taglia, ma quest’idea è iniziata a sparire, quando gli scienziati sportivi e gli allenatori si sono accorti che, piuttosto di un fisico nella media, è meglio avere fisici altamente specializzati e idonei per certe nicchie atletiche, allora si è verificata una specie di selezione artificiale, un’autoselezione di fisici adatti a certi sport e i fisici degli atleti sono diventati più diversi l’uno dall’altro. Oggi, piuttosto che avere la stessa taglia del saltatore in alto medio, il lanciatore del peso medio è 6,35 cm più alto e 60 kg più pesante. E questo è accaduto in tutto il mondo dello sport.

In effetti, se tracciate un grafico per confrontare altezza e peso un punto per ogni ventina di sport nella prima metà del XX secolo, si avrà una cosa del genere. C’è un po’ di dispersione, ma è raggruppato intorno al tipo di fisico medio. Poi quell’idea è iniziata a svanire, e allo stesso tempo, la tecnologia digitale, prima la radio, poi la televisione e internet, hanno dato a milioni, in alcuni casi miliardi, di persone un biglietto per godersi performance sportive di alto livello. Gli incentivi finanziari, la fama e la gloria degli atleti sono saliti alle stelle, e hanno agevolato standard più alti di prestazioni. Ha accelerato la selezione artificiale di fisici specializzati. Se tracciate un grafico per la stessa ventina di sport oggi, sarà una cosa del genere. I fisici degli atleti si sono differenziati molto di più l’uno dall’altro. E dato che questo grafico assomiglia ai grafici che mostrano l’universo in espansione con le galassie che si allontanano le une dalle altre, gli scienziati che l’hanno scoperto, lo chiamano “il Big Bang dei tipi fisici.”

Negli sport dove l’altezza è apprezzata, come per il basket, gli atleti alti sono diventati più alti. Nel 1983, la National Basketball Association firmò un accordo innovativo che rendeva i giocatori partner dell’associazione, dava loro diritto a una percentuale sulla vendita dei biglietti e dei contratti televisivi. Improvvisamente, chiunque poteva essere un giocatore dell’NBA voleva diventarlo, e le squadre iniziarono a perlustrare il pianeta alla ricerca di fisici che potessero aiutarle a vincere i campionati. Quasi da un giorno all’altro, la proporzione degli uomini nell’NBA che erano alti almeno 2,14 m era raddopiata al 10 per cento. Oggi, 1 uomo su 10 nell’NBA è alto almeno 2,14 m, ma un uomo alto 2,14 metri è incredibilmente raro da trovare tra le persone comuni, così raro che se conoscete un americano tra i 20 e i 40 anni che è alto almeno 2,14 m, c’è il 17 per cento di probabilità che giochi nell’NBA. Cioè, trovate sei persone realmente alte 2,14 m una è nell’NBA ora. E non è solo per questo che i fisici dei giocatori dell’NBA sono unici. Questo è “l’Uomo Vitruviano” di Leonardo da Vinci, le proporzioni ideali, con l’apertura delle braccia uguale all’altezza. L’apertura delle mie braccia è lunga quanto la mia altezza. Probabilmente lo è anche la vostra, più o meno. Ma questo non vale per il giocatore medio dell’NBA. Il giocatore medio dell’NBA è alto un po’ meno di due metri con l’apertura delle braccia di 2,14 metri. Non solo i giocatori dell’NBA sono altissimi, ma sono anche assurdamente lunghi. Se Leonardo avesse voluto disegnare il Giocatore dell’NBA Vitruviano, gli sarebbero serviti un rettangolo e un’ellisse, non una circonferenza e un quadrato.

Perciò, negli sport dove l’altezza viene apprezzata, gli atleti più alti sono diventati più alti. Al contrario, negli sport dove la bassa statura è un vantaggio gli atleti più bassi sono diventati più bassi. La ginnasta femminile media è diminuita da 1,61 a 1,50 metri in media negli ultimi 30 anni, migliorando la proporzione potenza-peso e i volteggi in aria. E mentre i grandi diventavano più grandi e i piccoli più piccoli, la stranezza è diventata più strana. La lunghezza media dell’avambraccio di un giocatore di pallanuoto in relazione al braccio totale è aumentata, migliorando la potenza con cui viene lanciata la palla. Mentre i grandi diventavano più grandi, i piccoli diventavano più piccoli, e gli strani più strani. Nel nuoto, il tipo fisico ideale è torso lungo e gambe corte. Come la lunga carena di una canoa per andare veloci sull’ acqua. E l’opposto risulta vantaggioso per la corsa. Gambe lunghe e torso corto. E questo si vede nei fisici degli atleti oggi. Qui vedete Michael Phelps, il più grande nuotatore della storia, affianco a Hicham El Guerrouj, il detentore del record del mondo sul miglio. Questi uomini sono uno più alto dell’altro di 18 cm, ma a causa dei tipi fisici avvantaggiati nelle loro discipline, vestono pantaloncini della stessa lunghezza. 18 cm di differenza in altezza, e hanno le gambe lunghe uguali.

