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In futuro il 51% del trasporto merce si farà in bicicletta

Cyclelogistics--mobilità-sostenibile

Quella della mobilità alternativa è un’economia spesso sfuggente, difficile da inquadrare eppure dalle dimensioni non trascurabili: 200 sono i miliardi di euro generati dall’uso della bicicletta all’interno dei 27 Paesi membri dell’Unione. Secondo il report dell’European Cyclists Federation il 7,4% dei cittadini europei si sposta prevalentemente in bicicletta, per un totale di 94 miliardi di chilometri pedalati ogni anno. I benefici sulla salute e la riduzione della mortalità produce all’interno dell’Unione un vantaggio economico per circa 120 miliardi di euro, il contenimento della congestione dei centri urbani frutta invece 24 miliardi mentre il risparmio sullo consumo di petrolio vale tra i 3 e i 6 miliardi.

Nel 2011 l’Unione Europea ha dato vita a uno studio per determinare la fattibilità della bicicletta come mezzo per alcune forme di spedizione.

Cyclelogistics è il progetto promosso dall’Unione Europea per valutare scenari di mobilità ciclabile nelle città europee e proporre un piano industriale per una logistica merci, che abbia nella bicicletta il suo punto forte. Tra gli obiettivi c’è anche quello di creare una federazione che unisca le aziende europee interessate al trasporto merci in bicicletta. Per ora sono stati coinvolti 322 centri urbani, di questi sei sono le città-partner in cui si sta sperimentando il progetto: Utrecht, Bruxelles, Cambridge, Copenaghen, Londra e Ferrara. CycleLogistics dal 2011 ad oggi è riuscito a motivare diversi Comuni, che in alcuni casi si sono dotati di normative favorevoli, valutando il potenziale di impiego di bici da carico per i servizi comunali. Per questo sta lasciando la sua posizione di mercato di nicchia e si propone come una alternativa reale per il trasporto di merci leggere nei centri delle città. I passi principali che hanno portato all’implementazione del progetto sono stati: incoraggiare i privati ad utilizzare le bici da carico, rimorchi e ceste per il trasporto di attrezzature per lo shopping e il tempo libero, dare informazioni sui vari prodotti di trasporto di bici da carico (cargo bikes , rimorchi , motori elettrici e cestini) ed istituire la Federazione europea Cyclelogistics – la prima organizzazione di categoria che rappresenta e supporta le esigenze di aziende di logistica e mobilità in tutta Europa.

Ma cosa significa “ripensare il paradigma della mobilità per le città del terzo millennio”?

Allo stato attuale quasi il 100 % del trasporto merci nelle città è fatto da veicoli a motore, che vanno dalle automobili personali agli autocarri commerciali. Merci leggere sono spesso trasportate su distanze molto brevi da veicoli pesanti e le persone usano spesso le loro auto nello stesso modo. Lo studio di Cyclelogistic ha dimostrato che il 51% di tutti gli spostamenti privati o di lavoro collegati al trasporto di merci potrebbero essere fatti utilizzando delle biciclette o delle cargo bike. Il 51% dei trasporti merce, infatti, non supera i 7 chilometri di distanza e non va oltre i 200 chili di merce, quindi potrebbe già oggi essere effettuato in bicicletta” afferma Karl Reiter, responsabile del progetto. C’è un potenziale del 25 % di tutti i viaggi effettuati con veicoli a motore. I vantaggi di una mobilità a pedali non riguardano solo la pulizia dell’aria, ma anche l’efficienza: le biciclette possono percorrere una rete stradale più densa, non hanno problemi di parcheggio e possono accedere in sostanza a qualsiasi area.

Altrettanto evidenti sono i benefici generati da un tale successo per i comuni, le aziende e la popolazione in generale come il minore consumo di energia e le emissioni di CO2, la riduzione della congestione, il rumore e l’inquinamento, l’aumento dello spazio per i cittadini, tema non da trascurare soprattutto in Italia, e l’aumento della qualità della vita urbana.

“Le biciclette da carico sono perfette per trasportare carichi leggeri (dagli 80 ai 200 kg o più) per brevi distanze e per questo rappresentano la soluzione ideale per l’uso nei centri città e nelle aree urbane” continua Reiter. Ma cerchiamo di capire come questo sia possibile. I criteri utilizzati da Cyclelogistics si articolano su tre livelli: i viaggi devono riguardare il trasporto di carichi leggeri (più di una busta della spesa ma meno di 200 kg), essere sufficientemente corti (meno di 5 km per le biciclette tradizionali e 7 km per le biciclette a pedalata assistita) e non devono essere parte di una catena di distribuzione che coinvolga l’uso dell’auto.

