Oggi, più della metà del petrolio estratto nel mondo (il 61%), tre miliardi di tonnellate, viaggia via mare: l’oro nero rappresenta infatti 1/3 di tutte le merci marittime.
Ma quali sono le più importanti rotte del petrolio? Continue Reading
Oggi, più della metà del petrolio estratto nel mondo (il 61%), tre miliardi di tonnellate, viaggia via mare: l’oro nero rappresenta infatti 1/3 di tutte le merci marittime.
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A seguito della crisi politico-militare con l’Ucraina, le sanzioni economiche introdotte nel 2014 dall’Unione europea nei confronti della Russia e le reazioni di Mosca sono costate al nostro made in Italy 3,6 miliardi di euro. L’export italiano verso la federazione russa, infatti, è passato dai 10,7 miliardi del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34%).
Lombardia (-1,18 miliardi), Emilia Romagna (-771 milioni) e Veneto (-688,2 milioni) sono le regioni che con l’introduzione del blocco alle vendite hanno subito gli effetti negativi più pesanti: oltre il 72% del totale del calo dell’export verso la Russia ha interessato questi tre territori. Continue Reading
“Le guerre mondiali cambiano i mondi e se si possiede un’agenda globale, i problemi globali permettono di offrire soluzioni globali.
Se lei guarda come il mondo è stato trasformato dalla Prima e dalla Seconda Guerra Mondiale: il mondo è diventato completamente differente dopo queste due guerre. E sin dall’inizio l’idea è stata quella di avere UNA TERZA GUERRA MONDIALE per completare la trasformazione verso uno STATO GLOBALE e un ESERCITO MONDIALE.
E quello che adesso abbiamo è una situazione in cui questo Gruppo ISIS è venuto fuori dal nulla, di fatto incredibilmente ben armato, incredibilmente finanziato e stanno entrando nelle città irachene e ne stanno assumendo il controllo una dopo l’altra. Si sono stabiliti in luoghi chiave di frontiera fra Siria e Giordania e tutto questo è avvenuto molto rapidamente. Continue Reading
Per Amnesty International, la più grande organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, il 2014 sarà ricordato come un anno catastrofico per milioni di persone intrappolate nella violenza di stati e gruppi armati. Nel consueto rapporto annuale della Ong è stata analizzata la situazione politico umanitaria in 160 Paesi. La comunità internazionale è rimasta assente e incapace di proteggere i diritti e la sicurezza dei civili. I governi internazionali hanno ripetutamente dimostrato che alle parole non riescono a far seguire i fatti. In Italia a preoccupare maggiormente Amnesty International, oltre ai diritti di rifugiati e migranti, restano l’assenza del reato di tortura nella legislazione nazionale, la discriminazione nei confronti delle comunità rom, la situazione nelle carceri e nei centri di detenzione per migranti irregolari e il mancato accertamento delle responsabilità per le morti in custodia. A parlare è Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.
“Il diritto internazionale umanitario, ovvero la legislazione che regolamenta la condotta nelle operazioni belliche, non potrebbe essere più chiaro. Gli attacchi non devono mai essere diretti contro i civili. Il principio di distinzione tra civili e combattenti è una salvaguardia fondamentale per le persone travolte dagli orrori della guerra. E tuttavia, più e più volte, nei conflitti sono stati proprio i civili a essere maggiormente colpiti. Nell’anno della ricorrenza del 20° anniversario del genocidio ruandese, i politici hanno ripetutamente calpestato le regole che proteggono i civili o hanno abbassato lo sguardo di fronte alle fatali violazioni di queste regole da parte di altri. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è intervenuto ad affrontare la crisi siriana negli anni precedenti, quando ancora sarebbe stato possibile salvare innumerevoli vite umane. Tale fallimento è proseguito anche nel 2014.
Negli ultimi quattro anni, sono morte 200.000 persone, la stragrande maggioranza civili, principalmente in attacchi compiuti dalle forze governative. Circa quattro milioni di persone in fuga dalla Siria hanno trovato rifugio in altri paesi. Più di 7,6 milioni sono sfollate in territorio siriano. La crisi in Siria è intrecciata con quella del vicino Iraq.