Ora, in alcuni casi, la ricerca del fisico che possa migliorare la prestazione atletica ha finito per introdurre persone nel mondo delle gare che in precedenza non avevano mai gareggiato, come i fondisti kenioti. Pensiamo che i kenioti siano grandi maratoneti. I kenioti vedono i membri della tribù Kalenji come grandi maratoneti. I Kalenji costituiscono solo il 12 per cento della popolazione keniota e la maggioranza dei corridori professionisti. E in media, si dà il caso che abbiano una specie di fisiologia unica: gambe molto lunghe e molto magre all’estremità, e questo è dovuto al fatto che i loro antenati vivevano a un latitudine molto bassa in un clima molto caldo e secco e ne deriva un adattamento evolutivo di gambe molto lunghe e molto magre alle estremità per raffreddarsi. È lo stesso motivo per cui un calorifero ha serpentine lunghe, per aumentare la superficie rispetto al volume per rilasciare il calore, e dato che la gamba è come un pendolo, più è lunga e magra all’estremità, più risulta efficiente dal punto di vista energetico nel correre. Per vedere in prospettiva le capacità dei Kalenji nella corsa, considerate che 17 americani nella storia hanno corso più velocemente di 2 ore e 10 minuti nella maratona. Sono 3 minuti e 5 secondi a km. 32 Kalenji l’hanno fatto l’ottobre scorso. Questo da una popolazione sorgente grande quanto la popolazione della zona metropolitana di Atlanta.

Eppure, persino la tecnologia e il pool genetico che cambiano negli sport non rappresentano tutti i cambiamenti nelle prestazioni. Gli atleti hanno una mentalità diversa da quella che avevano una volta. Avete mai visto in un film quando qualcuno prende la scossa e viene scaraventato dall’altra parte della stanza? Non ci sono esplosioni. Quello che accade quando si verifica è che l’impulso elettrico fa contrarre tutte le fibre muscolari contemporaneamente, e perciò ci si ritrova dall’altra parte della stanza. In pratica saltano. Questa è la potenza contenuta nel corpo umano. Ma normalmente non abbiamo accesso a tutta questa forza. Il nostro cervello fa da limitatore, impedendoci di accedere a tutte le nostre risorse fisiche, perché potremmo farci male, strappandoci tendini o legamenti. Ma più capiamo come funziona il limitatore, più impariamo a respingerlo solo un po’, in alcuni casi convincendo il cervello che il corpo non correrà un pericolo mortale a causa di uno sforzo maggiore. Gli sport di resistenza e ultra-resistenza ne sono un ottimo esempio. Una volta si pensava che l’ultra-resistenza fosse dannosa per la salute, ma ora ci rendiamo conto di avere tutte queste caratteristiche che sono perfette per l’ultra-resistenza: niente peli e un eccesso di ghiandole suporipare che ci raffreddano mentre corriamo; vite strette e gambe lunghe rispetto alla nostra corporatura; una grande superficie di articolazioni per assorbire gli shock. Abbiamo un arco nel piede che funge da molla, dita del piede piccole che sono migliori per correre piuttosto che per afferrare i rami degli alberi, e quando corriamo, possiamo girare il torso e le spalle in questo modo, sempre tenendo dritta la testa. I nostri cugini primati non possono farlo. Devono correre così. E abbiamo grandi glutei che ci fanno stare eretti durante la corsa. Avete mai guardato i glutei di una scimmia? Non ce li hanno perché non corrono in posizione eretta. E quando gli atleti si sono resi conto che siamo perfettamente adatti all’ultra-resistenza, hanno compiuto imprese che prima sarebbero state inconcepibili, atleti come il corridore di resistenza spagnolo Kilian Jornet. Ecco Kilian che corre sul Cervino. Con una felpa legata in vita. E così ripido che non ci si può neanche correre. Sale con una corda. È una salita verticale di più di 2349 m, e Kilian è andato su e giù in meno di tre ore. Fantastico. E, anche se talentuoso, Kilian non è un mostro fisiologico. Ora che ha l’ha fatto lui, seguiranno altri atleti, proprio come altri atleti venuti dopo Sir Roger Bannister hanno corso il miglio in meno di quattro minuti.

Tecnologia che cambia, geni che cambiano, e mentalità che cambia. Innovazione negli sport, che siano nuove superfici per le piste o nuove tecniche di nuoto, la democratizzazione dello sport, la diffusione di nuovi tipi fisici e di nuove popolazioni in tutto il mondo, e l’immaginazione nello sport, la comprensione di quello che il corpo umano è davvero capace di fare, hanno contribuito a rendere gli atleti più forti, più veloci, più audaci, e più bravi che mai. Grazie mille”.

