Il momento del parto, si sa, è fatto di attimi concitati. Urla, pianti, sorrisi e anche tanta emozione. Ma è proprio in quegli attimi che è anche necessario pensare alla conservazione del sangue del cordone ombelicale del nuovo arrivato. Un patrimonio biologico di cellule staminali emopoietiche (in grado di “ricostruire” il sangue), utili per curare leucemie e linfomi e per rigenerare il midollo osseo danneggiato. Le possibilità, in Italia, sono due: donare in forma anonima il cordone a una banca pubblica a disposizione di chiunque ne faccia richiesta, o custodirlo per se stessi e la propria famiglia in una banca privata all’estero.
Ogni mese sono circa 700 le coppie di futuri genitori che chiedono di portare oltre confine il sangue del cordone ombelicale del loro bebè. Un modo per garantirsi una “assicurazione biologica”, che un giorno potrebbe servire per curare gravi malattie.
Conservazione delle cellule staminali in Italia: la legge cosa dice? La legislazione italiana, con il decreto ministeriale 303 del 2009, vieta la conservazione del sangue cordonale per uso personale. E permette la conservazione gratuita delle cellule in strutture pubbliche solo per uso “allogenico”, cioè per persone diverse da quelle da cui le cellule sono state prelevate. O, al massimo, la conservazione per un uso “dedicato” al neonato e ai componenti della famiglia, nel caso in cui siano state riscontrate specifiche malattie o in caso di rischio documentato di insorgenza di patologie geneticamente determinate. Non sono, però, precluse l’esportazione e la conservazione all’estero presso banche private accreditate (la più famosa è Future Health che opera sotto il controllo del Dipartimento della Salute britannico). Il ministero della Salute, con un investimento di circa 100 milioni di euro, ha istituito una rete nazionale di “biobanche”, ciascuna collegata a una struttura ospedaliera pubblica, dove vengono conservate le unità di sangue cordonale raccolte. Purtroppo, in Italia, le biobanche pubbliche dedicate alla conservazione del sangue cordonale sono solo 19. Gli ospedali attrezzati ed abilitati al prelievo sono poco più di 200. Per un totale di 36.877 “unità bancate”. Un numero ancora molto basso, se si pensa che su 500 mila bambini nati ogni anno, solo per il 2% viene effettuata la conservazione del cordone. Stessi numeri nel resto d’Europa. Eppure, l’Italia è tra le prime nazioni al mondo per trapianti di cellule staminali emopoietiche eseguiti per milione di abitanti. A oggi, secondo i dati del ministero della Salute, sono stati effettuati oltre 10 mila trapianti con cellule staminali da cordone ombelicale, di cui quasi 700 in Italia. Nel nostro Paese, per autorizzare il personale medico a effettuare la raccolta del sangue cordonale, spiegano dall’Adisco (Associazione donatrici italiane sangue cordone ombelicale), è necessario che la coppia donatrice sottoscriva un documento nel quale dichiari la disponibilità a conservare gratuitamente il campione presso la banca pubblica, dando anche il consenso alle indagini di laboratorio e ai test genetici previsti dalla legge per accertarne l’idoneità a scopo terapeutico o di ricerca. La raccolta del cordone avviene al momento del parto mediante una sacca monouso sterile. Dalla sala parto, poi, il sangue deve essere trasportato entro 36 ore nella biobanca per la conservazione sotto azoto. Non sempre però – è bene precisarlo – la raccolta del cordone è garantita dalle strutture sanitarie pubbliche. Non in tutti gli ospedali, infatti, è sempre presente il personale addestrato al prelievo, che garantisca il trasporto in banca nelle 36 ore stabilite dalla legge. Addirittura, in alcune situazioni, come nelle ore notturne o nei giorni festivi, quando il personale è ridotto, si preferisce sospendere la raccolta. Non è detto, quindi, che — una volta deciso di voler donare alla banca pubblica il cordone ombelicale — la raccolta del sangue venga realmente effettuata al momento del parto.
