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La Terza Guerra Mondiale per l’energia

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“Iraq, Siria, Nigeria, Sud Sudan, Ucraina, Mar della Cina a oriente e meridione: dovunque si guardi, il mondo è infiammato da nuovi conflitti o guerre che si intensificano. A prima vista appaiono eventi indipendenti l’uno dall’altro, fondati su circostanze specifiche. Ma osservando la questione più da vicino si comprende come abbiano in comune caratteristiche fondamentali. In ciascuno di questi conflitti emergono antagonismi atavici fra tribù, sette e popolazioni vicine. Ma guardate più da vicino e vedrete che ognuno di questi conflitti è, in fondo, una guerra di energia.

In Iraq e Siria ci sono attriti profondi tra sciiti, sunniti, curdi, turkmeni e altri ancora; in Nigeria tra musulmani e cristiani e gruppi tribali; in Sud Sudan tra Dinka e Nuer; in Ucraina tra ucraini lealisti e allineati filorussi; nel Mar della Cina a oriente e a sud tra cinesi, giapponesi, vietnamiti, filippini e altri ancora. Sarebbe facile attribuire tutto ad attriti e odi di lunga data, come suggerito da molti analisti; ma questi conflitti in realtà sono alimentati da impulsi ben più attuali e moderni, cioè la volontà di controllare i giacimenti di petrolio e gas naturale. Non cadiamo nell’errore: le guerre del ventunesimo secolo sono le guerre per l’energia.

Nessuno dovrebbe sorprendersi a fronte del ruolo che l’energia gioca in queste guerre. Dopo tutto il petrolio e il gas naturale sono la fonte maggiore di introiti per governi e grandi società quando ne controllano produzione e distribuzione. E i governi di Iraq, Siria, Nigeria, Sud Sudan e Russia ottengono enormi profitti dalla vendita del petrolio, mentre le grandi aziende dell’energia (molte di proprietà degli Stati) esercitano un potere immenso nelle nazioni coinvolte. Chiunque possa controllare questi Stati, e le aree al loro interno dove si estraggono petrolio e gas naturale, controlla anche la collocazione e l’allocazione di risorse cruciali. Nonostante la patina di inimicizie storiche, molti di questi conflitti, poi, sono davvero lotte per il controllo della principale fonte di reddito nazionale. Inoltre, viviamo in un mondo energetico-centrico in cui il controllo sulle risorse petrolifere e di gas (e dei loro vettori) si traduce in peso geopolitico per alcuni e vulnerabilità economica per gli altri.

La battaglia per le risorse energetiche è stata un fattore importante in molti recenti guerre, come la guerra Iran-Iraq tra il 1980 e 1988, la guerra del Golfo nel 1990 e la guerra civile sudanese tra il 1983 e il 2005. Magari, a prima vista, nei conflitti più recenti questo aspetto può apparire meno evidente, ma è sempre per quello. Le divisioni etniche e religiose possono fornire il carburante politico e ideologico, ma è la caccia al profitto che tiene viva la battaglia. In un mondo ancora fondato sui carburanti fossili, controllare petrolio e gas è una fattore essenziale dei poteri nazionali.

Senza la promessa di tali risorse, molti di questi conflitti finirebbero per mancanza di fondi per comprare armi e pagare le truppe. Finché il petrolio continua a scorrere, però, gli eserciti hanno sia i mezzi che gli incentivi per continuare a combattere.

In un mondo di combustibili fossili, il controllo sulle riserve di petrolio e gas è una componente essenziale del potere nazionale. “Il petrolio fa muovere automobili e aerei, alimenta il potere militare e la politica internazionale”, afferma Robert Ebel del Center for Strategic and International Studies, “è un fattore determinante per il nostro benessere, di sicurezza nazionale, e di potenza internazionale per coloro che possiedono questa risorsa vitale, e il contrario per coloro che non la possiede”.

Un giorno, forse, lo sviluppo delle energie rinnovabili cambierà tutto ciò, ma oggi se vedete una guerra scoppiare, è una guerra per l’energia”. Michael T. Klare

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Il gas siriano è un altra colossale truffa mediatica?