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#EarthDay2014: Il “Manifesto per un’Europa decrescente“

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In occasione dell’Earth Day 2014 il Decrescita Felice Social Network ha voluto mettere in campo un importante progetto: Il “Manifesto per un’Europa decrescente“. Un documento che ha l’ambizione di tracciare la strada che porta alla costituzione di un’Europa sostenibile ed ecologicamente compatibile. Beni comuni, Riorganizzazione territoriale, sovranità monetaria e area euro, tassazione e burocrazia, consumo di suolo, trasporto, agricoltura, salute e ambiente, lavoro e occupazione, banche e industria, tecnologia ed energia, pubblicità, difesa, sostenibilità e diritti sono i temi toccati in questa prima edizione. Un’alimentazione più sana, un ambiente pulito, una nuova concezione del lavoro slegata dal produttivismo, maggior libertà e autonomia… sono tutti obiettivi a portata di mano, a patto di abbandonare per sempre la logica perversa della crescita infinita. Invitiamo chi contesta le presunte privazioni derivanti dall’adozione della decrescita a riflettere seriamente sui sacrifici, quelli sì veramente dolorosi, necessari per mantenere in vita un Moloch che diventa sempre più crudele ed esigente all’aggravarsi dei sintomi della sua fine – riscaldamento del pianeta, perdita di biodiversità, picco del petrolio ed esaurimento di materie prime. Il Manifesto per un’Europa decrescente è il nostro modo di dissociarci e di proporre un’altra economia, un’altra politica, un’altra società. Mondo alla Rovescia aderisce all’iniziativa.

Beni comuni
Gli elementi fondamentali per la nostra esistenza devono essere pubblici e collettivi

Spesso dimentichiamo che il nostro primo bisogno è respirare, per cui la nostra prima esigenza è garantirci una buona aria che si ottiene non ampliando la produzione, ma limitandola allo stretto indispensabile. Ogni processo produttivo, infatti, comporta la produzione di inquinanti che compromettono l’aria.

Altrettanto indispensabile è l’acqua che forma il nostro corpo umano per il 70%. Un tempo l’acqua non costituiva un problema. I fiumi ne trasportavano in abbondanza e pulita, permettendo a chiunque di utilizzarla per i propri bisogni. Ma con l’avvento dell’industrializzazione e dell’agricoltura ad alta produttività, i nostri fiumi sono diventi cloache chimiche mentre le falde si sono abbassate a livelli di guardia. In conclusione l’acqua sta diventando una risorsa sempre più scarsa di cui il mercato vorrebbe impossessarsi.

E parlando di fiumi, il pensiero corre inevitabilmente alle inondazioni che si susseguono con frequenza crescente a causa di argini troppo deboli o di letti troppo compressi da un eccesso di cementificazione In ambedue i casi il risultato è l’ incapacità di reggere l’urto delle bombe d’acqua che i cambiamenti climatici rendono sempre più frequenti.

Aria, acqua, fiumi, sono solo i primi componenti di una lunga lista che comprende anche clima, mari, laghi, boschi, spiagge, paesaggi e molti altri elementi che assumono il nome collettivo di beni comuni. Beni, cioè, che hanno al tempo stesso la caratteristica di essere indivisibili e fondamentali per l’esistenza di noi tutti. Dal che ne derivano due conseguenze. La prima: non sono privatizzabili. La seconda: vanno gestiti in maniera collettiva attraverso strumenti di rispetto e di riparazione. L’educazione prima di tutto per indurre un comportamento responsabile. E poi l’adozione di norme che fissino criteri minimi di rispetto, e una politica fiscale che incoraggi i comportamenti virtuosi e penalizzi quelli dannosi. Infine l’organizzazione di interventi collettivi per mantenerli in buone condizioni e riparali se danneggiati.

L’Europa deve adottare leggi che indirizzino gli stati aderenti a non privatizzare i beni comuni e ad adottare norme, misure fiscali e di bilancio che li proteggano adeguatamente.

Riorganizzazione territoriale
Una nuova municipalità per una nuova società

La struttura territoriale dell’Europa, suddivisa in nazioni più o meno indipendenti, non risponde più alle esigenze dei cittadini e della loro sostenibilità ambientale. Si rende sempre più stringente la necessità di riorganizzare territorialmente l’Europa. Dovrebbe ad esempio essere ridefinito il concetto di “Comune” rispetto a come lo conosciamo oggi. Non più esclusivamente un luogo con una connotazione geografica di carattere prevalentemente storico, ma un’area omogenea sotto l’aspetto culturale, economico e sociale, con limiti geografici tali da permettere una reale implementazione di una rete di relazioni personali ed economiche.

Le amministrazioni locali diverranno autentici propulsori in una logica di sussidiarietà di tutte le iniziative volte a instaurare una reale economia di transizione e a rafforzare la resilienza, la coesione, l’auto iniziativa e la solidità economica, sociale e culturale delle comunità locali, ivi comprese monete locali, scuole popolari, open source & data (non solo in campo informatico).

Va poi definita l’interazione di queste realtà autonome con le Istituzioni superiori. Proviamo a pensare all’Europa intesa come una rete, non gerarchica, di Municipalità (o eco-regioni) autonome, formate a loro volta da reti concentriche di Comuni, dove sia possibile attuare una “democrazia di prossimità”, ovvero una più avanzata forma di governo popolare che permetta ai cittadini di partecipare a tutti i livelli dei processi decisionali.