Il gruppo armato che si autodefinisce Stato islamico (Islamic State – Is, noto in precedenza come Isis), che in Siria si è reso responsabile di crimini di guerra, nel nord dell’Iraq ha compiuto rapimenti, uccisioni sommarie assimilabili a esecuzione e una pulizia etnica di proporzioni enormi. Parallelamente, le milizie sciite irachene hanno rapito e ucciso decine di civili sunniti, con il tacito sostegno del governo iracheno. L’assalto condotto a luglio su Gaza dalle forze israeliane è costato la vita a 2000 palestinesi. E ancora una volta, la stragrande maggioranza di questi, almeno 1500, erano civili. Come ha dimostrato Amnesty International in una dettagliata analisi, la linea adottata da Israele si è distinta per la sua spietata indifferenza e ha implicato crimini di guerra. Anche Hamas ha compiuto crimini di guerra, sparando indiscriminatamente razzi verso Israele e causando sei morti.
In Nigeria, il conflitto in corso nel nord del paese tra le forze governative e il gruppo armato Boko haram è finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo a causa del rapimento, da parte di Boko haram, di 276 studentesse nella città di Chibok, uno degli innumerevoli crimini commessi dal gruppo. Quasi inosservati sono passati gli orrendi crimini commessi dalle forze di sicurezza nigeriane, e da altri che hanno agito per conto loro, contro persone ritenute appartenere o sostenere Boko haram; alcuni di questi crimini, rivelati da Amnesty International ad agosto, erano stati ripresi in un video che mostrava le vittime assassinate e gettate in una fossa comune.
Nella Repubblica Centrafricana, oltre 5000 persone sono morte a causa della violenza settaria, nonostante la presenza sul campo dei contingenti internazionali. Tortura, stupri e uccisioni di massa hanno a stento raggiunto le prime pagine dei giornali a livello mondiale. Ancora una volta, la maggior parte delle vittime erano civili. E in Sud Sudan, lo stato più recente del mondo, decine di migliaia di civili sono stati uccisi e due milioni sono fuggiti dalle loro case, nel contesto del conflitto armato tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Entrambe le parti hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Questo breve elenco non rappresenta che una parte del problema. Qualcuno potrebbe sostenere che di fronte a tutto questo non è possibile fare nulla, che da sempre la guerra viene fatta alle spese della popolazione civile e che niente potrà mai cambiare. Ma si sbaglia. È essenziale affrontare la questione delle violazioni contro i civili, oltre che assicurarne alla giustizia i responsabili. C’è una misura evidente e concreta che attende solo di essere adottata: Amnesty International ha accolto con favore la proposta, attualmente appoggiata da circa 40 governi, di dotare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di un codice di condotta che preveda l’astensione volontaria dal ricorso al veto in situazioni di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, per non bloccare l’azione del Consiglio di sicurezza. Sarebbe un primo passo importante e potrebbe già salvare molte vite.
I fallimenti tuttavia non hanno riguardato soltanto l’incapacità d’impedire le atrocità di massa. È stata anche negata l’assistenza diretta ai milioni di persone in fuga dalla violenza che inghiottiva villaggi e città. Quei governi, tanto pronti a denunciare a gran voce i fallimenti degli altri governi, si sono poi dimostrati essi stessi riluttanti a farsi avanti e fornire gli aiuti essenziali di cui avevano bisogno i rifugiati, sia in termini di aiuti economici, sia di opportunità di reinsediamento. A fine anno, i rifugiati della Siria reinsediati erano meno del due per cento, una cifra che dovrà almeno triplicarsi nel 2015. Nel frattempo, un numero enorme di rifugiati e migranti continua a perdere la vita nel Mar Mediterraneo, nel disperato tentativo di raggiungere le coste europee. La mancanza di supporto da parte di alcuni stati membri dell’Eu nelle operazioni di ricerca e soccorso ha contribuito allo sconvolgente tributo in termini di vite umane. Una misura che potrebbe essere adottata per proteggere i civili nei conflitti è limitare ulteriormente l’impiego di armi esplosive nelle aree popolate.
