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Welfare: Sì ai tagli per colpire gli sperperi, ma più trasparenza

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Il 58% degli italiani è convinto che molti dei tagli nel welfare siano stati utili per colpire sperperi e inefficienze. Ma per il 71% ci sono ancora troppi sprechi nella sanità: 13,5 milioni di italiani hanno saltato le liste d’attesa grazie a conoscenze e raccomandazioni. Questi i dati dell’ultima ricerca realizzata dal Censis in collaborazione con il Forum Ania-Consumatori. Gli italiani tollerano sempre meno inefficienze, sprechi, comportamenti opportunistici, tanto più in un ambito che dispone di risorse pubbliche sempre più scarse e dovrebbe garantire il massimo della trasparenza nell’utilizzo delle risorse. Continue Reading

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Più di 4 italiani su 10 fanno la spesa dal contadino

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Più di 4 italiani su 10 (43%) nel 2016 hanno fatto la spesa dal contadino nei cosiddetti mercati degli agricoltori con un aumento record del 55% negli ultimi 5 anni, in netta controtendenza rispetto al calo dei consumi alimentari dovuto alla crisi. Continue Reading

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Contro gli sprechi di suolo, di cibo e di spazi abbandonati

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Lo spreco è parte fondamentale e inalienabile del modello consumistico che induce comportamenti patologici nell’acquisto di merci né indispensabili né utili. Alla stessa maniera il territorio è stato sprecato non per abitare, produrre, muoversi, ma per ottenere i massimi vantaggi economici che l’aberrazione di dette necessità poteva consentire. Il territorio è pieno di oggetti vuoti e/o inutilizzati. Tra la città che cresce in altezza e quella che cresce in densità vi è una soluzione facilmente praticabile: la città che decresce negli sprechi. Recuperare, riusare, riciclare (così come con gli oggetti) i manufatti e il territorio degradato è ormai l’unica salvezza.

“Per l’agricoltura mettere uno stop allo spreco di suolo è un obiettivo primario. Dal 2012 a oggi si sono persi 80 mila ettari di terra fertile, 2 milioni negli ultimi vent’anni, a causa della cementificazione, dell’incuria, del degrado (dal 1985 ad oggi cancellati dal cemento 160 chilometri di paesaggi costieri). Allo stesso tempo cresce il numero di edifici, terreni, spazi abbandonati che, se recuperati, potrebbero creare valore aggiunto se non posti di lavoro. E’ chiaro, quindi, che ora bisogna muoversi tempestivamente lavorando in due direzioni: da un lato accelerare l’approvazione del ddl sul “contenimento del consumo di suolo”, che è in ballo da 4 anni; dall’altro promuovere il coinvolgimento e l’impegno delle comunità per attivare un diffuso riuso di beni e aree inutilizzate tramite progetti semplici, economici e facilmente realizzabili, rendendole nuovamente fruibili a fini sia sociali che economici. Ma lo spreco non è solo quello infrastrutturale, non bisogna dimenticare anche quello alimentare. Secondo uno studio della Fao, un terzo del cibo prodotto a livello globale, circa 1,3 miliardi di tonnellate l’anno per un valore di quasi un trilione di dollari, viene perso o sprecato (5,1 milioni in Italia). Una vergogna dal punto di vista etico, se si pensa che queste risorse potrebbero essere usate in prospettiva per far fronte ai bisogni degli 870 milioni di persone nel mondo che sono cronicamente sottoalimentate o malnutrite. C’è bisogno, insomma, di maggiore consapevolezza solidaristica da parte di tutti nonché di continuare a lavorare sullo sviluppo e l’implementazione di programmi di prevenzione dei rifiuti e di sostegno a tutte le iniziative pubbliche e private per il riciclo e la donazione dei prodotti alimentari invenduti e contro lo spreco”. Dino Scanavino, presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani

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Gli italiani sprecano 1 kg di cibo a settimana

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Ogni anno in Italia vengono prodotte 5,6 tonnellate di eccedenze alimentari che equivalgono a 12,6 miliardi di euro buttati nella spazzatura. Attualmente in Italia ogni persona spreca 146 chili di cibo in un anno. Prima che il cibo giunga nei piatti, se ne perde in Italia una quantità che potrebbe sfamare per l’intero anno tre quarti della popolazione della penisola. Cibo non recuperabile che dovrà essere smaltito come rifiuto:  un costo economico per le famiglie e un costo ambientale per la società. Ogni anno l’UE getta via 90 milioni di tonnellate di cibo. Ogni giorno in Europa si sprecano 720 Kcal di cibo a persona che portano allo spreco di 18 mc di acqua e allo spreco delle risorse naturali di 334 mq di terra arabile.

La percezione dello spreco è del 50% inferiore ai numeri reali. L’opinione pubblica indica come maggior fonte di sprechi la grande distribuzione, forse non ci si rende conto che il piccolo spreco moltiplicato per il numero della famiglie fa un risultato di rilievo. È l’eccesso di acquisto e la cattiva conservazione a generare la gran parte della dispersione.