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Il gas sarin attribuito agli arsenali di Bashar Assad (che contano, a seconda delle stime, tra le mille e le 5 mila tonnellate armi chimiche) quante persone ha ucciso nei sobborghi di Damasco?  Oltre 1.400 secondo l’intelligence statunitense e quanto riferito dal Segretario di Stato John Kerry, circa 350 secondo Medici senza frontiere che denunciano però 3.500 persone colpite, solo 280 secondo l’intelligence francese. Gian Micalessin, reporter del Giornale e finora unico giornalista italiano a raggiungere i dintorni dell’area colpita dai gas a Ghouta, scrive oggi dal villaggio di Jobar di non aver trovato traccia dell’uso di gas né persone informate dei fatti accaduti proprio in quella zona. Sui media di tutto il mondo quasi non si parla d’altro eppure pochi hanno diffuso una notizia che dovrebbe risultare invece di grande interesse per cercare di dipanare la matassa intorno all’impiego del gas nervino il 21 agosto nei sobborghi di Damasco. Se il reportage di Micalessin è realizzato sul lato del fronte controllato dai lealisti il reportage firmato da Dale Gavlak (che da Amman collabora da anni con l’agenzia Associated Press) e Yahya Ababneh del 29 agosto è stato effettuato dalla parte opposta, intervistando alcuni ribelli siriani appartenenti a gruppi islamisti attivi nel settore di Ghouta che hanno ammesso le loro responsabilità nel massacro di civili del 21 agosto che Washington e parte della comunità internazionale attribuiscono ad Assad. Pubblicato dal giornale on line Mintpressnews il reportage è stato quasi sistematicamente ignorato dai grandi media nonostante le diverse testimonianze parlino chiaro. I ribelli nascondono in moschee e case private le armi, anche quelle chimiche ricevute dai servizi segreti sauditi e la “fuga di gas” sarebbe da attribuire all’inesperienza dei miliziani a maneggiarle.

Tra le testimonianze raccolte sul campo da Yahya Ababneh, una combattente che si fa chiamare “K” rivela  che i miliziani qaedisti di al-Nusrah “non ci hanno detto che quelle erano armi chimiche né come usarle. Non sapevamo che erano armi chimiche, non lo avremmo mai immaginato”. Un noto leader dei ribelli di Ghouta, che preferisce farsi chiamare “J” spiega che  “i miliziani di Jabhat al-Nusra  non cooperano con altri ribelli, se non nei combattimenti. Non condividono informazioni segrete e hanno semplicemente usato alcuni ribelli ordinando loro di trasportare e impiegare quel materiale. Eravamo molto curiosi circa queste armi ma purtroppo alcuni combattenti le hanno gestite in modo improprio facendole esplodere”.

Informazioni e testimonianze tutte da verificare ed è naturale dubitare che possa trattarsi di un’operazione organizzata dai servizi segreti di Bashar Assad  per scaricare sui qaedisti la responsabilità di quanto è successo. Gli stessi sospetti e le stesse verifiche riguardano anche le dichiarazioni delle cancellerie dei Paesi in prima linea nel voler attaccare Damasco. Probabile inoltre che, in caso di loro responsabilità diretta, i  ribelli qaedisti  avessero ricevuto le armi chimiche dai sauditi proprio per creare un incidente a pochi chilometri dall’hotel che ospitava i tecnici dell’Onu esperti in armi chimiche creando così un casus belli. Ammettendo che il sarin sia stato diffuso per errore o incuria gas i ribelli sono però riusciti in breve tempo a sfruttarlo a fini propagandistici realizzando i video con i quali viene accusato il regime.

Da un lato appare evidente che le forze di Assad non traggono alcun vantaggio politico o militare dall’impiego di armi chimiche contro in ribelli. Gli unici a guadagnarci sarebbero gli insorti che potrebbero proporsi al mondo come vittime delle armi di distruzione di massa invocando l’intervento internazionale anche a “scopo umanitario” in nome del superamento di quella “linea rossa” che Barack Obama aveva tracciato un anno or sono proprio in riferimento agli arsenali chimici siriani.  D’altra parte i ribelli hanno già utilizzato armi chimiche uccidendo numerosi soldati lealisti come aveva detto (suscitando scalpore, censure e reazioni) nel maggio scorso alla televisione svizzera il giudice Carla Del Ponte che fa parte del team dell’Onu che si è occupato di questo problema. In giugno invece era stato il premier britannico David Cameron a dire pubblicamente che i qaedisti in Siria cercano di dotarsi di armi chimiche, anticipando di fatto lo scenario fotografato dal reportage pubblicato da Mintpressnews.

