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Il nuovo Pil, Prodotto Interno Lurido

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“In questi anni la nostra dipendenza dal Pil è aumentata sempre di più. Non vorrei essere frainteso. Il Pil non è un numero da prendere e buttare, non fosse altro perché aumenta insieme all’occupazione e al reddito delle persone. Dobbiamo però uscire dalla logica perversa secondo la quale il Pil deve crescere a tutti i costi, perché è il riferimento principale per i mercati finanziari e le agenzie di rating e perchè ci consente di tenere sotto controllo i parametri della finanza pubblica (il deficit e il debito), divenuti sempre più stringenti con il fiscal compact e i vincoli imposti dai regolamenti europei. E’ da tempo riconosciuto che il Pil misura l’insieme delle attività economiche in termini monetari, ma non il benessere e il reale progresso di un Paese.

I cittadini, infatti, non percepiscono il Pil come un’entità in grado di modificare il loro standard di vita, a differenza di altri eventi che li toccano più da vicino, come l’insicurezza del posto di lavoro, il degrado ambientale, la difficoltà ad accedere ai servizi sanitari pubblici, la carenza di posti all’asilo nido o la riduzione del tempo pieno a scuola. E, siccome il Pil ignora tutto ciò che non ha un valore di mercato, si escludono le attività non remunerate: la produzione domestica, le cure prestate ai bambini o agli anziani, il volontariato, e così via.

Inoltre, poiché non distingue le spese in base alla loro utilità, cresce anche se aumentano gli incidenti stradali, la criminalità, i costi sociali e sanitari conseguenti all’inquinamento dell’aria, della terra e dell’acqua. E se l’inverno è stato più mite e si è risparmiato sul riscaldamento il Pil ne soffre.

Ma, cosa forse ancora più grave, non distingue i consumi rispetto alla loro sostenibilità nel tempo, come l’uso di risorse non rinnovabili, il deterioramento dell’ambiente e la perdita della biodiversità. Il Pil aumenta anche se distruggiamo le ricchezze naturali sottraendole alle generazioni future. Dovremmo poter distinguere tra Pil “buono” e Pil “cattivo” e utilizzare solo il primo come parametro di valutazione della politica economica. E invece no. Tutto fa Pil, tutto ciò che smuove moneta è considerata crescita.

Ora abbiamo appreso dall’Istat che, secondo le regole internazionali del nuovo sistema dei conti economici (SEC 2010), saranno conteggiate nel Pil anche le attività illegali: traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (sigarette, alcool). Forse sarebbe stato più saggio, anche per le indubbie difficoltà di misura, aggiungerle in via sperimentale senza influire sul Pil ufficiale. Ma, ormai, il dato è tratto.

Secondo le prime stime di Eurostat, il Pil italiano (anche quello degli anni passati) aumenterà tra l’1% e il 2%, ma bisognerà attendere il 3 ottobre per conoscere le cifre ufficiali. Certamente scenderanno i rapporti debito/Pil e deficit/Pil dando un minimo di respiro al percorso di consolidamento fiscale. Ma a quale prezzo visto che ad aumentare è solo il Pil “cattivo”?

Supponendo che in Italia le attività illegali siano superiori alla media europea, finiremo per finanziare ancora di più il bilancio dell’Unione europea. Alcune regioni svantaggiate, in cui si concentrano maggiormente determinate attività illegali, vedranno crescere più di altre il proprio Pil; saranno considerate più ricche e rischieranno di vedersi ridotta l’assegnazione dei fondi strutturali.

La lotta alla prostituzione, al traffico di stupefacenti e al contrabbando sarà antieconomica perché produrrebbe una caduta del Pil. Per favorire il rispetto dei parametri di Maastricht sarà meglio chiudere un occhio e lasciar prosperare le attività illegali. Paradossalmente, il sequestro di una ingente partita di droga o una retata di prostitute nuocerebbero all’economia e potrebbero far cadere le borse o salire lo spread.

Ci vuole poco per rendersi conto che una siffatta visione della realtà economica, che insegue solo i movimenti di denaro è priva di senso etico, pericolosa e non ha nulla a che vedere con il benessere, il progresso sociale e la qualità della vita.” Franco Mostacci

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La legalizzazione della droga illustrata agli adulti

Grazie a un contributo della Open Society Foundations, è stato realizzato un cartone animato “La legalizzazione illustrata agli adulti” (di Flavio Avy Candeli e Giovanni di Modica) a sostegno delle ultime settimane di raccolta firme per il referendum radicale contro il carcere per i fatti di lieve entità connessi al consumo delle sostanze stupefacenti. Il referendum vuole eliminare quelle norme della legge Fini-Giovanardi che riempiono le carceri di consumatori di sostanze proibite.

