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23 miliardi il costo degli sprechi e della corruzione nella Sanità

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In Italia la sanità muove circa 115 miliardi di euro di spesa pubblica (pari al 7,3% del Pil) e circa 30 miliardi di euro di spesa privata, per un totale, tra pubblica e privata, superiore al 9% del Pil. La filiera produttiva del settore sposta più di 152 miliardi di euro (calcolati sommando il valore aggiunto diretto e indiretto), pari all’11,2% del Pil, e vede un numero totale di addetti di 1 milione 570 mila unità circa (pari al 6,4% dell’intera economia nazionale). Sui 115 mld di spesa sanitaria del 2013, bruciati 6,4 mld per corruzione, 3,2 mld per inefficienza e 14 mld per sprechi di risorse. Oltre 23 miliardi è quindi il costo finale di corruzione. Meno casi a Bolzano, Valle d’Aosta, Trento, fenomeno diffuso in Sicilia (41%), Calabria e Campania. Ma se ne può uscire e gli strumenti non mancano. I dati dal Libro bianco Ispe-Sanità sulla ‘Corruption’ e il Rapporto Trasparency-Rissc su ‘Corruzione e sprechi in sanita’. 

Dall’estratto del report su “Corruzione e Sprechi in Sanità” nel 2013 nel settore sanitario emergono alcune caratteristiche che rendono la Sanità particolarmente vulnerabile alla corruzione. L’indagine individua cinque ambiti particolarmente permeati da fenomeni corruttivi: nomine, farmaceutica, procurement, negligenza e sanità privata. In dettaglio per ogni ambito sono stati individuati diversi potenziali fenomeni:

Nomine: ingerenza politica, conflitto di interessi, revolving doors, spoil system, insindacabilità, discrezionalità, carenza di competenze.
Farmaceutica: aumento artificioso dei prezzi, brevetti, comparaggio, falsa ricerca scientifica, prescrizioni fasulle, prescrizioni non necessarie, rimborsi fasulli.
Procurement: gare non necessarie, procedure non corrette, gare orientate o cartelli, infiltrazione crimine organizzato, carenza di controlli, false attestazioni di forniture, inadempimenti-irregolarità non rilevate.
Negligenza: scorrimento liste d’attesa, dirottamento verso sanità privata; false dichiarazioni (intramoenia); omessi versamenti (intramoenia).
Sanità privata: mancata concorrenza, mancato controllo requisiti, ostacoli all’ingresso e scarso turnover, prestazioni inutili, false registrazioni drg, falso documentale.

Rispetto alla corruzione, l’Italia figura agli ultimi posti delle classifiche internazionali: nel 2012 si è piazzata al penultimo posto in Europa nel ranking del CPI, l’indice di percezione della corruzione del settore pubblico e politico, con un voto di 42 su 100 (ultima in classifica la Grecia, con 36/100). Nel Wordlwide Governance Index di Banca Mondiale, alla voce “control of corruption” l’Italia scende da 77,1/100, miglior risultato ottenuto nel 2000, a 57,3 del 2011. Il Barometro Globale della Corruzione (GCB) pubblicato da Transparency International nel luglio 2013, mette in luce come i cittadini italiani considerino la corruzione un problema molto serio per la pubblica amministrazione, soprattutto a causa del proliferare di clientelismo e nepotismo.

Negli anni recenti, la Corte dei Conti ha rilevato che in sanità “si intrecciano con sorprendente facilità veri e propri episodi di malaffare con aspetti di cattiva gestione, talvolta favoriti dalla carenza dei sistemi di controllo” e che “il settore sanitario presenta livelli inaccettabili di inappropriatezza organizzativa e gestionale che vanno ad alimentare le già negative conseguenze causate dai frequenti episodi di corruzione a danno della collettività”.