In guerra tutto è permesso e non saremo certo noi a sorprenderci o a scandalizzarci per le Info-operations scatenate dai diversi contendenti. In fondo la Nato ha fatto la guerra ai serbi in Kosovo per una strage “costruita”, quella della fossa comune di Racak . In Libia abbiamo combattuto Gheddafi sull’onda dello sdegno per immagini che ritraevano un cimitero ma con la scritta sul video che riportava “fosse comuni a Tripoli” e anche in Iraq gli anglo-americani sono entrati nel 2003 col pretesto di neutralizzare armi di distruzione di massa he non furono mai trovate (ma che potrebbero essere state portate proprio in Siria su ordine di Saddam Hussein prima dell’inizio dell’invasione).

Se trovasse conferme la “pista “ dei sauditi che consegnano il sarin ai ribelli andrebbero rilette come colossali truffe mediatiche le notizie delle intercettazioni delle comunicazioni militari di Damasco effettuate dall’intelligence statunitense e israeliano nelle quali sarebbero stati registrati gli ordini impartiti dagli ufficiali siriani di impiegare armi chimiche. Un tema sul quale non è infatti mancata la confusione. Le indiscrezioni israeliane filtrate su Debka.com riferivano di lancio di missili a testata chimica, alcune organizzazioni non governative parlarono di proiettili d’artiglieria a carica chimica mentre i ribelli inizialmente avevano dichiarato che il gas era stato lanciato dai jet.

Comprensibile quindi che la Russia , insieme all’Iran sponsor principale di Damasco, dubiti delle prove presentate da Washington. “Quello che ci hanno mostrato in precedenza e più di recente i nostri partner americani, come pure quelli britannici e francesi, non ci convince assolutamente” ha detto il  ministro degli Esteri di Mosca, Serghei Lavrov. “Non ci sono ne’ mappe geografiche ne’ nomi ne’ alcuna prova che i campioni siano stati prelevati da professionisti” ha proseguito il ministro “e neppure contenevano alcun commento sul fatto che molti esperti hanno messo in forte dubbio i video che girano su internet”. Un chiaro riferimento al fatto che si vedessero molte vittime già composte per la sepoltura e i supposti soccorritori si muovessero tra le persone colpite dal gas senza indossare alcuna protezione.

Se fossero stati davvero i ribelli a creare il “caso sarin” con la complicità saudita per trascinare in guerra gli Stati Uniti diverrebbe più comprensibile l’improvvisa esitazione di Barack Obama sul blitz contro Damasco. Dopo la guerra in Iraq la Casa Bianca non può permettersi un altro passo falso sulle armi di distruzione di massa e Obama non può rischiare la sua (residua) credibilità interna facendosi sgambettare dagli “alleati” sauditi che non gli hanno mai perdonato di aver abbandonato il presidente egiziano Hosni Mubarak lasciando l’Egitto e l’intero Medio Oriente in balìa della “primavera araba”.  Un problema che Riad ha risolto per il momento (e non certo con l’aiuto statunitense) sostenendo l’intervento dei militari del Cairo  che ha rovesciato il governo di Mohamed Morsi e dei fratelli Musulmani.

La spregiudicatezza di Riad e dei suoi servizi segreti guidati dal principe Bandar bin Sultan non desta certo meraviglia. Secondo quanto emerso da fonti di stampa nell’incontro del 31 luglio scorso il principe ha offerto al presidente russo Vladimir Putin  un accordo “di cartello” per controllare il mercato mondiale del petrolio e salvaguardare i contratti di gas di Mosca in cambio della fine dell’appoggio russo al regime siriano di Bashar al-Assad. La notizia è stata smentita ufficialmente dal Cremlino ma a farla circolare sono stati ambienti vicini al governo russo. A renderla nota è stato, prima del britannico Telegraph  il quotidiano libanese As-Safir, vicino al movimento sciita Hezbollah e a Damasco e ovviamente ostile ai sauditi. Il capo dell’intelligence di Riad avrebbe anche garantito di salvaguardare la base navale russa in Siria (a Tartus) dopo la caduta del regime di Assad.

