I minori vittima di schiavitù e grave sfruttamento nel mondo sarebbero, secondo le stime, un milione e 200 mila. Una vittima di tratta su cinque è un bambino o un adolescente. Una realtà drammatica, che resta però fortemente sommersa, registrando, al di là delle stime e delle proiezioni, un numero molto inferiore di casi realmente identificati. Basti pensare che gli ultimi dati ufficiali disponibili parlano di 15.846 vittime di tratta accertate o presunte tali in Europa, di cui il 15% è un minore. In Italia, sono 1.125 le persone inserite in programmi di protezione e il 7% di loro ha meno di 18 anni.
“The Dark Side Of Chocolate” (USA 2010, Bastard Film & Tv), documentario girato da Miki Mistarti, pluripremiato giornalista danese, insieme a Roberto Romano. Partito dal Mali, Mistrati è arrivato fino alla Costa D’Avorio ripercorrendo le rotte degli scambi attraverso i quali i bambini vengono ridotti in schiavitù ed obbligati a lavorare nelle piantagioni di cacao. Spesso senza nessuna retribuzione. Bambini e ragazzi, sfruttati e malnutriti, costretti a vivere in baracche. È questo il lato oscuro del cioccolato: fame, povertà e lavoro minorile. Condizioni di lavoro inumane e violazioni dei diritti.
I coltivatori non guadagnano abbastanza per impiegare lavoratori dipendenti e vivere decentemente. Il fenomeno riguarda numerosi paesi dell’Africa occidentale, Costa d’Avorio, Mali, Benin, Togo, Ghana, Nigeria, Camerun, Burkina Faso. La Costa d’Avorio da sola produce il 38% del cacao consumato in tutto il mondo, seguita dal Ghana, dalla Nigeria e dal Camerun. Complessivamente, circa il 75% del cacao globale proviene dall’Africa Occidentale.
Inoltre, mancano gli strumenti di formazione che portino verso la conoscenza dei sistemi di coltivazione più efficienti e sostenibili. Dal punto di vista ambientale, soprattutto nei paesi in cui sono più diffuse le grandi piantagioni intensive, i rischi maggiori sono rappresentati dal disboscamento e dalla perdita di biodiversità dovuta a un uso massiccio di pesticidi chimici.
L’Asia è diventata il traino della crescita del cioccolato: in Cina le vendite sono più che raddoppiate in 10 anni, superando il progresso delle vendite in Europa occidentale, che comunque resta il più grande consumatore di cioccolata del mondo. In Italia ne consumiamo oltre 3 kg. pro capite, ma siamo solo al dodicesimo posto della classifica europea, che vede in testa gli svizzeri, con oltre 12 chili pro capite l’anno.
Uno dei più grandi acquirenti al mondo di cioccolato, Mondelez, ha già immaginato cosa significherebbe la mancanza di cioccolato nel mondo attraverso una campagna di comunicazione a sostegno degli agricoltori di cacao.
Da un lato ci sono milioni di contadini del cioccolato che lottano per la sopravvivenza. Dall’altro lato ci siamo noi, i consumatori, che continuiamo a comperare il cioccolato in quantità sempre maggiori, sentendoci indifesi o incapaci di operare qualsiasi cambiamento. Nel mezzo ci sono pochissime imprese dell’industria globale, che dominano il mercato mondiale del cacao e del cioccolato, traendo altissimi profitti. Tutti noi dovremmo essere più più attivi e sensibili nella lotta per migliorare le condizioni nel settore industriale del cioccolato, scegliendo un cioccolato più equo e sostenibile. Una aiuto arriva dalla campagna europea Make Chocolate Fair che cerca di mobilitare l’industria del cioccolato e i cittadini.