  • Il tasso medio stimato di corruzione e frode in sanità è del 5,59%, con un intervallo che varia tra il 3,29 e il 10% (Leys e Button 2013). Per la sanità Italiana, che vale circa 110 miliardi di Euro annuo, questo si tradurrebbe in circa 6 miliardi di euro all’anno sottratti alle cure per i malati.
  • Il rischio di corruzione nell’acquisto di dispositivi per terapia meccanica, radiologica, elettrica e fisica è pari al 11-14%, secondo uno studio di PriceWaterHouse- Cooper (PwC 2013).
  • Nella percezione dei cittadini, la sanità (in particolare i servizi che seguono le gare e gli appalti) è un settore corrotto. Il 40% degli Italiani intervistati – contro il 30% della media UE – ritiene che la corruzione sia diffusa tra coloro che lavorano nel settore della salute pubblica, percentuale che sale al 59% per i funzionari che aggiudicano le gare d’appalto (media UE 47%), superati solo dai politici a livello nazionale (67% Italia, 57% UE).
  • Secondo il Bribe Payers Index 201110 la sanità si colloca al settimo posto, ma è probabilmente il settore in cui i cittadini, specie i più deboli, pagano, anche con la vita, i costi altissimi della corruzione.
  • Lo spreco di denaro pubblico negli appalti pubblici corrotti o sospetti (i casi con sospetta corruzione) è pari al 18% del budget complessivo dell’appalto, di cui il 13% deriva dal costo diretto della corruzione, sostiene PWC.

Da un’indagine europea dell’università di Gothenburg, riportata nel Libro bianco emerge che, su 18 Paesi, l’Italia occupa la terza posizione per attendibilità dei media sulla corruzione, ma l’11esima per segnalazioni dei cittadini di ‘pagamenti di corrispettivi non dovuti’ e 10ma nell’indicatore generale di “corruzione in istruzione, sanità e servizi pubblici”. La stessa indagine indica differenze regionali importanti nella sanità italiana. Tra le 172 regioni europee si registra un divario tra la nona posizione ottenuta da Bolzano per qualità della sanità e la 170esima della Calabria. Per equità Bolzano è al 50esimo posto mentre la Calabria ancora al 170esimo. Per quanto riguarda invece il ‘pagamento di tangenti’ la Valle d’Aosta si pone al 71esimo posto seguita dalla Sardegna (84) e , a grande distanza Calabria (156) e Campania (164). L’indicatore più generale di ‘corruzione nei servizi pubblici’ vede nelle posizioni più lusinghiere Bolzano (13), Valle d’Aosta (18) , Trento (20) e nelle ultime posizioni Sicilia (148), Calabria (154) e Campania (157).

La lottizzazione politica della sanità è talmente evidente che nessuno è in grado di smentirla. La stessa commissione di parlamentari che ha analizzato il fenomeno della corruzione in sanità evidenzia tale anomalia: “La mancanza di autonomia dell’amministrazione sanitaria, a fronte delle spinte che possono talora derivare dalla politica, in un settore dove si spende la gran parte delle risorse pubbliche a livello regionale, è certamente concausa delle cattive gestioni, sia degli acquisti che dei rapporti con gli erogatori del privato accreditato. Dall’istruttoria svolta dalla Commissione è emersa la necessità di introdurre normative che valorizzino l’autonomia dell’azienda sanitaria dalla politica, attraverso l’individuazione di criteri di selezione del direttore generale funzionali a tale obiettivo e basati unicamente sulla ricerca del merito, inteso come possesso di adeguata qualificazione tecnico-professionale. Analogamente, con riferimento alle nomine delle figure dirigenziali non apicali, quali i direttori di struttura complessa delle Aziende sanitarie, è emersa come abbisognevole di mitigazione la troppo ampia discrezionalità di cui gode il direttore generale, mediante introduzione di norme che privilegino maggiormente l’aspetto delle competenze professionali, ancor più decisive con riguardo a soggetti che certamente devono restare estranei a rapporti di fiducia e contiguità con gli organi di direzione politica”.

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Un sistema corrotto

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Lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri Renzi e al Ministro dell’Interno Alfano, inviata da Lorena La Spina Segretario Nazionale dell’A.N.F.P. (Associazione Nazionale Funzionari di Polizia). La collusione mafiosa tra politica, pubblica amministrazione e settore imprenditoriale sono ostacoli formidabili alla crescita economica e al benessere della popolazione. La corruzione impoverisce la società, l’economia e la democrazia del Paese. Un male da estirpare alla radice.

