Nell’immaginario leghista Roma rappresenta tutto ciò che il federalismo vuole sconfiggere: l’esasperazione dello statalismo, il centralismo delle istituzioni, la lottizzazione dei partiti, la corruzione e gli sprechi che proprio il progetto federalista punta a eliminare. In tutto questo, la parte del guerriero è interpretata dal Nord produttivo in cui Milano rappresenta il centro di eccellenza e di laboriosità indefessa, insieme alle valli bergamasche e alla Brianza operosa, contro gli sprechi delle regioni parassite del Mezzogiorno.
Nello scontro manicheo tra Nord e Sud del Paese, scrive Ilvo Diamanti, «“la questione settentrionale” è evocata, evidentemente, per analogia alla questione meridionale». Entrambe le espressioni intendono riferirsi a «un tema comune: la mancata capacità dello Stato nazionale di garantire identità, sostegno allo sviluppo, regolazione sociale, e allo stesso tempo la crescente dipendenza dalla società e dall’economia dello Stato». Per l’iconografia della Padania come Stato-nazione dotato di vita propria e caratteristiche peculiari, per la Lega diviene fondamentale, sin dagli esordi, tradurre il localismo in un nordismo dai confini nitidi, per «sagomare una proposta capace di aderire in modo più diretto alle esigenze e alle culture del Nord metropolitano, della grande industria, della comunicazione, della finanza e dei servizi».
La demarcazione tra Nord e Sud si avvale anche dell’antimeridionalismo come propulsore per la formazione di due schieramenti opposti che incarnano due visioni radicalmente diverse di Stato e sussidiarietà. Roma, in tutto questo, diviene per assimilazione lo sponsor ufficiale, oltre che della cultura di Palazzo, anche dell’inefficientismo del Sud, della cultura parassitaria che ha allevato generazioni di cittadini che hanno abdicato alla responsabilità individuale in nome del sussidio statale con il placet della partitocrazia.
Roma ladrona, slogan nato per attirare l’attenzione dei media, ha sempre suscitato reazioni accese tra le fila dei partiti. Bossi intende forse assimilare la sua Roma ladrona anche alla popolazione della città eterna, o utilizza il Leitmotiv solo come simbolo di una corruzione istituzionale e istituzionalizzata da debellare? A chiarirlo è lo stesso Senatùr: «Secondo noi della Lega, Roma è ladrona perché è la capitale dello Stato centralista, perché lì si raccolgono i politicanti corrotti e la burocrazia inefficiente, perché dai sette colli si tirano le fila di una politica di spoliazione delle piccole e medie imprese e in generale di chi lavora. È chiaro: molti romani, forse la maggioranza, sono affezionati clienti dei partiti e delle loro cosche. Ma ci sono anche cittadini onesti e noi speriamo di avere il loro voto, a Roma come in qualsiasi altra città». Queste sono riflessioni più sottili rispetto a quelle che la Lega declama nei suoi comizi, dove parlare alla pancia significa glissare sulle distinzioni tra il Palazzo e i cittadini di Roma o del Sud. Basta andare a Pontida o parlare con i militanti che, in nome dell’obiettivo federalista o del fuoco della politica, semplificano con piacere e convinzione. Nel popolo di Alberto da Giussano, infatti, il razzismo meridionalista, per quanto smorzato nelle occasioni ufficiali, è una fiamma sempre accesa. Corinto Marchini ad esempio, ex comandante delle Camicie Verdi e senatore, non nascose l’amarezza venata di vergogna riguardo una sua parentela malauguratamente di origine meridionale: «Eh sì, ho una nonna romana. Per me è come avere un’unghia incarnita. Mi dà fastidio». A lui si aggiunge anche Gianfranco Miglio che scarta senza riserve la possibilità di lavorare al sud: «Non amo i meridionali perché sono europeo. Non andrei mai a insegnare a Catania o a Palermo. Sarebbe fatica inutile». Continue Reading