“Nelle campagne del Salento modaiolo e di tendenza, nel territorio di Nardò, ogni estate va in scena uno dei fenomeni più beceri della schiavitù del nuovo millennio: il caporalato. Centinaia di stagionali (tra i 400 e i 600) nella bella stagione vengono impiegati per la raccolta delle angurie e dei pomodori. Si tratta di lavoratori “migranti”, che si spostano dalla Sicilia al Lazio, per poi arrivare nelle campagne del Salento e del foggiano, a seconda delle esigenze delle aziende agricole. Per le quali lavorano i “sotto caporali”: coloro i quali hanno il compito di “reclutare” i lavoratori, attraverso un oramai collaudato sistema di telefonate ed sms. Si spostano con dei furgoncini nel buio delle ultime ore della notte, prima che l’alba faccia capolino da Santa Maria di Leuca, la punta più ad est del Salento. Raccolgono “squadre” di non più di 6 uomini e raggiungono i campi. Dove si lavora con la schiena piegata per 12 ed anche 14 ore sotto il sole cocente. Per una paga giornaliera tra i 25 e i 35 euro. Che va però decurtata di 3,50 euro per un panino, di 1,50 per una bottiglietta d’acqua e di altri 5 euro per il “passaggio” fornito dai caporali all’andata e al ritorno. Ulteriori 10 euro invece, occorrono nel caso di un trasporto in ospedale, riducendo la paga ad una ignobile miseria. Il tutto condito da un’infinita sequela di insulti quotidiani e di metodi di lavoro da medioevo. Che si completa nello squallore degli “alloggi”, spesso vecchi casolari abbandonati in cui gli stagionali riescono a trovare posto per un piccolo giaciglio. È la sorte che tocca alla maggior parte di loro, visto che appena 80 fortunati possono usufruire del “ghetto tenda” dotato di luce e acqua, messo in piedi dopo la chiusura della masseria “Boncuri” dove il Comune di Nardò aveva pensato di stabilire i lavoratori sino all’estate del 2011. L’anno della svolta e della ribellione degli stagionali guidati dall’ingegnere camerunense Yvan Sagnet attraverso due storiche settimane di sciopero. Tutta questa storia è poi sfociata in un’inchiesta condotta dai Ros di Lecce denominata “Sabr” e durata tre anni, che dopo le denunce sporte dai migranti (in maggioranza tunisini e ghanesi) tra il 2009 e il 2011, il 23 maggio 2012 portò a 22 ordinanze di custodia cautelare in carcere, accendendo definitivamente i riflettori su questa organizzazione a struttura piramidale conosciuta da sempre da tutti.
Proprio in questi giorni è andata in scena la quinta udienza del processo iniziato il 31 gennaio 2013: la prossima si svolgerà il 6 novembre. Sono in tutto sette i braccianti costituitisi parte civile, insieme a Regione Puglia, Cgil, Camera del Lavoro, Flai-Cgil e l’associazione Finis Terrae. Assente il Comune di Nardò. Gli imputati rischiano dai 5 agli 8 anni di reclusione ed una multa pari a 2.000 euro a lavoratore. Grazie all’introduzione, nel settembre 2011, del reato penale nell’articolo 603 bis, contenente il nuovo reato di Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Ma il lavoro contro la schiavitù del nuovo millennio è ancora tanto. Come testimonia Antonio Gagliardi, segretario generale della Flai Cgil Lecce. “A livello nazionale insieme alla Uila abbiamo avanzato una proposta di legge che crei una rete che renda obbligatorio per le aziende il reclutamento attraverso i centri d’impiego”. Eventualità che toglierebbe ogni alibi per lo sfruttamento irregolare nel reclutamento della mano d’opera. Dall’agosto 2011, grazie al sindacato, esistono “delle liste d’impiego e di prenotazione per reclutare mano d’opera presenti in tutti i centri d’impiego della Regione” ricorda Gagliardi. Ma la fine della schiavitù è ancora lontana”. Gianmario Leone
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Ciao sono Claudio e questo è il mio blog nato nel 2011. Sono un blogger libero e indipendente, scrivo articoli per cambiare questo Mondo alla Rovescia. Utopia? Vedremo…
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