Il “marchio” Cyclelogistic

Diversi i progetti che coinvolgono privati, cittadini e amministrazione nell’uso del trasporto via bicicletta. Il progetto Shop- by –bike, ad esempio è uno dei meglio riusciti.

La campagna Shop-by-bike si propone di modificare il comportamento di acquisto dei privati al fine di spostare i viaggi in auto non necessari verso una maggiore sostenibilità. “Abbiamo fatto un test di 1-2 mesi, durante il quale i cittadini esercitano i loro acquisti con i cestini per biciclette, borse laterali e/o rimorchi per dimostrare che le biciclette sono spesso i veicoli più efficienti per il trasporto di merci commerciali o attrezzature per il tempo libero nelle aree urbane” afferma Karl Reiter . C’è un enorme potenziale, infatti, per i privati ad utilizzare la bici per il trasporto di merci. Uno studio austriaco considera che l’80% di tutti i beni di shopping potrebbe essere trasportato tramite bicicletta o rimorchio della bicicletta. Questo non si riferisce solo alle borse della spesa che si adattano perfettamente in un cestino della bicicletta. Ci sono infinite possibilità per il trasporto di merci via bicicletta, che vengono ulteriormente ampliate con l’aggiunta per esempio di rimorchi.

L’altra cosa interessante è Goods delivery, un sistema di consegna di pacchi e posta aziendale tramite bicicletta. Il sistema prevede anche un tracking GPS, le prova di consegna e un assicurazione. La consegna delle merci comporta lo sviluppo di un modello di business per lo spostamento di una parte del trasporto merci urbano alle bici da carico . I punti essenziali sono che le merci pesino fino a 250kg e che il tragitto coinvolga zone interne della città.

E in Italia?

Ferrara, la città italiana in bicicletta per eccellenza, è partner in sperimentazione del progetto. Il setting è ideale: città monocentrica con alcuni villaggi ad una distanza massima di 5 km, per la prima metà del 20 ° secolo  la bicicletta era l’unico veicolo a disposizione per i viaggi tra le case e i campi o nelle fabbriche. Ancora oggi circa quattro su dieci viaggi sono fatti in bicicletta, mezzo utilizzato da tutti i gruppi sociali e da persone di tutte le età, in ogni momento dell’anno. I cittadini di Ferrara dicono che i bambini ottengono la loro prima bicicletta prima di aver imparato a camminare.

Nella politica di “nuova mobilità” per Ferrara, la bicicletta ha un ruolo principale e fa parte di una politica di mix sulla mobilità che comprende il car pooling, il car sharing , i taxi collettivi , ecc

Cyclelogistics Ferrara offre un sistema di consegna merci in centro città senza compromettere gli aspetti estetici delle sue architetture, sostenendo con piccoli investimenti il lavoro quotidiano dei negozi, offrendo agli amanti della bicicletta nuove opzioni per bypassare l’uso dell’automobile e , ultimo ma non meno importante , per ispirare la creazione di nuove imprese .

Si aiuta così a preparare il terreno, per lo più in termini di crescente consapevolezza dell’uso della bicicletta e ad avviare esperienze pilota di ricerca di partner pubblici e privati. L’implementazione di servizi e attività dimostrative per i proprietari di negozi e privati cittadini sono le azioni principali al momento ma il progetto sta notevolmente crescendo.

Cyclelogistics sta lanciando dunque una sfida alle città europee e promette la rivoluzione del sistema della mobilità. È necessario ora passare la fase di massa critica e diffondere il progetto, ma non tuttele amministrazioni sono disposte ad accettare il progetto e le persone in alcuni luoghi non sono pronte e disposte a provare. La scalabilità rimane dunque un nodo da sciogliere. Lo terremo d’occhio.

(Fonte smartinnovation)

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Meno Stato e più città

potenze crisi

Nel 2025 il baricentro economico del pianeta si sarà spostato verso est; secondo una ricerca del McKinsey Global Institute appena pubblicata, tra le prime 25 città del mondo ne troveremo 12 nei paesi emergenti (rispetto alle 4 attuali).