Essendo impossibile una vera legalizzazione, a causa di convenzioni internazionali stipulate dall’Italia, che sia evitata la pena detentiva per fatti di lieve entità, mentre resterebbe la sanzione penale pecuniaria. Se vincesse il referendum, verrebbe eliminata per tutte le violazioni che riguardano fatti di lieve entità  (ad es coltivazione domestica,  possesso e trasporto di quantità medie, condotte border line tra consumo e piccolo spaccio) la pena detentiva mentre rimarrebbe la sanzione penale pecuniaria della multa da 3mila a 26 mila euro.

Il video propone in 3 minuti, con la voce di un cane della Guardia di Finanza, una serie di vantaggi economici e considerazioni medico sociali a sostegno della legalizzazione. Tra i personaggi ritratti, Kate Moss, Harry Potter, Freddy Krueger, Gianfranco Fini, Carlo Giovanardi e, naturalmente, Marco Pannella.

Firma e fai firmare il referendum qui

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Quanta droga si consuma? Ce lo dice la fogna

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Negli ultimi anni, per misurare i livelli di consumo di droghe, è stato introdotto un nuovo metodo sviluppato dall’Istituto Mario Negri che si basa sull’analisi delle acque reflue di una determinata area geografica. Il metodo offre la possibilità di valutazioni basate su evidenze oggettive in quanto si basa sulla misurazione delle sostanze d’abuso e dei loro metaboliti urinari nelle acque dei depuratori municipali. Infatti nelle urine degli utilizzatori permangono tracce delle droghe consumate e dei loro metaboliti. Queste sostanze confluiscono nelle acque di scarico dei depuratori urbani ove possono essere misurati. Le fogne, quindi, sono un prezioso specchio dei consumi di stupefacenti nelle città, perchè i residui delle dosi assunte passano nell’urina, quindi nelle acque reflue e infine ai fiumi. 

Una droga, dopo essere stata consumata, viene in parte escreta come tale o come metaboliti con le urine del consumatore nelle ore o nei giorni successivi, nella forma e nei quantitativi che dipendono dalla sostanza in oggetto. Le urine, assieme alle acque fognarie, raggiungono i depuratori urbani dove le acque possono venire campionate ed analizzate. Ad esempio, dopo una dose di cocaina per via intranasale, il 7-10% della sostanza assunta viene escreta con le urine come cocaina pura, mentre la parte principale della dose viene metabolizzata dal fegato ed eliminata con le urine in forma di sostanze modificate, ossia di metaboliti.

Il metabolite principale, benzoilecgonina (BE), rappresenta in media il 45% della dose assunta ed eliminata con le urine e i quantitativi di BE misurati a livello di un depuratore delle acque fognarie consentono di risalire ai quantitativi di cocaina che vengono utilizzati dalla popolazione servita da quel depuratore. L’utilizzo del metabolita BE per risalire ai consumi di cocaina ha il vantaggio di poter includere solo la sostanze realmente assunta dalla popolazione escludendo quelle che accidentalmente o intenzionalmente potrebbe derivare dallo smaltimento improprio della stessa. Inizialmente sviluppato per stimare i consumi di cocaina, questo metodo è stato successivamente esteso ad altre droghe di uso comune, come derivati della cannabis (THC), oppiacei (eroina e morfina), sostanze amfetaminiche (amfetamina, ecstasy, metamfetamina o MDMA).

Per ciascuna di queste sostanze è possibile identificare un residuo, stabile per il tempo necessario al campionamento e alle analisi, la cui concentrazione nelle acque fognarie consente di risalire al consumo cumulativo di droghe da parte della popolazione. Il metodo consente quindi di fare un test collettivo delle urine agli abitanti di una città, preservando l’anonimato; non è infatti possibile identificare chi ha fatto uso di droga, ma solo misurare quanta droga è stata consumata. Oltre alla complementarietà con i metodi tradizionali, questo modello ha anche il vantaggio di permettere il monitoraggio dei consumi “in continuo” e “in tempo reale”. Le stime di consumo ottenute consentono di individuare in tempo reale le nuove tendenze di utilizzo delle sostanze stupefacenti, di intervenire con programmi di prevenzione specifici e di valutare direttamente l’efficacia di quest’ultimi.

Nell’ultima studio delle concentrazioni di sostanze stupefacenti nelle acque reflue, effettuata da AquaDrugs e il Dipartimento Politiche Antidroga,  il consumo più consistente di sostanze stupefacenti si osserva per la cannabis, mediamente circa 28,4 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti nel 2012, con una sostanzialmente contrazione rispetto al dato medio riscontrato nel 2011 (34,5). Tra le sostanze in cui si osserva una contrazione dei consumi figurano l’eroina (2,1 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti nel 2012 vs 2,0 nel 2011) e l’ecstasy (0,06 vs 0,05). Un aumento dei consumi sono stati rilevati per la cocaina (5,6 vs 6,7), le amfetamine (0 vs 0,07), per le metamfetamine (0,24 vs 0,25) e per la Ketamina (2,3 vs 2,8).

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