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In arrivo stangata fiscale da 71 miliardi

tasse e spesa pubblica

Altro che riduzione delle tasse. Secondo un’analisi realizzata dal Centro studi di Unimpresa sul Documento di economia e finanza (Def) approvato venerdì dal consiglio dei ministri e diffuso ufficialmente sabato, c’e poco da stare tranquilli. Nei prossimi quattro anni le tasse aumenteranno sistematicamente. 

Una stangata fiscale da oltre 71 miliardi di euro tra il 2016 e il 2019. Nei prossimi quattro anni le tasse aumenteranno sistematicamente e il gettito complessivo supererà quota 855 miliardi rispetto ai 784 del 2015. Secondo l’analisi dell’associazione, nel 2016 le entrate nel bilancio pubblico si attesteranno a 789,4 miliardi, mentre nel 2017 arriveranno a 805,4 miliardi; nel 2018 si toccherà quota 831,9 miliardi e nel 2019 a quota 855,7 miliardi. Continue Reading

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Istigazione all’evasione fiscale

evasione fiscale
Il Centro studi di Confindustria ha recentemente fotografato il “quanto” e il “chi” evade in misura più massiccia: oltre la metà dei 122 miliardi, pari al 7,5% del Pil, sottratto ogni anno allo Stato provengono dall’Iva non versata (39,8 miliardi) e dai contributi non pagati (34,4); subito dopo, con 23,4 miliardi di tasse non pagate viene l’Irpef, poi 5,2 di Ires, 3,0 di Irap e 16,3 di altre imposte indirette.

Il sommerso economico, che alberga l’evasione, è stimato dall’Istat per il 2013 in 190,8 miliardi. È particolarmente elevato nelle altre attività di servizi (32,9% del valore aggiunto del settore), nel commercio, trasporti, attività di alloggio e ristorazione (26,2%), nelle costruzioni (23,4%) e nelle attività professionali (19,7%). Al contrario, è bassa la sua incidenza nelle attività finanziarie e assicurative (3,5%) e nella manifattura (6,0%). Nel confronto europeo per livello di evasione, basato sul tax gap per l’Iva, l’Italia si attesta al secondo posto dopo la Grecia, con un gettito evaso pari al 33,6% di quello dovuto, contro il 16,5% della Spagna, l’11,2% della Germania, l’8,9% della Francia e il 4,2% dei Paesi Bassi.

A questi numeri, ovviamente, corrispondono servizi meno efficienti o assenti, opere pubbliche sospese e pagamenti postergati, posti di lavoro cancellati, turnover bloccati per anni. Quello che c’è, lo pagano per tutti i contribuenti onesti o costretti a esserlo. E si perchè, stima sempre Confindustria,  l’inadeguatezza dell’amministrazione fiscale nell’effettuare i controlli è mirata solo a fare cassa e non alla deterrenza, tanto che il 99% dei contribuenti rischiano di subire un controllo ogni 33- 50 anni. Altri paesi con livelli di evasione molto più bassi e condizioni di contesto più favorevoli si sono dotati di strumenti più efficaci, come emerge dall’analisi OCSE.

Al fisco più della metà del reddito familiare. Nel 2015 una famiglia composta da una coppia di lavoratori dipendenti con un figlio in età scolare, destina il 54,9% del reddito al pagamento dei contributi sociali e delle imposte, dirette e indirette. L’esborso più sostanzioso è effettuato direttamente con le trattenute sulla busta paga, comprese quelle che non vi figurano perché a carico del datore di lavoro. A fronte di un costo del lavoro dipendente pari a circa 73mila euro annui, il 35,2% è destinato ai contributi (di cui il 28,4% a carico del datore di lavoro) e il 13% per il pagamento dell’Irpef, comprensiva di addizionale regionale e comunale. L’insieme delle retribuzioni nette della famiglia ammonta quindi a poco più della metà del costo sostenuto dai datori di lavoro: 37.701 euro, pari a 2.900 al mese. Tale somma è destinata per l’89,3% alla spesa familiare, il cui valore comprende il pagamento di imposte indirette sui consumi (principalmente IVA, ma anche accise sui carburanti e sui tabacchi) e di tributi destinati agli enti locali (come, ad esempio, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti e il bollo auto) per complessivi 4.880 euro, pari al 14,5% della spesa in consumi e al 6,7% del reddito da lavoro (ovvero del costo del lavoro). Il carico fiscale e contributivo che grava sulla famiglia è dunque molto più elevato della pressione fiscale totale, pari al 43,2% del Pil. E ciò si spiega sia con la progressività dell’imposizione (avendo la famiglia considerata un reddito più alto della media italiana, date le sue caratteristiche, anche residenziali) sia con il sommerso. Per effettuare questa simulazione è stata scelta una famiglia che, stando alla distribuzione geografica e settoriale del sommerso economico, ha una bassa propensione all’evasione.