Ciò avrebbe permesso di salvare molte vite in Ucraina, dove sia i separatisti appoggiati dalla Russia (che seppur in maniera poco convincente ha più volte negato un suo coinvolgimento) sia le forze pro-Kiev hanno colpito quartieri abitati da civili. L’esistenza di regole sulla protezione dei civili è importante in quanto implica un concreto accertamento delle responsabilità e l’ottenimento della giustizia, laddove tali regole siano violate. In questa prospettiva, Amnesty International ha accolto con favore la decisione assunta dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, a Ginevra, di avviare un’inchiesta internazionale in merito alle accuse di violazioni dei diritti umani e di abusi commessi durante il conflitto in Sri Lanka, dove, negli ultimi mesi di combattimenti nel 2009, furono uccise decine di migliaia di civili. Amnesty International si è molto impegnata negli ultimi cinque anni affinché fosse istituita quest’inchiesta. Senza un tale accertamento delle responsabilità non sarà possibile compiere alcun passo avanti. Ma anche altri aspetti inerenti la difesa dei diritti umani devono essere migliorati.
In Messico, la sparizione forzata di 43 studenti, avvenuta a settembre, è andata tragicamente ad aggiungersi alle vicende di oltre 22.000 persone scomparse finora o delle quali si sono perse le tracce dal 2006; si ritiene che la maggior parte di queste siano state rapite da bande criminali ma in molti casi le informazioni raccolte lasciano intendere che siano state sottoposte a sparizione forzata per mano di poliziotti o militari, i quali avrebbero agito in alcuni casi in collusione proprio con le bande criminali. Le poche vittime i cui resti sono stati ritrovati mostravano segni di tortura e altro maltrattamento. Le autorità federali e statali non hanno provveduto a condurre indagini su questi crimini per stabilire l’eventuale coinvolgimento di agenti dello stato e garantire un rimedio legale efficace per le vittime, compresi i loro familiari. Oltre a non aver dato una risposta, il governo ha tentato di nascondere la crisi dei diritti umani, in un contesto di elevati livelli d’impunità, corruzione e progressiva militarizzazione.
Nel 2014, i governi di molte parti del mondo hanno continuato a reprimere le Ngo e la società civile, una sorta di perverso riconoscimento dell’importanza del loro ruolo. La Russia ha accresciuto la sua stretta micidiale con l’introduzione di una spaventosa “legge sugli agenti stranieri”, un linguaggio degno della guerra fredda. In Egitto, le Ngo sono state al centro di un grave giro di vite, con l’utilizzo della legge sulle associazioni risalante all’era Mubarak, per mandare il chiaro messaggio che il governo non intendeva tollerare alcun tipo di dissenso. Organizzazioni per i diritti umani di rilievo hanno dovuto ritirarsi dall’Esame periodico universale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Egitto, per timore di rappresaglie nei loro confronti. Come già accaduto in varie occasioni in precedenza, i manifestanti hanno dimostrato il loro coraggio malgrado le minacce e la violenza contro di loro. A Hong Kong, a decine di migliaia hanno sfidato le minacce delle autorità e affrontato un uso eccessivo e arbitrario della forza da parte della polizia, in quello che è diventato il “movimento degli ombrelli”, esercitando i loro diritti fondamentali alle libertà d’espressione e di riunione.
Le organizzazioni per i diritti umani sono talvolta accusate di essere troppo ambiziose nei loro sogni di dar vita a un cambiamento. Dobbiamo comunque ricordare che i traguardi straordinari sono raggiungibili. Il 24 dicembre, è entrato in vigore il Trattato internazionale sul commercio di armi, dopo che tre mesi prima era stata superata la soglia delle 50 ratifiche. Amnesty International, tra gli altri, si è impegnata a favore del trattato per 20 anni. Più volte ci era stato detto che non saremmo mai arrivati a ottenerlo. Ebbene, il trattato adesso esiste e servirà a proibire la vendita di armi a quanti potrebbero utilizzarle per commettere atrocità. Potrà pertanto svolgere un ruolo decisivo negli anni a venire, quando la questione della sua implementazione sarà cruciale.