Cellule staminali: quanto costa conservarle all’estero? Che requisiti servono? Come previsto dall’accordo Stato-Regioni del 29 aprile 2010, rimane in vigore anche la possibilità di esportare a proprie spese il campione di sangue prelevato dal cordone per la conservazione personale in banche estere. Il nulla osta per l’esportazione viene rilasciato dalla Regione o dalla Provincia autonoma competente, a patto che il campione di sangue non sia affetto da patologie come Hiv o epatite. E per il rientro in Italia dei campioni, in caso di necessità di un trapianto, servirà poi una specifica autorizzazione da parte del ministero della Salute. Oltre all’Italia, l’unico Paese europeo in cui vige il divieto di istituire banche per conservare le cellule del cordone per uso personale è la Francia, dove ottenere l’autorizzazione per l’esportazione del cordone all’estero è più difficile che in Italia. La legislazione in materia è diversa da Paese a Paese, anche nell’ambito dell’Unione europea. «Il cordone ombelicale e le cellule staminali in esso contenute», recita la direttiva numero 23 del 2004, «non sono associabili al sangue periferico adulto quindi le cellule staminali emopoietiche del cordone ombelicale non fanno parte del sangue e si sollecitano gli Stati membri a promuovere la donazione senza impedirne la conservazione autologa». E così, la maggior parte dei Paesi europei ha optato per un sistema misto: accanto ai centri pubblici di raccolta e conservazione, è possibile rivolgersi a istituti privati, autorizzati e accreditati. La Spagna, invece, ha scelto un sistema misto, in cui anche i cordoni conservati in banche private possono essere sollecitati per una donazione in caso di necessità. In Italia, nel 2002, prima dell’entrata in vigore del decreto 303, era nata la Banca mantovana del cordone ombelicale, una onlus che permetteva la conservazione autologa del sangue cordonale alle mamme del territorio. Dal 2007, dopo il rinnovo dell’autorizzazione alla conservazione solo alle strutture pubbliche, la banca ha cambiato il nome in Banca autologa/allogenica del cordone ombelicale. Ma nel 2009 «la nostra attività è stata sospesa», spiega Marina Michelini, volontaria della onlus, «perché la conservazione per uso autologo è stata vietata». Così, «continuiamo solo a conservare i cordoni già bancati, che ammontano in tutto a 2.440 unità». E se la banca mantovana ha sospeso la sua attività, nel frattempo sono proliferate ben 25 agenzie private che si occupano della conservazione del sangue ombelicale nelle “biobanche” estere. Una di queste si chiama Sorgente, leader in Europa per trapianti da cellule staminali cordonali. Dal 1997, l’azienda offre alle famiglie italiane la possibilità di conservare il sangue da cordone in una banca di Lipsia, in Germania, dove al momento sono stoccati 85 mila campioni. Ma se la conservazione in una banca pubblica è completamente gratuita, quella privata ha un costo, che è a carico del richiedente. La spesa per l’esportazione e la conservazione del cordone in una banca estera si aggira intorno ai 2 mila euro. «Nel nostro caso», dice Roberto Mariani, amministratore di “Sorgente”, «si va dai 1800 ai 2400, a seconda che il periodo di conservazione sia di 15, 20 o 25 anni, con l’aggiunta di una copertura assicurativa che garantisce la continuità del servizio nel caso in cui l’azienda dovesse fallire». Simile anche la spesa richiesta da “Inscientia Fides“, società con sede nella Repubblica di San Marino. «Il servizio, che comprende il kit per la raccolta, il trasporto entro 24 ore dalla nascita del bimbo, la crioconservazione e l’analisi della idoneità alla crioconservazione per 30 anni del campione, ha un costo complessivo di 2.200 euro, che si paga solo se il campione risulta idoneo», spiega Luana Piroli, direttore generale della società. La mamma, che richiede di conservare il cordone per uso personale, qualche settimana prima del parto riceve a casa un kit che contiene tutto il necessario per la raccolta del cordone, dal gel sterilizzante alla sacca ematica. «Ci sono mamme che si rivolgono a noi già una settimana dopo aver saputo di esser rimaste incinte», racconta Luana Piroli. «È il papà però», spiega Marani di “Sorgente”, «che il giorno del parto fornisce il kit al personale ospedaliero addestrato alla raccolta». E per il servizio extra fornito, l’azienda sanitaria pubblica richiede il pagamento di un ticket, che varia dai 100 ai 300 euro. Dopo aver presentato all’ente locale la documentazione necessaria sulla salute delle cellule emopoietiche, la sacca può essere poi spedita e conservata all’estero. Le limitazioni e gli ostacoli alla conservazione delle cellule staminali cordonali nelle banche private sono motivati, in Francia come in Italia, da ragioni di solidarietà sociale e dalla supposta mancanza di evidenze scientifiche sulla efficacia del trapianto autologo. Il Servizio sanitario nazionale e il ministero della Salute «scoraggiano» l’esportazione dei cordoni all’estero per uso personale poiché, spiegano, «l’attività di