Di fronte al “niet” di Putin, Bandar avrebbe anche fatto balenare la possibilità di attacchi di terroristi ceceni alle Olimpiadi invernali di Sochi in mancanza di un accordo sulla Siria. “Posso garantirvi di proteggere le Olimpiadi invernali del prossimo anno , i gruppi ceceni che minacciano la sicurezza dei giochi sono controllati da noi” avrebbe detto Bandar.  Una minaccia, neppure velata, che sembra più un vanto che un’ammissione di colpa e alla quale Putin pare abbia risposto dicendo che “questo conferma che i nostri due Paesi hanno visioni molto diverse circa la lotta al terrorismo”.

(Fonte analisidifesa)

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Armi nucleari nel Mondo

All’inizio del 2012, otto stati sono in possesso di circa 4.400 armi nucleari operative, di cui quasi 2.000 tenute in stato di elevata prontezza. Se si contano tutte le testate nucleari – operative, di riserva, immagazzinate (attive o meno), e in attesa di smantellamento – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan e Israele sono in possesso complessivamente di circa 19.000 armi nucleari. Questi sono i dati emersi dal SIPRI Yearbook 2012, opera di 39 esperti provenienti da 17 paesi che tengono traccia e valutano le più importanti tendenze e i maggiori sviluppi nel campo della sicurezza internazionale, degli armamenti e del disarmo.

La disponibilità di informazioni affidabili sugli arsenali nucleari varia notevolmente. Francia, Regno Unito e Stati Uniti hanno recentemente divulgato importanti informazioni circa le loro capacità nucleari. Al contrario, la trasparenza russa è diminuita in seguito alla decisione di non rilasciare pubblicamente dati dettagliati sulle forze nucleari strategiche, anche se il paese condivide informazioni con gli Stati Uniti nell’ambito del nuovo trattato START sottoscritto nel 2010. La Cina rimane estremamente non trasparente, in linea con la sua strategia di deterrenza, e poche informazioni sono pubblicamente disponibili sulle sue forze nucleari e sul suo sistema di produzione di tali armamenti.

Informazioni attendibili sullo stato operativo dell’arsenale nucleare e sulle potenzialità dei tre stati che non hanno mai aderito al Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP, 1968) – India, Israele e Pakistan – sono particolarmente difficili da reperire. In mancanza di dichiarazioni ufficiali, le informazioni disponibili sono spesso contraddittorie o non corrette. Sia India che Pakistan sono unite dalla stessa dottrina nucleare basata sul principio di deterrenza minima ma senza escludere esplicitamente il primo uso delle armi nucleari. Stanno incrementando dimensioni e sofisticazione dei rispettivi arsenali nucleari, sviluppando e dispiegando nuovi sistemi missilistici (balistici e cruise), e incrementando la loro capacità di produzione di materiale fissile (materiali in grado di sostenere una reazione a catena indispensabili nella produzione di ordigni nucleari, dalla prima generazione di armi atomiche fino alle armi termonucleari più avanzate. I materiali fissili più comuni sono l’uranio altamente arricchito (highly enriched uranium, HEU) e il plutonio). 

Israele continua a mantenere la sua politica di lungo corso basata sull’opacità nucleare, non confermando né smentendo ufficialmente il possesso di armi nucleari. Tuttavia, è diffusa l’opinione che abbia prodotto plutonio per la costituzione di un arsenale nucleare. Israele potrebbe aver prodotto armi nucleari non-strategiche, tra cui proietti per artiglieria e cariche di demolizione atomiche, ma ciò non è mai stato confermato.

Tutti i cinque paesi il cui status nucleare è legalmente riconosciuto dal TNP – Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti – appaiono intenzionati a mantenere la loro condizione a tempo indeterminato. Russia e Stati Uniti hanno in corso programmi di ammodernamento per vettori, testate e sistemi di produzione e contemporaneamente continuano il processo di riduzione degli arsenali come previsto dal Nuovo START (entrato in vigore nel 2011), nonché per mezzo di tagli unilaterali. Dal momento che Russia e Stati Uniti posseggono i due arsenali nucleari di gran lunga maggiori, ciò fa sì che il numero di armi atomiche globalmente disponibile sia stabilmente in declino.