I temi della legalità e della sicurezza meritano una presa di posizione seria e definitiva. Abbiamo dimostrato con studi e ricerche che le attività illegali alterano la competizione ed il mercato e costituiscono un costo aggiuntivo per le comunità ed i territori ove esse allignano. In Italia il peso dell’economia sommersa è stimato, secondo i dati della Banca d’Italia, al 31% del PIL. Le mafie frenano la crescita del Paese e nelle regioni del meridione impediscono di fatto lo sviluppo economico ed imprenditoriale. L’influenza della criminalità organizzata e dei reati commessi dai c.d. colletti bianchi determina, tra l’altro, un aumento del costo dell’accesso al credito per le imprese, i cittadini e le banche, con effetti fortemente afflittivi sull’iniziativa economica.

Ci sembra quindi che, proprio nell’attuale contesto, la crisi economica ed il considerevole debito pubblico che grava sul bilancio del nostro Paese, rendano quanto mai attuali una serie di considerazioni, in particolare, in tema di lotta alla corruzione. Ed infatti, appare ormai certo il contributo dei fenomeni legati al malaffare ed alla collusione tra politica, pubblica amministrazione e settore imprenditoriale nella creazione di un’enorme voragine dei conti dello Stato, da cui conseguono l’impoverimento del welfare, la perdita di credibilità delle istituzione e degli organi di rappresentanza.

La crisi ha paralizzato la crescita, annientato lo stato sociale, impoverito i consumi, ma non il malaffare e l’illegalità, che anzi appaiono irrobustiti proprio grazie al disordine morale, alla crescente indifferenza per le regole, alla tolleranza nei confronti del familismo e del clientelismo, che si nutrono di relazioni opache e lievitano nel clima economico informale e nell’incertezza delle garanzie.

Recentemente, la Commissione ha ricordato nel suo primo report sulla corruzione in Europa, che per l’Italia essa ha un valore di circa 60 miliardi l’anno, pari a circa il 4% del Pil. Quei 60 miliardi sono la metà di quello che l’economia europea perde annualmente per casi di corruzione, ovvero 120 miliardi.

La corruzione, e più in generale l’illegalità, la criminalità e l’inefficienza amministrativa — tutti fenomeni strettamente collegati — sono ostacoli formidabili alla crescita economica e al benessere della popolazione e determinano una grave lesione della qualità della democrazia e della convivenza civile.

Un sistema politico ad alta densità di corruzione intacca alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni rappresentative e le legittima. La corruzione, in altri termini, non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici, ma produce un grave deficit di democrazia: da un lato, perché incide negativamente sulla competizione elettorale – che della democrazia è il meccanismo procedurale per eccellenza – poiché assegna risorse addizionali e un vantaggio concorrenziale proprio ai meno onesti, ai più spregiudicati e abili nel reinvestire le tangenti nelle campagne elettorali e nella costruzione delle loro reti clientelari; dall’altro, perché minaccia il sistema e lede il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, anche attraverso l’introduzione di elementi di arbitrarietà nelle politiche di controllo e vigilanza e nella produzione di norme che finiscono per diventare largamente assolutorie della corruzione medesima, specie ove la stessa si concretizza come procedura asseritamente difensiva per la rimozione di ostacoli, come pratica di condoni e scudi, come smantellamento del sistema dei controlli e delle autorizzazioni.

La corruzione impoverisce la società, l’economia e la democrazia del Paese, perché si alimenta del denaro pubblico e, violando la trasparenza delle regole (per esempio quelle per l’aggiudicazione degli appalti nelle “Grandi opere” o nei lavori pubblici ordinari), compromette il fondamentale principio che presiede al contenimento dei costi: competenza su una posizione di parità.

Le misure auspicate dal Governo in materia di semplificazione dovranno necessariamente essere accompagnate da una pratica di vigilanza e da un controllo rigido su procedure, transazioni, appalti, incarichi, giacché la corruzione cagiona danni incalcolabili alle risorse dei contribuenti, al circolo virtuoso che dovrebbe alimentare la libera concorrenza ed il mercato, ai potenziali competitori. In tal senso, nel salutare con estrema soddisfazione la nomina del Dott. Raffaele CANTONE alla guida dell’Autorità anticorruzione, ci auguriamo che il nuovo esecutivo assicuri il massimo impegno affinché la medesima sia concretamente posta in grado di assolvere, con tutti gli strumenti necessari, il gravoso e strategico compito che le è affidato.