Si otterrebbero così piccole unità politiche in grado di garantire i servizi primari e interconnesse tra loro, direttamente controllate dai cittadini, inserite in realtà più grandi: le Municipalità.

Nell’ottica della transizione, ovvero ponendosi l’obiettivo di preparare le comunità ad affrontare la doppia sfida costituita dal riscaldamento globale e dal picco del petrolio, le Municipalità dovrebbero essere dimensionate al fine di aspirare, quanto meno, a garantire l’autosufficienza energetica e alimentare dei cittadini che le abitano.

Le nuove Municipalità quindi devono essere caratterizzate da una certa omogeneità ambientale, ed ovviamente anche storica, culturale e linguistica. Per poter organizzare tutto questo i confini delle Municipalità non devono necessariamente corrispondere ai confini dello Stato così come lo conosciamo oggi, dovrebbero invece poter essere dinamici, quindi facilmente aggiornabili, per poter rimanere in costante contatto e scambio con le Municipalità confinanti, nonché per poter garantire il senso di appartenenza e di identità delle popolazioni che le vivono.

Sovranità monetaria e area euro
Fare dell’Euro un vero bene comune per tutti gli europei

Così com’è strutturata, l’area euro non può certo andare avanti. In assenza di meccanismi in grado di compensare gli eventuali shock asimmetrici (a causa dell’enorme eterogeneità delle diverse economie facenti parte dell’unione monetaria), ovvero di fondi perequativi con cui redistribuire in automatico una consistente parte del gettito fiscale (negli USA la percentuale è del 40% circa) da una regione la cui economia è in espansione a una che è in crisi, le nazioni più deboli sono destinate a collassare, schiacciate dal peso del crescente debito pubblico, da politiche deflattive (come il taglio della spesa pubblica e l’aumento della tassazione) e dall’impossibilità di svalutare la propria moneta.

E’ quello che sta succedendo in Italia, dove una moneta troppo forte e le esigenze di mantenere i conti in ordine, proprio perché è aumentato sia l’ammontare che il costo del debito pubblico, stanno facendo saltare il tessuto di piccole e medie imprese e i distretti, cioè l’asse portante del paese, con la conseguenza che l’unica maniera che il paese ha per “restare competitivo” è quella di abbassare gli stipendi e continuare ad erodere diritti ai lavoratori (cioè convertire i lavoratori al precariato, anche se per ora questo riguarda soprattutto i più giovani).

L’obiettivo primario del SEBC e quindi della Banca Centrale Europea non deve essere solamente il mantenimento della stabilità dei prezzi, ma anche quello di contrastare la disoccupazione, sostenere il credito ai piccoli imprenditori (e in particolari ad artigiani e contadini) e finanziare nuovi investimenti che abbiano come obiettivo la difesa dell’ambiente (ad esempio finanziare progetti per la bonifica e la riqualifica delle zone contaminate, progetti per fermare la degradazione del suolo e l’avanzamento del deserto, la creazione di nuove riserve ecologiche e via dicendo). La BCE dovrebbe intervenire nell’acquisto dei titoli delle Municipalità in difficoltà ogni qual volta il rendimento di questi ultimi aumenta a fronte di una diminuzione del rendimento dei titoli di altre Municipalità dell’unione monetaria (nell’autunno del 2011, ad esempio, i rendimenti dei BTP decennali italiani sono andati ben oltre il 7% dal 4% circa di qualche mese prima, mentre nello stesso periodo il Bund decennale tedesco è passato dal 3,5% circa a rendimenti anche inferiori al 2%).

Tassazione e burocrazia
Combattere la burocrazia per far risorgere la piccola impresa

L’Europa deve essere “amico” del piccolo imprenditore, dell’artigiano, del piccolo commerciante, del contadino o del semplice cittadino che intende praticare l’autoconsumo e la vendita diretta di parte della propria produzione. L’eccessivo peso delle documentazioni imposte per lavorare e di regole tributarie, sanitarie e igieniche gravose stanno portando alla rapida estinzione di queste categorie di lavoratori – il vero fulcro, ad esempio, del dinamismo italiano –, il tutto a vantaggio dei grandi industriali e delle multinazionali straniere.

La rimozione degli ostacoli burocratici e dei pesi fiscali può essere raggiunta dalla creazione di una zona di franchigia legata al reddito (ad esempio 15.000 – 20.000 euro annui), che permetta una completa eliminazione dei vincoli burocratici e una tassazione minima. Promuovere e incentivare i piccoli negozi nei centri urbani e i mercati rionali può avvenire agevolando l’iter burocratico e “liberalizzando” le licenze e le piazze a disposizione dei piccoli commercianti. La rinascita di un’economia locale deve assolutamente passare dalla riscoperta del ruolo del piccolo imprenditore (artigiano o commerciante che sia) e dal ritorno a un’agricoltura contadina.

Consumo di suolo
Preserviamo e riqualifichiamo il bene comune fondamentale, il nostro territorio

Per evitare di essere sempre più dipendenti da prodotti agricoli provenienti dall’estero, iniziare a preservare la fertilità del suolo ed evitare il continuo dissesto idrogeologico, occorre fermare subito la cementificazione del suolo. La riqualifica delle zone abbandonate e le opere di ristrutturazione devono essere incentivate attraverso sgravi fiscali.