Gli arsenali nucleari di Cina, Francia, e Regno Unito sono notevolmente minori, ma tutti questi paesi stanno sviluppando nuove armi o hanno piani in merito. La Cina è l’unica a essere apparentemente intenta a incrementare il proprio arsenale nucleare, anche se a rilento.

Chi ha già dimostrato di essere in possesso di capacità nucleari militari è la Corea del Nord. Alla fine del 2011 si stimava il paese in possesso di circa 30 chilogrammi di plutonio, sufficienti a costruire fino a otto armi nucleari, a seconda del tipo di modello e competenze ingegneristiche applicate. Secondo un rapporto del 2011 prodotto da un gruppo di esperti incaricati dal Consiglio di Sicurezza ONU e poi trapelato, il paese ha lavorato a un programma di arricchimento dell’uranio «per diversi anni o addirittura decenni». Rimane ancora da capire se la Corea del Nord è riuscita a produrre uranio arricchito a scopo militare. Non è noto se la Corea del Nord sia riuscita nella produzione di uranio arricchito a scopo militare.

Forte preoccupazioni, sottolinea il Rapporto SIPRI Yearbook, per Siria e Iran per la proliferazione nucleare. I due stati, infatti, sono al centro dell’attenzione, a causa delle accuse di occultamento di attività nucleari di stampo militare, in contravvenzione con gli obblighi da loro accettati nel quadro del TNP. Un’indagine triennale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ha concluso che un edificio distrutto da un attacco aereo israeliano nel 2007 in Siria fosse «molto probabilmente» un reattore nucleare non già dichiarato presso l’Agenzia. La IAEA ha anche riferito di avere prove attendibili del fatto che l’Iran avesse svolto attività nucleari di stampo militare in passato e che alcune di queste attività potrebbero essere ancora in corso. Le difficoltà incontrate dagli ispettori in entrambi i paesi hanno portato a un rilancio delle richieste di incremento del potere legalmente riconosciuto alla IAEA per condurre indagini sugli stati parte del TNP sospettati di violare i loro obblighi. Nel corso del 2011, l’Iran ha continuato a ignorare le cinque risoluzioni emanate dal CdS a partire dal 2006 che richiedevano la sospensione di tutte le attività connesse all’arricchimento dell’uranio.

Il rischio di terrorismo nucleare e di dirottamento illecito di materiali nucleari  sono al centro dell’attenzione della politica mondiale. Il problema di una guerra nucleare esiste, e non è di facile soluzione. Per combattere ciò il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1977, la quale estende di dieci anni il mandato del comitato costituito con la risoluzione 1540 (non-proliferazione delle armi di distruzione di massa) con lo scopo di monitorare e facilitare il rispetto da parte degli stati degli obblighi fissati dalla stessa risoluzione.


No alla guerra, no al nucleare. Le armi all’uranio impoverito che distruggono l’uomo e l’ambiente. Nana Kobato, studentessa delle medie, si affaccia sul “lato oscuro del nucleare”: i pericoli delle centrali atomiche, gli effetti dei proiettili all’uranio impoverito, le devastazioni ambientali che uccidono adulti e bambini. In un racconto a fumetti chiaro e documentato, il figlio di una sopravvissuta alle radiazioni di Nagasaki racconta gli effetti delle guerre moderne sull’uomo e sull’ambiente, e mette a nudo i poteri occulti che sostengono l’energia nucleare. Un libro da leggere per scoprire che non esiste un “nucleare civile” senza applicazioni militari, non esiste “energia atomica pulita” senza rischi inaccettabili, non esistono “armi sicure” senza vittime di guerra.

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Barack Obama il “ribelle” siriano

 

La Reuters ha faticato parecchio prima di poter pubblicare che qualche mese fa il Presidente americano Barack Obama aveva approvato una “intelligence” dalla quale risulta che la CIA , Central Intelligence Agency , doveva dare un appoggio ai “ribelli” armati, che si battono per un cambiamento di regime in Siria e che ora questo sostegno deve essere tolto.

A questo punto anche i più sperduti pescatori delle isole Figi già saranno a conoscenza di questo “segreto” (per non tornare a ripetere che in tutta l’America Latina si conosce una cosetta o due su come la C.I.A. si sappia destreggiare nel rovesciare un regime).