Nel 2014 ricorrevano anche i 30 anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, un’altra convenzione per la quale Amnesty International si è battuta per molti anni e una delle motivazioni per le quali le fu conferito il premio Nobel per la pace nel 1977. Questo anniversario è, sotto un certo punto di vista, un momento da celebrare ma è anche l’occasione per sottolineare come la tortura sia ancora dilagante in molte parti del mondo, motivo per cui Amnesty International, proprio quest’anno, ha lanciato la sua campagna globale “Stop alla tortura”. Questo messaggio conto la tortura ha avuto una particolare risonanza in seguito alla pubblicazione a dicembre di un rapporto del senato statunitense, che ha dimostrato la facilità con cui era stato tollerato l’uso della tortura negli anni successivi agli attacchi agli Usa dell’11 settembre 2001. È sconcertante come alcuni dei responsabili per quegli atti criminali di tortura sembrassero ancora convinti di non avere alcun motivo di cui vergognarsi. Da Washington a Damasco, da Abuja a Colombo, i leader di governo hanno giustificato orrende violazioni dei diritti umani sostenendo che era necessario commetterle in nome della sicurezza. In realtà, è semmai vero il contrario. Questo tipo di violazioni sono uno dei motivi principali per i quali oggi viviamo in un mondo tanto pericoloso. Non può esserci sicurezza senza rispetto dei diritti umani. Abbiamo ripetutamente visto che, anche nei momenti più bui per i diritti umani, e forse in special modo in tempi come questi, è possibile dar vita a un cambiamento straordinario. Dobbiamo solo sperare che, quando negli anni a venire guarderemo indietro al 2014, ciò che abbiamo vissuto in quest’anno ci sembrerà il fondo, l’ultimo punto più basso da cui siamo risaliti e abbiamo creato un futuro migliore”.
Che fine ha fatto tutta quella frutta, buona, che il mercato non ha “assorbito” a causa delle condizioni climatiche, della crisi economica e dell’embargo verso la Russia?
Per il mondo della produzione ortofrutticola la scorsa stagione può essere definita una stagione veramente nera! Alla crisi economica si sono aggiunti gli effetti climatici che hanno ridotto le vendite di importantissimi prodotti stagionali (come le nettarine, i meloni, i cocomeri…) in maniera drammatica. L’embargo verso la Russia ha ulteriormente incrementato i quantitativi di invenduto.
Il programma europeo dei ritiri dal mercato, che consente alle Organizzazioni di produttori di donare il prodotto che è in crisi di mercato per fini sociali beneficiando di importanti rimborsi, è diventato in alcuni momenti l’unica ancora di salvezza per le imprese del settore. In più l’Unione Europea ha ulteriormente rafforzato il sostegno con misure straordinarie decise a metà agosto: stanziando altri 110 ml di euro in totale, affinché si recuperassero i prodotti in eccedenza a favore di persone indigenti. All’interno di questa emergenza, la Rete Banco Alimentare, con le sue 21 sedi su tutto il territorio nazionale, è stata chiamata ad un impegno davvero straordinario: ritirare ingenti quantità di ottima frutta fresca per poi distribuirla alle quasi 9.000 strutture caritative convenzionate.
La gestione del prodotto fresco, soprattutto d’estate, necessita di attenzione, capacità organizzativa e velocità distributiva. La Rete Banco Alimentare è riuscita a superare questa prova dimostrando capacità ed efficienza: nei soli mesi di giugno, luglio e agosto ha ritirato oltre 1.500 tonnellate di frutta (contro un gestito medio di circa 3.000 t nell’arco di 12 mesi!). E grazie anche a un importante lavoro di squadra con le strutture caritative questi prodotti sono giunti a centinaia di migliaia di famiglie bisognose. Nel 2013 in Italia 1,9 milioni di persone hanno ricevuto prodotti alimentari da 9 mila strutture caritative convenzionate con il Banco Alimentare.
“Il cibo che si butta via è come se fosse rubato dalla mensa di chi è povero. I nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo preparato, davano il giusto valore alle cose, che va ben al di là di quello economico.” Papa Francesco – 5 giugno 2013
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