Trasporto
Non dobbiamo precipitare dal picco del petrolio!

L’automobile è una forma di trasporto inefficiente (per trasportare una persona occorre spostare più di una tonnellata di ferro, plastica e metalli più o meno rari, con tutto l’ingombro che ne consegue), costosa (se si considerano anche i costi indiretti che vengono scaricati sulla collettività, come gli ingorghi di traffico, gli incidenti stradali e i costi per la costruzione e il mantenimento dell’impianto stradale) e soprattutto inquinante (responsabile di gran parte delle emissioni delle polveri sottili – una delle concause di gran parte delle “malattie della modernità”, tumori inclusi – e delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera).

Occorre investire nel trasporto pubblico, che deve essere economicamente conveniente e affidabile (invece che investire immense somme di denaro in opere faraoniche, come l’alta velocità, occorrerebbe migliorare il servizio dei trasporti pubblici destinati ai lavoratori, garantendo quindi puntualità e pulizia).

Agricoltura, Salute ed Ambiente
L’ambiente deve essere fonte di salubrità, non causa di malattia

L’agricoltura industriale non è sostenibile ancora per molto (essendo completamente dipendente dal petrolio, necessario alla produzione di fertilizzanti chimici, pesticidi ed erbicidi, oltre che per il carburante), è inquinante (è responsabile dei processi di eutrofizzazione e dell’immissione nell’atmosfera di grandi quantitativi di protossido di azoto e gas metano, entrambi gas serra molto più potenti della CO2) ed è responsabile della contaminazione dell’ambiente e del cibo che compriamo con i vari inquinanti organici persistenti (come ad esempio le diossine). Questo tipo di inquinanti provocano gravi danni alla salute umana, ed è scientificamente provato che siano fra i responsabili delle cosiddette “malattie del progresso” (quasi tutti i tipi di tumori, diabete, Alzhaimer, morbo di Parkinson, epatite, eccetera). Occorre incentivare l’agricoltura biologica (con una particolare attenzione alla permacultura) scaricando i costi di certificazione biologica (i cui controlli dovranno essere effettivi e non solo documentali) tramite la tassazione dei prodotti chimici per uso agricolo, liberalizzando completamente la vendita dei prodotti biologici sia nell’azienda, che nei mercati/supermercati locali e garantendo un regime fiscale sostanzialmente più conveniente rispetto all’agricoltura industriale.  Occorre altresì favorire la filiera corta, garantendo analoghi vantaggi alla trasformazione dei prodotti alimentari nei laboratori aziendali anche favorendo l’associazione dei piccoli produttori. Gli OGM devono essere messi al bando sia per un motivo precauzionale (nessuno conosce gli effetti a lungo termine su uomo ed ecosistema), che perché in grado di ibridarsi con le colture tradizionali (come succede per mais e colza, la cui impollinazione avviene per via aerea) e per evitare di portare alla scomparsa del gran numero di varietà di prodotti agricoli di qualità che l’Europa ancora vanta. Per la stessa ragione va incentivato il recupero delle biodiversità coltivata promuovendo le varietà locali e le sementi antiche, favorendo lo scambio delle conoscenze e delle buone pratiche tra zone territoriali limitrofe o ambientalmente similari.

Il modo migliore per occuparsi effettivamente della salute dei cittadini è quello del vecchio adagio di “prevenire è meglio di curare”. La gente spesso si ammala perché si ritrova con un sistema immunitario indebolito da stress, inquinanti di vario genere e una vita sedentaria. L’Europa deve informare in modo efficace i propri cittadini sui pericoli per la salute che a lungo tempo portano stili di vita sbagliati (ad esempio un regime alimentare che preveda l’assunzione di troppi alimenti di origine animale o la mancanza di un’attività fisica costante). Occorre abbassare la soglia di tolleranza minima (che tendenzialmente dovrebbe essere molto vicina a zero) per i vari inquinanti presenti nei prodotti alimentari. Non esistendo, di fatto, studi scientifici che siano in grado di dimostrare che quella “soglia minima di tolleranza” è adeguata anche a livello cronico (cioè per una contaminazione con quella sostanza inquinante per tutti i giorni e per un lungo periodo di tempo) e in caso di interazione con altri inquinanti, dovrebbe sempre prevalere il principio della precauzione. Occorrere eliminare o ridurre al minimo tutte le fonti di contaminazione delle diossine (come ad esempio i prodotti chimici utilizzati nell’agricoltura industriale, i processi di combustione che avvengono per produrre energia o bruciare rifiuti e via dicendo) e dei perturbatori endocrini (come ad esempio il Bisfenolo A, un additivo chimico presente in alcuni tipi di plastica).