La Reuters descrive con cautela questo sostegno come “circoscritto”. Ma questo è, ovviamente, il codice per “proteggersi le spalle “.

Infatti ogni volta che la CIA vuole abbandonare qualche progetto si serve della stampa e di qualche scriba fedele, come David Ignatius del Washington Post. Già lo scorso 18 luglio Ignazio si stava ripetendo la lezione imparata, secondo cui ” la CIA sta lavorando con l’opposizione siriana da diverse settimane per perseguire un programma non-letale … Decine di agenti dei servizi segreti israeliani sono anche all’opera lungo il confine con la Siria, pur mantenendo un basso profilo “.
Ma che bella immagine. Cosa si può fare a basso profilo lungo il confine con la Siria? Avranno fatto una foto mentre sorridevano in mezzo a un gruppo di camionisti?

Per quanto riguarda il”basso profilo” del Mossad , quello che si sa a Tel Aviv è che Israele è in grado di “controllare” lo sciame di estremisti wahabiti, salafiti-jihadisti che stanno infestando la Siria. Anche se quello che sto per dire è una evidente stupidaggine, sembra proprio che Israele stia andando a letto con gli islamisti alla scuola di al-Qaeda .

Questo significa che l’esercito “non esattamente libero” Siriano (FSA) è pieno zeppo di irriducibili Fratelli musulmani e infiltrati salafiti-jihadisti che stanno seguendo l’ordine del giorno non solo per ordine dei loro finanziatori e fornitori di armi – la Casa saudita e el Qatar -, ma anche di Tel Aviv , oltre che di Washington e dei suoi barboncini patentati di Londra e Parigi. Quindi questa non è solo una guerra per procura – ma è una guerra multipla, una guerra con una procura concentrica.

Il triangolo della morte

L’agenda di Tel Aviv è chiara: un governo siriano indebolito, un esercito occupato su più fronti e in confusione, che sente un odio settario tutto intorno è un inarrestabile declino verso la balcanizzazione. L’obiettivo finale, non è solo la libanizzazione, ma la somalizzazione di Siria e dintorni.

L’agenda della Turchia rimane incredibilmente oscura – a parte il desiderio che il post-Assad in Siria diventi una versione mite e civile del regime AKP di Ankara (cosa che non accadrà).

Come diciamo da mesi, la NATO fino a qualche tempo fa gestiva un centro di comando e controllo a Iskenderun, nella provincia turca di Hathay. Recentemente, è finalmente trapelata la notizia alla Reuters di una base “segreta” gestita da Turchia, Qatar, Arabia Saudita a Adana, a 100 chilometri dal confine siriano. Casualmente Adana e la sede di Incirlik, una immensa base NATO. Una fonte locale di Asia Times già da diverse settimane stava segnalando dei movimenti frenetici di merci intorno a Incirlik.

E ‘stato vice ministro degli Esteri saudita Abdulaziz bin Abdullah al-Saud che ha chiesto, personalmente, che la base fosse collocata a Incirlik , per la gioia di Ankara.

Ankara-Riyadh-Doha : parliamo di un triangolo della morte. Tuttavia, quello che fa il Qatar è ancora una volta la politica del “coprirsi le spalle”. La Turchia sta caricandosi la parte più sporca del lavoro militare, la CIA sta nascondendo la mano e il Qatar sembra essere solo un innocente turista di passaggio che scatta una foto (mentre ha diretto tutte le operazioni per mezzo della sua intelligence militare). I pezzi grossi sono diventati tutti dei non meglio specificati “intermediari”.

Obama non ha autorizzato una guerra con i drone -inoltre- la CIA non è autorizzata ad armare i “ribelli”: eccolo è questo l’affare del “triangolo della morte”.

Una quantità enorme di granate russe, comprate sul mercato nero è stata responsabile dei i recenti massacri di “ribelli” di Damasco e Aleppo. Ora c’è da aspettarsi che una altrettanto enorme quantità di armi anticarro e missili terra-aria giunga ai ribelli; NBC News ha già riferito di un “dono” di quasi due dozzine di missili terra-aria che è stato consegnato alla FSA -ovviamente in arrivo dalla Turchia.