Queste considerazioni valgono, in particolare, per gli incarichi e gli appalti della Pubblica Amministrazione e per il tema rovente del pagamento dei crediti maturati. Le proposte che Confindustria ha indirizzato al Governo abbracciano diversi campi, sui quali spicca lo sblocco immediato di 48 miliardi in due anni per i debiti della PA.

Richiesta sacrosante, che hanno anche un effetto secondario da non sottovalutare: il diffondersi della precarietà, l’indebitamento, la crescita dell’insicurezza, l’indisponibilità del sistema bancario e finanziario a dare assistenza alle aziende in crisi le rende permeabili alla penetrazione della criminalità, che approfitta della loro vulnerabilità per integrarsi nell’economia “legale”.

Ciononostante, proprio in questo clima di insicurezza e arbitrarietà, a fronte della precarietà del sistema dei controlli, da anni impoverito per non dire demolito, è indispensabile procedere ad un’accurata selezione delle priorità e ad un’attenta analisi della legittimità delle richieste.

La grande massa dei debiti maturati riguarda, infatti, un numero considerevole di piccole e medie imprese, di ditte artigianali, la cui sopravvivenza è “in forse”. Ma tra le richieste spiccano anche quelle di aziende che hanno mostrato una colpevole disinvoltura, delle quali sono state accertate frequentazioni discutibili e alleanze opache. Alcune sono sotto inchiesta per tangenti, per pratiche speculative, per corruzione. C’è da sospettare che, in certi casi, si tratti proprio di soggetti su cui gravano precise responsabilità del disastro economico e morale in cui versa il nostro Paese, gli stessi che hanno contribuito a generare il nostro debito pubblico e a rendere sempre più inadeguato e povero il nostro stato sociale, ai danni delle categorie più deboli e bisognose.

Sarebbe auspicabile, dunque, predisporre procedure di indagine e valutazione certe, vere e proprie linee guida ed appropriati format, anche con la collaborazione della Corte dei Conti, affinché sia possibile procedere ad una verifica preventiva in ordine alla legittimità delle procedure utilizzate per le aggiudicazioni e ad un vaglio dei debiti superiori ad una soglia prestabilita, in modo da proporre all’interlocutore privato una ragionevole transazione basata sui valori di mercato e sui costi standard di prodotti e prestazioni.

Si pensi, in particolare, ai debiti maturati dal sistema sanitario, che rappresenta la voce più onerosa e maggiormente soggetta ad arbitrarietà ed a pratiche di corruzione, secondo la stessa Corte dei Conti.

Si tratta di un tema che interessa molto da vicino anche gli operatori della Polizia di Stato, che vanta un credito riguardante la completa copertura dell’indennità perequativa una tantum 2012-2013 (volta ad attenuare i gravissimi effetti del blocco economico), l’adeguamento delle retribuzioni all’indice ISTAT e il reperimento dei fondi alternativi per la sospensione del blocco prorogato a tutto il 2014.

Riteniamo con serena convinzione che proprio in questo clima di incertezza e sfiducia, i debiti contratti con i tutori delle forze dell’ordine dovrebbero senz’altro comparire tra quelli privilegiati, giacché la soddisfazione delle loro legittime richieste è garanzia della sicurezza stessa della collettività e delle istituzioni.

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La corruzione ci ruba il futuro

Fonte franzaospagnapurchesemagna

La corruzione ci ruba il futuro, in tutti i sensi. Siamo il Paese più corrotto in Europa con un giro d’affari di 62 miliardi di euro all’anno. Una mega tassa occulta che impoverisce il paese sul piano economico, politico, culturale e ambientale. La corruzione costa ma non tutti pagano allo stesso modo. A farne le spese sono le fasce deboli, i poveri, gli umili, le cooperative sociali che chiudono, gli enti che sono costretti a tagliare sull’assistenza, sulle mense scolastiche e non ce la fanno ad andare avanti. Un cancro che mina quotidianamente il rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni, alimentando un clima diffuso di sospetto. È possibile tentare una stima, per quanto grezza e approssimativa, dei costi economici della corruzione. Secondo la World Bank, nel mondo sono pagati ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti, va sprecato a causa della corruzione circa il 3 per cento del PIL mondiale. Applicando questa percentuale all’Italia, nella sola dimensione monetaria si calcola che annualmente l’onere sui bilanci pubblici è nella misura prossima a 50-60 miliardi di euro l’anno, costituenti una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini. Detta altrimenti, la corruzione peserebbe per circa mille euro annue su ciascun individuo. Un diverso sondaggio – il Global corruption barometer di Transparency International – nel 2010 conferma l’ordine di grandezza della prassi quotidiana della corruzione: nell’anno precedente il 13 per cento degli italiani ha pagato tangenti per ottenere almeno uno tra nove diversi servizi pubblici (in settori come sanità, giustizia, polizia, utilities, fisco, istruzione, etc.), quando la media tra i Paesi dell’Unione Europea è del 5 per cento. Nell’ultima rilevazione del 2011 l’Italia mantiene una posizione di coda: il 12 per cento dei cittadini italiani si è visto chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti, contro una media europea dell’8 per cento. In termini assoluti, questo significa il coinvolgimento personale, nel corso di quell’anno, di circa 4 milioni e mezzo di cittadini italiani in almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti.