Secondo l’ultimo rapporto Waste Watcher (l’Osservatorio permanente sugli sprechi alimentari delle famiglie italiane prodotto da Last Minute Market) l’81% degli italiani (4 su 5) dichiara di non gettare in automatico il cibo scaduto, ma di assicurarsi che sia davvero andato a male; 9 italiani su 10 controllano abitualmente l’etichetta dei cibi acquistati; un italiano su 2 compila una lista della spesa per prevenire lo spreco e l’eccesso di acquisto. Infine rileva l’aumentata sensibilità degli italiani per il tema spreco alimentare in rapporto all’impatto ambientale: quasi un plebiscito con 9 italiani su 10 che finalmente mettono in relazione spreco di cibo e danno ambientale, altrettanto (oltre il 90%) per la richiesta di affrontare già da studenti il tema dell’educazione alimentare, come un vero e proprio insegnamento da impartire sui banchi di scuola, analogamente all’educazione civica.

Altra curiosità registrata da Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi): solo 1 italiano su 3 non si vergogna a chiedere la Doggy bag al ristorante.

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Lo spreco alimentare costa all’ambiente, al portafoglio e alla società

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Ogni anno in Italia lungo la filiera agroalimentare, dai campi al consumatore finale, si producono 5,6 milioni di tonnellate di cibo in eccedenza, di cui 5,1 milioni diventano spreco, per un valore di 12,6 miliardi di euro l’anno. Un rapporto di circa 210 euro a persona secondo i dati raccolti e pubblicati nel corso dell’indagine “Surplus Food Management Against Food Waste. Il recupero delle eccedenze alimentari. Dalle parole ai fatti” promossa dal Politecnico di Milano e dalla Fondazione Banco Alimentare. Le persone in media comprano il 20% in più del cibo che riescono a consumare. 

Lo spreco alimentare viene generato per il 53% dalle aziende della filiera, ma anche il consumatore fa la sua parte (47%). Il recupero e la ridistribuzione delle eccedenze è però in aumento (si è passati dal 7,5% di 4 anni fa al 9% circa oggi) grazie al diffondersi di best practice e a una maggiore consapevolezza sociale. Anche il recupero ha i suoi costi (da 0,2 a 2 euro al kg in funzione dello stadio della filiera), ma considerando il valore del cibo recuperato si ha un “effetto moltiplicatore” (rapporto tra valore recuperato e costo per il recupero) che varia da 3 a 10 euro.

Limitandosi agli sprechi domestici e utilizzando diverse fonti statistiche nazionali (che non sempre sono del tutto comparabili) risulta che all’anno ogni persona spreca: 110 kg di cibo commestibile negli Stati Uniti, 108 in Italia, 99 in Francia, 82 in Germania e 72 in Svezia. Nei paesi in via di sviluppo, invece, lo spreco alimentare si verifica soprattutto attraverso le perdite a monte della filiera.

Il costo dello spreco alimentare, però, non è solo sociale ed economico ma anche ambientale: un impatto pari a 13 milioni di tonnellate di Co2, quelle utilizzate per produrre questi alimenti. Manca però un sistema di incentivi alla donazione delle eccedenze; sono previste invece delle agevolazioni fiscali dal punto di vista dell’Iva (esenzione della donazione e possibilità di recupero dell’Iva versata per la produzione o acquisto) e dal punto di vista delle imposte dirette.

Per passare da 500mila a 1 milione di tonnellate di cibo recuperato occorre approvare una legge che sia utilizzabile dai donatori e dai beneficiari, che stimoli le donazioni attraverso procedure certe e semplici. Oggi spesso la decisione di non recuperare cibo è motivata dalla complessità burocratica richiesta alle aziende.

Nel 2014, la Rete Banco alimentare ha recuperato circa 40.448 tonnellate di eccedenze alimentari, 1.043.351 porzioni di piatti pronti e 319 tonnellate tra pane, frutta e altri prodotti freschi dalla ristorazione organizzata, dalle mense aziendali e dalle mense scolastiche. Da maggio 2015 a settembre ha recuperato da Expo quasi 20 tonnellate di alimenti, tra cui prodotti freschi (frutta, verdura e latticini), a seguire pane, panini imbottiti e alimenti misti secchi, tra cui pasta, farina e legumi. Ogni giorno gli alimenti vengono ridistribuiti gratuitamente a 8.669 strutture caritative che aiutano 1.910mila poveri in Italia. Un’attività resa possibile grazie al lavoro quotidiano di 1.869 volontari. Il quadro normativo ha dimostrato di essere efficace nel promuovere la donazione di alimenti e il recupero di eccedenze alimentari ai fini di solidarietà sociale. Nel 2003 è stata approvata la cosiddetta “legge del Buon Samaritano” (n.155 del 25 giugno 2003), che considera le onlus consumatori finali: “Le organizzazioni riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, sono equiparati, nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali, ai fini del corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti”. Nel 2013, poi, la legge 147/2013 ha stabilito che i donatori di alimenti devono garantire un adeguato stato di conservazione, trasporto, deposito e uso dei prodotti alimentari donati, ciascuno per la parte di competenza.

Come afferma l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), “c’è la necessità di trovare un utilizzo benefico e giusto per gli alimenti sicuri che sono al momento gettati via”. Si prevede un aumento dello scarto alimentare con la crescita della popolazione, la richiesta di cibo e l’aumento di affluenza. L’industria alimentare, i venditori e i consumatori devono essere tutti consapevoli e agire su tale questione. Poche semplici misure non saranno positive solo per i nostri portafogli, ma avranno anche benefici globali.

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