conservazione ad uso autologo presenta rilevanti incertezze scientifiche relative alla capacità di soddisfare eventuali esigenze terapeutiche future». Identica la posizione dell’Adisco. «Per quanto riguarda la conservazione a scopo autologo come forma di “assicurazione biologica”», si legge nella brochure informativa, «essa dovrebbe essere scoraggiata». Il perché è spiegato poco dopo: «I genitori dovrebbero essere informati del fatto che molte patologie, potenzialmente curabili con le cellule staminali del sangue placentare, sono genetiche, quindi già presenti nelle cellule cordonali del neonato, oppure maligne, per le quali le cellule cordonali del neonato potrebbero essere già predisposte. Pertanto le cellule staminali placentari del neonato stesso non saranno utili per la cura». Perché «il trapianto sia efficace», spiega Gloria Pravatà, consigliere nazionale di Adisco, «è necessario che si infondano nel paziente cellule staminali derivanti da un soggetto (donatore) diverso dal ricevente, soltanto grazie a tale “diversità” si può ottenere un effetto terapeutico aggiuntivo, in grado di sconfiggere le cellule malate». «Sia la donazione che la conservazione sono importanti», spiega Luana Piroli. «L’utilizzo autologo viene già effettuato negli ospedali principalmente per la cura dei linfomi e dei mielomi, oltre ad alcuni tipi di leucemie acute. L’ostracismo dell’Adisco piuttosto che di altre associazioni di categoria nei confronti delle biobanche private è incomprensibile in quanto attraverso una collaborazione fra pubblico e privato si potrebbe sviluppare in modo importante il nostro settore». Cosa che, d’altronde, avviene già sia in Europa che negli Stati Uniti, dove molte banche pubbliche usano le proprie strutture anche per conservazioni private e viceversa. In più, aggiunge Marani, «sulla conservazione per uso personale viene fatta una campagna di informazione sbagliata. Conservare privatamente il cordone non implica necessariamente l’utilizzo autologo. La maggior parte delle cellule che noi conserviamo vengono richiamate in Italia per uso allogenico, cioè per trapianti su fratelli o sorelle del donatore che hanno malattie curabili con le staminali». Un servizio, quello per i familiari, già garantito con la conservazione pubblica, «ma la malattia deve essere già presente al momento del parto del nuovo nascituro. E non sempre si può sapere in anticipo che un familiare si ammalerà di leucemia!», precisa Marani. Su 21 trapianti effettuati da campioni conservati nella banca tedesca di “Sorgente”, il 60% è stato di tipo allogenico. In più, continua, «le società di conservazione privata rappresentano una alternativa legittima alla donazione pubblica, perché la raccolta e la conservazione non sono servizi garantiti in tutti gli ospedali». Molti cordoni, aggiunge, «vengono buttati perché al momento del parto non c’è il personale competente o perché non hanno il kit a disposizione». Come scegliere la struttura giusta in cui conservare le cellule staminali, ma se si sceglie di conservare il cordone per sé, è bene saper scegliere l’azienda alla quale affidarsi. «Non tutte le società esistenti in Italia rispettano gli standard qualitativi richiesti dall’Europa», dice Roberto Marani, «spesso sono società improvvisate che non specificano nel contratto neanche dove conservano il sangue». La Comunità europea, con la direttiva 23 del 2004, ha definito le norme di qualità e sicurezza per la donazione e la conservazione delle cellule staminali. «Ma le società che offrono la conservazione in banche ubicate in Paesi non comunitari e vicini all’Italia, come in Svizzera o San Marino, spesso non rispettano questi requisiti», continua Marani. Oltre al rispetto delle norme europee, esiste poi la certificazione GMP (Good Manufacturing Practice), che rappresenta la massima espressione di standard qualitativo esistente per i laboratori che svolgono attività di ricerca e crioconservazione delle cellule staminali. Un altro fattore da tenere in considerazione prima di scegliere la società cui affidare il cordone del proprio bebè è anche «il numero di richiami, cioè i trapianti effettuati dal sangue conservato in una banca, perché questo vuol dire che i criteri di conservazione sono adeguati e che vengono anche riconosciuti dalle strutture sanitarie». Ovviamente, «la percentuale dipende anche dal numero di campioni stoccati in quella banca o da quanto tempo una banca ha cominciato la sua attività. Ma affidarsi a una banca i cui campioni non sono mai stati utilizzati per un trapianto è come affidarsi a un chirurgo che non ha mai operato nessuno». Sicuramente, spiega Luana Piroli, «il massivo fiorire di agenzie commerciali, che fungono da intermediari del servizio, non favorisce un dialogo costruttivo in quanto non tutte le società operano in conformità con gli standard internazionali di riferimento e creano caos. Pertanto, sarebbe utile una regolamentazione del settore». Nel 2010, l’Antitrust ha aperto sei istruttorie per possibili pratiche commerciali scorrette nei confronti di