Se si vuole creare una società sostenibile nel tempo, ovvero in grado di mantenere uno stile di vita dignitoso anche per i nostri figli, occorre preservare l’ambiente, di cui facciamo parte. La bonifica dei siti inquinati passa dal rispetto del principio “chi inquina paga”, che affinché venga effettivamente fatto rispettare deve avvenire prima di ogni nuovo progetto industriale, che per essere approvato dovrà quindi presentare una copertura assicurativa “consistente”, ovvero in grado di ripagare ogni possibile danno arrecato a terzi e l’eventuale bonifica del sito inquinato. Il rimboschimento dei suoli degradati e a rischio smottamento, insieme alla tolleranza zero per ogni forma di abusivismo edilizio sono necessari per fermare il dissesto idrogeologico del paese. Fiumi e coste devono tornare balneari, per fare questo occorre fermare subito la continua immissione di sostanze inquinanti (e in particolare degli scarichi fognari e industriali) nell’ambiente. L’Europa deve aumentare la superficie protetta da parchi e riserve ecologiche, con particolare attenzione ai parchi marini, indispensabili per riportare la vita nei mari (e il pesce nelle reti dei piccoli pescherecci a conduzione famigliare).

Occorre inserire nella nostra Costituzione la salvaguardia dei diritti degli ecosistemi e degli esseri viventi che ne fanno parte come bene comune e quindi interesse di tutti i cittadini, da preservare e consegnare intatto alle future generazioni di europei.

Lavoro e occupazione
Lavorare di meno per creare più occupazione di qualità

Con una popolazione di oltre 500 milioni di persone, un PIL che è maggiore di quello statunitense e 4,3 milioni di km² di superficie, l’Unione Europea ha tutti i numeri (e le competenze) necessarie per cambiare l’attuale corso della globalizzazione e quindi limitare i suoi devastanti effetti sull’ambiente e le persone. Adeguare le importazioni di merci extra-UE agli standard europei in materia di sicurezza del lavoro, di tutela dell’ambiente e di diritti dei lavoratori metterebbe fine alla continua concorrenza sleale che permette alle grandi multinazionali di ottenere il massimo beneficio dall’attuale globalizzazione ai danni dei lavoratori europei e dello stato di salute del pianeta.

Oltre ad incentivare i disoccupati a diventare piccoli imprenditori (artigiani, commercianti o agricoltori), il modo migliore per contrastare la disoccupazione è quello di disincentivare gli straordinari (tramite una maggiore tassazione) e ridurre l’orario lavorativo settimanale (ad esempio passando dalle 40 alle 34 ore lavorative). Il micro-credito destinato ai piccoli imprenditori deve essere garantito tramite l’istituzione di fondi pubblici e la riduzione della burocrazia necessaria per ottenere i finanziamenti. L’obiettivo del lavoro deve essere quello di procedere verso la riduzione dell’impatto ambientale e del consumo di risorse e verso un uso più efficiente delle risorse della Terra.

L’occupazione deve essere una priorità, ma dobbiamo smetterla di parlare genericamente di “Lavoro” e dobbiamo iniziare a parlare di “Lavoro Utile” ovvero di quell’occupazione orientata alla riduzione degli sprechi e quindi alla ristrutturazione energetica dell’edilizia, energie rinnovabili, riduzione dei rifiuti, filiere corte alimentari e industriali, in un’ottica territoriale, distrettuale. Meno trasporti, meno costi, meno sprechi. In quest’ottica va definita e attuata una direttiva comunitaria che ostacoli il fenomeno dell’obsolescenza programmata così come sta attualmente accadendo in alcuni paesi europei. L’Europa dovrebbe produrre all’interno dell’Unione la maggior parte dei beni necessari a mantenere l’attuale stile di vita.

Devono quindi essere messe in atto tutte le quelle azioni che permettono di ridurre l’import e l’export inutile. Si potrebbe definire un’apposita tassa rendendola proporzionale ai chilometri percorsi da una merce su gomma, prendendo spunto da un meccanismo a scaglioni (ad esempio un’aliquota dell’1% per i primi 100 km, del 10% da 101 a 200 km, del 20% da 201 a 500 km, del 30% da 501 km a 1.500 km e del 40% oltre 1.500 km). Questo provvedimento agevolerebbe l’economia locale, ridurrebbe il traffico  – e quindi le spese per le infrastrutture e gli incidenti –,  oltre che le emissioni di anidride carbonica e altri inquinanti nell’atmosfera.

Banche e Industria
Riportiamole a misura d’uomo

Occorre favorire la presenza di istituti di credito locali a scopo mutualistico (Banche Popolari e Cooperative) e di un’industria di piccola o media dimensione tramite una nuova tassazione che favorisca i piccoli istituti locali e colpisca invece i grandi gruppi bancari. Le piccole e medie imprese sono l’asse portante dell’economia. Una misura locale di un’impresa è da preferire ai grandi gruppi multinazionali. Tassazione e burocrazia devono seguire il principio per cui occorre sempre privilegiare le economie locali e le piccole dimensioni. Le aziende devono diventare il motore di un processo di ristrutturazione e di rilocalizzazione dell’economia locale. Il sistema produttivo deve poter attingere al credito di rete locale, cioè finanziato dal risparmio collettivo raccolto localmente, così come i canali di distribuzione e la rete commerciale devono avere carattere locale. Va da sé che, vista l’importanza della rilocalizzazione economica poiché fondamentale per il sostentamento della società locale, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale. Il rilancio dell’economia locale, ha evidentemente una ricaduta positiva sull’economia globale e può essere intrapresa attraverso molteplici strade.

