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Donato Metallo, il sindaco rivoluzionario che vuole produrre la cannabis terapeutica

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La rivoluzione della cannabis terapeutica parte da un piccolo paese del Sud, 10.400 abitanti, 55 metri sul livello del mare. A Racale di Puglia stanno combattendo (e vincendo) la battaglia più importante per tutti i malati che hanno bisogno dei cannabinoidi per curare gli effetti di alcune patologie come la sclerosi multipla. Sì, perché dietro la legge approvata ieri dalla Puglia, quarta regione in Italia a dire sì all’uso terapeutico della marijuana, c’è in realtà un progetto più ambizioso che trova, tra l’altro, il favore di tutte le forze politiche. Ed è creare il primo campo per la coltivazione in proprio della materia prima. Sarebbero i primi in Italia con tutte le autorizzazioni e i certificati ministeriali. Lo scopo, togliere alla criminalità il mercato degli stupefacenti, anche quello per uso medicale. Perché a tutt’oggi, anche se c’è il via libera alla terapia grazie a una legge del 2007 firmata Livia Turco, farmaci o canne, possono essere solo importati dall’estero e con costi elevatissimi e molti pazienti sono costretti all’illegalità. La rivoluzione di Racale ha il nome di Lucia Spiri e Andrea Tresciuoglio, malati di Sclerosi multipla e fondatori del primo “Cannabis social club” che proprio oggi compie un anno. Ma anche quello del sindaco Donato Metallo. Trentadue anni, in carica dal 2012 con la Lista “Io amo Racale”, membro dell’assemblea nazionale Pd, Donato Metallo appena eletto ha portato a casa tre risultati: un progetto per l’abolizione delle barriere architettoniche, il doposcuola gratis per tutti bambini, l’approvazione della legge per l’uso terapeutico della cannabis. Ama De André come si capisce bene dal suo profilo Facebook, e gli piace “la cattiva strada”.

Qualche mese fa ha preso carta e penna e scritto una lettera a tutti i sindaci d’Italia. “Vi spiego perché dovete venire con me sulla cattiva strada. Una scelta scomoda, lo so. Ma è una scelta d’amore”. “Me lo hanno chiesto due amici, Lucia ed Andrea – racconta Metallo ai colleghi – . Vi voglio raccontare di William, compagno fedele di Lucia, vittima inconsapevole della sclerosi multipla. Lucia ha la mia età, ci conosciamo da anni e so da tempo della sua malattia. Ho visto William accompagnare Lucia su di una sedia a rotelle, ho visto Lucia impastare qualche torta alla canapa, confesso di aver seguito la scena prima con il terrore di un bigotto e poi con la tenerezza e la speranza di un amico, ho visto Lucia alzarsi da una sedia con le sue gambe, incerta sui passimafiera nella sua riconquistata stazione eretta, ho sorriso e l’ho abbracciata”. Quella lettera – dice oggi Metallo – è arrivata ai sindaci e conteneva una proposta di legge che però non è mai stata ufficializzata. Qualcuno comunque ha risposto. Il sindaco di Foggia Giovanni Mongelli, qualche assessore del Lazio e tanti piccoli comuni, soprattutto i piccoli comuni, spiega metallo, dalla Sicilia moltissimi.

Qual è il senso della sua battaglia è presto detto: “Si tratta di regalare anche solo un pomeriggio di vita. I tempi del malato non sono quelli della politica. Io li ho visti questi ragazzi, in quest’ultimo anno hanno perso molti amici. Ecco, grazie a quei farmaci possono fare un giro in macchina, alzarsi, passare una giornata normale senza sentire gli effetti devastanti delle loro patologie”. Lucia ha ricominciato a camminare e così Andrea. Si tratta di aprire con tutte le autorizzazioni il primo centro italiano per la coltivazione della Cannabis. Dietro la legge pugliese c’è lui, c’è l’assessore alla Sanità Elena Gentile, c’è il capogruppo di Sel Michele Lo Sappio. C’è anche la presidente onoraria del “Cannabis social club” la radicale Rita Bernardini. Quello che però non tutti sanno è che ci sono state già due riunioni operative, in regione, per mettere a punto il protocollo con Asl e facoltà di Medicina, Agraria e Farmacologia da inviare al ministero della Sanità a Roma. La prossima settimana è prevista l’ultima riunione, poi la richiesta partirà e c’è da scommettere che qualcosa potrebbe accadere nonostante l’ostilità acclarata del ministro Beatrice Lorenzin assolutamente contraria a ogni forma anche mascherata di legalizzazione.