altrettante società italiane di conservazione privata dei cordoni. Le società, Future Health Italia, Sorgente, Crylogit Regener, Futura Stem Cells, Cryo Save Italia e Smart Bank, si sono poi impegnate a chiarire, sui siti web e nelle brochure, le reali applicazioni terapeutiche delle cellule staminali emopoietiche cordonali, il numero dei trapianti effettuati distinti nelle due tipologie (autologhi e allogenici), la garanzia della durata della conservazione dei campioni di sangue (15-16 anni) a fronte del periodo anche più lungo, 20-25 anni, relativo al servizio di conservazione offerto, la compatibilità genetica in ambito familiare e le problematiche da superare per l’eventuale rientro dei campioni in Italia per un loro utilizzo. «Non esistono al momento delle evidenze scientifiche sulla “vitalità” delle cellule crioconservate per oltre 15 anni dal loro bancaggio», spiega Gloria Pravatà. «Gli studi che si stanno conducendo per allargare il campo di applicazione di queste cellule sono più che pionieristici». Il 12 aprile scorso, però, l’Antitrust ha verificato che «le modifiche promesse dalle aziende sono state realizzate». Ottenendo per di più delle modifiche analoghe da parte di nove ulteriori società, di cui sei con sede in Italia (BiotechSol, Cells4bank, Cord Blood Center, Famicord, InnovaStem, Smart Cells Italia) e tre all’estero (Bioscience Institute e In Scientia Fides di San Marino; Swiss Stem Cell Bank di Lugano). Secondo il Garante per la concorrenza, finalmente «la nuova formulazione dei messaggi e l’insieme delle informazioni complessivamente veicolate dalla quasi totalità delle aziende del settore consentono ai genitori, che devono decidere se attivare il servizio di conservazione del sangue cordonale all’estero, di farlo in maniera consapevole. Ora hanno infatti a disposizione tutti gli elementi conoscitivi necessari, anche relativamente ai punti più controversi, considerando sia l’attualità e la continua evoluzione della materia, sia la delicatezza e il tecnicismo di tematiche relative alla salute e alla cura di patologie» Il cordone ombelicale che lega la madre al bimbo fino alla nascita, viene spesso e per “tradizione” considerato un rifiuto da gettare via dopo il parto. In realtà, il sangue contenuto al suo interno è ricco di cellule staminali, cellule molto “preziose” in quanto dotate di un alto valore terapeutico. Grazie alla loro capacità di autorigenerarsi e differenziarsi in altri tipi come cellule del sangue, del tessuto osseo, nervose, cerebrali, muscolari, le cellule staminali sono da tempo utilizzate per la cura di malattie gravi come leucemie, linfomi, mielomi, anemie, talassemie, neoplasie e disordini del sistema immunitario. La moderna ricerca scientifica sta poi esplorando nuovi percorsi terapeutici: sembra che in futuro queste cellule potranno essere utilizzate anche per la cura di altre gravi patologie, come tumore al seno, sclerosi multipla, Alzheimer e morbo di Parkinson, nonché per la rigenerazione dei tessuti, dalla pelle al tessuto osseo, fino a quello cardiaco e cerebrale. Per questi motivi “la conservazione del sangue da cordone ombelicale rappresenta un interesse primario per il Servizio sanitario nazionale” (art. 1 Decreto Ministeriale del 18 novembre 2009). La raccolta del sangue è indolore e viene eseguita esclusivamente da personale ostetrico specializzato. La tracciabilità delle sacche è garantita mediante un sistema di etichettatura con codici a barre. Le unità di sangue raccolte vengono poi sottoposte ad un processo di separazione cellulare e, infine, congelate per la conservazione.
Come si vede, la procedura non è semplice, gli ostacoli possono essere molti. Questo spiega perchè a fronte di centinaia di migliaia di nascite all’anno, si prelevano solo pochissime migliaia di campioni (circa l’1%), mentre più del triplo vengono esportante in banche private estere. Ci auguriamo, quindi, che la percentuale di prelievi possa rapidamente aumentare, magari grazie ad una maggiore apertura del legislatore italiano che voglia dare ascolto alle tante famiglie che optano per la conservazione autologa e che oggi sono costrette a rivolgersi a banche estere, sostenendo un costo di circa due mila euro, o, comunque, voglia consentire una forma di conservazione “mista” autologa-solidale che permetterebbe di conservare il sangue cordonale a favore del proprio bimbo, ma, in caso di necessità, anche di poterlo donare al prossimo.
Le cellule della speranza. Verità e bugie: cosa si può curare davvero con le staminali. Secondo gli scienziati di tutto il mondo rappresentano il futuro della medicina. Ma come distinguere le possibilità concrete dalle illusioni? Qual è il loro vero potenziale di guarigione? Quanto è reale la prospettiva di curare attraverso queste cellule malattie come le leucemie, il morbo di Parkinson, la distrofia muscolare, la paralisi, la sclerosi multipla? O di riparare lesioni alla cornea, al midollo spinale, al sistema nervoso? Quali sono i potenziali benefici legati alla conservazione del cordone ombelicale?