Tecnologia ed Energia
Da nemiche a migliori alleate dell’ambiente, basta ripensarne l’uso

Occorre investire sulla “tecnologia della decrescita”, ovvero su una tecnologia in grado di far risparmiare risorse naturali, energia e soprattutto rifiuti. Le imprese devono produrre prodotti che siano facilmente riciclabili (per provare a creare un ciclo di riutilizzo delle risorse naturali consumate quotidianamente) e ridurre al massimo gli imballaggi (che devono essere tassati): il vuoto a rendere deve essere incentivato. L’Europa deve incrementare gli sgravi fiscali e finanziamenti a tasso agevolato per coibentare gli edifici abitativi e tramite una convincente campagna mediatica sottolineare il risparmio in termini di denaro (oltre che di inquinamento) che questo comporterebbe.

Liberalizzare la produzione di energia su piccola scala e decentrata (ad esempio tramite gli impianti di co-generazione, il mini-idroelettrico e il mini-eolico), puntare sul risparmio energetico e combattere gli sprechi energetici (sia nel pubblico che nel privato) devono diventare la priorità per il breve termine. Nel medio-lungo termine occorre invece puntare sulla totale eliminazione dei combustibili fossili per la produzione di energia (non solo del carbone, ma anche del gas naturale), per puntare su fonti energetiche rinnovabili e quindi sostenibili anche in un mondo senza più petrolio. Una più oculata illuminazione notturna dei centri urbani (illuminati a giorno) potrebbe portare a un significativo risparmio in termini di bolletta elettrica ed emissioni di anidride carbonica. I grandi gruppi produttori di energia devono tornare di proprietà pubblica e dovrebbero trasformarsi in organizzazioni no profit, per garantire un prezzo più equo dell’energia e non intralciare la produzione di energia a rete.

Pubblicità
Liberiamoci del potenziale letale delle armi di distrazione di massa

La pubblicità è una delle più dannose forme di persuasione della nostra società, una sorta di veicolo dell’infelicità di massa. E’ inoltre noto che gli unici in grado di permettersi grandi budget pubblicitari sono le grandi multinazionali, il tutto a discapito dei piccoli imprenditori, che basano più le proprie fortune sul passaparola e la presenza fisica nell’economia locale. Occorre contrastare l’abuso di pubblicità e l’invasione delle nostre vite da parte del mondo commerciale. Occorre considerare l’introduzione di una imposta (sempre secondo il metodo a scaglioni) e l’aliquota deve essere proporzionale al fatturato del gruppo di riferimento del marchio in questione (ad esempio del 5% dell’importo speso per un fatturato fino a 100.000 euro, del 15% da 101.000 a 1,5 milioni di euro, del 25% da 1,5 milioni di euro a 10 milioni di euro, 40% oltre i 10 milioni di euro). Occorre eliminare tutte le forme di sponsorizzazione di scuole e università, mentre la vendita di bevande e snack nei locali pubblici (scuole, università, ospedali, biblioteche, eccetera) dovrebbe spettare alle sole aziende locali. La reti radio-televisive pubbliche devono ridurre drasticamente la pubblicità (e quindi uscire dalla logica del mercato e tornare ad essere un mezzo in grado di formare la cultura dei cittadini e non la brutta copia di una televisione commerciale).

Difesa
Difenderci… da chi e come?

L’Europa deve tornare ad essere effettivamente indipendente dalle potenze straniere. Occorre costruire un’unione effettiva dell’Europa, con un unico esercito affiancato da Corpi Civili di Pace non armati, e con un’unica politica estera. Questo favorirebbe la chiusura di molte basi militari e la riduzione drastica delle spese militari stesse a favore delle Municipalità.

Sostenibilità e diritti
Un’Europa ecologicamente sostenibile per  diritti reali e tangibili.

Nell’infinità dei nostri bisogni ce ne sono alcuni che assumono il nome di diritti, perché vanno garantiti a tutti, indipendentemente dalla condizione economica, dal genere, dall’età, dalla fede religiosa o dal paese di provenienza. In altre parole vanno garantiti per il fatto stesso di esistere, in quanto attengono alla nostra dignità in quanto esseri umani. Una tale garanzia non è solo una questione di equa distribuzione della ricchezza, ma anche e soprattutto di libero accesso, da parte degli individui, a quelle risorse culturali, sociali e istituzionali senza le quali qualsiasi diritto è di fatto inesigibile.