Qatar e Arabia Saudita non stanno facendo prigionieri. A Washington sembra che nessuno si stia preoccupando di guardare indietro, a quanto accaduto nel periodo dopo la jihad in Afghanistan, prima di prendere una decisione.

A proposito, quello che sta succedendo ora in questi territori è ancora una volta quanto avvenne in Afghanistan nel 1980 : l’Arabia Saudita e il Qatar oggi interpretano il ruolo del Pakistan, la FSA fa la parte dei gloriosi Mujahideen “combattenti per la libertà” e Obama, fa come faceva Ronald Reagan. L’unico elemento mancante per replicare lo stesso copione è l’approvazione di Obama di un ” memorandum di notifica preventivo” da inviare ai servizi segreti, per autorizzare Washington a militarizzare i combattenti per la libertà e comiciare a inviare uno sciame di droni.

Ora questa è la ricetta per realizzare un Blockbuster di Hollywood, garantito, modello 2013.

Riyadh, da parte sua, sta costringendo il re di Giordania ad installare una zona cuscinetto nel suo territorio per le oltre 100 bande che formano il FSA – come rivela “al-Quds al-Arabi” finanziato dai sauditi.

E indovinate chi era il braccio destro che ha fatto concludere l’affare? Nientemeno che il principe Bandar, capo dei servizi segreti sauditi, ora introvabile e che può o non può essere stato ucciso in un attentato due settimane fa . (vedi Where is Prince Bandar? Asia Times o-l- 02 Ago. 2012)

La comare secca vince sempre.

Vale la pena ripeterlo fino quando la “comare secca” arriverà per portarli via come uno spettacolare ritorno di fiamma con una lingua lunghissima.

Un prolungato assedio di Aleppo è a portata di mano. La “base segreta” della NATO-formata dal consiglio di cooperazione del Golfo in Turchia insieme a tutti i non-armati, stanno rafforzando un mix estremamente pericoloso di disoccupati e giovani siriani sunniti – semi-analfabeti, fanatici, nati per uccidere disertori e criminali, salafiti- jihadisti di qualsiasi nazione. Questo video mostra tutto quanto bisogna conoscere sul fronte armato siriano .

E questo mostra a che tipo di “democrazia” stanno puntando.

Wahabiti sauditi vogliono un estremismo islamista sunnita in Siria – che prevede cristiani, Allawiti, drusi e curdi, come cittadini di terza categoria (e candidati principali per la decapitazione). Gli emiri del Qatar vogliono un protettorato dei Fratelli Musulmani.

Chi fa la politica estera dell’amministrazione Obama deve sintonizzarsi su questo (pessimo) canale. Proprio perché si sono infognati in una vera e propria guerra che non è solo contro l’Iran, ma anche contro tutti gli sciiti, non si capisce come fanno a scommettere su una somalizzazione della Siria, se non godono della compiacenza degli wahhabiti .

La comare secca sogghigna e attende dietro le quinte.

Pepe Escobar

Pepe Escobar è autore di Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War (Nimble Books, 2007) e Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge. Il suo ultimo libro è Obama does Globalistan (Nimble Books, 2009).

Fonte : http://www.atimes.com – Tradotto per www.ComeDonChisciotte.org da ERNESTO CELESTINI

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Lo spettro della violenza e della manipolazione in Siria

Fin dai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979-89), la CIA ed altri servizi occidentali decisero, con sostegni e soldi dei petrolieri sauditi, di creare un movimento di guerriglia islamico armato ed efficiente. Nacquero vari gruppi, tra cui Al Qaeda e successivamente i Talebani, che entrando nel gioco tribale locale furono uno strumento notevole prima nel tenere impegnati i sovietici e poi nell’innescare un conflitto islam-occidente che tanto è ritenuto prezioso dai poteri oscuri mondiali.

Un vero e proprio spettro si aggira da allora dovunque ci siano comunità islamiche.

Uno spettro di violenza, di interpretazione religiosa disumana e soffocante. Di spinta al suicidio terrorista. Di voglia di distruggere qualsiasi cosa abbia a che fare con l’Occidente, o con un Islam umano. Questo spettro lo hanno creato i poteri oscuri occidentali utilizzando i propri governi ed i terminali arabi, soprattutto la monarchia saudita wahabita ed i fratelli musulmani egiziani.