Politici corrotti. Nell’ultima legislatura, tra il 2008 e il 2012, sono stati 90 i parlamentari indagati, condannati o arrestati per corruzione, concussione, truffe e abuso d’ufficio, di cui 59 del PDL, 13 del PD e 8 dell’UDC, circa il 10 per cento di quelli che siedono alla Camera o al Senato. Nello stesso periodo, gli amministratori locali coinvolti da inchieste giudiziarie per gli stessi reati sono stati circa 400, di cui 110 del PD e quasi il triplo del PDL. Ma le pendenze o i precedenti penali di un politico non precludono di norma alla ricandidatura, né alla rielezione. Così, nonostante le disposizioni contrarie del codice di autoregolazione approvato dalla commissione parlamentare antimafia, 45 condannati – 5 per associazione mafiosa, 34 per usura ed estorsione, 2 per riciclaggio, 4 sorvegliati speciali – hanno trovato posto nelle liste delle elezioni amministrative del 2010, 11 di essi sono stati eletti.

Da più di vent’anni, quelli trascorsi dall’avvio di “Mani pulite”, la questione della persistenza di sacche di corruzione sistemica in Italia entra a fasi alterne nel discorso pubblico, di solito quando un nuovo scandalo investe esponenti politici di spicco attirando l’attenzione dei mass media. La vicenda processuale si trascina poi stancamente tra lungaggini procedurali e artifici dilatori degli avvocati, i riflettori si spengono, il più delle volte la prescrizione azzera l’iter prima del giudizio definitivo. Ne conseguono due effetti speculari: per un verso si rafforza l’aspettativa di impunità dei protagonisti; per un altro cresce il senso di impotenza degli spettatori. Le vicende di corruzione, quando emergono, spesso rivelano una trama di accordi sotterranei tra attori pubblici e privati, dove obbligazioni e impegni – di ordine politico-affaristico – sono disciplinati da vere e proprie norme non scritte, note a tutti e della cui applicazione si fanno carico garanti specializzati, differenziati a seconda dei centri di spesa in gioco. Tra di essi, a seconda dei contesti, spiccano le figure di boss politici, dirigenti di vertice dei partiti, alti burocrati, faccendieri, impresari, capimafia, gran maestri della Massoneria, o altri soggetti capaci di regolare, dare ordine e prevedibilità alle relazioni tra i partecipanti al gioco della corruzione. A segnare una discontinuità col recente passato di “Mani pulite”, l’autorità dei vertici dei partiti pesa sempre di meno nell’organizzare in forma centralizzata i flussi di tangenti, la prassi della corruzione e le risorse utilizzate per promuoverla rispecchiano piuttosto un equilibrio policentrico.