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Una pressione fiscale intollerabile

pressione fiscale

L’Italia ha “una pressione fiscale difficilmente tollerabile. L’affannata ricerca di risultati si è tradotta, tra il 2008 e il 2014, nell’adozione di oltre 700 misure di intervento in materia fiscale, di aggravio o di sgravio del prelievo.”. È la denuncia della Corte dei Conti in occasione del giudizio sul rendiconto generale dello Stato 2014. La pressione fiscale è stata nel 2014 pari al 43,5% del Pil, 1,7 punti in più sulla media Ue.

Anche a causa delle troppe tasse, l’economia italiana, ma anche quella europea, sono in una fase di “ristagno, stagnazione”. L’Italia si colloca ormai ai vertici mondiali per carico fiscale, sia sulle famiglie sia sulle imprese. Se nei prossimi anni l’Italia non cambia passo, il futuro non promette bene.

“Al termine del 2014, la pressione fiscale è stata pari al 43,5%, di poco più elevata di quella del 2013 (43,4%) soprattutto per il maggior gettito delle imposte indirette. L’aumento è dovuto, pressoché esclusivamente, alla componente di competenza delle amministrazioni locali. Al riguardo, va evidenziato che la pressione fiscale continua a rimanere elevata nel confronto internazionale, con un divario, che permane nel 2014, di 1,7 punti percentuali di prodotto rispetto alla media degli altri Paesi dell’area euro.

Difficilmente il sistema economico potrebbe sopportare ulteriori aumenti della pressione fiscale. Prioritaria appare, semmai, la necessità di un intervento di segno opposto, volto a restituire capacità di spesa a famiglie e imprese. Una direzione effettivamente intrapresa nel corso del 2014, con i provvedimenti volti a ridurre il cuneo fiscale sul costo del lavoro. Rientra fra questi, nelle intenzioni del Governo, il bonus erogato alle famiglie, che le regole contabili hanno però portato a iscrivere come maggiore spesa per prestazioni sociali. Certamente a riduzione del cuneo vanno le misure di esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP e di decontribuzione per i nuovi assunti, che costituiscono punti qualificanti della legge di stabilità 2015. La contemporanea azione sui redditi delle famiglie e sui costi delle imprese punta a rilanciare la domanda aggregata, sostenendo i consumi delle prime e la competitività delle seconde: impulsi che potranno trovare alimento addizionale in un contesto di recupero già avviato della congiuntura, favorendo quell’ambiente macroeconomico espansivo che è indispensabile per un effettivo allentamento della pressione fiscale. Ma se la prospettiva di una pressione fiscale che resti sull’attuale elevato livello appare difficilmente tollerabile, anche sul fronte della spesa i margini d’azione sono meno ampi di quanto la percezione comune ritiene. Le stesse analisi condotte per la Relazione oggi resa pubblica confermano la difficoltà di realizzare pienamente il programma di spending review, a motivo degli ampi risparmi già conseguiti per le componenti più flessibili (redditi da lavoro e consumi intermedi) e per il permanere di un elevato grado di rigidità nella dinamica delle prestazioni sociali.

Gli obiettivi di razionalizzazione degli enti pubblici statali e di riduzione dei loro costi di funzionamento sono targets ormai ricorrenti da quasi un quindicennio, anche se assumono un rilievo più pronunciato in una fase di riequilibrio strutturale dei conti pubblici. Un’indagine, effettuata dalla Corte, ha evidenziato la sussistenza di 320 soggetti pubblici, comunque denominati, istituiti, controllati e finanziati dai ministeri e 165 fra loro hanno comportato, un onere finanziario, per lo Stato, ammontante a circa 25 miliardi per il 2013 e a 20 miliardi per il 2014. La Corte ha, altresì, evidenziato come la spesa per il personale di tali enti sia sensibilmente superiore rispetto a quella dei ministeri.

In definitiva, un deciso intervento su tutta la spesa pubblica improduttiva potrà consentire quella riduzione e il riequilibrio della pressione fiscale, a livello statale e locale, di cui, da più parti, si reclama la necessità”.