Questo spettro è una clava, utilizzata per creare ondate di violenza e di paura, per rifare equilibri, per creare conflitti ed emergenze.

In Afghanistan per mantenere quel paese come punto d’attrito e di guerra perenne. In Algeria dal 1992, con ondate di terribile terrorismo dei massacri, che servirono a mutare classe dirigente e a far diventare il Paese più filoamericano. In Bosnia ed in Kossovo, per alimentare un conflitto che modificava completamente in senso pro-americano gli equilibri balcanici. In Somalia ed in Sudan per aprire ferite sanguinanti nel continente africano. L’11 settembre delle torri di Manhattan, con lo scatenamento dell’interventismo occidentale mondiale… E poi tra i palestinesi, per distruggere l’unità laica del movimento palestinese e spezzarlo in due tronconi in lotta. E poi per sostanziare in modo sinistro le illusorie primavere arabe tunisina, libica, yemenita, egiziana ed ora l’assalto al regime siriano. Ma anche bombe, attentati, pressioni culturali e violente in tutti gli altri paesi islamici…piccoli e grandi.

Gruppi ben protetti di estremisti islamici, soprattutto libici, algerini, sauditi, yemeniti… abbondantemente finanziati e preparati per creare terroristi, combattenti fanatici, feroci, pronti a tutto in nome di un Islam disumano ed intollerante che nulla ha che vedere con le grandi e moderate tradizioni islamiche principali.

Ora lo spettro sta colpendo brutalmente in Siria, dove un vero e proprio esercito di mercenari e fanatici islamici è stato infiltrato da servizi occidentali con gli appoggi ed i finanziamenti dei ricchi petrolieri sauditi.

Tanto è oscura ed indicibile l’operazione siriana, che non se ne sa nulla. Non ci sono giornalisti in giro per la Siria a raccontare. Gli occidentali che si azzardano in aree non consentite vengono rapiti… Sui giornali appaiono solo i comunicati del fantomatico esercito di liberazione. Ripresi in modo cieco e fazioso dai media occidentali. Testimonianze locali parlano di bande di assassini stranieri che massacrano le popolazioni locali spingendole a fuggire. Con un regime siriano, talmente abituato a reprimere da non essere capace di pacificare…

Uno spettro si aggira per il Medio Oriente… E’ lo spettro della violenza e della manipolazione…

E’ fatto di uomini feroci e fanatici, diretti e finanziati da circoli oscuri occidentali, ma è ormai anche una grande egregora psichica fatta di paura, terrore, egoismo, predazione…

Questo spettro serve ad alimentare spirali di odio e di paura che tendono ad annichilire le coscienze in crescita. Serve a predisporre il conflitto mondiale islam-occidente. Serve a giustificare enormi spese di armamenti ed il mantenimento di grandi apparati di controllo delle masse. Serve a sostanziare sempre di più il superstato militare, come base del futuro superstato mondiale orwelliano.

Coscienze di tutto il mondo uniamoci, scambiamoci informazioni per non farci imbrogliare. Teniamo la nostra interiorità libera dagli effetti del gioco orribile dell’emergenza e della guerra.

Creiamo in rete una grande egregora bianca e luminosa fatta di libertà, di fiducia e di voglia di bene. Capace di non distrarsi dal compito di costruire il bene tutti i giorni, intorno a noi.

(Fonte Fausto Carotenuto – coscienzeinrete)

La primavera araba. Origini ed effetti delle rivolte che stanno cambiando il Medio Oriente . 17 dicembre 2010: il giovane ambulante tunisino Mohamed Bouazizi si dà alle fiamme per protestare contro la polizia che aveva sequestrato la mercanzia che cercava di vendere per la strada. Quello che sembrava un episodio come tanti ha segnato, simbolicamente, l’inizio di una serie di cambiamenti epocali nell’area del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Mentre in alcuni Paesi, come la Siria, si continua a combattere, in altri, come Tunisia, Egitto e Libia, regimi che credevamo oramai consolidati sono caduti, facendo emergere le enormi contraddizioni, ma anche le grandi speranze, di un mondo che, dall’altra parte del mare, abbiamo sempre giudicato ‘immutabile nel suo apparente immobilismo’. 

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