Anche i partiti possono dare ordine e prevedibilità alle attività di raccolta e distribuzione delle tangenti. Dove dispongono di sufficienti risorse di potere e di influenza nell’assegnazione dei contratti pubblici e sulle carriere politiche e amministrative, essi giocano il ruolo di arbitri nell’osservanza delle norme non scritte che regolano le condotte dei partecipanti alla corruzione, l’adempimento degli impegni presi, la socializzazione dei “nuovi entrati” alla gestione delle tangenti. I vertici dei partiti, in altre parole, si fanno garanti della buona reputazione degli imprenditori di riferimento, in passato già sicuri e solleciti erogatori di finanziamenti, raccordando l’erogazione di favori clientelari al riciclaggio dei proventi delle tangenti nei bilanci ufficiali, attraverso il tesseramento. “Con i proventi derivanti dalle tangenti io, ad esempio, pagavo le tessere degli iscritti della mia sezione e, in occasione dei vari rinnovi delle cariche, controllavo un pacchetto di tesserati e di voti che mettevo a disposizione di coloro che il mio principale referente (…) mi indicava di volta in volta (…). Il mio pacchetto di voti e di tessere, così come il mio appoggio a questo o quel candidato, io lo mettevo sul tavolo del partito al momento in cui doveva essere rinnovata la mia carica o avere un altro incarico”. Questa la ricostruzione di un politico milanese (Fonte Nascimbeni, E. e Pamparana, A., Le mani pulite, Milano, Mondatori, 1992, p. 160).

Politici, partiti, imprenditori e cartelli che avviano rapporti nascosti di scambio coi burocrati e i dirigenti cercano di comprare la loro collaborazione nelle scelte più tecniche, oppure il loro silenzio sulla sottostante corruzione. In cambio offrono una quota delle tangenti che circolano, oppure una protezione delle loro carriere amministrative, da cui dipende un esercizio relativamente stabile delle loro competenze. Nel caso dei manager delle società pubbliche, il prezzo della protezione politica indispensabile per la loro nomina o conferma può essere monetizzato. Un manager che deve la sua posizione – e rimette periodicamente in gioco il rinnovo – a seguito del gradimento dei vertici di un partito o di un politico avrà tutto l’interesse a convogliare nelle loro casse parte delle tangenti ricevute dalle imprese con cui entra in affari.

La cultura del pizzo. Questa la ricostruzione di un ex killer di camorra:“A Napoli c’è proprio una cultura del pizzo. L’imprenditore che vince l’appalto già è convinto che deve pagare. E a volte è lui che ti viene a cercare (…). Nel periodo della metropolitana c’è stata una specie di Tangentopoli. Un politico, del quale non ricordo il nome, non so che cosa aveva fatto, si era messo in mezzo e aveva bloccato alcune cose. A me fu dato incarico di malmenarlo soltanto. Lui stava mangiando con la scorta in un ristorante di via Cilea (…). Entrai e gli detti una serie di ceffoni. Solidità e stabilità delle reti della corruzione sono dunque un effetto collaterale della presenza di organizzazioni criminali capaci e disposte a offrire servizi di salvaguardia di aspettative in gioco negli scambi sotterranei, indirizzando ai politici corrotti i pacchetti di voti controllati: «La ’ndrangheta ha bisogno della politica e i politici hanno bisogno della ’ndrangheta. Il patto si fa prima: a loro i voti a noi i cantieri», è la sintesi di un collaboratore di giustizia.” 

Basta. La classe politica di questo paese è chiamata a fare delle scelte chiare, nette e concrete. Non ci sono più alibi. Il tempo è scaduto. Bisogna approvare il disegno di legge anticorruzione. Bisogna dire basta a chi ruba. E’ quello che hanno chiesto a viva voce oltre un milione e mezzo di italiani firmando le cartoline con cui Libera ed Avviso pubblico hanno sollecitato l’effettivo recepimento delle convenzioni internazionali contro la corruzione. Cartoline consegnate al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che anche in questi giorni ha richiamato più volte le forze politiche presenti in Parlamento all’adozione di provvedimenti legislativi attesi da troppo tempo.

Il disegno di legge attualmente in discussione al Senato cerca di attuare un’importante riforma, ma viene fortemente ostacolato: a parole tutti sono contro la corruzione, tutti si sono indignati in questi giorni per alcune vicende veramente disgustose, ma non basta più indignarsi. Bisogna muoversi.

Scarica il dossier “Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce e inquina il paese” – formato pdf (683.75 KB)

La politica delle mani pulite. Leggere le parole di Sandro Pertini (1896-1990) oggi, nella crisi politica ed economica in cui stiamo precipitando, fa molta impressione. Si capisce dai suoi appelli e dalle sue denunce allarmate che il male lo si poteva scorgere già allora e che allora bisognava reagire e intraprendere un altro percorso. Ma la politica non ha voluto cambiare. Questi sono i risultati.

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