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Giù le mani dai Bot!

bot-delrio

“Partenza col “Bot” per il governo Renzi. La polemica scaturisce dall’intervista fatta ieri dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio durante la trasmissione In mezz’ora di Lucia Annunziata, nella quale è stata ventilata l’ipotesi di un aumento della tassazione sui Bot. Nettamente contrari Federconsumatori e Adusbef, per le quali su un investimento di 100.000 euro in Bot annuali, agli attuali tassi, si otterrebbe un incremento fiscale di 60 euro. Codacons annuncia: “Pronti a comitati di protesta”.
Proprio mentre il Governo Renzi sta chiedendo la fiducia al Senato, non si placano fra i Consumatori le polemiche legate all’intervista televisiva di Delrio, che ieri su Raitre ha parlato di un “innalzamento delle imposte sulle rendite finanziarie in linea con gli standard europei al 25” e non ha escluso la tassazione sui Bot: “Se una signora anziana ha messo da parte 100 mila euro in Bot non credo che se le togli 25 o 30 euro ne avrà problemi di salute. Vediamo”. Secondo il sottosegretario, i proventi di queste tasse potranno essere reinvestiti “a favore delle fasce più deboli”. In realtà, a stretto giro da Palazzo Chigi hanno fatto sapere che “non è prevista, né ci sarà alcuna nuova tassa. L’orizzonte del governo è quello di una riduzione della pressione fiscale attraverso una rimodulazione delle rendite finanziarie e delle tasse sul lavoro”.
In ogni caso i Consumatori alzano le barricate. Affermano Federconsumatori e Adusbef: “Lo scivolone del sottosegretario Delrio, che ancor prima di ricevere la fiducia delle Camere, ha evocato come primo atto un ulteriore giro di vite sulle tasse già troppo elevate, invece di affrontare i gravissimi  problemi che affliggono gli italiani, come disoccupazione, giovani senza futuro, perdita del potere di acquisto, idrovore fiscali e bancarie, crescita, tagli a sperperi e sprechi dei mandarini di Palazzo, regole certe a Bankitalia ed ai banchieri che continuano a dettare le linee di politica economica di loro convenienza ai governi di turno, ripropone il tema della patrimoniale, che seppur mascherata è già in vigore sugli investimenti finanziari e sui titoli di Stato”. Le due associazione hanno ipotizzato un dossier titoli di 100 mila euro, investito in Btp decennali al tasso lordo del 3,5% ed in Bot annuali all’1%, gravati da una imposta di bollo del 2 per mille e da una ritenuta fiscale del 12,5% sulle cedole: “Se il Governo dovesse portare la ritenuta fiscale dal 12,5 al 20% per un investimento di 100.000 euro su un Btp decennale, mantenendo il 2 per mille, potrebbe produrre una maggiore stangata fiscale di 262,50 euro; senza il 2 per mille di 62,50 euro”. Altra ipotesi è quella di un investimento in Bot annuali: “Su un investimento di 100.000 euro in Bot annuali, agli attuali tassi dell’1% lordo, otterrebbe un incremento fiscale di 60 euro, mantenendo la patrimoniale mascherata del 2 per mille; un decremento fiscale di 140 euro, con la sacrosanta abrogazione del 2 per mille sui bolli”.
Commentano Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, presidenti delle due associazioni: “Adusbef e Federconsumatori chiedono al Governo maggiore attenzione in materie così delicate e sensibili, che riguardano sudore, lacrime e sangue di milioni di italiani e delle loro famiglie, che hanno fatto tanti sacrifici per poter mettere da parte qualche risparmio, costretti poi ad erodere per una funzione impropria di “ammortizzatori sociali” a giovani figli, nipoti e parenti  disoccupati o relegati alla funzione di ‘esodati’”.
Una netta contrarietà all’ipotesi arriva anche dal Codacons. “Giù le mani dai Bot – commenta il segretario nazionale  del Codacons Francesco Tanasi – Siamo pronti a costituire comitati di protesta in tutte le città italiane. Non si possono tassare i pochi risparmi rimasti alle famiglie”. Per il Codacons l’operazione di tassare maggiormente i Bot “è assolutamente inutile, considerato che sarebbe una partita di giro che avrebbe come unico effetto quello di innalzare i tassi di interesse. Gli investitori, infatti, guardano al tasso di interesse reale, non a quello nominale. Insomma lo Stato prenderebbe i soldi con la mano destra e finirebbe per ridarli con la sinistra, sotto forma di maggiori interessi”. L’associazione di consumatori è, invece, “favorevole ad aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie, oggi tassate al 20%, meno della prima aliquota con la quale viene tassato il lavoro, purché ovviamente quei soldi siano tutti destinati a ridurre le tasse al ceto medio, ossia a quel 50% di italiani che oggi fatica ad arrivare a fine mese”. Helpconsumatori

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