Il tema dei diritti non può quindi che essere al centro di una progettazione politica socialmente, oltre che ecologicamente, sostenibile. Il grado di civiltà di una società si misura in base al livello di diritti che garantisce ai suoi membri, e tuttavia, perché tale livello possa essere mantenuto nel tempo, occorre una visione di lungo periodo che contempli la garanzia dei diritti delle generazioni future come obiettivo. E’ dunque assolutamente essenziale la nascita di una nuova cultura politica che sappia coniugare l’attenzione per l’ambiente con la preservazione dei diritti e delle libertà fondamentali degli individui, nucleo politico dei regimi liberal-democratici. L’idea centrale è che una società futura sostenibile ma con cittadini privi dei diritti e delle libertà fondamentali sia altrettanto distopica che una società di individui possessori di diritti e libertà mutilate a causa di un ambiente non sufficientemente salubre e/o di insufficienti risorse per esperirli concretamente. Una concezione politicamente liberale dei diritti è compatibile con una prospettiva di sostenibilità di lungo periodo, a condizione che il danneggiamento dei diritti delle generazioni future sia tenuto in debito conto e costituisca tanto un criterio guida per le politiche quanto un limite legittimo ad alcune libertà non fondamentali degli individui. Un’Europa dei diritti deve necessariamente essere un’Europa ecologicamente sostenibile, in quanto unicamente attraverso un ambiente sano i diritti possono essere reali e tangibili.

Una sana economia stazionaria che compensi queste due necessità – non contrapposte, bensì fortemente interdipendenti -, che sappia cioè coniugare rispetto dell’ambiente e diritti delle persone, comporta necessariamente un parziale ripensamento del mercato, e un suo ridimensionamento a una dimensione sostenibile. Ciò è possibile solo dando contemporaneamente maggior spazio alla dimensione comunitaria: rilocalizzare piuttosto che delocalizzare, ri-utilizzare piuttosto che sovra-produrre.

Pur fra mille imperfezioni già oggi si sono istituzionalizzate forme di economia solidale all’interno dei sistemi previdenziale, sanitario de educativo. Se da una parte queste forme di solidarietà comunitaria vanno rafforzate e gestite con maggiore efficienza, dall’altra vanno ripensate radicalmente in un’ottica di sostenibilità.

Occorre in conclusione trovare vie possibili per rompere la dipendenza dell’economia comunitaria dalla crescita. Una via per farlo è attraverso l’incentivazione della partecipazione dei cittadini al funzionamento dei servizi pubblici tramite il loro lavoro. La tassazione del tempo invece che del reddito è probabilmente una strada da perseguire. Ma potrà essere possibile solo se i cittadini si troveranno culturalmente preparati per questo passaggio. Per questo cultura, politica, società ed economia sono indissolubilmente legati al tema dei diritti. Ignorare tale evidenza significa vincolare i diritti alla loro dimensione negativa di opportunità esterne sancite da norme. L’obiettivo è invece l’espansione dei diritti non solo nel loro numero ma anche e soprattutto nella loro intrinseca multidimensionalità.

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Chrys Dancy: L’uomo più connesso del Mondo


Chrys Dancy è un uomo di 45 anni, vive a Denver ed ha conquistato un particolare primato: essere l’uomo più connesso al mondo. Chris ha tracciato la sua vita negli ultimi cinque anni, e ora è collegato a ben 700 sensori alla volta, con centinaia di programmi in esecuzione contemporaneamente. Grazie alla tecnologia Chris ha potuto perdere 45 kg: “So cosa bere, cosa mangiare, quando dormire e quando alzarmi”, per questo motivo l’uomo consiglia a tutti di fare come lui perchè, dice “La mia vita è nettamente migliorata”.

Ha anche spiegato quando e come ha preso il via questo sua nuova vita tech: “È nato tutto cinque anni fa, ho notato che il mio medico iniziava a non tenere il passo con le mie cartelle cliniche. Allo stesso tempo, mi sono preoccupato che il mio lavoro (si occupa ovviamente di computer technology) in rete potesse terminare in qualsiasi momento perché io non riuscivo ad essere abbastanza al passo. A questo punto ho pensato di raccogliere quanti più dati potevo anche in momenti in cui ero impossibilitato a registrarli personalmente”. Così è iniziato il suo rapporto con gli strumenti.

Chrys Dancy porta al polso vari gadget tecnologici come il FitBit o il Pebble Steel  e mentre è nella sua abitazione utilizza un sistema di illuminazione wireless della HUE che può comandare tramite il suo smartphone, si pesa con la bilancia Fitbit smart Aria Wi-Fi  (connessa al Fitbit Flex) e monitora il suo sonno grazie ad un particolare coprimaterasso Beddit ed ovviamente inforca i Google Glass. Anche il suo cane è connesso con un collare che segue ogni suo movimento 24 ore su 24.

“Ho speso gli ultimi quattro anni per collegare i dispositivi che indosso alla tecnologia intelligente della mia casa, instradando tutti i dati attraverso una singola piattaforma online, così posso cercare qualunque cosa della mia vita. Lo chiamo il mio ‘Inner-Net’. E sono sicuro che in futuro tale stile di vita sarà comune per tutti. Entro la fine del decennio non ci sarà un lavoro che non avrà dovuto fare i conti con oggetti intelligenti o computer indossabili”. Chris Dancy, l’uomo più connesso del mondo.

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