Sono quattro le Regioni che in Italia hanno “detto sì” l’uso della cannabis a scopo terapeutico. E c’è chi vede, pochi in verità, in questa normalizzazione una testa d’ariete attraverso la quale si cercherebbe di far passare la legalizzazione delle droghe leggere. Sono pochi perché lì dove le leggi sono state approvate (Veneto, Liguria, Toscana e Puglia) il via libera è passato quasi all’unanimità e con favore bipartisan. Come dire, la destra, salvo rare eccezioni, non si oppone. C’è l’esempio della Francia che di recente ha dato il via libera alla vendita del primo medicinale a base di cannabis. C’è lo Stato di New York ventunesimo ad assumere una decisione del genere in un’America. Bisogna anche dire che le regioni che stanno regolamentando l’uso terapeutico della cannabis in realtà si stanno solo adeguando e pure con un certo ritardo la loro normativa al decreto Turco del 2007. Per dire, nel Lazio è ancora in discussione, così in Emilia, nelle Marche e in Abruzzo. Il passaggio è essenziale, perché solo con una legge regionale i pazienti possono richiedere il farmaco all’estero e soprattutto accedere ai rimborsi asl. E questo è il passaggio cruciale. Attualmente l’Italia acquista il Bedrocan dall’Olanda con costi molto alti. Nel maggio scorso l’Agenzia del Farmaco ha autorizzato il Sativex ma a condizioni molto restrittive. Tra medici che non prescrivono e cure che non possono essere rimborsate i pazienti che scelgono questa terapia rischiano di ingrassare le narcomafie. Per non parlare dei costi: 5 grammi al giorno per 40 euro al giorno. Attualmente solo a Rovigo c’è un centro autorizzato alla produzione, ma è per l’Uruguay.

Spiega Donato Metallo: “Il nostro sogno è produrre qui il farmaco. I ragazzi del Cannabis social club potrebbero produrre il medicinale e poi venderlo alla Regione con costi molto più bassi. Il ricavato della vendita sarebbe poi investito per la realizzazione di un centro per la riabilitazione”. La Regione Puglia – dice – sembra favorevole.

(Fonte L’Unità del 30 Gennaio 2014)

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La Sacra Corona Unita?

Video Guarda In Faccia La Legalità in ricordo di Melania Basso

La Sacra Corona Unita e’ certamente la più sottovalutata delle organizzazioni, la quarta mafia, velocemente liquidata. Conflitti interni ce ne sono stati molti, al punto che si sono strutturate in modo distinto la Sacra Corona Libera e la Nuova Sacra Corona Unita, di cui parla il pentito Tafuro. Ma in fondo sono solo nuove sigle. Descrivono la stessa organizzazione con prassi diverse.

Uno dei terreni di scontro e’ rappresentato dai capitali derivanti dal contrabbando. Quando e’ finito il mercato delle “bionde” e’ finita anche la caccia alle ricchezze che avevano prodotto. O quasi. Quando l’antimafia pugliese inizia a mettere le mani sui capitali illegali accumulati dal contrabbando, iniziano le tensioni nelle terre della Sacra. In più la vecchia guardia sacrista, che ha messo soldi ovunque (supermercati, autofficine, bingo, punti di scommesse, imprese edili, rimessaggi, autotrasporti, pompe di benzina, imprese di rifiuti), si scontra con la borghesia pugliese nata dal contrabbando.

Di terrorismo mafioso non c’era traccia in Puglia nell’ultimo decennio. A ben vedere ci sono episodi, però, assai inquietanti. A San Pietro Vernotico, nel Brindisino, c’era un gruppo chiamato dai media locali “i nipotini di Riina” proprio perché usavano una violenza sempre esagerata, ispirata appunto al boss di Corleone. Nel Brindisino gli esponenti di questo gruppo, arrestato due anni fa, hanno assunto le pose della strategia cortonese diventando nel tempo sempre più pericolosi. Arroganti, violenti, senza freni: li descrive così anche Mara Chiarelli in Sacra Corona Unita. I camaleonti della criminalità italiana (Report). Usano metodi violenti, simbolici come teste di coniglio mozzate, “se ci arrestano tutti insieme stiamo, che cazzo ce ne fottiamo… la galera serve, ti fa diventare molto più potente… quando stai là dentro capisci tante cose”,  dissero in una intercettazione.

Una scheggia impazzita nel Salento si è già vista una volta, tanti anni fa e da queste parti non lo ha dimenticato nessuno. Alla luce della sanguinaria violenza della Sacra Corona Unita nessuno tra investigatori e inquirenti esclude dunque che, 20 anni dopo la prima, un’altra scheggia impazzita della mala sia responsabile dell’attentato nella scuola di Brindisi per faide personali o di clan.

I dubbi sono tanti, tantissimi. Le parole delle madri di Beslan in queste ore fanno venire la pelle d’oca. Ci ricordano come un Paese che permette che le proprie scuole non siano al sicuro, che i propri bambini diventino bersagli, è un Paese che si sta smarrendo.

(Fonte Repubblica – lsole24ore)
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