Shanghai occuperà la terza posizione in termini di Pil (rispetto alla 25a attuale) e come percentuale di famiglie con un reddito annuo superiore ai 20.000 dollari (oggi non si colloca nemmeno tra le prime 25). NewYork, Tokyo, Londra e Parigi conserveranno una posizione tra le prime 10, ma Philadelphia, Boston, San Francisco, Toronto, Sidney, Madrid e Milano saranno scomparse dalla top list. Le mega-cities saranno passate da 25 a 60 e in queste città si concentrerà un quarto della ricchezza mondiale; una città oggi sconosciuta ai più come Tianjin produrrà un Pil pari a quello della Svezia. L’urbanizzazione e l’industrializzazione faranno emergere dalla povertà un miliardo di persone e creeranno una classe di consumatori sempre più globale. Ma le geografie emergenti non rappresenteranno solo nuovi mercati di consumo. Sarà in queste aree che nasceranno migliaia di nuove aziende. Oggi tre quarti delle 8.000 aziende con oltre un miliardo di dollari di fatturato sono basate nei paesi sviluppati; nel 2025 saranno quasi raddoppiate (15.000) e la metà avrà sede nei paesi emergenti. In queste dinamiche il ruolo delle città è destinato a essere cruciale. Oggi 20 città ospitano un terzo delle mega-corporations, domani più di 330 agglomerati urbani ospiteranno per la prima volta una grande azienda; la competizione tra città per attrarre queste imprese (o farne crescere di nuove) sarà intensa. Nel mappamondo del 2025 l’Italia e le sue città sembrano destinate – in assenza di una politica economica fortemente innovativa – a una marginalità economica ancor più spinta di quella attuale. La nostra evoluzione demografica è penalizzante la demografia è un driver fondamentale per la crescita economica e il nostro è un paese che invecchia e non innesta forze nuove. La deindustrializzazione italiana non è cronaca di questi giorni, ma un trend che dura da oltre vent’anni ed è destinato a proseguire in mancanza di interventi incisivi. Si aggiunga poi la cronica difficoltà nell’attrarre investimenti a causa dei problemi strutturali (mancanza di infrastrutture adeguate, burocrazia, lentezza della giustizia amministrativa, incertezza regolamentare), la cui auspicata risoluzione con iniziative meritorie alla Destinazione Italia produrrà risultati in tempi medio-lunghi. Un destino di declino inevitabile? Non necessariamente, se sapremo coniugare le opportunità dell’urbanizzazione globale con le specificità e i punti di forza italiani.

Tre considerazioni:

1. L’Italia non ha megalopoli, ma la ricerca McKinsey segnala che 400 città di «medie dimensioni» produrranno nel mondo, da qui al 2025, un PIL aggiuntivo pari a quello degli Stati Uniti. E un certo numero di città italiane appartengono di diritto a questo gruppo; le periferie di alcune di esse manifestano già oggi – nonostante il periodo di crisi – un notevole fermento del mercato immobiliare, stimolato dalle esigenze abitative delle comunità di immigrati. Il trend non sarà di breve durata.

2. Abbiamo un territorio ricco di imprenditorialità, di medie aziende dinamiche e competitive anche sui mercati internazionali, con un ampio indotto locale. In provincia è facile trovare imprenditori che hanno innovato in modo completamente virtuale la gestione degli ordini, del magazzino e della contabilità, rendendo in prospettiva pressoché ininfluente la localizzazione geografica della produzione. Gli oltre 100 distretti industriali sono unici al mondo, non replicabili, e studiati da nazioni avanzate ed emergenti come modello.

3. L’Italia possiede asset naturalistici, architettonici, culturali e della tradizione eno-gastronomica che sono unici e possono essere ulteriormente valorizzati. Anche in questo ambito le iniziative individuali hanno anticipato di gran lunga le politiche di sistema; si pensi, solo a titolo di esempio, a quanti ex professionisti si sono convertiti al ruolo di «gestori dell’accoglienza», avviando bed & breakfast e riuscendo a farsi scoprire sul web dai tanti turisti stranieri desiderosi di venire in Italia.

Occorrerà individuare tre-quattro città (e un numero limitato di distretti) a cui applicare il concetto di «città metropolitana » o di agglomerato economico paragonabile a quello di una città di grandi dimensioni. Per queste aree andrà sviluppato un piano strategico e di investimento su un orizzonte di almeno dieci anni, che preveda infrastrutture adeguate, facilità di accesso, incentivi alla localizzazione, impiego diffuso della tecnologia, criteri gestionali ispirati ai principi delle «smart cities» e condizioni vantaggiose per gli investimenti. In secondo luogo, le istituzioni centrali e locali dovranno sviluppare politiche mirate di sostegno della «provincia» italiana, favorendo la partecipazione dei privati nell’innovazione dei modelli produttivi a rete e valorizzando maggiormente il patrimonio storico, culturale e ambientale del Paese. Infine, le aziende italiane sane e presenti da tempo sui mercati internazionali dovranno valutare quali città ( più che quali paesi) potranno rappresentare in futuro il miglior potenziale per il loro business all’estero. Questo potenziale andrà valutato in una doppia prospettiva: guardando ai milioni di consumatori con potere di spesa in crescita nei prossimi anni, ma anche alle aziende che in quelle città avranno sede; e che potranno vestire, un domani, i panni di clienti, fornitori o concorrenti.

(Fonte mckinsey)

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